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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Molti anni fa una giornalista americana, Judith Harris, del Reader's Digest, mi chiese quale fosse la differenza tra Brigate rosse e mafia. Senza pensarci due volte risposi: le Br sono contro lo Stato, la mafia è con lo Stato. E spiegai che la capacità della mafia è di intessere legami stretti con le istituzioni - politica, magistratura, servizi segreti - a tutti i livelli. Con le buone o le cattive maniere. Chi resiste, come Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, viene eliminato, senza pietà. Collante tra mafia e Stato è da sempre la massoneria.



Questo sistema di legami, che risale alla strage di Portella delle Ginestre, non si è mai interrotto nel corso degli anni, anzi si è rafforzato ed è diventato più sofisticato. Ma molti hanno fatto finta che non esistesse. Complice la stampa manovrata da potenti lobbies economiche.

Da qualche tempo è affiorato, nelle indagini sulle stragi mafiose del 1992, il tema della possibile trattativa avviata da Cosa Nostra tra lo stato e la mafia dopo la strage di Capaci, per indurre le istituzioni ad accettare le richieste mafiose: questo sarebbe il movente della uccisione di Borsellino. Non ho dubbi che le cose siano andate proprio in questo modo. Ma per capire quello che si è verificato ai primi anni ‘90, occorre uno sguardo verso il passato. Partendo dall'assassinio di Aldo Moro e da ciò che lo precedette e lo seguì.


Con la riforma del 1977, che istituì il Sismi ed il Sisde, i primi atti del presidente del consiglio Giulio Andreotti e del ministro dell'interno Francesco Cossiga furono la nomina ai vertici dei servizi segreti di Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, due generali affiliati alla P2 di Licio Gelli: che già allora era legato a Totò Riina, il capo di Cosa Nostra. Furono diversi mafiosi a rivelare questo collegamento tra Gelli e Riina.aldo_moro_rapimento

I servizi segreti di quel tempo non persero tempo: strinsero patti scellerati con Pippo Calò e la banda della Magliana, contro la quale, senza rendermene conto, fin dal 1975 avevo cominciato ad indagare, assieme al pm Vittorio Occorsio: con lui trattavo alcuni processi per sequestri di persona, tra cui quelli di Amedeo Ortolani, figlio di Umberto, uno dei capi della P2, di Gianni Bulgari e di Angelina Ziaco; sequestri che vedevano coinvolti esponenti della Magliana, della P2 e del terrorismo nero. Tra gli affiliati alla loggia di Gelli c'era un noto avvocato penalista, riciclatore del denaro dei sequestri, che poi venne stranamente assolto dopo che Occorsio aveva dato parere contrario alla sua scarcerazione.


Di quella banda facevano parte uomini come Danilo Abbruciati, legati alla mafia ed ai servizi segreti. Occorsio, che aveva scoperto l'intreccio tra la strage di Piazza Fontana, l'eversione nera e la massoneria, venne assassinato l'11 luglio 1976. Per l'attentato fu condannato Pier Luigi Concutelli, che risultò iscritto alla loggia Camea di Palermo, perquisita da Falcone.

La mia condanna a morte fu pronunciata, probabilmente dalla stessa associazione massonica, subito dopo che fui incaricato di istruire il caso Moro, in cui apparvero uomini della mafia guidati da Calò, i capi dei servizi manovrati dalla banda della Magliana e politici amici di Gelli. A raccontarlo al giudice Otello Lupacchini fu il mafioso Antonio Mancini; costui disse che verso la fine del 1979 o i primi del 1980, avendo fruito di una licenza dalla Casa di lavoro di Soriano del Cimino, non vi aveva fatto rientro; in occasione di un incontro conviviale in un ristorante di Trastevere, l'Antica Pesa o Checco il carrettiere, cui aveva partecipato assieme ad Abbruciati, a Edoardo Toscano, ai fratelli Pellegrinetti, a Maurizio Andreucci e a Claudio Vannicola, mentre si discuteva del controllo del territorio del Tufello per il traffico di stupefacenti, si parlò «di un attentato alla vita del giudice Ferdinando Imposimato».

«Dal discorso si capiva che non si trattava di un'idea estemporanea: era evidente che erano stati effettuati dei pedinamenti nei confronti del magistrato e della moglie; che erano stati verificati i luoghi nei quali l'attentato non avrebbe potuto essere eseguito con successo; si era stabilito che comunque non si trattava di un obiettivo impossibile, per carenze della sua difesa nella fase degli spostamenti in auto: il luogo in cui l'attentato poteva essere realizzato era in prossimità del carcere di Rebibbia dove la strada di accesso all'istituto si restringeva e non vi erano presidi militari di alcun genere».

Proseguiva Mancini: «Quando sentimmo il discorso che si fece a tavola, io e Toscano pensammo che l'attentato dovesse essere una sorta di vendetta per l'impegno profuso dal magistrato nei processi per sequestri di persona da lui istruiti e che avevano visto coinvolti i commensali, i quali parlavano del giudice Imposimato definendolo “quel cornuto che ci ha portato al processo”. Successivamente, parlando dell'attentato ai danni del giudice Imposimato, Abbruciati mi spiegò che, al di là delle ragioni personali che pure aveva, aveva ricevuto una richiesta in tal senso “da personaggi legati alla massoneria”, dei quali il giudice Imposimato aveva toccato gli interessi».strage-via-fani

In seguito, durante le indagini su Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli, il procuratore della Repubblica di Perugia accertò che alla riunione, nel corso della quale si parlò dell'attentato alla mia persona, avevano partecipato due uomini dei servizi segreti militari italiani di cui Mancini fece i nomi: essi furono incriminati e rinviati a giudizio per favoreggiamento. In seguito i due mi avvicinarono dicendomi che loro «non c'entravano niente con quella riunione» e che «evidentemente c'era stato uno scambio di persone da parte di Mancini, altri due uomini del servizio erano coloro che avevano preso parte a quell'incontro in cui venne annunciata la condanna a morte».

Ovviamente non fui in grado di stabilire chi fossero i due agenti dei servizi. Restava il fatto che c'era stato un summit tra agenti segreti e mafiosi per decidere di eliminare, per ordine della massoneria, un giudice che istruiva due processi “scottanti”: quello sulla banda della Magliana e il processo per la strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Moro. Né io potevo occuparmi di una vicenda che mi riguardava in prima persona come obiettivo da colpire.

Ma nessuno - tranne Falcone, che seppe, mi sembra da Antonino Giuffrè, che Riina aveva avallato l'assassinio di mio fratello - si preoccupò di stabilire chi dei servizi avesse partecipato al summit in cui era stato annunciato l'imminente assassinio del giudice che in quel momento si stava occupando del caso Moro. Processo in cui, trenta anni dopo, venne alla luce il ruolo determinante della massoneria, della mafia e della politica.


In quel periodo non mi occupavo solo di sequestri di persona, ma anche del falso sequestro di Michele Sindona, altro uomo della P2, e dell'assassinio di Vittorio Bachelet, dei giudici Girolamo Tartaglione e Riccardo Palma e, naturalmente, del caso Moro; ed avrei accertato, dopo anni, che della gestione del sequestro Moro si erano occupati, nei 55 giorni della prigionia, i vertici dei servizi segreti affiliati alla P2 e legati alla banda della Magliana. Ma tutto questo all'epoca non lo sapevo: la scoperta delle liste di Gelli avvenne nella primavera del 1981. Ciò che è certo è che il capo del Sismi, Santovito, piduista, era nelle mani di uomini della Magliana, articolazione della mafia a Roma. E dunque il racconto di Mancini era vero in tutto e per tutto.

Qualcuno voleva evitare che la mia istruttoria su Moro e quella sulla banda della Magliana mi portassero a scoprire il complotto politico-massonico che, con la strumentalizzazione di sanguinari ed ottusi brigatisti, aveva decretato l'assassinio di Moro per fini che nulla avevano a che vedere con la linea della fermezza.

Il disegno di costringermi a lasciare il processo sulla Magliana e quello sulla strage di via Fani riuscì, ma non secondo il piano dei congiurati. La mia uccisione non ebbe luogo per le precauzioni che riuscii a mettere in atto, ma nel 1983, nel pieno delle indagini su Moro, venne ucciso mio fratello Franco da uomini della mafia manovrati da Calò: gli stessi che avevano eseguito la vergognosa messinscena del 18 aprile 1978, ossia la morte di Moro nel lago della Duchessa. Era evidente come il Sismi, che si era servito del mafioso Antonio Chichiarelli per preparare il falso comunicato, erano tutt'uno con la mafia, della quale si servivano per compiere operazioni sporche di ogni genere, compresa quella del lago della Duchessa, che provocò una reazione violenta delle Br contro Moro, divenuto “pericoloso”.

A distanza di 30 anni dal processo Moro e di 26 anni dall'assassinio di mio fratello Franco - assassinio che mi costrinse a lasciare la magistratura e tutte le mie inchieste - ho avuto la possibilità di scoprire quali fossero le ragioni del progetto criminale contro di me: impedirmi di conoscere il complotto contro Moro. Non era una trattativa tra Stato e mafia, ma un vero e proprio accordo tra servizi, mafia e massoneria, che, con la benedizione dei politici, sancì prima la eliminazione di Moro e poi la mia esecuzione: la quale fallì, ma si ritorse contro mio fratello Franco, il quale prima di morire, mi chiese di non abbandonare le indagini. Il risultato fu che dopo quel barbaro assassinio fui costretto ad abbandonare tutte le inchieste sulla mafia e sui legami tra mafia, massoneria e stragismo. E nel 1986 dovetti rifugiarmi alle Nazioni Unite.


Durante le indagini che io conducevo a Roma sul falso sequestro Sindona, Falcone a Palermo per associazione mafiosa, e Turone e Colombo a Milano per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, venne fuori a Castiglion Fibocchi, nella villa di Gelli, l'elenco degli iscritti alla P2. Enorme fu la sorpresa degli inquirenti: comprendeva i capi dei servizi segreti italiani e del Cesis, l'organismo che coordinava i servizi, e di quelli che facevano parte del Comitato di crisi del Viminale. Quel comitato che era stato istituito da Cossiga con l'avallo di Andreotti.

Dopo la scoperta, venne decisa dal ministro Virginio Rognoni l'epurazione degli uomini di Gelli dai servizi e dal ministero dell'interno; ma di fatto non fu così. La Loggia del Venerabile mantenne il controllo sui servizi segreti, come ebbe modo di accertare la Commissione parlamentare sulla P2; e le deviazioni continuarono, con la complicità dei vari governi che si susseguirono. La corruzione dei politici di governo, le intercettazioni abusive su avversari politici, giornalisti e magistrati, i ricatti fondati su notizie personali sono stati una costante della vita dei servizi (la vicenda Pollari-Pompa docet) senza che mai i responsabili abbiano pagato per le loro colpe.

Oggi è riesplosa sulla stampa, per pochi giorni, la storia legata alla morte di Borsellino, subito silenziata dai mass media.Via_DAmelio_dopo_lattentato_a_Paolo_Borsellino La magistratura di Caltanissetta ha riaperto un vecchio processo che collega la sua tragica morte a moventi inconfessabili legati a menti raffinate delle stesse istituzioni. L'ipotesi investigativa prospetta la possibilità che Borsellino sia rimasto schiacciato nell'ingranaggio micidiale messo in moto da Cosa Nostra e da una parte dello Stato in sintonia con la mafia, allo scopo di trattare la fine della violenta stagione stragista in cambio di concessioni ai mafiosi responsabili di crimini efferati come la strage di Capaci.

Si trattava di una vergogna, un'offesa alla memoria di Falcone ed ai cinque poliziotti coraggiosi morti per proteggerlo. Salvatore Borsellino dice che le prove di questa ricostruzione erano nell'agenda rossa sparita del fratello Paolo, il quale, informato di questa infame proposta, probabilmente ha reagito con sdegno e rabbia: sapeva che lo Stato voleva scendere a patti con gli assassini. Di qui la decisione di accelerare la sua fine.

Ricordo che in quel tragico luglio del 1992, poco prima della strage di via D'Amelio, ero alla Camera dei deputati dove le forze contigue alla mafia erano ancora prevalenti e rifiutavano di approvare la norma voluta da Falcone, da me e da molti altri magistrati antimafia: la legge sui pentiti e il 41 bis. Nonostante la morte di Falcone, non c'era la maggioranza. Fu necessaria la morte di Borsellino per il suo varo. E oggi la si vuole abrogare.

L'aspetto più inquietante riguarda il ruolo di un ufficio situato a Palermo nei locali del Castello Utveggio, riconducibile ad attività sotto copertura del Sisde, entrato nelle indagini per la stage di via D'Amelio dopo la rivelazione della sua esistenza avvenuta durante il processo di Caltanissetta ad opera di Gioacchino Genchi. Al numero di quell'ufficio dei servizi giunse la telefonata partita dal cellulare di Gaetano Scotto, uno degli esecutori materiali della strage di via D'Amelio. Mi pare ce ne sia abbastanza per ritenere certo il coinvolgimento di apparati dello Stato.

Tratto da La Voce delle Voci di Settembre 2009

Dopo la condanna di Marcello Dell'Utri sembrano schiarirsi i contorni di una trattativa Stato-Mafia che ha impedito, per lunghissimi anni, di scoprire la verità sui delitti Falcone e Borsellino e sulle bombe del '93-'94. Ferdinando Imposimato, un protagonista di quegli anni della storia italiana, ripercorre le tappe del patto scellerato.


Fonte: infiltrato.it
 

C'è condanna e condanna: per me quei quattro mesi per la rottura "di quei sigilli violati dal vento" (come avrebbe cantato Modugno) sono una MEDAGLIA AL VALORE CIVILE.

Perché non sempre la "giustizia" coincide con la "legalità" (il Mahatma Gandhi lo sapeva bene e pure Sandro Pertini lo sperimentò duramente).

Grazie Beppe per il sostegno alla lotta NO TAV della Val Susa.  (3 Mar 2014 - beppegrillo)

La Procura di Torino, in Italia,  ha chiesto di condannare a nove mesi di reclusione Beppe Grillo al termine di un processo legato a una delle dimostrazioni dei No Tav in Val di Susa. I pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, della procura di Torino, hanno chiesto anche la condanna a pagare 200 euro di multa. Il reato è la violazione di sigilli per un episodio legato alla costruzione di una baita-presidio dei No Tav in Valle di Susa. I due pm, nella proposta di conteggio della pena, hanno applicato la recidiva in riferimento a una precedente condanna per diffamazione.

Beppe Grillo era salito in Valle di Susa il 5 dicembre 2010 durante una manifestazione dei No Tav. Davanti alla baita ancora in costruzione improvvisò un breve comizio e si fece accompagnare all’interno del locale. In precedenza il comandante dei carabinieri della compagnia di Susa lo aveva informato che se avesse varcato la soglia della casetta avrebbe commesso un reato. Dopo qualche minuto Grillo uscì e, davanti alle telecamere, mimò di avere i polsi ammanettati.
Il processo vede imputate 21 persone per violazione di sigilli. Sono state chieste quattro assoluzioni e, per il resto, condanne fra i 18 e i 6 mesi di reclusione. (07 Feb 2014 - gdp)

 

Mi chiamo Mina e nel lontano 1980 ho sposato Piergiorgio, Piergiorgio Welby, un uomo affetto da distrofia muscolare.

Piergiorgio prima di morire mi ha detto: “Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.”

Queste e altre parole contro l'accanimento terapeutico e per il diritto all'eutanasia Piergiorgio le pronunciava in un discorso del settembre 2006 al Presidente Napolitano. Un discorso, fatto dal letto al quale era inchiodato, in cui aggiungeva: “Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude”.

In Italia, chi aiuta un malato terminale a morire - come un genitore o un figlio che vuole smettere di soffrire - rischia fino a 12 anni di carcere. Il diritto costituzionale a non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la nostra volontà è costantemente violato.

Il 13 settembre 2013 abbiamo consegnato in Parlamento una legge di iniziativa popolare che regola l'eutanasia e il testamento biologico.

Oggi chiedo, in memoria di Piergiorgio e per il diritto di tutti, la calendarizzazione in aula della proposta di legge sull’eutanasia e il testamento biologico.

Piergiorgio amava la vita, ma per lui la vita era altro dall'essere condannato a stare inchiodato a un letto. Se anche per te la vita è un’altra cosa, aiutaci firmando la petizione.

Mina Welby via Change.org

 
Firma la petizione

 
By InfoLibera (from 31/05/2014 @ 19:27:50, in it - Osservatorio Globale, read 2666 times)

Di Salvatore Santoru

 

 

Peter Brabeck Letmathe è l'attuale amministratore delegato della Nestlè, la più grande corporation nel settore dell'alimentazione .
In un'intervista del 2005 apparsa sul documentario " We Feed the World ", affermò praticamente che quello all'acqua non si poteva considerare un diritto per gli esseri umani, dichiarando che l'acqua non è altro che un prodotto commerciale, e per questo è lecito che venga privatizzata e quindi detenuta in poche mani .

Le sue testuali parole sono :

" La questione su cui riflettere è bisogna o no privatizzare l'acqua ? Si scontrano due punti di vista, su ciò, il primo che definirei estremo è rappresentato dalle ONG per le quali l'accesso all'acqua dovrebbe essere nazionalizzato, in altre parole tutti gli esseri umani devono avere accesso all'acqua.
Questa è una soluzione estrema, e l'altro che dice che l'acqua è un prodotto alimentare e come tutti i prodotti alimentari ha un valore di mercato " .

Continua Letmathe : " è preferibile, secondo me dare sempre un valore a un prodotto cosicchè tutti noi siamo coscienti che tale prodotto ha un valore e che si possano attuare delle misure adeguate " .

Come riporta la sua pagina di Wikipedia, Letmathe è anche membro del consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera ExxonMobil, di proprietà dei Rockefeller,  una delle più potenti famiglie di banchieri e industriali internazionali .

Interessante è sentire il famoso discorso all'ONU di David Rockefeller, in cui il famigerato banchiere e petroliere afferma che essendoci sempre meno risorse da sfruttare, praticamente bisogna dimezzare la popolazione .

Letmathe è anche membro del consiglio di amministrazione di Credit Suisse e dell' Oreal, una delle più grandi multinazionali specializzate in cosmetici e altri prodotti di bellezza .

L'industriale è anche membro del consiglio di fondazione del " World Economic Forum " e membro della European Round Table of Industrialists, una lobby fondata nel 1983 che riunisce i più grandi manager delle multinazionali con sede in Europa e che ha una forte influenza sulle decisioni economiche prese dall'UE .

Ha anche partecipato alle riunioni del Bilderberg, il meeting che riunisce le più potenti personalità dell'alta finanza,della grande industria e della politica, e il cui obiettivo è la costruzione di un'unico governo mondiale guidato dai potentati finanziari e industriali .

Inoltre,come rivelato dall'agenzia di news " Bloomberg ", ultimamente la Nestlè ha anche lavorato con i Rothschild per studiare la vendita di asset in Sud America .

Letmathe ha fatto capire a che cosa sta lavorando l'elitè mondiale : un mondo basato sulla mercificazione totale dell'essere umano e di ciò che lo circonda, schiavo della dittatura del denaro e del potere di pochi oligarchi che per mezzo di esso esercitano il loro immenso potere sul resto dell'umanità .

Fonte: http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2014/05/per-la-nestle-gli-esseri-umani-non.html

 

E' questo il titolo del convegno esperenziale e medico giuridico che si svolgerà a Catanzaro Sabato 14 giugno alle ore 9,00 presso la Sala del consiglio provinciale. L'incontro, organizzato dalla Cooperativa sociale "La Cura" in collaborazione con l'Associazione Ra.Gi. Onlus è stato accreditato dall'ordine degli avvocati e dei medici.

Il convegno, aperto a tutti ha il duplice obiettivo di far conoscere anche in Calabria i risultati della letteratura medico scientifica che ha dimostrato oramai da anni l'efficacia dei farmaci a base del principio attivo della Cannabis, Thc, per molte malattie e di sollecitare e sensibilizzare il mondo politico regionale nella realizzazione anche un Calabria una legge per predisporre misure necessarie che consentano l'utilizzo di cannabinoidi per uso personale nel caso di malattie come sclerosi, Sla, Parkinson, malattie oncologiche e via dicendo e la somministrazione dell'Thc anche nelle strutture sanitarie accreditate, pubbliche o private.

Dopo i saluti istituzionali e quelli del portavoce della "Cura" avvocato Antonello Talerico e della portavoce della Ra.Gi. dott.ssa Elena Sodano, ad aprire i lavori dell'incontro sarà Gianpiero Tiano, vicepresidente dell'Associazione nazionale cannabis terapeutica e che è stata la prima persona in Italia che, a seguito di un gravissimo incidente, ha iniziato a curarsi facendo uso di medicinali il cui principio attivo è l'infiorescenza della sativa e che relazionerà sul tema: Cannabis Terapeutica la situazione italiana tra promesse e difficoltà.

Seguiranno gli interventi del dott. Camillo Falvo, Giudice presso il tribunale di Messina, che parlerà della "Responsabilità penale nell'uso terapeutico"; del dott. Domenico Bosco, Neurologo e Direttore facente funzione presso l' Ospedale di Crotone che tratterà de "Gli effetti della cannabis nelle malattie neurologiche". Graditi ospiti della giornata saranno alcuni membri del direttivo de "LapianTiamo", Cannabis Social Club Racale Lecce, un'associazione no profit formata da persone affette da malattie neuromuscolari che per la prepotente urgenza dei malati promuove l'uso terapeutico della canapa medicinale attraverso la coltivazione e l'approvvigionamento ai pazienti affetti da patologie come sclerosi multipla, cancro, dolore cronico, sla, parkinson, glaucoma e tantissime altre, fornendo supporto informativo e morale ai malati che devono convivere quotidianamente con i sintomi di malattie gravi e che con l'aiuto del comitato medico-scientifico incentivano attivita' di ricerca sui vantaggi della canapa medicinale.

Parteciperanno infatti Willy Verardi che racconterà l'esperienza dell'associazione LapianTiamo" e Lucia Spiri che racconterà cosa significa "Curarsi con la Cannabis". Concluderà la giornata Rita Bernardini Segretaria dei Radicali Italiani.

Fonte: CN24 via Cannabis.info

 

Colpa di una procedura lenta e macchinosa che prevede una lunga sequenza di passaggi: medico curante, azienda sanitaria, Ministero della salute, mercato estero, importazione, farmacia ospedaliera. Iter che, di fatto, impedisce di ricorrere al farmaco tempestivamente. Accade così che i tempi della richiesta superino abitualmente i trenta giorni previsti e che, in alcuni casi, si dilatino fino a richiedere un intero anno di attesa. Il tema è stato al centro del convegno "La cannabis fa bene, la cannabis fa male. Una proposta di legge per l'accesso ai medicinali cannabinoidi" che si è tenuto al Senato presso la sala convegni di Palazzo Santa Maria in Aquiro, promosso dalle associazioni "Luca Coscioni" e "A Buon Diritto". Nel corso del convegno il senatore Luigi Manconi ha presentato un dossier sul tema. Al convegno sono intervenuti, tra gli altri, Lucia Borsellino (assessore Salute regione Sicilia), Elena Gentile (assessore Salute regione Puglia), Luigi Marroni (assessore Salute regione Toscana) e il sottosegretario di Stato alla Difesa, Domenico Rossi.

L'accesso limitato. Anche se la recente sentenza della Corte di Cassazione che dà il via libera alla riduzione delle pene per gli spacciatori di droghe leggere viene vista come un'apertura, resta ancora lunga la strada da percorrere perché anche la disinformazione di medici e farmacisti e i costi elevati della cannabis rendono difficile l'accesso a questa terapia. I dati del Ministero della salute, del resto, parlano chiaro: nel 2013 sono state rilasciate 213 autorizzazioni all'importazione di medicinali a base di cannabis dall'Olanda. Dal momento che ogni paziente è tenuto ad importare il farmaco per un dosaggio non superiore alle necessità di tre mesi di terapia, deve inoltrare la richiesta di importazione per quattro volte in un anno. Il dato di 213 autorizzazioni va diviso, dunque, per quattro, e da questo si deduce che nel 2013 meno di 60 persone sono riuscite a ottenere il farmaco. "Tutto ciò è assai grave" dice il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Straordinaria Diritti Umani, nell'introduzione al dossier sulla cannabis presentato oggi pomeriggio. "La mancata disponibilità di farmaci che, da decenni, la letteratura scientifica internazionale ha valutato efficaci, impedisce di operare per alleviare dolori intollerabili, resistenti alle tradizionali terapie; e più in generale per migliorare la qualità della vita e della salute dei pazienti".


Le storie dei pazienti. Sono davvero così pochi i pazienti che vorrebbero accedere a questa terapia? La risposta a questa domanda sta nelle storie di malati molto diversi tra loro per patologie, per età e per vicende personali, ma che condividono tutti le traversie quotidiane per accedere a una cura che possa attenuare il dolore e che restituisca loro una qualità di vita migliore nonostante la malattia. "Le storie di questi cittadini hanno dei tratti classici: sono tutti pazienti affetti da malattie croniche e resistenti alle terapie analgesiche tradizionali; la maggior parte di loro scopre la cannabis attraverso canali non medici, cioè amici o internet e si rifornisce al mercato nero" raccontano Antonella Soldo e Francesco Gentiloni nel dossier. Alcuni dei protagonisti di queste testimonianze hanno anche effettuato dei tentativi di auto-coltivazione, sempre finiti male (talvolta con l'arresto). Tutte queste storie sono state raccolte per testimonianza diretta e segnalate alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti umani del Senato, alle associazioni "Luca Coscioni" e "A Buon Diritto".

La disomogeneità regionale. Un altro problema è la differenza tra le regioni. Attualmente quelle che hanno introdotto dei provvedimenti che riguardano l'erogazione di medicinali a base di cannabis sono nove: Puglia, Toscana, Veneto, Liguria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Sicilia, Umbria. Le normative regionali convergono tutte nel disciplinare l'erogazione dei medicinali a carico dei propri Servizi sanitari regionali (SSR), ma sotto altri aspetti presentano una grande disomogeneità: in alcuni casi si limitano semplicemente a recepire quanto già stabilito dalla normativa nazionale, in altri sono previste delle specifiche competenze regionali circa l'informazione al personale medico, in altri casi sono stanziati degli appositi capitoli di spesa nei bilanci regionali per garantire le disposizioni dei testi, in altri casi ancora vengono introdotti degli articoli che impegnano le regioni su iniziative quali l'avvio di progetti pilota per la coltivazione a scopi terapeutici.

Semplificare l'accesso. Ecco perché il disegno di legge sulla cannabis terapeutica promosso da Luigi Manconi che mira a semplificare e agevolare i meccanismi per la produzione, importazione, prescrizione e dispensazione di farmaci a base di cannabis. Tra le altre cose, il disegno di legge legittima espressamente la coltivazione di queste piante per farne uso personale, in relazione ad esigenze terapeutiche proprie, dei propri congiunti o conviventi. Inoltre, promuove, attraverso il Ministero della salute, una specifica attività di informazione rivolta agli operatori sanitari, con l'obiettivo di far conoscere l'impiego appropriato dei medicinali contenenti i princìpi attivi della pianta cannabis. "Gli ostacoli attualmente frapposti all'utilizzo di questi farmaci limitano la possibilità di intervenire su patologie come il glaucoma e sui sintomi di malattie neurologiche come la sclerosi multipla, o su effetti avversi come nausea e vomito di trattamenti particolarmente invasivi come la chemioterapia" sottolinea Manconi.

Il problema della produzione. Nessuna azienda farmaceutica italiana ha chiesto la licenza per produrre questi farmaci. Ma, secondo le associazioni "Luca Coscioni" e "A Buon Diritto", una prima soluzione c'è, è a portata di mano e consentirebbe di ridurre i tempi e i costi a carico del Sistema sanitario regionale, in un regime di assoluta sicurezza. "Si incarichi, attraverso un protocollo tra Ministero della difesa e Ministero della salute, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze che già prepara diverse tipologie di materiali sanitari, farmaci e presidi chirurgici di produrre medicinali cannabinoidi per i pazienti italiani" propongono le associazioni.

Autore: Irma D'Aria - Fonte: La Repubblica via Cannabis.info

 

Le date dei solstizi boreali (Tempo universale):
Anno 2014 Solstizio d'estate (giugno): 2014 - 21 giu ore 10:51 Solstizio d'inverno (dicembre): 2014 - 21 dic ore 23:03

Massimo di declinazione positiva nel mese di giugno, in occasione del solstizio di estate boreale; massimo valore di declinazione negativa in dicembre, in occasione del solstizio di inverno boreale, corrispondente all'estate nell'emisfero australe. Il fenomeno del solstizio ritarda di circa sei ore ogni anno (5 ore, 48 minuti e 46 secondi per la precisione), salvo subire un nuovo riposizionamento indietro ogni quattro anni, in conseguenza degli anni bisestili, introdotti proprio per evitare un progressivo disallineamento delle stagioni con il calendario. A causa di queste variazioni ­può capitare che il solstizio astronomico cada nell'emisfero nord (emisfero boreale) il 20 o il 21 giugno per l'estate, o il 21 o 22 dicembre per l'inverno.

Detto in parole semplici, il solstizio d'estate è il momento dell'anno nel quale il Sole raggiunge il punto più settentrionale della sua corsa apparente nel cielo, segnando l'inizio della stagione estiva e costituendo il giorno in cui  si hanno il massimo di ore di luce.  Il termine "solstizio" significa "Sole stazionario" e indica che in questo momento astronomico il sole non si alza né si abbassa rispetto all'equatore celeste. L'astro in questo periodo sembra infatti fermarsi, sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto sino al 24 giugno (per quello invernale il 25 dicembre) quando ricomincia a muoversi sorgendo gradualmente sempre più a sud sull'orizzonte (a nord per quello invernale).

Fin dall'antichità gli uomini hanno celebrato questo momento magico con diversi festeggiamenti: il cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, riprendendo la sua corsa sull'orizzonte, era salutato come l'inizio di un nuovo periodo di vita. Questo giorno, detto solstizio estivo, è ancora oggi ricordato e atteso, in quanto primo giorno d'estate, anche se in realtà, dopo il giorno più lungo che è rappresentato dal 21 giugno, il sole comincia a calare, determinando l'accorciarsi graduale delle giornate.

I solstizi nell'antichità venivano festeggiati un po' ovunque dai popoli pagani, dalla Grecia, all'America precolombiana, fin quando la religione cristiana, conscia della portata di questi festeggiamenti, si premurò di incorporarne date sovrapponendovi solenni celebrazioni, così, come il solstizio invernale è stato sostituito dal Natale, quello d'estate dalla festa di San Giovanni che si celebra il 24 giugno. Se nell'antica Roma i due solstizi erano consacrati a Giano bifronte, il dio guardiano delle soglie e dei passaggi, oggi troviamo i due Giovanni, il Battista per il solstizio d'Estate e l'Evangelista per quello d'Inverno, come figure di riferimento per le festività legate rispettivamente al 21 giugno ed al 21 dicembre. Ancora una volta quindi una festa, originariamente pagana, diffusa in moltissime culture, poiché basata sull'antica osservazione del moto del solare, si è fusa con la tradizione cristiana. Ma pur se cristianizzata come festa di San Giovanni, la notte di mezza estate ha conservato tutte le sue valenze magiche.

Ancora oggi infatti moderni gruppi neopagani e neodruidici celebrano il giorno di "Midsummer", la Notte di Mezza estate cara a Shakespeare: molti sono i riti solstiziali che si svolgono in particolare a Stonehenge (Inghilterra), richiamando nel sito, ancora carico di misteri, migliaia di persone ogni anno, in nome della teoria "New Age" che sostiene che i monoliti che compongono il sito furono innalzati seguendo l'allineamento dei primi raggi del sole che spunta il giorno del solstizio.

Anche il gran numero di usanze e piccoli rituali ancora seguiti con grande attenzione, e tuttora vivi in Europa, testimoniano che il solstizio estivo, insieme a quello invernale, resta uno dei periodi più amati e profondamente intessuti nella cultura popolare, poichè basandosi sul dato che il sole trionfa nel cielo, le antiche tradizioni collegavano questo periodo dell'anno con la comunicazione diretta fra visibile e invisibile.

Nel Nord Europa la festa si celebra ancora il 21 giugno e in tutte le campagne l'attesa del sorgere del sole è propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danza e si canta, e nella notte magica sembra avvengano prodigi. Se una donna invece desiderava molti figli, ma anche più semplicemente bei capelli e una buona salute, deve stendersi nuda, o rotolarsi, nell'erba bagnata dalla rugiada del mattino del Solstizio.

Anche la notte di S. Giovanni, celebrata il 24 giugno, rientra nelle celebrazioni solstiziali. Il nome associatogli deriva dalla religione Cristiana, perche' secondo il suo calendario liturgico vi si celebra San Giovanni Battista. In questa festa, secondo un'antica credenza, il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei falo' e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco e l'acqua, con cui battezzava, una comoda associazione, da parte del cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebrazioni.

I falò accesi nei campi la notte di S. Giovanni, in tempi passati considerati propiziatori e purificatori, costituivano un'usanza comune a moltissime regioni europee e persino nel nord Africa. I contadini si posizionavano principalmente in cima alle colline, e accendevano grandi falo' in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa. Spesso con le fiamme di questi falo' venivano incendiate delle ruote di fascine, fatte poi precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. A scopi purificatori vi si gettavano dentro cose vecchie, affinchè il fumo che ne scaturiva tenesse lontani spiriti maligni e streghe (che si riteneva uscissero in questa notte scorrazzando per le campagne alla ricerca di erbe). In alcuni casi si bruciava, come per l'epifania, un pupazzo, cosi' da bruciare in effige la malasorte e le avversita'. Inoltre si faceva passare il bestiame tra il fumo dei falo', in modo da togliere le malattie e proteggerlo sia da queste sia da chiunque vi potesse gettare fatture e malie. Anche le erbe raccolte in questa notte hanno un potere particolare, sono in grado di scacciare ogni malattia e tutte le loro caratteristiche e proprieta' sono esaltate e alla massima potenza. Era anche possibile fare "l'acqua di San Giovanni": si prendevano foglie e fiori di lavanda, iperico, mentuccia, ruta e rosmarino e si mettevano in un bacile colmo d'acqua che si lasciava per tutta la nottata fuori casa. La mattina successiva le donne prendevano quest'acqua e si lavavano per aumentare la bellezza e preservarsi dalle malattie. Alle prime luci del 24 giugno i contadini che possedevano alberi di noce dovevano invece andare a legare una corda di spighe di orzo ed avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi. In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti, mentre la rugiada della mattina di San Giovanni, come per le popolazioni del nord, ha il potere di curare,  purificare e fecondare.

Fonte: Leonardo

 

La manifestazione e' stata simultanea in 10 citta'. Solo a Santiago si sono contate piu' di 10.000 persone, secondo i dati degli organizzatori.

"Marciamo per una nuova politica sulle droghe, perche' non si criminalizzi il consumatore come il narcotraffico", ha detto all'agenzia Associated Press uno degli organizzatori della marcia che ha detto di chiamarsi solo col nome, Gustavo.
Laura, una donna di media eta', ha partecipato alla marcia "perche' chiedo una vita senza dolore, una vita tranquilla, e credo che la marijuana sia una alternativa per i dolori dei malati".

La manifestazione era accompagnata anche da musica e c'erano cartelli come "Niente da nascondere, si' alla autocoltivazione, e fumero' gratis".
La marijuana e' la sostanza illegale piu' consumata dai giovani cileni e, siccome il consumo privato non e' depenalizzato, i sostenitori di questa ipotesi chiedono una legge di regolamentazione che legalizzi l'autocoltivazione e stabilisca parametri per il consumo personale.

Secondo il governativo "Servicio Nacional para la Prevención y Rehabilitación del Consumo de Drogas y Alcohol", il 4,6% dei 17,5 milioni di cileni consuma marijuana. Gli uomini piu' delle donne (7,1% rispetto al 2,1, e i giovani tra 19 e 25 anni sono il gruppo che usa maggiormente questa droga, il 12,3%).

Ogni anno 85.000 finiscono in carcere per violazione della legge, come fa sapere la Red Chilena de Reducción de Dańos (Rete cilena per la riduzione del danno). Per il maggiore reato denunciato commesso in Cile, il furto con scasso, 17.000 persone sono in galera.
Nicolás Espinoza, coordinatore generale dell'organizzazione Movimental, che ha convocato la marcia, insiste sulla necessita' di avviare un dibattito democratico per una politiche sulle droghe che sia "giusta ed efficace". "Siamo molto contenti della convocazione di questa decimo appuntamento della marcia. La gente che vi partecipa e' ogni volta sempre di piu'", ha detto Espinoza.

Il senatore socialista Fulvio Rossi, che ha partecipato alla marcia, ha sottolineato la necessita' di iniziare un dibattito senza pregiudizi sulle politiche della droga in Cile. "La legge sulle droghe e' obsoleta, senza prospettive sanitarie, di sicurezza pubblica e di diritti umani, e inoltre criminalizza il consumatore". Rossi ha fatto appello perche' si rispetti "il diritto di ognuno a decidere per alcuni comportamenti individuali, senza ingerenza da parte dello Stato, specialmente quando questi comportamenti non rappresentano un pericolo per gli altri".

Fonte: ADUC via Cannabis.info

 

Dopo mezzo secolo di escalation proibizionista, la legge Fini-Giovanardi (dal 2006 al 2014) aveva rappresentato un ulteriore inasprimento delle politiche antidroga e la sua cancellazione fa rivivere le politiche architettate per il contesto culturale degli anni 80-90. Ma dagli anni novanta ad oggi la diffusione delle sostanze è aumentata e non riguarda più solo quei soggetti considerati marginali.

Gli unici ad affermare il contrario sono i rappresentanti del Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), organismo istituito ad Hoc nel 2006 dalla legge appena dichiarata incostituzionale e che rimane inspiegabilmente ancora in piedi. Quest'apparato politico travestito da istituto scientifico pretende di dettare la verità assoluta sulle droghe e con i suoi poteri straordinari , conferitigli da una delega governativa, rappresenta il maggior nemico alla liberazione della canapa ed ad un approccio pragmatico, sensato e socialmente condiviso delle politiche sulle droghe. Dai suoi annunci traspare con chiarezza l'intenzione di perseverare con la linea ultra proibizionista contro i drogati, fondata su concetti come la deterrenza, la repressione, le cure forzate.

L'attuale programma del DPA considera quella delle droghe una questione esclusivamente medica e criminale e promuove l'uso delle droghe legali, come gli psicofarmaci, per "curare" con la forza i drogati.

Da anni ormai il movimento antiproibizionista denuncia l'inutilità e i danni delle politiche repressive contro le persone che usano sostanze, arrivando a parlare di una vera e propria "questione proibizionismo", in quanto molti dei problemi provenienti dal fenomeno dell'uso di droghe sono da ricondurre principalmente alle politiche antidroga stesse.

Lottando contro il proibizionismo si va a toccare una delle più importanti economie del pianeta e vengono a galla molti scheletri nascosti dai quali il fragore della guerra ai drogati vuole distogliere l'attenzione.
Il progetto di una società senza droghe ad ogni costo è un'idea cieca e disumana che cela agli sguardi gli interessi di coloro che ci guadagnano effettivamente.

Le conseguenze nefaste della guerra ai drogati sono sotto gli occhi di tutti e i costi sono di gran lunga superiori ai benefici, che tra l'altro non si capisce nemmeno quali siano. Le uniche conseguenze evidenti sono il sovraffollamento delle carceri, con tutto il loro portato di trattamenti disumani e morti, imponenti blitz nelle scuole, nelle stazioni per poi ritrovare qualche spinello, suicidi , perdita del lavoro e della patente, stigmatizzazione. Le leggi sulle droghe sono la principale causa di carcerazione nel pianeta.

Tanta ferocia sta rendendo i consumi sempre più clandestini e nascosti, ne incrementa di conseguenza i rischi, favorisce la diffusione di relazioni false e ipocrite, fa calare il mistero e rafforza l'ignoranza su di una pratica presente nelle culture umane di ogni tempo e territorio.

Si tratta di una persecuzione di massa, di una caccia alle streghe, di una vera e propria crociata che rafforza il mito trasgressivo della droga: le narcomafie e le compagnie farmaceutiche ringraziano , perché sono le sole a guadagnarci.
La lotta per la liberazione della canapa è l'emblema del movimento antiproibizionista che si batte contro questa infame guerra alle persone. Non c'è più tempo da aspettare, è necessario superare queste colossali ed insopportabili ingiustizie perpetrate dal proibizionismo.

Si tollera e si concedono deroghe per l'emissione nell'ambiente di sostanze inquinanti e velenose per gli esseri umani, per gli animali e i vegetali, mentre c'è tolleranza zero e vengono ridotte a malate e criminali le persone che usano sostanze su loro stesse.
Si pratica e si diffonde nuovamente l'elettroshock considerata una terapia di comprovata efficacia nel disagio mentale, mentre l'apparato proibizionista si accanisce con inaudita violenza verso chi usa cannabis per fini ricreativi e ne ostacola la diffusione dell'uso per fini terapeutici.

Le contraddizioni sono sempre più evidenti e pericolose per la libertà e l'incolumità stessa delle persone. Tutto questo è inaccettabile.

Dopo 14 anni di movimento dalla nascita di Canapisa rimangono pressoché intatti i motivi per lottare contro un tale stato di cose.

Come antiproibizionisti crediamo che le persone siano in grado di autoregolare i propri stili di assunzione quando hanno la possibilità di accedere ad un'informazione libera da pregiudizi, luoghi comuni e discriminazioni. La società deve contribuire alla realizzazione di condizioni ambientali che favoriscano l'autonomia e l'autogestione delle persone invece che contrastarle.

Per un avanzamento culturale, politico e sociale:
-Sosteniamo le pratiche e le esperienze di riduzione dei rischi.
- Sosteniamo i cannabis social club (CSC) a fini medici e ricreativi.
- Contrastiamo la cultura securitaria e la carcerazione di massa. Amnistia subito!
- Contrastiamo la medicalizzazione della società di cui psicofarmaci e elettroshock sono simboli emblematici.
- Consideriamo la canapa come una valida alternativa ecologica nell'ambito medico, alimentare e manifatturiero.

Autorganizzazione e Autoproduzione Unica Soluzione

COLTIVIAMO IL FUTURO ALLA LUCE DEL SOLE, NON UN PASSO INDIETRO!!!!
MANIFESTAZIONE NAZIONALE

STREET PARADE ANTIPROIBIZINISTA
SABATO 31 MAGGIO 2014
APPUNTAMENTO ORE 16 - PIAZZA SANT'ANTONIO - PISA

RISPETTA LE PERSONE!
RISPETTA LA MANIFESTAZIONE!
RISPETTA TE STESSO!

Fonte: Cannabis.info

 

L'unico accorgimento, per evitare di incappare in una denuncia penale, è compilare un modulo e consegnarlo alle forze dell'ordine. Ad investire sulla cannabis è stato anche Antonino Chiamonte, un agricoltore di Mendicino in provincia di Cosenza, che ha sostituito le foglie di marijuana al grano, ormai "non più conveniente per i prezzi troppo alti". Dai mattoni della bioedilizia per costruire case ai vestiti, passando gli alimenti, gli olii e persino i cruscotti delle auto, la sua canapa viene destinata agli stabilimenti per la produzione di diversi oggetti.

Secondo i dati di 'Assocanapa', in Calabria gli agricoltori di cannabis sono già una decina ed in costante aumento in tutta Italia, con piantagioni in 400 ettari di terreni al nord e 450 al sud del Paese. "Lavoro anche come assistente sociale - spiega Antonino Chiamonte, 46 anni - ma dall'anno scorso ho deciso di coltivare cannabis nel mio ettaro di terreno e per ogni piantagione guadagno 1.300 euro". Chiamonte ha piantato i semi un anno fa e subito dopo ha comunicato ai carabinieri di avere la piantagione di cannabis a scopo industriale. Un'orto insolito che fa gola a più di una persona. "Ogni tanto qualcuno si intrufola tra le piante per portarne via una - aggiunge - tanto che sono stato costretto a mettere un cartello dalla scritta: 'Se volete una piantina non strappatela, ve la regaliamo'".

La canapa da fibra prodotta da Chiamonte viene lavorata in uno stabilimento a Taranto e servirà in un cantiere di Brindisi per costruire "la prima abitazione 'a base di cannabis' in Italia". Per ora, invece, l'unico stabilimento autorizzato a produrla a scopo farmaceutico è Rovigo. "La canapa è un ottimo investimento per tanti usi - spiega ancora l'agricoltore - rigenera i terreni, non necessita di diserbanti ed ha ottimi costi. Quella importata dall'Olanda costa anche di più. E allora perché non avviare una grande produzione in Italia? E' ingiusto criminalizzarla e finora la legislazione ne ha compromesso gli utilizzi associandola solo alla droga. In passato ho fumato qualche spinello, lo considero comunque molto meglio di devianze come alcol o droghe pesanti".

Ed ora grazie ai guadagni del "piccolo tesoro" nell'orto di casa sua, Chiamonte ha messo in piedi un'azienda agricola per farne una fattoria sociale dove ospitare i bambini autistici a fare ippoterapia con gli asinelli. Dalla cannabis alla solidarietà, per "sfatare un tabù".

Fonte: Nuovo Sud via Cannabis.info

 
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