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Internet e social media sono fondamentali per le imprese: come si è evoluto il loro rapporto negli anni? Ecco l'analisi di Vincenzo Cosenza
By Admin (from 16/03/2012 @ 14:04:03, in it - Scienze e Societa, read 1562 times)

Il punto di partenza di questo libro è esplicito: la misurazione dell'universo dei social media in senso rigoroso e pratico. Rigoroso perché basato sulla misurazione quantitativa dei fenomeni; pratico, perché dalla teoria più alta si allontana per diventare insieme di azioni e best practice. Misurare, dunque. Certo misurare vuol dire valutare, ma ciascuna misura, presa da sola, si limita a un numero tanto preciso quanto inutile. Quindi per valutare in modo compiuto e utile bisogna comprendere altri elementi: lo scenario di riferimento, con uno sguardo prospettico, i mutamenti che ha contribuito a determinare, il terreno d’azione e le logiche di funzionamento. Analoga situazione si forma nel passaggio dalle valutazioni prese singolarmente al loro insieme, la strategia, distillata nelle azioni da compiere. Ecco perché dopo le valutazioni bisogna trovare il modo per far capire l’importanza di agire a chi in azienda ha il potere di decidere la partenza di un programma strategico di azione attraverso i social media.

Breve storia dell'incontro tra aziende e social media:
La storia dell'interesse dei manager aziendali per i social media si può retrodatare al periodo in cui i blog iniziarono a diventare un oggetto d'interesse per i mass media e il Web cominciò a rivelarsi come complesso sistema non solo di fruizione ( readable) ma anche di produzione dal basso ( writable). Fu in quel momento, fotografato dalla famosa "copertina specchio" del Time che decretava “YOU” persona dell'anno ( Time, volume 168, numero 26, dicembre, 2006), che iniziò a insinuarsi nei comunicatori più illuminati un tarlo, alimentato dalle prime agenzie di digital PR. Queste, intuendo la dirompente portata sociale e, naturalmente, commerciale del fenomeno, provarono a offrire nuovi servizi in grado di consentire alle aziende di comprendere quella magmatica realtà. I blogger iniziarono ad incuriosire e, a volte, impensierire per primi gli uomini delle pubbliche relazioni che non capivano né quanto fossero davvero importanti né come "catalogarli". Queste persone animate da grande passione, che con le proprie opinioni, potevano scalfire la granitica reputazione delle aziende erano un fenomeno da analizzare attentamente. Dal tentativo di comprensione si passò ben presto alla sperimentazione di inediti approcci alle relazioni pubbliche. Alcuni azzardarono i primi contatti con i blogger, inviando loro prodotti in cambio di un feedback sincero. In Italia lo fece per primo Antonio Tombolini col progetto "pesto ai blogger" (febbraio, 2006) sulla scia del successo dell'iniziativa di Stormhoek (maggio 2005) piccolo produttore di vini sudafricano, che con un investimento di 40.000 dollari in due anni riuscì a ottenere una visibilità tale da essere accolto dal colosso Tesco sui suoi scaffali.

Lo spirito dell'idea fu chiarito dalle parole del suo creatore Hugh MacLeod, marketer e disegnatore, "un'azienda vinicola non dovrebbe essere come un country club, ma avere la stessa attitudine di una start-up della Rete" . Altre aziende provarono a incontrarli informalmente per stabilire un contatto personale. Il primo esempio italiano risale al febbraio del 2006. Lo ricordo bene perché contribuii a realizzarlo dall'interno. Microsoft aveva deciso che era giunto il momento di dialogare con i sostenitori dell'open source e così provammo a mettere a confronto una decina di blogger con i più alti rappresentati dell'azienda di Bill Gates.

Si incominciò a parlare dei blog come strumento utile a modificare la percezione delle aziende quali opache “macchine macinasoldi”. Fecero scuola le esperienze di Microsoft e del suo Channel 5 o dei blog dei CEO di Sun Microsystem o della catena di hotel Marriott. Erano nati i “corporate blog” e i “CEO blog”. Questi ultimi, in particolare, erano animati da manager che decisero di "metterci la faccia" e dar vita ad un dialogo, il meno ingessato possibile, fuori dagli schemi imposti dalla tradizione delle relazioni pubbliche. A volte arrivando anche all'estremo di dare la notizia di odiosi licenziamenti dalle colonne del blog.

Con l'aumentare degli strumenti di condivisione aumentò anche la complessità di gestione delle attività aziendali sui social media e il disorientamento del management.

L’equazione social web uguale blog sembrava rivoluzionaria e destinata a vivere anni felici, ma contrariamente alle aspettative successe qualcosa del tutto inaspettato: l’avvento dei social network.Il successo planetario di Facebook indusse molti a sostituire o evitare il corporate blog, delicato e impegnativo, a favore della pagina su Facebook, più snella e meno rischiosa. É l'inizio della grande illusione zuckerberghiana: l'idea implicitamente indotta che basti una pagina infarcita di promozioni e post ammiccanti, nel più trafficato centro commerciale online, per diventare social e raggiungere migliaia di persone. La storia dei servizi web mostra un pattern che si ripete: introduzione, adozione da parte degli utenti ( innovators prima e poi early adopters) osservazione e successiva sperimentazione da parte delle aziende più innovatrici. Qui il vantaggio dell'azienda first mover si rivela sempre molto importante: quella che per prima riesce a superare l'iniziale ritrosia naturale verso le novità e a esplorare i modi più genuini e innovativi per comunicare attraverso il nuovo servizio, è nella giusta posizione per costruire una credibilità duratura. Per di più, solitamente, gli utenti sono disposti a perdonare anche i piccoli incidenti di percorso, che possono capitare quando si esplora per primi un territorio sconosciuto.

Ecco perché uno degli obiettivi dell'azienda moderna dovrebbe essere quello di introiettare quella cultura della Rete, quella curiosità verso il nuovo, tale da spingerla naturalmente verso la sperimentazione di approcci innovativi di comunicazione.

Oggi siamo in una fase delicata di passaggio. Dalla consapevolezza delle sfide che pone il nuovo ambiente mediale ai primi tentativi di gestione professionale. Dalla gestione esclusiva delle nuove pratiche di comunicazione da parte della funzione marketing o relazioni esterne, all'idea di “social business” o “social organization”. In questo contesto chi prova a spostare investimenti dalle attività tradizionali a quelle sui nuovi media, inizia ad interrogarsi sulla loro misurabilità. Si parla con sempre più insistenza di R.O.I. (Ritorno sull'Investimento) con la pretesa di voler trasformare magicamente i likers, un tempo conosciuti come fan, e i follower in clienti.  Senza aver ben chiari gli obiettivi di business e in un contesto aziendale ai limiti dell'anarchia e dell'improvvisazione.

È da qui che nasce l'idea di questo libro che, senza pretesa di esaustività, vuole offrire un contributo iniziale di riflessione a quanti intendono utilizzare i social media professionalmente, e misurarne i risultati.
Einstein diceva "non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato". Il detto del grande fisico si attaglia alla perfezione al nostro caso. Quando parliamo di attività di comunicazione attraverso i social media dovremmo avere in mente non uno strumento tecnologico, né un canale di distribuzione, ma attività tese a generare uno scambio di valore tra persone. Un valore immateriale, per definizione, impossibile da misurare puntualmente e soprattutto non convertibile sic et simpliciter in valori finanziari.

Ciononostante è importante che anche le attività di social media marketing e PR, come ogni azione aziendale, si pongano degli obiettivi raggiungibili e misurabili, in modo, quantomeno, di guidare l'azienda verso il graduale miglioramento. La misurazione, dunque, è un processo, non un attività improvvisabile ex post. Richiede un pensiero strategico, un contesto e un framework di riferimento in grado di supportare l'implementazione del social media marketing plan.

Cosa è cambiato nella comunicazione: dal controllo alla cogenerazione dei messaggi aziendali:
Con l’affermarsi della società in rete e il successivo, inevitabile, dissolvimento della rete dentro la società, il ruolo della comunicazione in azienda sta cambiando inesorabilmente, indipendentemente dalla consapevolezza e dai comportamenti, spesso reazionari, dei comunicatori, siano essi uomini di marketing o relatori pubblici. 

Manuel Castells sostiene che la società in rete comunica e consuma mediante la Rete, in base a processi che diffondono istantaneamente simboli e conoscenze, modificando in profondità le espressioni culturali e cambiando radicalmente le forme del potere politico e della mobilitazione sociale (Manuel Castells, Comunicazione e Potere, Bocconi Università Edizioni, 2009).

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