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Le future équipe mediche egiziane che tratteranno le malattie epatiche ed eseguiranno i trapianti di fegato saranno formate da professionisti italiani.
By Admin (from 31/07/2011 @ 11:00:51, in it - Scienze e Societa, read 2857 times)

Il progetto che ci vede coinvolti in prima fila si chiama Thebera ed è stato presentato lo scorso 17 maggio a Milano. Perché l’Egitto e perché l’Italia? Il primo detiene il triste primato mondiale di diffusione di epatite C (causa del 40% circa di tutti i trapianti di fegato), mentre noi abbiamo una delle reti trapiantologiche migliori d’Europa, oltre alle competenze e l’esperienza che mancano ai medici nordafricani.
Lo scorso giugno è stata varata la prima direttiva europea in ambito trapiantologico che esorta alla cooperazione internazionale per la diffusione delle competenze medico-scientifiche nel bacino del Mediterraneo. E Thebera è il primo programma con cui si passa dalle parole ai fatti, con l’Italia a fare da apripista. Il progetto, finanziato con 1.200.000 euro (600.000 a partner) dal VII Programma Quadro, è partito nel novembre 2010 e durerà due anni. “Durante questo periodo verranno formati gruppi da 20 operatori ciascuno - già selezionati – che partiranno dal Theodor Bilharz Research Institute, a Giza, alla volta dell’Italia; qui saranno accolti nelle unità trapiantologiche di vari ospedali”, spiega Franco Filippini direttore del Dipartimento di trapiantologia epatica, epatologia dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, e presidente del Sisqt (Società per la sicurezza e qualità dei trapianti). Pisa è infatti capofila ma, oltre la Toscana, sono coinvolte altre regioni, tra cui Emilia Romagna, Lazio, Campania, Veneto, Marche e Piemonte.

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Nella seconda fase del progetto, invece, saranno i medici italiani ad andare in Egitto, per continuare la formazione. Le équipe multidisciplinari dovranno essere preparate su tutti gli aspetti delle malattie epatiche, dal loro riconoscimento fino al trapianto del fegato: saranno quindi coinvolte diverse figure professionali, dai radiologi agli epidemiologi ai chirurghi, e verranno fornite le strumentazioni necessarie per la diagnosi. “È un progetto innovativo e pilota – sottolinea Alessandro Stefani, del consiglio scientifico del progetto – e si sta anche testando la tipologia di approccio a questi paesi”.

Ma perché l’Eu si preoccupa del Nord Africa? “La nuova politica europea non vuole più soltanto esportare i modelli di eccellenza, ma condividerli e integrare i paesi del Mediterraneo – risponde Stefani – e creare reti”. Inoltre si tratta di fare prevenzione, anche economica: “Il problema in Egitto è grave e investe la sfera sociale. Queste persone verranno a curarsi anche da noi. Invece di aspettare, possiamo pensarci prima, fare prevenzione, aiutarli a sondare la gravità della malattia epatica e a curarsi”, continua Stefani.

L’Italia non solo è il paese ideale per il know-how e le somiglianze con l'Egitto (eseguiamo circa mille trapianti di fegato l’anno e abbiamo un tasso di diffusione del virus dell’epatite C molto elevato), ma anche per la vicinanza geografica: siamo la porta dell’Unione verso il Nord Africa, in vista di altri progetti di cooperazione internazionale nell’ambito delle politiche sanitarie della strategia Europa 2020. In questi due anni dovremo fornire la prova dell’importanza e della validità di tali programmi.

Fonte: galileonet.it