L’11 novembre si terrà a Seul il summit dei venti Paesi più industrializzati (il G20). L’agenda dell’incontro prevede, in sostanza, tre punti da affrontare: le nuove regole della finanza (le cosiddette Basilea 3), la politica monetaria e la guerra delle valute e, infine, gli squilibri economici che rischiano di stroncare la ripresa.
Su Basilea 3 non c’è molto da dire, visto che tutti i Paesi si sono detti d’accordo; della guerra delle valute abbiamo già parlato su queste pagine. Resta dunque la questione degli squilibri economici, l’argomento forse più caldo del summit.
Il problema vede contrapposti due fronti: da un lato i Paesi che consumano troppo, dall’altro quelli che risparmiano troppo. I primi, Stati Uniti in testa, sono quelli che stanno vedendo una ripresa più debole, e che quindi rischiano di non passare indenni un nuovo rallentamento dell’economia nei prossimi mesi; i secondi, invece, sono Germania, Cina e altri Paesi asiatici, che invece, grazie a politiche di bilancio e monetarie certo un po’ egoiste, ma anche virtuose, stanno conoscendo tassi di crescita piuttosto elevati.
I Paesi del primo tipo chiedono a quelli del secondo tipo di introdurre politiche che inducano i propri cittadini a spendere di più, ma non è nell’interesse di tali Paesi farlo. Nella pratica, scrive Roberto Perotti sul Sole 24 Ore, alla Germania viene chiesto di attuare politiche di bilancio meno virtuose; alla Cina di rivalutare lo yuan; ai Paesi asiatici di fermare l’accumulazione di riserve. Si tratta di richieste molto deboli: ai Paesi forti si chiede, in sostanza, di condividere la crisi dei Paesi in bilico.
La Germania risparmia molto perché ha attuato riforme che hanno reso possibile un elevato avanzo delle partite correnti (il che significa elevate esportazioni, come evidenziato qualche settimana fa); la Cina non rivaluta lo yuan perché ciò deprimerebbe le esportazioni e manderebbe sul lastrico (quasi letteralmente) miliardi di persone; chiedere poi ai cinesi di risparmiare di meno significa chieder loro di distruggersi, in quanto è solo con il risparmio che essi possono acquistare una casa, pagare le spese sanitarie e permettersi una pensione quando saranno inabili al lavoro, visto che il welfare cinese è ancora sottosviluppato; infine i Paesi asiatici accumulano riserve perché non possono permettere che si ripeta ciò che accadde negli anni Novanta: Paesi come Thailandia, Indonesia e Corea del Sud, proprio per mancanza di riserve valutarie, non riuscirono a sostenere gli attacchi speculativi contro le loro monete. La svalutazione provocò il ritiro dei capitali esteri, e ciò si tradusse in una devastante crisi sia finanziaria che economica, ben peggiore anche di quella mondiale che stiamo vivendo in questi anni.