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43 anni fa, due navicelle sovietiche Soyuz si incontrano per la prima volta in orbita e si scambiano l'equipaggio. Ma il viaggio di ritorno non sarà affatto tranquillo
By Admin (from 24/02/2012 @ 11:05:58, in it - Osservatorio Globale, read 2415 times)

Un conto è mandare un modulo con equipaggio nello Spazio, un altro è fare in modo che riesca a agganciarsi a una seconda navicella senza il minimo intoppo. Negli anni '60, pensare di poter eseguire una manovra di docking in orbita era tutt'altro che scontato. Deve essere per questo che, quando le navicelle sovietiche Soyuz 4 e Soyuz 5 si sono incontrate a 224 chilometri di altitudine, il centro di controllo di Baikonur è rimasto con il fiato sospeso. Era il 16 gennaio 1969: due cosmonauti russi indossano le tute spaziali e prendono al volo il passaggio offerto da un collega. Un vero successo, ma il ritorno a casa non è stato felice per tutti.

Andiamo con ordine. Il 14 gennaio la Soyuz 4 viene spedita in orbita con a bordo un solo uomo, Vladimir Shatalov. Il suo compito è quello di attendere l'arrivo dei tre colleghi della Soyuz 5, che lasciano il pianeta solo il giorno dopo. L'obiettivo della missione è quello di far incontrare le due navicelle in modo tale da compiere il primo trasferimento di equipaggio mai tentato nella storia. Infatti, i progetti spaziali sovietici miravano alla realizzazione di una base spaziale permanente: un buon motivo per fare un po' di pratica nelle operazioni di aggancio.

Così, verso le 8 di mattina del 16 gennaio, la Soyuz 5 – con a bordo Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov – si avvicina alla navicella compagna agganciandosi con una manovra da manuale. E non è poco, visto che per tutti e quattro i cosmonauti – guarda a caso – si trattava della prima missione in orbita. Il resto dell'operazione è, letteralmente, una passeggiata. Yeliseyev e Khrunov indossano le tute spaziali, salutano Volynov e uno alla volta raggiungono Shatalov a bordo della Soyuz 4. Tutto va a gonfie vele, grandi strette di mano, e tutti pronti a tornare verso casa.

Dopo essersi separate, le due navicelle continuano a orbitare intorno alla Terra in attesa di entrare in contatto con le stazioni di controllo e descrivere la rotta di rientro sul pianeta. Il trio a bordo della Soyuz 4 riceve l'ok per il rientro dopo la mezzanotte e alle 7 del mattino del 17 gennaio è già atterrata senza un graffio in Kazakistan. Tutto perfetto, quasi fosse stata una scampagnata tra amici. Ma per Volynov, l'unico rimasto a bordo della Soyuz 5, il viaggio di ritorno si trasforma in un vero e proprio incubo.

Infatti, il modulo di rientro – una piccola capsula adatta giusto a contenere il pilota – non riesce a distaccarsi dal modulo di servizio grazie a cui la Soyuz 5 è arrivata fin lassù. È un bel problema, perché nel frattempo la navicella è entrata in fase di discesa e non può più fermarsi. Solo che l'assetto del modulo è completamente sballato, e la parte più vulnerabile della fusoliera viene esposta direttamente all'attrito causato dal rientro in atmosfera.

In una manciata di minuti, le guarnizioni della Soyuz 5 si fondono, sprigionando fumi tossici che rischiano di intossicare Volynov. È un po' come guidare una macchina contromano con l'abitacolo in preda a un incendio: avvincente quando capita nei film, ma non quando sei a centinaia di chilometri di altitudine e rischi di finire incenerito. Per fortuna, il calore sprigionato dal rientro mette fuori uso gli elementi di connessione tra i moduli, e la capsula orienta il suo schermo protettivo nella direzione giusta: la Terra.

Tuttavia per Volynov i guai non sono ancora finito. Anche se la Soyuz 5 sta rientrando con il giusto assetto, infatti, al momento dell'atterraggio i paracadute e i razzi di frenata non funzionano bene. Lo schianto è tale che l'astronauta si rompe i denti. Altra sorpresa, aprendo il portellone della capsula il russo scopre di essere atterrato nel posto sbagliato: è in mezzo ai monti Urali, a 37°C sotto zero. Nella sfortuna la buona sorte non lo abbandona e riesce a trovare riparo nelle vicinanze e i soccorritori lo trovano sano e salvo davanti a un bel fuoco scoppiettante. Nonostante la brutta avventura, il suo amore per lo Spazio non si affievolisce, e sette anni più tardi, Volynov è di nuovo in orbita.

Fonte: wired.it