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 Trilingual World Observatory: italiano, english, română. GLOBAL NEWS & more... di Redazione
   
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

La svolta social di Google sta continuando a far discutere. Alle prime critiche per aver integrato Google+ e lasciato fuori Twitter e Facebook il presidente Eric Schmidt aveva risposto su Marketingland accusando Twitter di essersi tirato fuori da solo non rinnovando l’accordo che avevano con Google, e comunque dichiarandosi “felice di aprire un dialogo”. Ora si attende la risposta alle critiche piovute dall’Electronic Privacy Information Center (Epic) secondo cui Google Search Plus Your World potrebbe violare le norme sull’Antitrust. L’Epic, riporta Cnet, ha chiesto alla Federal Trade Commission di indagare sulla cosa e di verificare pure se il nuovo strumento di ricerca social non violi gli accordi precedentemente presi da Google con l’Ftc a garanzia della privacy degli utenti.

L’accusa infatti è la stessa sollevata nei confronti di Buzz un anno fa: con l’opt-in per tutti gli utenti Gmail l’indirizzo di posta veniva di fatto reso disponibile agli utenti Buzz. Già allora l’Fta aveva concordato con l’Epic. Google si trova ora ad affrontare gli stessi problemi che ebbe Microsoft quando introdusse Internet Explorer in Windows, che ora propone la scelta del browser. D’altra parte, proprio per gli accordi che anche Facebook ha preso con l’Ftc, sembra difficile che il social network possa essere indicizzato da Google per inserire i contenuti nelle ricerche, sottolinea PcMag.

Google Search Plus è stato attivato ieri per ora solo su Google.com. La mancanza del bottone per l’opt-out fa storcere il naso. Google l’aveva annunciato: arriverà. Il fatto che non ci sia sembra strategia per far conoscere il servizio. Al momento l’unico modo di evitare che post, foto, video e commenti dei nostri contatti Google+ finiscano nelle nostre ricerche è fare il logout dal nostro Google account. Sottolinea Socialfresh: il 31,8% degli utenti effettua ricerche rimanendo loggato. Proprio su questo batte l’Epic: gli utenti di Google+ non hanno mai accettato che Google tratti in questo modo i propri dati personali, quindi l’opt-in viola le regole sulla privacy. A ben vedere, lo fa in parte: nelle opzioni del profilo Google+ c’è la possibilità che il nostro profilo appaia o meno in Google Search. Però si parla esclusivamente di profilo e non di contenuti.

Noi l’abbiamo usato un po’ e abbiamo notato alcune cose che non ci hanno convinto. I contatti nella search box sono molto carini, ma noiosi. In alcuni casi bastano due lettere per veder comparire al posto del suggerimento per completare la ricerca la faccina di un contatto. In altri casi ce ne vogliono quattro, mentre Google parlava di tre. Questo migliora le nostre ricerche? No: se cerchiamo qualcuno di solito non lo conosciamo o non siamo ancora suoi amici.

Nei risultati delle ricerche l’integrazione c’è e non è così invadente. Almeno per ora: a usare Google+ sono 60 milioni di persone in tutto il mondo, ma soprattutto in America.

E soprattutto geek, nerd, appasionati di tecnologia e brand del mondo della comunicazione. Così la ricerca per “ Obama” non mi dà risultati plus, a parte suggerirmi un amico nella search box. Cercando “ music” invece il primo risultato è Britney Spears e il secondo Snoop Dogg, entrambi con 1,3 milioni di fan circa. Č un vantaggio? Per noi no. Inoltre: come può un cantante che apre oggi un profilo su Google+ arrivare qui?

Attualmente Google Search Plus è integrato totalmente solo con Chrome. Con gli altri browser vengono proposti solo i suggerimenti. E solo su Chrome è possibile eseguire l'opt-out per la durata di una sessione: dal simbolo ingranaggio bisogna selezionare le opzioni di ricerca e togliere la flag a quella relativa ai contenuti personali. Dopo averlo provato con Chrome siamo rimasti ancora più delusi: i contenuti social hanno spesso poco a che fare con le finalità delle nostre ricerche, benché aggiungano un ulteriore livello di approfondimento orizzontale a queste.

Searchengineland nota: se non sei su Google+ non sei nei suggerimenti di Google Search. Quindi, come farsi trovare da Google Search Plus? Ecco le linee guida di Google. La prima cosa è creare un profilo Google+ completo in tutti i suoi aspetti. Per farlo, la cosa migliore è fare il logout dal proprio account Google, cercare il proprio profilo in google.com e cliccare sul bottone per l’update. Se avete un blog o scrivete da qualche parte nel Web, compilate anche la sezione contributor e chiedete la verifica della mail. Ora occorre usare Google+ postando update, foto e video relativi agli argomenti per cui ci interessa essere correlati.

Come in Facebook, possiamo creare una pagina fan, ma qui si può fare solo per entità diverse da noi, in quando il nostro profilo personale su Google+ è già pubblico. Anche in questo caso dobbiamo condividere. Su Google+. Un esempio di quanto la cosa sia interessante per i brand: cercando “ cars” i miei suggerimenti sono la pagina della Ferrari e della Bmw. Altre marche nei risultati della ricerca non ci sono. Curiosamente, per “ computer” il primo suggerimento è Linus Torvalds, creatore di Linux, e il secondo Leo Laporte, uno dei più famosi tech journalist americani.

Fonte: wired.it

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By Admin (from 21/02/2012 @ 14:02:04, in ro - Observator Global, read 1653 times)

Botanistii erau, pâna în prezent, relativ familiarizati cu plantele carnivore care atrag si consuma animale – în general insecte, dar uneori si mici vertebrate - ce traiesc la suprafata. Dar se pare ca lumea plantelor carnivore este cu mult mai diversa în ceea ce priveste strategiile de procurare a hranei. În Brazilia, oamenii de stiinta au descoperit o astfel de planta ce s-a adaptat pentru a captura viermi care traiesc în sol.

O plantă carnivoră „vânează” sub pământ

Planta, o specie rara numita Philcoxia minensis , traieste în câmpiile tropicale ale Braziliei si se caracterizeaza prin faptul ca unele dintre frunzele ei cresc sub pamânt - mai exact sub un strat subtire de nisip.
Oamenii de stiinta de la Universitatea Campinas au banuit ca aceste frunze ar putea fi "instrumente" cu care planta captureaza marunte creaturi din sol.

Pentru a-si demonstra teoria, ei au plasat mici nematode (viermi cilindrici) din specia Caenorhabditis elegans, marcati cu un anumit izotop al azotului (N-15) în sol, în apropierea unor exemplare de Philcoxia minensis cultivate în laborator.

Analizând ulterior plantele, au gasit mari cantitati de N-15, ceea ce indica faptul ca plantele au digerat nematodele marcate si au absorbit substantele rezultate.

Frunzele subterane ale plantei Philcoxia minensis sunt acoperite cu o substanta adeziva, care serveste pentru a captura micile nematode din sol.

Ca si alte plante carnivore, Philcoxia minensis traieste pe soluri sarace în azot, iar consumul de animale este un mijloc de a-si procura substantele azotoase necesare.

Sursa: Live Science - via descopera.ro

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By Admin (from 21/02/2012 @ 11:01:22, in en - Global Observatory, read 2434 times)

Researchers used a poverty measure which assesses a range of deprivations in health, education and living standards at the household level to uncover vast numbers of poor people in middle-income countries. They found that 1,189 million (72 per cent) of the world's poor live in middle-income countries as compared with 459 million living in low-income countries.

They also discovered that far greater numbers of poor people in middle-income countries are living in 'severe' poverty- 586 million as compared with 285 million in low-income countries. Severe poverty captures the very poorest of the poor - those whose poverty is most intense. Entire regions within middle-income countries also have poverty rates comparable to the world's poorest countries, the findings show.

The poverty measure which produced these findings - the Multidimensional Poverty Index or MPI - takes into account a range of deprivations in areas like education, malnutrition, child mortality, sanitation and services. By measuring directly which deprivations poor people experience together, the research team has produced a high-resolution picture of where the poor live. If people are deprived in one-third or more of the (weighted) indicators they are identified as 'MPI poor'. MPI poor people who are actually deprived in more than half the weighted indicators are identified as 'severely poor'.

The poverty measure was devised jointly by Oxford University's Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHI) and the UNDP's Human Development Report Office for the flagship Human Development Report. The MPI was featured in the 2011 and 2010 Human Development Reports as one of three experimental new indices complementing the Reports' annual Human Development Index.OPHI researchers have now further updated and expanded the MPI, including new analysis of regional disparities in MPI poverty within countries and changes to poverty over time. The OPHI researchers analysed the most recent publicly available household survey data for 109 countries, covering 93 per cent of people living in low and middle-income countries.

OPHI Director, Dr. Sabina Alkire, said: 'If you apply our global poverty measure, you see that most of the world's poor do not live in low-income countries as you might suppose. We found that nearly three-quarters of the poor live in middle-income countries - along with far greater numbers of the poorest of the poor. These findings are startling. We knew from income data that poverty in middle income countries was high - but now we also see that "multidimensionally" poor people in middle-income countries are not just barely poor: there are many severely poor people among them too, people who have simply been bypassed as their nation's comparative wealth increased.'

Dr. José Manuel Roche, who oversaw the MPI calculations with Dr. Alkire in 2011, said: "We use household surveys to see what deprivations each person experiences and create an individual poverty profile. We then build out to examine poverty within states and provinces, countries and world regions. The MPI reveals some dramatic disparities in the rates and intensity of poverty within countries, usually hidden by national averages. Hopefully, these findings will help policy makers to focus on delivering some benefits of growth to the poorest."

Key findings about specific countries and regions

*Half of all MPI poor people live in South Asia and 29 per cent in Sub-Saharan Africa. South Asia is home to 827 million MPI poor people, compared with 473 million in Sub-Saharan Africa.*Sub-Saharan Africa has the highest MPI poverty of any world region. However, the poorest 26 sub-national regions of South Asia (home to 519 million MPI poor people), have higher MPI poverty than Sub-Saharan Africa's 38 countries, which 473 million MPI poor people call home. These 26 sub-national regions and 38 countries have comparable rates of multidimensional poverty.

*Nigeria (a middle-income country) is Africa's largest oil producer, but its North East region has higher MPI poverty than the poorest region of Liberia, a low-income country still recovering from a prolonged civil war. The North East of Nigeria also has over five times more MPI poor people than the entire country of Liberia.

*Disparities within countries can be startlingly wide.  Overall 41 per cent of people in the Republic of Congo are MPI poor, but in the Likouala region, 74 per cent of people are poor; whereas in Brazzaville, the capital region, 27 per cent of people are poor. In Kenya's regions, the percentage of MPI poor people ranges from 4 to 86 per cent; in Timor-Leste, from 29 to 86 per cent; and in Colombia from 1 to 15 per cent.

*Income classifications hide wide disparities in MPI poverty. In low-income countries, the percentage of people living in MPI poverty ranges from 5 per cent in Kyrgyzstan to 92 per cent in Niger. In lower middle-income countries, this varies from 1 per cent in Georgia to 77 per cent of people in Angola who are MPI poor; and in upper middle-income countries, from 0 per cent in Belarus to 40 per cent in Namibia.

Using updated data for 25 countries, OPHI researchers analysed a total of 109 countries in 2011, with a combined population of 5.3 billion, which represents 79 per cent of the world's population (using 2008 population figures). About 1.65 billion people in the countries covered - 31 per cent of their entire population - live in multidimensional poverty.

Source: PhysOrg

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L'agenda digitale del governo Monti parte dai banchi di scuola. Č stato iscritto dal ministro dell'Istruzione con compiti legati all'Innovazione Francesco Profumo in un più ampio piano di digitalizzazione del paese, l' odierno lancio di Scuola in chiaro. Il progetto mette a disposizione in Rete i dati relativi alle 11mila scuole italiane di tutti gli ordini, dalle materne (scuola dell'infanzia) alle superiori (secondaria di secondo grado). Docenti, genitori, alunni e chiunque sia interessato ad avere informazioni sugli istituti e sulle caratteristiche degli stessi possono far riferimento alla sezione creata ad hoc all'interno del portale del Miur e operare una ricerca per luogo, ordine o nome. La scheda delle scuole, obbligate dal 30 dicembre scorso a registrarsi entro oggi, forniscono lumi su dimensioni, caratteristiche della struttura (numero di palestre, laboratori, ecc), numero di alunni e statistiche sulle iscrizioni, numero docenti e situazione degli stessi (tipo di contratto e assenze, dato aggregato e non su ogni singolo insegnante), situazione finanziaria ed eventuali documenti sulla valutazione degli apprendimenti sugli alunni. Provare, dalle vostre elementari alle superiori che volete consigliare a vostro fratello, per credere.

Non tutte le schede sono già state compilate interamente, ma l'intenzione è quella di fornire dati continuamente aggiornati in direzione di " un'amministrazione più moderna e trasparente che, attraverso Internet, metta a disposizione dei cittadini tutte le informazioni necessarie per accedere ai servizi e scegliere con consapevolezza dove iscrivere i propri figli", ha dichiarato il ministro Profumo. L' iscrizione è uno dei punti cardine del progetto, essendo prevista la possibilità di completare l'operazione online (previo inserimento di dati e scannerizzazione dei moduli necessari ed entro il termine previsto anche offline del 20 febbraio).

Ma è l'apertura di porte e finestre sulle informazioni concernenti le realtà in esame a far entrare lo spiraglio di luce degli open data. Ed è Profumo stesso a dichiarare che l'agenda digitale in lavorazione andrà a toccare sanità, mobilità, ambiente, turismo e cultura, oltre alla scuola, che trasparenza e condivisione dei dati devono coinvolgere l'intera pubblica amministrazione e le smart city e a parlare di e-governement. Qualcosa si muove ( banda larga compresa), e si apre, staremo a vedere. 

Fonte: wired.it

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C'è sempre una buona occasione per battere i record, anche quando si tratta di ricerche astronomiche ai confini del sistema solare. Tutto merito del telescopio spaziale Kepler, il gioeillino della Nasa che lo scorso dicembre ha individuato le tracce dei tre esopianeti rocciosi più piccoli conosciuti finora (ma, dopo averli scoperti, cosa si fa?). Si chiamano Koi-961.01, 02 e 03: i nomi non sono il massimo, ma le loro dimensioni ridotte (il minore, 03, è la metà circa della Terra), come racconta New Scientist, hanno suscitato l'interesse dell'intera comunità di astronomi sparsi per il mondo.

La scoperta è stata annunciata durante il meeting dell' American Astronomical Society tenutosi a Austin, Texas, dall’8 al 12 gennaio. Il trio di pianeti orbita intorno a una stella di modeste dimensioni – Koi-961, una nana rossa – localizzata nella nostra galassia e incapace di suscitare un qualsiasi interesse scientifico in tutti coloro che scrutano lo spazio profondo alla ricerca di segnali particolari. Non a caso, la presenza dei tre mini esopianeti è stata ignorata per anni, fino a quando l'astronomo dilettante inglese Kevin Apps non ha notato qualcosa di strano nel grande calderone di dati estrapolati da Kepler.

Infatti, il passaggio dei tre piccoli pianeti sconosciuti davanti a Koi-961 modificava in modo impercettibile il suo spettro luminoso, lasciando una traccia che il pignolissimo Apps ha fiutato subito come buona. Gli è bastato spedire una email a John Johnson, astronomo del California Institute of Technology di Pasadena, per far suonare i campanelli di allarme. Forse Koi-961 aveva in serbo qualche bella sorpresa.

Così, per raccogliere più informazioni sul trio di esopianeti, Johnson ha aperto gli occhi del Keck Observatory puntandoli sulla nana rossa individuata da Apps. Č bastata una analisi della variazione della radiazione luminosa proveniente della stella per dedurre le dimensioni dei pianeti. Ed eccoli, i tre compagni di Koi-961 avevano rispettivamente una misura paria a 0.78, 0.73 e 0.57 volte quella della Terra.

Comunque sia, il trio di pianeti rocciosi non sembra riservare altre grandi sorprese. La temperatura sulla loro superficie è di circa 200°C, quanto basta per escludere la presenza di acqua allo stato liquido e depennare i fratelli Koi-961 dalla lista di esopianeti su cui cercare probabili tracce di vita. Almeno per adesso, Koi-961.01 detiene ancora il record di pianeta più piccolo mai individuato finora. Ma in futuro, l'incessante ricerca da parte di Kepler potrebbe individuare nuove stelle vicino a cui cercare altri corpi celesti di dimensioni ridotte.

Fonte: wired.it

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Un nou studiu indica faptul ca ADN-ul unui individ poate prezice cât va trai înca de la începutul vietii.

Cercetatorii care au studiat cinteze australiene zebrate au descoperit ca cel mai bun indicator al longevitatii indivizilor o reprezenta analiza telomerului, o parte a ADN-ului, atunci când pasarile aveau vârsta de 25 de zile.

ADN-ul poate prezice durata de viaţă a unui individ încă din tinereţe

Telomerii se gasesc la capetele cromozomilor, care contin codul genetic al unui individ. Aceste structuri protejeaza extremitatile cromozomilor, iar metoda de protejare a ADN-ului este aceeasi în rândul majoritatii animalelor si a plantelor, inclusiv în rândul oamenilor. Atunci când cromozomii nu mai sunt protejati de telomeri, celulele ajung sa functioneze defectuos.

Acum, pentru prima data, cercetatorii au masurat lungimea telomerilor acelorasi indivizi de-a lungul întregii vieti.

Oamenii de stiinta de la Universitatea Glasgow au studiat 99 de cinteze australiene zebrate cu o durata de viata cuprinsa între 210 zile si 9 ani. Acestia au prelevat probe de sânge periodic pentru a masura lungimea telomerilor. Cercetatorii au descoperit ca lungimea telomerilor la vârsta de 25 de zile constituie cel mai bun prezicator al duratei de viata.

Se stie ca lungimea telomerilor este influentata partial de mostenirea genetica. Totodata, aceasta variaza ca urmare a factorilor de mediu, precum expunerea la stres.

Profesorul Pat Monaghan, conducatorul echipei care a efectuat acest studiu, a comentat rezultatele: "Studiul nostru arata importanta imensa pe care o au procesele ce au loc la începutul vietii. Trebuie sa aflam mai multe despre influenta pe care împrejurarile înregistrate la începutul vietii unui individ o au asupra ritmului în care telomerii se degradeaza. Totodata, trebuie sa identificam importanta relativa a factorilor mosteniti si a celor de mediu".

Studiul a fost publicat în prestigiosul jurnal stiintific Proceedings of the National Academy of Sciences USA.

Sursa: PA - via descopera.ro

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Il mio chiodo fisso in tutti questi anni di antiproibizionismo... e sicuramente ve ne sarete accorti dai miei scritti... è sempre stata un’unica domanda: Perché l’umano medio comune... diciamo pure “benpensante” non solo non ha mai fatto alcunchè per mettere fine a questa assurda persecuzione nei confronti della cannabis e di chi la usa, ma spesso, è addirittura lui stesso a dare manforte alle politiche proibizioniste? Perché accade una cosa del genere?

Manifesto

L’unico modo per scoprirlo è stato quello di chiedere in prima persona a quanta più gente potevo quali sono i motivi reali…in pratica, da dove nasce la loro predisposizione a condannare la canapa e chi ne usufruisce?

La risposta che mi è stata data il più delle volte è: "perché è una droga!"

Basta un’unica parola, un’etichetta del genere per condannare un nutrito numero di persone a prescindere da quanto nefasta sia la sostanza in oggetto…e allora io ribattevo a mia volta con una domanda: “Ma tu sai che significa realmente droga?” Ne è venuto fuori che la stragrande maggioranza della gente considera “droga” solo le sostanze che sono classificate come nocive dagli organi competenti, a prescindere dai danni che provocano.

Droga in origine era un sinonimo di spezia, di medicamento naturale, di preparato galenico. La parola inglese “Drugs” è traducibile in italiano pressappoco come spezie…i “drugs stores” e le nostre “drogherie” non erano altro e lo sono ancora adesso, rivenditori di spezie . Lo zucchero, il the, il caffè, il tabacco, l’alcol…e tante altre sostanze naturali preparate, sono classificabili come “droga”, ma se non sono scritte in una tabella di divieti redatta da un competente in materia, non sono pericolose e di conseguenza non sono più droghe.

Ma cosa induce a considerare “droga” e cioè qualcosa di potenzialmente pericoloso per l’organismo, una sostanza? Esistono dei criteri oggettivi per determinare ciò. Una sostanza per essere considerata “dannosa” e di conseguenza droga a tutti gli effetti, deve prima di tutto creare dipendenza, poi deve dare assuefazione, poi con l’uso cronico, deve degenerare l’organismo assuntore fino a nefaste conseguenze.

Prendiamo l’alcol. E’ una delle sostanze che crea più dipendenza, sono numerosi i centri di recupero specifici per superare queste crisi di astinenza ed esistono specifiche associazioni che seguono il “drogato” di alcol nel recupero passo per passo (Alcolisti Anonimi).

Per quanto riguarda l’assuefazione…qualunque alcolista può dirvi che col passare degli anni, ha dovuto aumentare la dose d’alcol assunta per avere lo stesso effetto…questa si chiama assuefazione.

E che dire dei danni all’organismo? La molecola etilica non va proprio d’accordo col nostro organismo. Di alcol si può morire di overdose (coma etilico e morte) e a differenza della cannabis, che ha un limite di overdose di circa 40.000 volte la dose massima , quella dell’alcol è appena 10 volte. È una sostanza che presa a dosi massicce aumenta l’aggressività e la spavalderia del soggetto assuntore. Ti distrugge il fegato e poi i reni…t’inquina le arterie ti indebolisce il sistema immunitario... però non è droga. Non lo è perché non la hanno iscritta nella tabella delle sostanze da vietare.

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Questo genera un paradosso…ma la gente è talmente forviata dalle cattive informazioni, che non riesce a vederlo…anche se glielo mostri tutti giorni. Anche se tutti benissimo sanno i danni dell’uso cronico di alcol, non vedendolo scritto fra i cattivi…sono portati (o meglio costretti) a considerarlo innocuo….o al limite facilmente gestibile.

Per cui l’alcol lo trovi in tutte le sue forme nelle enoteche, al supermercato, nelle “drogherie”... e perfino nei cioccolatini. Ci fanno la pubblicità ed è anche, per quanto riguarda il vino, motore portante di una buona fetta di entrate per il nostro Paese….e fanculo la dipendenza, al diavolo l’assuefazione e i danni.

Stesso discorso vale per le altre sostanze legali quali il tabacco, lo zucchero il caffè... e visto che, per la conformazione stessa del nostro organismo che secerne endodroghe (cioè droghe fatte dall’organismo stesso) qualsiasi situazione che induca un comportamento ossessivo compulsivo... come ad esempio il gioco d’azzardo, o erotomania o solo l’avventura ai limiti (che serve per generare adrenalina, altra droga endogena) può essere, o meglio deve essere considerata droga a tutti gli effetti.

Ma allora perché a qualcuno è venuto in mente di iscrivere proprio la cannabis e la sua bassa e soprattutto gestibile nocività dalla parte dei cattivi?

Io c’ho messo circa 3 anni per avere un quadro dettagliato e completo del perché sia accaduta una cosa del genere. Non vi chiedo di perdere 3 anni della vostra vita come ho fatto io... anche perché 3 anni da perdere nessuno li ha più…vi chiedo solo di riflettere... e di farlo su questioni banali come può essere questa che vi ho appena espresso…di individuare il paradosso che è palesemente lì, ma nascosto da un mucchio di chiacchiere e di non accettarlo perché oramai è diventato di uso comune farlo, ma, armati di sana e disinteressata curiosità... indagate... indagate... indagate!!

Ivan il terribile – ASCIA

P.S. Questo non è un attacco all’alcol al fine di premere per vietarne l’uso…perché per noi il problema principale non sta nella sostanza, ma nel divieto. Questo articolo serve solo per spronarvi a riflettere su quanto una parola possa allontanarsi dal concetto originale e generare paradossi talmente grandi da non essere visti.

Fonte: LegalizziamoLaCanapa.org

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But a first-of-its-kind analysis of newly available government data found just the opposite when it comes to infants covered by insurance.

Among the insured, infants in low-income families are better off under the nation's government-funded public health insurance than infants covered by private insurance, says economist and study author Manan Roy, Southern Methodist University, Dallas. The finding emerged from an analysis that was weighted for the fact that less healthy infants are drawn into public health insurance from birth by its low cost.

The finding is surprising, says Roy, because the popular belief is that private health insurance always provides better coverage. Roy's analysis, however, found public health insurance is a better option — and not only for low-income infants.

"Public health insurance gets a lot of bad press," says Roy. "But for infants who are covered by health insurance, the government-funded insurance appears to be more efficient than private health insurance — and can actually provide better care at a lower cost."

Why?

"Private health insurance plans vary widely," Roy says. "Many don't include basic services. So infants on more affordable plans may not be covered for immunizations, prescription drugs, for vision or dental care, or even basic preventive care."

The U.S. doesn't have a system of universal health insurance. But the Patient Protection and Affordable Care Act signed into law by President Obama on March 23, 2010, requires all Americans to have health insurance. The act also expands government-paid free or low-cost Medicaid insurance to 133 percent of the federal poverty level.

"Given the study's surprising outcome, it's likely that the impact of national reforms to bring more children under public health insurance will substantially improve the health of infants who are in the worst health to begin with," Roy says. "It's likely to also help infants who aren't low-income."

Roy presented her study, "How Well Does the U.S. Government Provide Health Insurance?" at the 2011 Western Economic Association International Conference, San Diego. Roy is a Ph.D. student and an adjunct professor in SMU's Department of Economics.

Study weighted to account for less healthy infants covered under public health insurance

A large body of previous research has established that insured infants are healthier than uninsured infants. Roy's study appears to be the first of its kind to look only at insured infants to determine which kind of insurance has the most impact on infant health — private or public.

Roy found:

1 - Infants covered by public insurance are mostly from disadvantaged backgrounds.

2 - Those under Medicaid and its sister program — CHIP — come mostly from lower-income families. Their parents — usually black and Hispanic — are more likely to be unmarried, younger and less educated. Economists refer to this statistical phenomenon — when a group consists primarily of people with specific characteristics — as strong positive or negative selection. In the case of public health insurance, strong negative selection is at work because it draws people who are poor and disadvantaged.

3 - Infants on public health insurance are slightly less healthy than infants on private insurance. On average they had a lower five-minute Apgar score and shorter gestation age compared to privately insured infants. They were less likely to have a normal birth weight and normal Apgar score range, and were less likely to be born near term.

4 - Infants covered by private health insurance are mostly from white or Asian families and are generally more advantaged. They are from higher-income families, with older parents who are usually married and more educated. Their mothers weigh less than those of infants on public insurance. This demonstrates strong positive selection of wealthier families into private health insurance.


Roy then compared the effect of public insurance on infant health in relation to private health insurance. To do that, she used an established statistical methodology that allows economists to factor negative or positive selection into the type of insurance. In comparing public vs. private insurance — allowing for strong negative selection into public health care — a different picture emerged.
"The results showed that it's possible to attribute the entire detrimental effect of public health insurance to the negative selection that draws less healthy infants into public health insurance," Roy says.

In fact, in a most striking revelation, allowing for a modest to significant amount of negative selection of infants into public health insurance, Roy's findings suggest that among the insured population of infants, private health insurance is detrimental to child health.

"The real surprise with these findings is that despite a less healthy population —due to the negative factors created by poverty — public health insurance is actually improving the health of these infants," Roy says.

Public health insurance provides more comprehensive benefits

The findings are less surprising upon deeper analysis.

A previous study by the nonpartisan Center on Budget and Policy Priorities sheds light on Roy's research. That group found that public health insurance provides more comprehensive benefits than private insurance. For example, all children on Medicaid and CHIP receive preventive and primary medical care, inpatient and outpatient care, pediatric vaccines, laboratory and X-ray services, prescription drugs, immunizations, and dental, vision and mental health care coverage.
The Medical Expenditure Panel Survey collected by the U.S. Department of Health and Human Services found that on a per person basis, government-provided health insurance for children under 4 years old is cheaper on average compared to private health insurance plans.
"Enrollees in private health insurance can choose from a wide variety of plans," Roy says. "Those who cut their costs by purchasing less coverage are reducing their access to quality care, including basic services like preventive care, prescription drugs, and vision and dental care."

Roy says she can only speculate why infants from advantaged and disadvantaged families differ in their health outcomes. It's possible, however, that infants from families that are better off have access to better nutrition, a healthier lifestyle and possibly safer, cleaner neighborhoods than those from poorer backgrounds.

"Poor families and their infants may be subsisting on cheap food, for example, which tends to be fatty and less nutritious," Roy says, "and that translates to worse health."

Study relied on new U.S. government data on thousands of infants

Roy's statistical analysis drew on data from more than 7,500 infants born in 2001. The data were the most recent available from the Early Childhood Longitudinal Study-Birth Cohort, released by the National Center for Education Statistics, U.S. Department of Education.

The Early Childhood Longitudinal Study follows children born in the United States from birth through the start of kindergarten. Children are from diverse socioeconomic and racial/ethnic backgrounds. Data were gathered from parents, teachers and providers of child care and early education.

Data collected cover children's health, care, education and cognitive, social, emotional and physical development over time. Included are standard infant health measures like length, infant weight, five-minute Apgar score, and the number of weeks the child was in the womb, which is considered an indicator of birth weight.

Poor families living at or below 185 percent of the federal poverty level represented 49 percent of Roy's data set.

Demand for public health insurance has increased during the past decade, says Roy, while demand for private insurance has declined. Specifically, between 1999 and 2009 there was an increase in the overall proportion of children under 3 years of age who were insured. Of those, the proportion covered by private insurance declined. The proportion covered by public health insurance increased.

Other researchers have firmly established that infants who are covered by health insurance have timely access to quality care, Roy says. Expanding access could reduce, for example, the number of infants born with low birth weight, which is associated with chronic medical diseases like diabetes, hypertension and heart disease in adulthood. Low birth weight also has been linked to lower average scores on tests of intellectual and social development.

The United States has the highest infant mortality rate among developed nations due to low birth weight and is the only industrialized nation without universal health insurance. The U.S. Supreme Court has agreed to hear a legal challenge to the Obama administration's new law requiring everyone have health insurance.

Source: EurekAlert - via ZeitNews

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Non solo estranea dalla vita sociale, si ripercuote negativamente sulle performance lavorative e di studio, ma modifica anche il cervello. Letteralmente: l’ uso patologico di Internet (Iad, dall’inglese Internet Addiction Disorder, l’impossibilità di staccarsi dal Web senza avvertire ansia da astinenza) altera l’integrità della sostanza bianca (fibre nervose ricoperte di mielina), e questo a sua volta determinerebbe dei disturbi nel comportamento. A dirlo è un gruppo di ricercatori guidati da Hao Lei della Chinese Academy of Sciences di Wuhan, che mostrano i risultati della loro ricerca condotta su un gruppo di adolescenti con la dipendenza dal Web su Plos One.

Come spiegano gli scienziati, la maggior parte degli studi condotti finora sulle persone colpite da Internet addiction si sono per lo più concentrati sulle ripercussioni che un uso sregolato della Rete ha sulla sfera emotiva e lavorativa, basandosi su questionari psicologici. Senza, quindi, indagare su possibili effetti diretti della dipendenza sull’ anatomia cerebrale (e sulle conseguenze sul funzionamento del cervello stesso). I ricercatori cinesi, invece, hanno pensato di analizzare, tramite risonanza magnetica per immagini, 17 adolescenti con diagnosi di Iad.

La diagnosi di Interned addicted è stata effettuata sottoponendo i giovani a una versione modificata dello Young’s Diagnostic Questionnaire for Internet Addiction secondo i criteri di Beard e Wolf. Si tratta in pratica di un test di otto domande che richiedono una risposta negativa o affermativa, del tipo: " Ti senti agitato, lunatico, depresso o irritabile quando cerchi di ridurre o interrompere l’uso di Internet?" O ancora " Ti trattieni online più di quanto avresti voluto?". La diagnosi di Iad dipende dal numero e dal tipo di domande alle quali si è risposto sì. Nello studio, sono stati reclutati anche 16 ragazzi senza dipendenza, come controllo.

Analizzando i risultati della risonanza magnetica, gli scienziati hanno osservato come negli adolescenti con dipendenza si ritrovino delle anomalie strutturali nella materia bianca di alcune zone cerebrali (come la regione orbito-frontale, il cingolo anteriore e il corpo calloso). Alterazioni in alcuni casi già osservate in altri tipi di dipendenze (come quelle da alcool o sostanze stupefacenti).

Queste zone, come spiegano i ricercatori, sono coinvolte in diversi aspetti comportamentali: dall’attenzione, al controllo cognitivo, alla capacità di prendere decisioni, all’elaborazione delle emozioni. Il campione è piccolo ma, sostengono i ricercatori, aver identificato delle possibili anomalie potrebbe permettere, in futuro, di comprendere meglio (e quindi trattare) la dipendenza da Internet. 

Fonte: wired.it

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By Admin (from 19/02/2012 @ 11:09:38, in ro - Observator Global, read 2295 times)

Ultima glaciatiune s-a încheiat în urma cu 11.500 ani, iar data declansarii urmatoarei glaciatiuni este tot mai greu de stabilit. Sursa confuziei o reprezinta emisiile de carbon din ultimele decenii, conform unui studiu de anvergura efectuat de cercetatorii britanici.

Conform datelor coroborate pâna în prezent si publicate în periodicul Nature Geoscience , în mod normal, urmatoarea Era Glaciara ar trebui sa se declanseze peste aproximativ 1.500 ani, dar se pare ca va fi întârziata din cauza emisiilor de gaze cu efect de sera, produse de activitatile industriale ale omului.

Emisiile de carbon vor întârzia următoarea Eră Glaciară

"La nivelul actual de dioxid de carbon prezent în atmosfera terestra, chiar daca emisiile de carbon vor fi stopate în totalitate, Terra va avea o lunga perioada interglaciara", declara profesorul Luke Skinner din cadrul Universitatii Cambridge.

Nivelul actual de dioxid de carbon atmosferic atinge valoarea de 390 ppm, iar alte studii independente au demonstrat ca, daca emisiile de gaze vor fi stopate imediat, nivelul concentratiei de CO2 îsi va mentine aceleasi valori pentru cel putin 1.000 ani de acum încolo. Aceasta înseamna ca în atmosfera va ramâne suficienta caldura pentru topirea calotelor polare si implicit cresterea nivelului marilor si oceanelor, chiar daca oamenii nu vor mai circula cu masinile si nu vor mai arde combustibili fosili.

Cauza naturala responsabila de tranzitiile Terrei de la glaciatiuni la perioade interglaciare este reprezentata de variatiile subtile ale orbitei terestre, cunoscute sub termenul de Ciclurile Milankovic, dupa numele lui Milutin Milankovic, un savant sârb care a descris acest fenomen, în urma cu aproape 100 ani.

Ciclurile Milankovic se refera în principal la variatiile care includ deviatiile orbitei terestre fata de Soare, gradul de înclinatie a axei Pamântului si rotatiile lente ale aceleiasi axe.

Grupurile de presiune sustinute de marile corporatii industriale, care se opun masurilor de limitare a emisiilor de CO2, au îmbratisat cu entuziasm acest studiu, pe care îl prezinta deja ca un argument pentru continuarea politicilor proprii care vizeaza industrializarea cu orice pret, alaturi dei goana dupa combustibilii fosili.

Cu toate acestea, oamenii de stiinta din spatele studiului sustin în continuare ca nivelul de CO2 a atins cifre record, iar omenirea va avea de înfruntat consecinte incalculabile daca nu se aiu masuri de stopare a emisiilor.

Sursa: BBCNews - via descopera.ro

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