Tra ieri (sui siti) e oggi (sulle copie cartacee) è diventato «un caso» ilmenù di Camera e Senatoa prezzi ridottissimi la cui pubblicazione risale aun pezzo del 25 luglio scorso dell’Espresso. Come mai, mi sono chiesto, la polemica èscoppiata ‘a reti unificate’ a tre settimane di distanza?
La giustificazione ufficiale è l’improvvisa e coordinatapresa di coscienza di una fantomatica «rivolta sul web» (Il Fatto) a base di «insulti, sfottò, rabbia» (Libero). Che di certo ci sono stati ma, a meno che non sia stato particolarmente disattento,ben più all’uscita dell’articolo che nelle ultime ore.Niente che spieghi, insomma, le paginate odierne sul Corriere, su Repubblica, sulla Stampa, ovunque. Che infatti sono straordinariamentepovere di dettaglisu luoghi e modi della presunta «rivolta».
Poi mi è venuto il solito dubbio. E, scartabellando nell’archivio dell’Ansa, ho trovato questa agenzia delle 19.46 del 11 agosto:
(ANSA) – ROMA, 11 AGO – Le istituzioni dilagano su internet e non esattamente per raccogliere un consenso diffuso sulla manovra anti crisi.In concomitanza con la seduta di stamanedelle 4 commissioni parlamentari per le comunicazione di Tremonti,il popolo del web ha fatto una scoperta “culinaria”:qualcuno ha trafugatomaterialmente un menù del ristorante dei senatori e lo hapubblicatotal quale. Un enorme successo mediatico. Chi ha la possibilità di frequentare la “mensa” di palazzo Madama sa bene che non si tratta di un falso. Il documento è stato sfilato da uno dei tanti menù distribuiti ai “clienti” e custodito in una cartellina rigida in pelle blu. La sua attendibilità è quindi fuori discussione. Compresi i prezzi. Un pasto medio costa poco più di dieci euro. L’iva non viene applicata perché, come in tutti gli esercizi interni alle aziende private o alla pubblica amministrazione, non è previsto dalla legge. Si tratta infatti di un servizio che non ha scopo di lucro: viene fornito per agevolare la vita dei lavoratori, anche se di alto rango, come si presume che siano i parlamentari. La gestione del ristorante del Senato è affidata ad una ditta privata, la Gemeaz Cusin, con sede a Milano. Il Senato fornisce il locale al piano terra in stile liberty: quasi 200 coperti, su una superficie di circa 400 metri quadrati, cucine a parte. E anche le attrezzature per la cottura, le tovaglie,i bicchieri e le posate. Queste ultime debbono essere periodicamente rinnovate perché recano lo stemma senatoriale e sono spesso “predate”come souvenir. Ovviamente il prezzo pagato dagli avventori non basta a pagare le spese. Così per ogni coperto del ristorante la “Camera alta” deve raddoppiare la cifra corrisposta dai commensali. L’operazione costa circa 1.200.000 euro l’anno. Il presidente del Senato ha fatto sapere in serata che i prezzi della ristorazione interna verranno presto adeguati ai costi effettivi. E’una vittoria del web.
Tralasciando le inesattezze («qualcuno ha trafugato materialmente un menù del ristorante dei senatori e lo ha pubblicato tal quale») e le conclusioni affrettate («è una vittoria del web») contenute nel lancio, credo che questo caso dimostri per l’ennesima volta come l’affidarsi più o meno cieco di tanti giornali alle agenzie rischi dideformare, banalizzare e travisareuna realtà già di per sé caotica e complessa da raccontare come quella della rete.
Con il paradossale effetto di annunciare una «rivolta» che non c’era (almeno non nei tempi descritti) e scatenarla. O quantomeno promuoverla. Una capacità di manipolazione dei ‘vecchi’ media sui ‘nuovi’ (e delle agenzie sui ‘vecchi’ media)di cui sarebbe bene essere consapevoli.
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