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Un anno dopo, č ancora difficile stimare la reale portata del peggiore incidente nucleare della storia del Giappone, secondo solo all’esplosione di Chernobyl
By Admin (from 24/05/2012 @ 11:06:57, in it - Osservatorio Globale, read 1918 times)

L’ 11 marzo 2011, poco dopo il terrificante terremoto di magnitudo 9, uno tsunami si abbatte sulla costa orientale giapponese, investendo la centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Onde alte più di 10 metri sorpassano le barriere protettive, di appena cinque metri e mezzo, e inondano i sei reattori. Č black-out. I sistemi di raffreddamento saltano. Inizia così una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe, solo in parte sventata grazie al disperato ricorso all’ acqua di mare, gettata sui reattori con idranti ed elicotteri. Non basterà a evitare fusioni parziali del nocciolo nei reattori 1, 2 e 3, incendi ed esplosioni nei reattori 2, 3 e 4. Dallo scorso dicembre, nove mesi dopo l’incidente, la situazione è stabile, con i reattori in stato di chiusura fredda, una condizione che non implica rischi immediati. Di sicuro, è stato il peggiore incubo atomico che il Giappone ricordi e l’unico altro incidente, insieme a Chernobyl, classificato come livello 7, il massimo della scala Ines. Ma fu davvero così catastrofico? Un anno dopo, è ancora difficile rispondere. 

Chernobyl victim.

Anche se la centrale Fukushima non sta più rilasciando isotopi radioattivi nell’aria, come iodio-131 e cesio-137, non è chiara quale sia stata la reale portata della contaminazione. A maggio è atteso un rapporto del Committee on the Effects of Atomic Radiation delle Nazioni Unite che dovrebbe fare un po’ di chiarezza. Intanto, al primo anniversario dell’incidente, sono emersi nuovi particolari inquietanti. Secondo un rapporto della Rebuild Japan Initiative Foundation, un’organizzazione indipendente costituitasi per indagare su Fukushima, nei drammatici giorni dopo l’11 marzo il governo considerò l’ipotesi di evacuare Tokyo, che si trova a circa 250 chilometri da Fukushima. Non s’arrivò a tanto, ma più di 100mila persone, residenti nel raggio fino a 40 chilometri dalla centrale, sono ancora sfollate e almeno 25mila non potranno far ritorno nelle loro case per i prossimi cinque anni a causa delle radiazioni.

Il quadro, tuttavia, potrebbe essere meno drammatico. Sembra che l’esposizione della popolazione alle radiazioni sia stata minima, anche grazie ai venti che giocarono a favore, spirando verso il mare. Secondo le ricerche effettuate dalla Fukushima Medical University, il 99,3 per cento delle 10mila persone residenti vicino alla centrale e sottoposte a screening avrebbero ricevuto meno di 10 millisieverts (mSv) di radioattività nei primi quattro mesi dopo l’incidente. La dose più alta registrata è stata 23 mSv, ben inferiore alla soglia di 100 mSv collegata a un più elevato rischio di cancro. Questi dati sono in linea con le analisi presentate da un panel di ricercatori statunitensi, secondo cui le conseguenze a Fukushima non saranno minimamente paragonabili a quelle del disastro di Chernobyl. Persino i lavoratori dentro la centrale – hanno riferito gli scienziati alla conferenza della Health Physics Society – sono stati esposti a livelli di radiazioni 10 volte inferiori rispetto alle 500mila persone che costruirono il sarcofago sopra la centrale ucraina, esplosa nel 1986. A Fukushima, il rischio di ammalarsi di tumore potrebbe aumentare dello 0,002%, e la probabilità di morire dello 0,0001%. Troppo poco perché si possa distinguere i casi di tumore connessi all’incidente nucleare rispetto all’incidenza nella popolazione generale.

Si tratta comunque di conclusioni provvisorie che lasciano scettici alcuni esperti. Come Hisako Sakiyama, attivista anti-nuclearista e ex biologo al National Institute of Radiology, il quale sostiene che, mentre i danni provocati dalle esposizioni acute alle radiazioni sono ben noti, gli effetti sulla salute di basse esposizioni, ma prolungate nel tempo, sono in gran parte sconosciuti.

Al di là dell’esposizione diretta, poi, restano le preoccupazioni sulla contaminazione degli alimenti. Secondo l’ultimo rapporto dell' Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) l’1% delle circa 14mila analisi svolte su cibi giapponesi fornisce ancora valori superiori ai limiti di sicurezza per il cesio 137, e una particolare specie di funghi della prefettura di Tochigi continua ad avere restrizioni sulla vendita. Tra marzo e novembre scorsi, hanno subito restrizioni alla vendita e divieti pesce, alghe, spinaci, funghi, carne, tè e latte.

Altre analisi stanno valutando le conseguenze della radioattività sull’ ecosistema naturale. Non così drammatiche, per fortuna. Però gli uccelli nella regione di Fukushima si sarebbero ridotti di un terzo, secondo Tim Mousseau, ecologo della University of South Carolina in Columbia, e nell’oceano, sostiene Ken Buesseler, chimico marino della Woods Hole Oceanographic Institution, plutonio e stronzio radioattivo potrebbero accumularsi nei pesci vicino al reattore.

In termini economici, il danno complessivo alla regione di Fukushima è stimato in miliardi di dollari.

Fonte: wired.it