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 Trilingual World Observatory: italiano, english, română. GLOBAL NEWS & more... di Redazione
   
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

Sul fatto che le web serie siano la nuova grande promessa per il futuro della televisione se ne discute ormai da mesi. Ma negli ultimi giorni le notizie riguardanti l’arrivo di nuovi ambiziosissimi spettacoli televisivi sul Web si sono susseguite a un ritmo ubriacante: Netflix sta per lanciare una serie con protagonista Steve Van Zandt de I Soprano (boom!), Tom Hanks ha in cantiere una serie animata che uscirà in esclusiva per Yahoo (boom!), House of Cards, il nuovo show commissionato da Netflix, coinvolgerà Kevin Spacey e David Fincher (doppio boom!). Che cosa sta succedendo? Perché di colpo le star di Hollywood si stanno buttando sullo streaming online?

Ora ci arriviamo. Ma prima, un po’ di storia. Tutto è cominciato verso la fine degli anni ’90, quando alcuni produttori televisivi ebbero la brillante idea di girare episodi televisi dedicati unicamente al pubblico del Web. Nel febbraio del 1997, la Nbc cominciò a pubblicare in esclusiva sul proprio sito gli episodi di uno spin off della serie Homicide. Nel frattempo, in Rete spopolavano le serie animate di Magic Butter. Al tempo, gli episodi web (o webisodes) erano poco più che un esperimento collaterale. Ci vollero alcuni anni prima di vedere comparire le prime serie specificamente pensate per l’ecosistema web.

Red vs Blue (2003, serie creata a partire dalle immagini di gioco di Halo), The Guild (2007, microepisodi da tre minuti incentrati su un gruppo di persone dipendenti dagli Mmorpg),  Doctor Horrible’s Sing-along Blog (2008, divertissment del buon Joss Wheadon su uno scienzato pazzo fallito interpretato da Neil Patrick Harris), sono alcuni esempi di web serie di successo create negli ultimi 10 anni. Si tratta comunque di piccole produzioni, niente a che vedere con i carrozzoni milionari che nel frattempo occupano i canali televisivi (il primo episodio di Broadwalk Empire è costato qualcosa come 60 milioni di dollari). La stessa Pioneer One, web serie di fantascienza attiva da poco più di un anno, è nata da una stanza di college e da due ragazzi appassionati di cinema. Perché allora di colpo spuntano tutte queste operazioni milionarie? Cos’è cambiato negli ultimi mesi?

Č cambiato che dopo una sequela di false partenze, quest’anno potrebbe essere quello buono per le Smart tv. Per capirlo basta fare un giro a Las Vegas in questi giorni, al CES 2012, dove LG, Samsung e Panasonic hanno presentato la loro personale ricetta per il Connected tv. In particolare, bisogna sottolineare il fatto che Panasonic, per lo sviluppo del nuovo VIERA Connect, ha deciso di rivolgersi a MySpace. “ Siamo pronti a portare l’intrattenimento e la televisione un passo avanti nel futuro, integrando l’esperienza dei social network” ha dichiarato il co-proprietario di MySpace, Justin Timberlake (altra star col botto) “ Questa è l’evoluzione di una delle nostre più grandi invenzioni, la televisione.

E oggi non dobbiamo più raggrupparci davanti a un solo apparecchio per vederla in compagnia ”.

Insomma, se fino a qualche tempo fa le Smart tv erano un progetto ancora in via di sviluppo, oggi le tv connessi sono una realtà. Ma per ottenere una vera e propria televisione condivisa, è necessario riempire questi apparecchi connessi con contenuti di qualità. Questo spiega la foga con cui Netflix, Hulu e simili si stanno adoperando a impalcare web-show ad alto budget. I più attenti l’avevano già previsto due mesi fa, quando Disney Interactive Media e YouTube avevano annunciato di voler investire 15 milioni di dollari nella produzione di serie web animate. I sospetti avevano poi trovato una mezza conferma il mese seguente, quando YouTube annunciò il completamento del suo restyling. Lo storico hub di videoclip online aveva dismesso i suoi tradizionali abiti per rafforzare il suo lato social e concentrarsi sulla creazione di canali web personalizzabili, una sorta di riadattamento dell’approccio televisivo in chiave web. Con la funzione AutoPlay, gli utenti potevano personalizzare il proprio canale YouTube e appoggiare la schiena alla sedia guardando carrellate di video scorrere ininterrottamente sullo schermo.

YouTube nel frattempo ha anche cominciato a investire decine di milioni di dollari nella produzione di contenuti di qualità, seguito a stretto giro da Yahoo, Hulu e Netflix.Un altro segnale inconfondibile, arriva proprio da Netflix. Quello che era nato come un servizio di noleggio DVD via posta, e che nel 2008 aveva cominciato a noleggiare video online, ora comincia a estendere il proprio raggio d’azione anche in Europa. Proprio in queste ore Netflix è entrato in piena operatività nel Regno Unito, fornendo contenuti on-demand al prezzo di 7 euro mensili. L’arrivo del servizio in Italia è certo, ma ancora non è dato sapere con che tempi e modalità.

Comunque sia, le novità che abbiamo esposto dimostrano che in pentola sta bollendo qualcosa di troppo grosso per fallire. Se un anno fa la prima Google tv è scivolata nel baratro, insieme a milioni di euro, proprio a causa della mancanza di contenuti (e piattaforme disposte a fornirli), lo scenario per il 2012 è decisamente mutato. Sarà davvero l’anno delle Connected tv e delle web serie? Staremo a vedere. 

Fonte: wired.it

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By Admin (from 25/02/2012 @ 08:03:29, in ro - Stiinta si Societate, read 3564 times)

Galaxia noastra gazduieste mult mai multe planete decât se credea pâna acum. Astronomii au anuntat ca fiecare dintre cele 100 de miliarde de stele existente în Calea Lactee are, în medie, cel putin o planeta ca partener.

Descoperirea subliniaza o schimbare radicala în modul în care sunt percepute sistemele planetare din cosmos de catre oamenii de stiinta. Propriul nostru sistem solar, considerat a fi unic pâna de curând, este doar unul dintre miliarde.

Galaxia noastră găzduieşte sute de miliarde de planete

Pâna în aprilie 1994, niciun alt sistem solar nu fusese descoperit, dar de atunci numarul acestora este într-o continua crestere. Telescopul spatial Kepler descopera noi sisteme solare în mod constant.

"Planetele sunt regula, nu exceptia", a explicat Arnaud Cassan, astronomul sef al Institutului de Astrofizica din Paris. Acesta a coordonat o echipa de 42 de oameni de stiinta, dedicând 6 ani studiului a milioane de stele situate în centrul galaxiei Calea Lactee. Cercetarea reprezinta cel mai amanuntit efort de a masura prevalenta planetelor în galaxia noastra.

Pentru a estima numarul planetelor, Dr. Cassan si colegii sai au studiat 100 de milioane de stele situate la distante de 3.000 - 25.000 de ani-lumina de Pamânt. Apoi, numarul de planete descoperite a fost comparat cu cele din alte studii, în cadrul carora s-au folosit alte tehnici de detectare, pentru a crea un esantion statistic reprezentativ pentru galaxia noastra al stelelor si al planetelor ce le orbiteaza.

Conform calculelor cercetatorilor, majoritatea stelelor aflate în Calea Lactee (care numara cel putin 100 de miliarde, conform ultimelor estimari) au una sau mai multe planete.

Aproximativ 66% dintre stele gazduiesc o planeta cu o masa de 5 ori mai mare decât cea a Terrei, iar jumatate dintre stele au o planeta cu o masa similara cu cea a lui Neptun (de 17 ori cât cea a Pamântului). Aproape 20% dintre stelele detectate sunt orbitate de o planeta gazoasa gigantica (precum Jupiter, sau chiar mai mare).

"Putem alege orice stea, la întâmplare - cu siguranta exista o planeta ce o orbiteaza", a afirmat Uffe Grae Jorgensen, astronom la Universitatea din Copenhaga, Danemarca.

Cercetatorii au facut o alta descoperire care pâna acum parea de domeniul SF: milioane de planete pot orbita doua stele.

"Începem sa descoperim un sistem planetar nou, care nu seamana deloc cu ceea ce exista în sistemul nostru solar", a explicat William Welsh, astronom la Universitatea San Diego State.

Deoarece Calea Lactee gazduieste mult mai multe planete decât se credea pâna acum, sansele ca una dintre acestea sa gazduiasca forme de viata sunt mai mari, au conchis cercetatorii.

Sursa: Wall Street Journal - via descopera.ro

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A team of researchers from led by Guillaume Gervais from McGill’s Physics Department and Mike Lilly from Sandia National Laboratories, have managed to develop one of the smallest electronic circuits in the world using nanowires spaced across each other by a distance so small, it has to be measured at an atomic level.

Miniaturization has been the dominant trend in the digital industry for years, and nano-electronics, with which scientists have been fiddling for the past 20 years, is considered as the next obvious step, allowing for even smaller and powerful electronic devices.

“People have been working on nanowires for 20 years,” says Sandia lead researcher Mike Lilly. “At first, you study such wires individually or all together, but eventually you want a systematic way of studying the integration of nanowires into nanocircuitry. That’s what’s happening now. It’s important to know how nanowires interact with each other rather than with regular wires.”

While nanowires have been studied extensively in the past, this current study is the first of its kind to approach how the wires in an electronic circuit interact with one another when packed so tightly together. The researchers used gallium-arsenide nanowire structures which they placed one above the other, separated by only a few atomic layers of extremely pure, home-grown crystal – two wires separated by only about 150 atoms or 15 nanometers (nm).

At this extremely tiny scale, new properties and characterisctics arise, along with inherent issues in the path of the researcher’s study. For one, the nano-wires have been envisoned as a 1-D structure, very different from your usual, bulk 3-D wire common in any kind of electrical device. Through these types of wires, current can only flow in one direction, not horizontally, vertically, back/forward like in a typical 3-D capable.

“In the long run, our test device will allow us to probe how 1-D conductors are different from 2-D and 3-D conductors,” Lilly said. “They are expected to be very different, but there are relatively few experimental techniques that have been used to study the 1-D ground state.”

At the nanoscale, also, the behavior of the circuit is described by quantum physics. In our case, by the introduction of Coulomb’s drag effect. This force operates between wires, and is inversely proportional to the square of the clearance. This is why in conventional circuitry, where the gap between wires is quite visible, this drag force can be considered negligible, however at nanodistances, the force becomes large enough for it to disturb electrons. This causes the current flowing through to the nanowires to march in opposite directions.

This means that a current in one wire can produce a current in the other one that is either in the same or the opposite direction.

“The amount is very small,” said Lilly, “and we can’t measure it. What we can measure is the voltage of the other wire.”

Coulomb’s drag effect is still not very well understood at this time, however what is know is that “enough electrons get knocked along that they provide positive source at one wire end, negative at the other,” Lilly said.

Yes, nanowires will allow for a even smaller scale of the digital world, however this is just the most visible benefit, out of many which are set to revolutionize electronics in the following decades.

One of the biggest hassles scientists working in the field of electronics at this time is how to control dissipated heat, the energy lost to the environment. This is a great concern to computer designers especially since millions of integrated circuits are currently employed in most devices today, and the heat generated by them has to be controlled. Well-known theorist Markus Büttiker speculates that it may be possible to harness the energy lost as heat in one wire by using other wires nearby. Basically, as the distance is smaller, the heat generated will be smaller as adjacent wires can easily absorb those minute quantities.

Also, speed will be a parameter which will be improved, as smaller distances translate in shorter time for signals to travel from one point to another. In this present research, the Sandia National Laboratories experiment rendered an unexpected voltage increases of up to 25 percent.

Source: ZME Science

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Un conto è mandare un modulo con equipaggio nello Spazio, un altro è fare in modo che riesca a agganciarsi a una seconda navicella senza il minimo intoppo. Negli anni '60, pensare di poter eseguire una manovra di docking in orbita era tutt'altro che scontato. Deve essere per questo che, quando le navicelle sovietiche Soyuz 4 e Soyuz 5 si sono incontrate a 224 chilometri di altitudine, il centro di controllo di Baikonur è rimasto con il fiato sospeso. Era il 16 gennaio 1969: due cosmonauti russi indossano le tute spaziali e prendono al volo il passaggio offerto da un collega. Un vero successo, ma il ritorno a casa non è stato felice per tutti.

Andiamo con ordine. Il 14 gennaio la Soyuz 4 viene spedita in orbita con a bordo un solo uomo, Vladimir Shatalov. Il suo compito è quello di attendere l'arrivo dei tre colleghi della Soyuz 5, che lasciano il pianeta solo il giorno dopo. L'obiettivo della missione è quello di far incontrare le due navicelle in modo tale da compiere il primo trasferimento di equipaggio mai tentato nella storia. Infatti, i progetti spaziali sovietici miravano alla realizzazione di una base spaziale permanente: un buon motivo per fare un po' di pratica nelle operazioni di aggancio.

Così, verso le 8 di mattina del 16 gennaio, la Soyuz 5 – con a bordo Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov – si avvicina alla navicella compagna agganciandosi con una manovra da manuale. E non è poco, visto che per tutti e quattro i cosmonauti – guarda a caso – si trattava della prima missione in orbita. Il resto dell'operazione è, letteralmente, una passeggiata. Yeliseyev e Khrunov indossano le tute spaziali, salutano Volynov e uno alla volta raggiungono Shatalov a bordo della Soyuz 4. Tutto va a gonfie vele, grandi strette di mano, e tutti pronti a tornare verso casa.

Dopo essersi separate, le due navicelle continuano a orbitare intorno alla Terra in attesa di entrare in contatto con le stazioni di controllo e descrivere la rotta di rientro sul pianeta. Il trio a bordo della Soyuz 4 riceve l'ok per il rientro dopo la mezzanotte e alle 7 del mattino del 17 gennaio è già atterrata senza un graffio in Kazakistan. Tutto perfetto, quasi fosse stata una scampagnata tra amici. Ma per Volynov, l'unico rimasto a bordo della Soyuz 5, il viaggio di ritorno si trasforma in un vero e proprio incubo.

Infatti, il modulo di rientro – una piccola capsula adatta giusto a contenere il pilota – non riesce a distaccarsi dal modulo di servizio grazie a cui la Soyuz 5 è arrivata fin lassù. Č un bel problema, perché nel frattempo la navicella è entrata in fase di discesa e non può più fermarsi. Solo che l'assetto del modulo è completamente sballato, e la parte più vulnerabile della fusoliera viene esposta direttamente all'attrito causato dal rientro in atmosfera.

In una manciata di minuti, le guarnizioni della Soyuz 5 si fondono, sprigionando fumi tossici che rischiano di intossicare Volynov. Č un po' come guidare una macchina contromano con l'abitacolo in preda a un incendio: avvincente quando capita nei film, ma non quando sei a centinaia di chilometri di altitudine e rischi di finire incenerito. Per fortuna, il calore sprigionato dal rientro mette fuori uso gli elementi di connessione tra i moduli, e la capsula orienta il suo schermo protettivo nella direzione giusta: la Terra.

Tuttavia per Volynov i guai non sono ancora finito. Anche se la Soyuz 5 sta rientrando con il giusto assetto, infatti, al momento dell'atterraggio i paracadute e i razzi di frenata non funzionano bene. Lo schianto è tale che l'astronauta si rompe i denti. Altra sorpresa, aprendo il portellone della capsula il russo scopre di essere atterrato nel posto sbagliato: è in mezzo ai monti Urali, a 37°C sotto zero. Nella sfortuna la buona sorte non lo abbandona e riesce a trovare riparo nelle vicinanze e i soccorritori lo trovano sano e salvo davanti a un bel fuoco scoppiettante. Nonostante la brutta avventura, il suo amore per lo Spazio non si affievolisce, e sette anni più tardi, Volynov è di nuovo in orbita.

Fonte: wired.it

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By Admin (from 24/02/2012 @ 08:01:10, in ro - Observator Global, read 2585 times)

Un greiere fosil conservat foarte bine în sedimentele unui lac astazi disparut, care se întindea pe vremuri pe teritoriile statelor americane Wyoming, Utah si Colorado, certifica faptul ca insectele primitive care traiau acum peste 50 milioane ani beneficiau de un auz extrem de dezvoltat, fiind capabile sa perceapa chiar ultrasunetele.

Acum 50 milioane ani, greierii aveau auz ultrasonic

La o prima investigatie asupra greierelui fosilizat a reiesit faptul ca insectele au fost primele animale la care au aparut "urechile", cu mult timp înainte de aparitia liliecilor, principalii lor dusmani naturali, pe scara evolutiva.

Aparatul auditiv al insectelor este foarte neobisnuit. La lacuste si greieri, acesta este amplasat pe abdomen; la alte categorii de insecte, aparatul auditiv se afla sub aripi sau la baza toracelui.

Conform paleontologului Dena Smith din cadrul Universitatii din Colorado, aparatul auditiv al insectelor a evoluat de-a lungul timpului în nu mai putin de 17 directii evolutive diferite.

Insectele moderne îsi folosesc aparatul auditiv pentru a identifica în primul rând sunetele emise de propriile perechi, dar multe specii de insecte pot identifica sunete care nu pot fi auzite de urechea umana, precum sunetele emise de sonarul natural al liliecilor care vâneaza noaptea. Conform cercetatorilor, speciile de insecte care beneficiaza de un auz ultrasensibil prezinta un avantaj crucial în lupta pentru supravietuire si perpetuarea propriei specii.

La greierii din prezent, aparatul auditiv consta dintr-o mica cavitate de forma ovala, care este acoperita cu o membrana extrem de fina. Membrana rezoneaza la orice sunet, chiar si la cele din spectrul ultrasonic.

Sursa: Futurity.org - via descopera.ro

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Un matematician irlandez a condus un studiu ce a dus la descifrarea codurilor complexe ce definesc sistemul imunitar uman, reusita ce ar putea conduce la tratamente mai eficiente pentru boli precum artrita reumatoida, diabet, boala Crohn si enteropatia glutenica.

Un matematician a descifrat codul din spatele sistemului imunitar uman

Dr. Ken Duffy, de la Institutul Hamilton, a facut aceasta descoperire ajutat de o echipa internationala de oameni de stiinta, scopul studiului fiind conceperea de noi vaccinuri împotriva a numeroase afectiuni.

Cercetarea revolutionara modifica ceea ce se credea pâna acum despre sistemul imunitar si despre leucocite. Studiul va fi publicat în jurnalul Science, editorii prestigioasei publicatii accelerând publicarea cercetarii, ca urmare a importantei pe care aceasta o are pentru medicina.

"Comunitatea stiintifica va fi surprinsa. Studiul nostru contesta paradigma acceptata de catre oamenii de stiinta, oferind o noua perspectiva asupra sistemului imunitar", a comentat dr. Duffy.

Descoperirea cheie este aceea ca celulele reactioneaza aleatoriu la boala, neavând un raspuns pre-programat.

Oamenii de stiinta au studiat limfocite B extrase din soareci, aceste celule jucând un rol fundamental în sistemele imunitare capabile sa produca anticorpi. Cercetarea a început în 2007, atunci când Duffy a început sa colaboreze cu doi cercetatori australieni de la Institute of Medical Research din Melbourne.

Scopul echipei de cercetatori este conceperea unor noi terapii, mai eficiente, pentru afectiunile auto-imune si totodata crearea unor vaccinuri îmbunatatite. De asemenea, oamenii de stiinta spera sa înteleaga mai bine modul în care sistemele imunitare rezista atacurilor bacteriilor si a virusurilor.

"Scopul acestui efort este de a întelege mai bine cum functioneaza aceste celule, pentru a le manipula astfel încât sa luptam împotriva afectiunilor auto-imune. Pentru a manipula un sistem, trebuie mai întâi sa-l întelegi", a explicat Dr. Duffy.

Sursa: Press Association - via descopera.ro

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By Admin (from 23/02/2012 @ 11:05:03, in en - Global Observatory, read 2549 times)

One need not have the feeling of a foreign device embedded in your coronary artery as is the experience of patients after having metallic stents, ordinary or drug-eluting, implanted in a surgical procedure.

Thanks to the invention of a new generation device that could be permanently absorbed in our body after it does its intended job.

The device, world’s first drug-eluting “bioresorbable vascular scaffold” has been successfully tried on more than 500 patients with Coronary Artery Disease(CAD) in the world, so far.

Developed by the global healthcare company Abbott, the device “ABSORB EXTEND” will further be tried on 1,000 patients in about 100 centers in Europe, Asia Pacific, Canada and Latin America. It was tested clinically in four centres in Canada itself.

The device is made of polylactide (PLA), a proven biocompatible material that is commonly used in medical implants such as dissolvable sutures. PLA is a biodegradable thermoplastic substance derived from lactic acid. It is used for making compost bags, plant pots, diapers and packaging.

The latest success story is reported from Canada’s Montreal Heart Institute (MHI) which had treated a woman in her sixties with CAD under the leadership of Dr. Jean-François Tanguay, interventional cardiologist and coordinator of the Coronary Unit, as part of the ABSORB EXTEND clinical trial.

“This successful intervention was a first in North America. This breakthrough could change the lives of patients. The woman, diagnosed with a severe lesion to the heart main artery, responded favorably to the procedure. She was discharged after 24 hours and now, one month after, had regained a normal way of life with no more chest pain,” the doctor said.

“Once the vessel can remain open without the extra support, the bioresorbable scaffold is designed to be slowly metabolized until the device dissolves after approximately two years, leaving patients with a treated vessel free of a permanent metallic implant.

With no metal left behind, the vessel has the potential to return to a more natural state. After the device has been metabolized, the patient’s vessel is free to move, flex, pulsate and dilate similar to an untreated vessel,” the doctors claim.

“Treatments for coronary artery disease have progressed tremendously from the days of balloon angioplasties and metal stents leading to improved clinical outcome in our patients,” says Dr. Tanguay.

Also an associate professor of Medicine at the Université de Montréal, he adds,”By effectively opening up a blocked artery without leaving a permanent implant behind in the blood vessel, this bioresorbable vascular scaffold has the potential to revolutionize how we treat our patients.”

Source: ZME Science

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By Admin (from 23/02/2012 @ 08:02:55, in it - Osservatorio Globale, read 3053 times)

Se cercate informazioni sugli effetti del resveratrolo (una molecola che si trova nell’uva e nel vino rosso) sul cuore e vi imbattete negli articoli di Dipak K. Das, scartateli a priori: sono pura invenzione, frutto delle tecniche e degli escamotage (neanche troppo mascherati) adottati dal direttore del Cardiovascular Research Center dell'Health Center della  University of Connecticut per far tornare i conti. E ora, dopo tre anni dalle prime insinuazioni, anche lo stesso ateneo di Das ha confermato i sospetti, congelando i finanziamenti del professore e mettendo in moto le pratiche per il suo licenziamento.

Truffa ad alta gradazione

Stando all’indagine condotta dall’università, dopo le segnalazioni su possibili ritocchi agli studi di Das, pervenute nel 2008 da fonte anonima, lo scienziato avrebbe alterato i dati delle proprie ricerche sulla molecola ben 145 volte, negli articoli pubblicati da parte di 11 diverse riviste. Ma non solo. Das, infatti, avrebbe falsificato le proprie ricerche anche in tre richieste di finanziamento.

Di mira sono soprattutto le opere di taglia e cuci effettuate dallo scienziato con le bande di Western Blotting (una tecnica utilizzata per identificare e misurare i livelli di proteine). Come è stato possibile? Stando a quanto riporta il Time, Das avrebbe operato per lo più da solo, dividendo le sue ricerche in singoli esperimenti, di modo che gli altri autori degli studi non fossero coinvolti nell’elaborazione dei dati. Anche se, come scrive Nature, l’università sta indagando sul possibile ruolo di studenti e collaboratori del laboratorio di Das.

In realtà, l’ipotesi sull’esistenza di complici sarebbe più di un sospetto, visto che - come si legge nella sintesi del rapporto di quasi 60mila pagine compilato dall’università - uno studente avrebbe scritto a Das:  “Ho cambiato le figure come mi avevi detto”. Malgrado le prove, però, il professore continua a dichiararsi estraneo alla vicenda delle manipolazioni. Le conferme potrebbero arrivare dalle indagini che anche l’ Office of Research Integrity sta conducendo sul caso.

Come ricorda il Time, Das non è certo l’unico ad aver truccato i dati scientifici. Sin dalla beffa di Piltdown, la storia della scienza è piena di frodi e bufale.

Fonte: wired.it

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By Admin (from 22/02/2012 @ 14:05:53, in ro - Observator Global, read 2874 times)

Suferinta provocata de pierderea unei persoane iubite poate mari considerabil riscul de atac de cord, mai ales în primele zile de la nefericitul eveniment, releva un studiu efectuat în Statele Unite.

Studiul a vizat aproape 2000 de persoane, care au supravietuit în urma atacului de cord si au fost chestionate cu privire la viata lor personala si la pierderea unor oameni importanti din viata lor.

Pierderea celor dragi predispune la atac de cord

În urma cercetarii s-a descoperit ca în prima zi de la moartea unei persoane dragi, riscul de aparitie al atacului de cord este de 21 de ori mai mare decât într-o zi obisnuita. De-a lungul urmatoarei saptamâni, riscul ramâne de 6 ori mai mare decât în mod normal, urmând ca pe tot parcursul lunii sa scada.

Aceasta suferinta intensa poate cauza multe simptome precum cresterea ritmului cardiac, a tensiunii arteriale, a nivelului hormonului de stres sau aparitia cheagurilor de sânge, care duc la cresterea riscului de atac de cord.

De asemenea, oamenii care sufera astfel de pierderi tind sa doarma si sa manânce mai putin sau sa uite sa îsi ia medicamentele, iar omiterea acestor activitati esentiale poate creste riscul aparitiei unui accident vascular cerebral.

Studii anterioare au demonstrat ca cei care deplâng moartea partenerului de viata au un risc crescut de deces ca urmare a unui atac de cord sau a accidentelor vasculare cerebrale.

Sursa: AFP - via descopera.ro

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By Admin (from 22/02/2012 @ 11:02:47, in en - Science and Society, read 2125 times)

Injuries involving torn or degraded joint cartilage can be very debilitating, especially since that cartilage is incapable of healing itself, past a certain point. It's not surprising, therefore, that numerous scientists have been working on ways of either growing replacement cartilage outside of the body, or helping the body to regrow it internally. Just a few of the efforts have included things like stem cell-seeded bandages, bioactive gel, tissue scaffolds, and nanoscale stem cell-carrying balls. Now, researchers from Cleveland's Case Western Reserve University have announced something else that shows promise - sheets of mesenchymal (bone and cartilage-forming) stem cells, permeated with tiny beads filled with the growth factor beta-1.

The "traditional" approach to growing cartilage from a sheet of stem cells would involve soaking that sheet in a solution of the growth factor. Over time, that solution would cause the stem cells to differentiate into cartilage cells.

The Case Western team, however, chose to encapsulate the beta-1 in biodegradable gelatin microspheres, which were then distributed throughout the structure of the sheets. There are several advantages to introducing the growth factor in this way.

For starters, once the spheres degrade, they leave empty spaces between the cells. This creates a strong, scaffold-like structure, and allows the new cartilage to better retain water - the better that it can retain water, the more resilient it is to damage.

Also, the microspheres degrade at a controlled rate, when exposed to enzymes released by the stem cells. This means that cells throughout the sheet, inside and out, come into contact with the growth factor at about the same time, and thus the sheet forms into cartilage more uniformly.

Additionally, it is possible to tweak the microspheres' rate of degradation, by varying the amount of cross-linking in their molecular structure. To that end, the scientists tested separate sheets containing sparsely cross-linked and highly cross-linked beta-1-laden spheres. They also tried out sheets containing sparsely cross-linked spheres containing no beta-1, but that were soaked in a solution of it, instead.

All three types of sheets transformed into cartilage that was thicker and more resilient than that obtained from a solution-soaked control sheet containing no microspheres. The thickest cartilage, however, came from the sheet with the sparsely cross-linked beta-1-containing spheres. This was because the spheres degraded quicker than their highly cross-linked counterparts, providing the stem cells with a longer, more continuous exposure to the growth factor.

The tissue created was similar to the articular cartilage found in the knee, although it wasn't as mechanically strong as the real thing. The Case Western scientists are now working on ways of toughening it up, so that it could one day find use in human patients. They believe that within just one or two weeks of being cultured, the sheets could be implanted in the body, where the mechanical forces of the joints would help build and strengthen the new cartilage.

Source: GIZMAG

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14/01/2018 @ 16:07:36
By Napasechnik
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21/11/2016 @ 09:41:39
By Anonimo
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21/11/2016 @ 09:40:41
By Anonimo


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19/04/2024 @ 16:16:31
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