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La memoria spaziale funziona a pacchetti. Il cervello sarebbe come un navigatore: bisogna solo pazientare qualche momento prima che trovi la mappa richiesta.
By Admin (from 19/01/2012 @ 11:04:38, in it - Osservatorio Globale, read 2815 times)

A tutti sarà capitato di sentirsi disorientati al mattino quando si viene svegliati da un rumore improvviso, come una telefonata. Spesso non si ricorda di aver dormito in un hotel o sul divano di un amico, anziché nel nostro letto, e ci si sente per qualche attimo persi. Č come se il cervello avesse bisogno di una manciata di secondi prima di riattivarsi e raccogliere tutte le informazioni ambientali, permettendoci così di orientarci di nuovo nella realtà. Questo perché quando cambiano repentinamente alcune caratteristiche dello spazio circostante, l’ ippocampo, cioè l’area del cervello determinante per la memoria spaziale, ha bisogno di qualche millesimo di secondo per attivare la mappa neurale corrispondente al nuovo ambiente.

A scoprirlo è stato un team internazionale di ricercatori, tra cui il neuroscienziato Alessandro Treves della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, in uno studio pubblicato sulla rivista Nature.

Il meccanismo è piuttosto semplice. Nell’ippocampo le cosiddette cellule di posizione elaborano una rappresentazione mentale dello spazio circostante e a ciascun ambiente corrisponde una mappa diversa, costituita da insiemi distinti di cellule. Ma se il cambiamento è istantaneo la percezione sensoriale del nuovo ambiente contrasta con la memoria e le due diverse mappe cognitive, corrispondenti al vecchio e al nuovo contesto, entrano in competizione fra loro: nell’ippocampo si osservano cioè salti da una mappa all’altra e viceversa, a intervalli temporali brevissimi. Il risultato? Č come se venissimo teletrasportati da un ambiente a un altro. Per un attimo infatti regna l’ incertezza e la realtà circostante sembra incomprensibile, fino a quando il cervello riesce a riprendere il controllo della situazione e in modo stabile si attiva la rappresentazione corrispondente al nuovo set ambientale.

“ Il cervello non si lascia confondere”, hanno spiegato gli autori dello studio. “ I diversi luoghi dei ricordi – hanno continuato – non si mescolano mai, anche se si percepisce il contrario. Questo perché i processi avvengono solo nella nostra testa. Quando il cervello è alla ricerca di una mappa di dove ci si trova è talmente veloce che non si nota il cambiamento effettivo tra le diverse mappe. Quando invece ci si sente confusi è perché nel cervello sono in competizione due diverse memorie. O fose anche più di due”.

Lo studio quindi dimostra che la memoria spaziale è divisa in tanti singoli pacchetti. Ogni pacchetto di memoria viene mantenuto arrivo più o meno per  125 millisecondi, il che significa che il cervello può passare tra diversi pacchetti all’incirca otto volte in un secondo.

Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno sviluppato una procedura sperimentale, applicata sui topolini, che ha permesso di visualizzare il processo attraverso il quale si attiva l’ippocampo in seguito a cambiamenti repentini delle caratteristiche che contraddistinguono l’ambiente in cui ci troviamo.

Ebbene, dai risultati è emerso che, al variare di alcune caratteristiche dello spazio circostante, nell’ippocampo delle cavie si alternano le mappe spaziali, del vecchio e del nuovo ambiente, a intervalli temporali brevissimi, ogni 100 millisecondi, come se fossero dei lampi di memoria. Quando si muovono nell’ambiente, i topolini, così come altre specie, attivano nell’ippocampo le mappe spaziali, elaborate in precedenti fasi di esplorazione dello spazio.

L’esperimento, realizzato al Kavli Institute for Systems Neuroscience and Centre for the Biology of Memory in Norvegia, riesce a sondare, per la prima volta su scale temporali così brevi, il legame tra le funzioni dell’ippocampo relative alla memoria, abbondantemente studiate anche negli esseri umani, e quelle relative alla cognizione spaziale, più facilmente accessibili nei topolini. Nell’esperimento, la cavia ha familiarizzato con due ambienti apparentemente molto diversi tra loro, di cui nell’ippocampo si formano le rispettive rappresentazioni. Quando il topolino è nuovamente collocato all’interno di questi ambienti ricorda di averli già visitati perché ne possiede una mappa spaziale. In realtà, l’ambiente A e quello B differiscono solo per il sistema di illuminazione: in un caso la luce è bianca e proviene dal pavimento, nell’altro la luce è verde e proviene dalla parete. Spegnendo un set di luci e accendendo l’altro, i ricercatori hanno osservato cosa accade nell’ippocampo del topolino al brusco variare del contesto spaziale.

“ Grazie al cambio improvviso delle luci, il ratto – ha spiegato Treves - si trova istantaneamente dall’ambiente A nell’ambiente B, come se lo avessimo teletrasportato. Subito dopo questo switch, abbiamo registrato nel suo ippocampo un’alternanza, per alcuni secondi, delle rappresentazioni dei due contesti ambientali (A e B): a intervalli di tempo a volte brevissimi, anche di 100 millisecondi, ovvero un decimo di secondo, si verificano dei salti da una mappa spaziale all’altra, come se il ratto si chiedesse ripetutamente ‘dove sono? ’”.

I salti dalla rappresentazione corrispondente all’ambiente A a quella di B esprimono l’incertezza del ratto, che si risolve nell’arco di pochi secondi. “ Per la prima volta siamo riusciti a osservare un fenomeno determinato dalla memoria su scale temporali molto brevi: le due possibili rappresentazioni spaziali infatti - ha spiegato il neuroscienziato - si alternano in modo imprevedibile, in pochi secondi, fino a che il ratto si lascia guidare dai nuovi stimoli visivi, quelli dell’ambiente B. Abbiamo così messo nuovamente in evidenza come nei roditori la mappatura dello spazio non sia fine a se stessa, ma funzionale alla capacità di conservare informazioni in memoria e riutilizzarle in seguito per orientarsi”.

Lo studio con i ratti consente di registrare l’ attività dei neuroni dell’ippocampo e capirne il funzionamento.

Molti laboratori nel mondo utilizzano questo approccio, basato sulla codifica della posizione spaziale espressa dalle cellule di questa regione del cervello, ma finora era stato difficile utilizzare lo stesso approccio per indagare le funzioni relative alla memoria e rapportarsi, così, con i risultati della ricerca delle scienze cognitive sugli esseri umani. “ Stiamo cercando di dare un’occhiata ai meccanismi che compongono il mondo dei nostri pensieri”, hanno concluso gli scienziati.

Fonte: daily.wired.it