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Dopo le proteste per il carico di macachi importati dalla ditta Harlan di Correzzana, facciamo il punto sull’uso delle cavie nella ricerca. Quante sono? Quali specie? Chi le usa? E come?
By Admin (from 11/05/2012 @ 14:07:02, in it - Scienze e Societa, read 1553 times)

Topolini, soprattutto. Ma anche ratti, porcellini d’india, criceti. E conigli, cani, gatti, maiali. Persino capre, asini, mucche, cavalli. Fino ai primati più simili a noi: gorilla, scimpanzé, bonobo, gibboni. Sono le cavie su cui vengono testati farmaci, vaccini o tecniche chirurgiche, prima di farlo sulle persone. Al loro tributo si devono cure salvavita e molti dei più grandi progressi in campo medico e scientifico. Ma è etico sacrificare gli animali in nome del progresso della ricerca? Tema spinoso, di quelli che infiammano gli animi. Com’è successo in questi giorni a Corezzana (in provincia di Monza), una delle sedi italiane della multinazionale Harlan, travolta dalle proteste per un carico di 900 macachi importati dalla Cina e destinati alla sperimentazione. Tutto regolare, secondo gli accertamenti dei Nas predisposti dal Ministero della Salute, ma le pressioni del fronte animalista, di cui l’ex ministro del Turismo Michela Brambilla s’è fatta portavoce, sono state così forti da spingere il numero uno di Harlan, David Broker, a fare marcia indietro. Alle prime 104 scimmie, arrivate nei giorni scorsi nel paese brianzolo, non faranno seguito altri esemplari.

Ma quanti sono gli animali utilizzati nei laboratori di ricerca? Per quali scopi? Con quali tutele? In Italia la normativa è piuttosto stringente. E negli ultimi anni, in virtù di una sempre maggiore sensibilizzazione al problema, si sta facendo molto anche a livello europeo per incentivare la regola delle 3 R, Replacement, Reduction, Refinement. Ovvero la sostituzione degli animali con metodi alternativi, ogni qualvolta sia possibile; la riduzione del numero di cavie impiegata; e il miglioramento delle condizioni degli animali. In questa direzione va la direttiva Ue approvata nel 2010 che, pur segnando notevoli passi avanti rispetto alla vecchia normativa del 1986 (specialmente nei paesi dell’est dove la regolamentazione era quasi assente), è stata oggetto di aspre critiche da parte delle associazioni animaliste.

In Italia, già dal 1992, le regole sono più severe di quelle previste a livello comunitario. Č vietato l’uso di animali randagi nei laboratori. Dal 2008, non si possono impiegare animali nella didattica. Cani, gatti e scimmie possono essere utilizzati solo previa autorizzazione del Ministero della Salute. Si tratta delle cosiddette sperimentazioni in deroga di legge, concesse solo laddove si dimostri che sono indispensabili specie con un sistema neurologico superiore. Nell’80 per cento dei casi i centri svolgono test su animali più semplici, dal moscerino della frutta al topolino. Sono vietati anche gli esperimenti praticati senza anestesia ed è obbligatorio limitare al minimo le pratiche dolorose. E, contrariamente a quanto si pensi, la vivisezione vera e propria sull’animale vivo non viene più praticata.

Ogni anno, i centri autorizzati a eseguire sperimentazioni animali (ospedali, laboratori, aziende) devono presentare relazione al Ministero. In base agli ultimi dati, pubblicati in Gazzetta Ufficiale e relativi al triennio 2007-2009, sono circa 900mila all’anno (3mila al giorno) gli animali utilizzati in Italia a scopi sperimentali, la metà dei quali roditori. In Europa sono 12 milioni.

Altro traguardo è stato il divieto di sperimentazione animale per i prodotti cosmetici. Pur con questi limiti, in certi casi la sperimentazione animale è purtroppo una pratica ineludibile. I metodi alternativi (colture in vitro, simulazioni al computer, tecniche di imaging, chip al Dna) sono “un aiuto prezioso nella fase di sperimentazione intermedia, – sostiene Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano – ma nonostante gli importanti passi in avanti delle tecnologie e delle conoscenze, la sperimentazione è ancora necessaria” .   

Fonte: wired.it