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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

L’iniziativa, che prende il nome di TRY, è frutto della collaborazione di 106 istituti di ricerca ed è stata promossa dall’Istituto di Biogeochimica Max Planck di Jena in Germania con la collaborazione dell’Università di Leipzig (Germania), l’IMBIV-CONICET (Argentina), l’Università di Macquarine (Australia), il CNRS e l’Università di Parigi-Sud (Francia).

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Le proprietà morfologiche e fisiologiche delle piante permettono di comprendere il modo in cui esse riescono a sfruttare le risorse naturali quali l’acqua, la luce e le varie sostanze nutrienti della terra per regolare il loro sviluppo. Ma la vera innovazione sta nel prevedere, a seconda delle loro caratteristiche, il modo in cui influenzeranno l’ecosistema stesso, per esempio calcolando quanta CO2 riescono ad assorbire.
Finora, infatti, gli studi sul cambiamento climatico non avevano potuto contare su una larga mole di dati a proposito delle specie vegetali. Una lacuna che la prima versione del database aiuta in parte a colmare: la classificazione creata, infatti, permette non solo di immaginare quale potrà essere l’effetto sul cambiamento climatico del futuro, ma dà anche gli strumenti per trovare, già da adesso, accorgimenti che possono contenere e limitare in modo mirato le alterazioni del clima.

“La possibilità di avere a disposizione una così vasta banca dati consentirà di fare delle previsioni più accurate su come la vegetazione e le proprietà degli ecosistemi muteranno in conseguenza dei cambiamenti futuri del clima e dello sfruttamento del suolo”, ha spiegato Ian Wright della Macquarie University. Per questo i ricercatori, come scrivono sulle pagine di Global Change Biology, sono convinti che il database TRY rivoluzionerà la ricerca nel campo della biodiversità.

Fonte: galileonet.it - Riferimenti: Global Change Biology DOI: 10.1111/j.1365-2486.2011.02451.x

 

Per le rivolte vale una regola comune a pressoché tutte le attività umane: il tempo necessario per portare a conclusione un’operazione diminuisce man mano che questa viene ripetuta, seguendo con una buona approssimazione una “legge di potenza”. A trovare la relazione matematica è stato un gruppo di fisici dell’Università di Miami, guidato da Neil Johnson. In tempi caldi come quelli che stiamo vivendo, la possibilità di comprendere le dinamiche delle sommosse e degli episodi di violenza fin dai primissimi scontri sta a cuore a diversi governi, e sul tema si sono cimentati molti gruppi di ricerca in tutto il mondo (vedi Galileo, La legge matematica della guerra). Ultimo quello di Johnson, che ha pubblicato i suoi risultati su Science.

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Secondo gli studiosi, le tempistiche degli attacchi più cruenti e delle controffensive tra due opposte fazioni seguono uno schema ben preciso, che può essere previsto a tavolino, a partire dal tempo intercorso tra i primi due attacchi. I ricercatori si sono basati sui dati storici degli eventi avvenuti durante le guerre in Iraq e in Afghanistan e sull'analisi di 3.143 atti terroristici avvenuti tra il 1968 e il 2008. Analizzando l’intensificarsi degli atti di violenza, il gruppo ha constatato che per le operazioni di rivolta è facile osservare un aumento delle perdite di vite umane man mano che le due forze in opposizione si scontrano e affilano le proprie armi.

“Quello che ci dicono i dati – ha spiegato Johnson – è che ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella nota in biologia evolutiva come ‘della Regina Rossa’”. Secondo questa ipotesi, ispirata dal secondo capitolo di Alice nel Paese delle Meraviglie, per quanto una fazione si sforzi di avere la meglio sull’altra, l’abilità di reagire dell’avversario porta tendenzialmente a un nulla di fatto. Così, parallelamente all’aumentare delle capacità dei ribelli nell’organizzare azioni violente, si osserva una simile abilità delle forze contrarie a prevenire e ridurre l’esito di tali azioni.

Per gli autori, la scoperta dovrebbe permettere di prevedere come evolveranno le rivolte sulla base del tempo intercorso tra i primi due attacchi. La relazione, infatti, sembra essere immutabile: “È un po’ come per il traffico nelle ore di punta - ha spiegato Johnson - per la maggior parte delle persone c’è un solo orario possibile a cui accompagnare i figli a scuola e andare al lavoro”. Sulla carta i conti tornano, e lo studio potrebbe servire alle organizzazioni internazionali come strumento di previsione dei conflitti armati.

Fonte: galileonet.it - Riferimento: DOI: 10.1126/science.1205068

 
By Admin (from 25/09/2011 @ 14:00:14, in it - Osservatorio Globale, read 2102 times)

Osservando il cielo, può capitare di vedere strane formazioni nuvolose con un buco al centro. Sono le cosiddette hole punch clouds, oggetto di studio sin dagli anni Quaranta e fonte di leggende per chi vi leggeva un segnale extraterrestre. Poi, un anno fa, una ricerca ha svelato il mistero: sono gli aerei che, volando attraverso le nubi, le scavano letteralmente. E ora sappiamo anche che da quei tunnel possono scatenarsi tempeste di pioggia e neve. Come e perché lo spiega su Science un gruppo di ricerca coordinato da Andrew Heymsfield del National Center for Atmospheric Research (Usa), che ha approfondito il fenomeno svelandone ogni dettaglio.

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Quando un aereo passa attraverso una nuvola modifica la pressione e abbassa la temperatura dell’aria anche di 20-30°C. In questo modo, promuove la condensazione delle gocce d’acqua in cristalli di ghiaccio, fenomeno che dà luogo ai caratteristici fori.

Man mano, i cristalli attirano altra gocce d’acqua e i buchi si ingrandiscono sempre più: è un processo che può durare oltre un’ora arrivando a creare tunnel lunghi anche cento chilometri. Quando infine i cristalli di ghiaccio diventano troppo pesanti, precipitano sotto forma di pioggia o neve.

Heymsfield  e colleghi sono giunti a queste conclusioni analizzando 20 immagini satellitari di hole punch clouds raccolte il 29 gennaio del 2007 nei cieli del Texas. Spulciando negli archivi della U.S. Federal Aviation Administration, i ricercatori hanno quindi ricostruito il traffico aereo della giornata e, usando un modello meteorologico per studiare formazione e l’evoluzione delle nubi, hanno scoperto che molti degli aerei in volo quel giorno avrebbero potuto bucare le nuvole scatenando le precipitazioni poi verificatesi.

Le conseguenze, a quanto pare, sono solo locali, perché il fenomeno non sembra influenzare il clima globale; come è noto, però, può aumentare le precipitazione sugli aeroporti in particolari condizioni meteorologiche.

Fonte: galileonet.it - Riferimento: DOI: 10.1126/science.1202851 - Credit immagine: Science/AAAS

 

Solo che questa volta la vista non c’entra: il nuovo materiale, infatti, devia il corso delle onde sonore, nascondendo gli oggetti all’ udito. Le possibili applicazioni sono infinite: dalle sale da concerto per migliorarne l’acustica, ai videogiochi, alle navi militari, come economico sistema anti-sonar.

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Quello dell’invisibilità è un vecchio pallino degli scienziati. I primi studi sul tema risalgono al 2006, quando i ricercatori iniziarono a spremersi le meningi per realizzare materiali in grado di deviare il corso delle onde luminose. Sono nati così i metamateriali, cioè materiali artificiali che forzano la luce a viaggiare intorno a un oggetto, in modo che questo appaiano invisibili (almeno per alcune lunghezze d’onda). Ma le leggi matematiche alla base di questo fenomeno (la cosiddetta ottica trasformazionale) sono le stesse che governano il comportamento delle onde sonore.

“Fondamentalmente, se parliamo della possibilità di nascondere gli oggetti, è lo stesso che si parli di onde luminose o sonore”, ha spiegato alla Bbc Steven Cummer della Duke University, uno dei protagonisti della nuova scoperta. E in effetti, già nel 2008 Cummer aveva pubblicato un articolo su Physical Review Letters in cui si parlava della possibilità (al tempo solo teorica) di nascondere un oggetto ai suoni. La teoria è poi diventata realtà: all’inizio di quest’anno, infatti, ricercatori dell’ Università dell’Illinois di Urbana-Champaign hanno pubblicato uno studio in cui spiegano come schermare un oggetto da ultrasuoni che si propagano in acqua.

Una  nuova ricerca, sempre pubblicata su Physical Review Letters, fa un ulteriore passo in avanti: descrive come nascondere gli oggetti da suoni con una frequenza compresa tra 1 e 4 kilohertz (quindi percepibili anche da noi umani) che viaggiano nell’ aria. Il trucco è rivestire l’oggetto (in questo caso un pezzo di legno lungo circa 10 cm) con fogli di plastica bucherellati. Modificando dimensione e disposizione dei buchi, nonché variando la distanza tra i vari fogli di plastica, si riesce a controllare il cammino delle onde sonore.

“L’esperimento mostra ch,e sebbene onde acustiche ed elettromagnetiche siano molto diverse, le potenzialità dell’ottica e dell’acustica trasformazionale sono simili”, ha commentato Ortwin Hess del Centre for Plasmonics and Metamaterials dell’ Imperial College di Londra . Naturalmente, c’è ancora molto lavoro fare. Lo studio, infatti, indaga solo il comportamento di onde sonore che incidono direttamente sull’oggetto e si ferma alle due dimensioni.“ Sarà certamente più difficile realizzarlo nelle tre dimensioni: ci riusciremo, ma non sarà un lavoro da poco”, ha concluso Hess.

Fonte: galileonet.it

 

Tutto è iniziato poco prima delle cinque del mattino del 27 giugno: 2000 agenti delle forze dell'ordine sono usciti dalle gallerie per forzare i blocchi eretti sulla strada dell'Avanà, il punto d'accesso al futuro cantiere della Tav occupato da migliaia di manifestanti contrari all'alta velocità. Se i lavori faraonici non verranno avviati entro il 30 giugno, l'Italia vedrà sfumare 670 milioni di finanziamenti europei stanziati per avviare la costruzione della nuova linea veloce che dal 2020 dovrebbe collegare Torino a Lione.

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Il bilancio della giornata di scontri vede 27 feriti tra le forze dell'ordine, quattro tra i manifestanti e diversi intossicati dai gas lacrimogeni. Dopo l'attacco, i membri dei movimenti della Val di Susa si sono ritirati nel vicino comune di Chiomonte, dove il municipio è stato occupato dalle donne del paese. Da lì ripartiranno, nei prossimi giorni, nuovi blocchi e proteste mirati a far saltare il cantiere Tav e fermare il progetto appaltato alla società Lyon Turin Ferroviarie (Ltf).

Le ragioni che muovono i manifestanti a opporsi da più di 20 anni alla costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa sono di almeno due nature diverse: una ambientale e l'altra economica.

Già nel 2004, 103 medici della Val di Susa pubblicarono un appello in cui esprimevano forti preoccupazioni per l'incolumità della popolazione locale. I versanti della montagna dove sarà scavato il tunnel di 50 km che collegherà Francia e Italia contengono infatti abbondanti tracce di amianto. La manipolazione e il trasporto dei materiali di scavo potrebbe causare il rilascio delle pericolose fibre che, unite alla diffusione di polveri sottili, contaminerebbero facilmente l'intera valle. Non a caso, nelle vicinanze del cantiere è situata la più grande cava di amianto d'Europa, quella di Balangero, dismessa nel 1826 e mai bonificata (vedi Galileo). Il timore è quello che l'incidenza dei tumori causati dalle fibre - già elevata tra gli abitanti della zona - possa subire un'ulteriore impennata.

Come se non bastasse, l'escavazione dei tunnel richiederebbe enormi quantità d'acqua, che verrebbero drenate dai bacini idrici della zona: un'area caratterizzata da coltivazioni montane tutelate dall'indicazione geografica protetta (Igp). Si calcola che i lavori in Val di Susa drenerebbero dai 65 a 125 milioni di metri cubi d'acqua ogni anno, l'equivalente di quanto consumato da una città con un milione di abitanti. Il rischio di veder prosciugare torrenti, fiumi e pozzi si scontra duramente con la promessa da parte dell'alta velocità di ridurre l'impatto ambientale del trasporto merci. A quanto pare, il risparmio di CO2 emessa dal traffico stradale che verrebbe dirottato sulla nuova linea ferroviaria verrebbe annullato dalle enormi spese energetiche richieste per la realizzazione del cantiere e dalla costosa alimentazione delle nuove motrici.

Oltre alle problematiche ambientali, i cantieri Tav sollevano non pochi dubbi di carattere economico. Secondo un saggio pubblicato nel 2007 da Marco Ponti, ordinario di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, il progetto della linea Lione-Torino, un affare da 17 miliardi di euro, sovrastimerebbe le aspettative di crescita previste per il traffico merci e passeggeri nell'area subalpina. La Val di Susa, inoltre, viene già attraversata dalla linea ferroviaria internazionale del Frejus, i cui ultimi lavori di ampliamento sono terminati nel 2010. Tuttavia, questa tratta alpina è stata sfruttata negli ultimi tre anni per meno del 25% della sua capacità totale.

La necessità di costruire nuovi e costosissimi tunnel di collegamento con la Francia sembrerebbe quindi una manovra azzardata: perché, piuttosto, non sfruttare al meglio le linee di collegamento già esistenti? Inoltre, secondo gli ultimi dati dell'osservatorio del Dipartimento Federale dei Trasporti svizzero sul traffico merci attraverso i valichi alpini, il volume di scambi attraverso il Frejus sarebbe in costante calo da almeno otto anni, con un picco negativo di 2,2 megatonnellate (Mt) nel 2009. Un dato concreto che getta seri dubbi sulle stime presentate da Ltf: per il 2009, infatti, prevedeva un volume di passaggio merci pari a ben 10 Mt, quasi cinque volte più del reale stato di congestionamento.

Data la complessità del nuovo cantiere che dovrebbe essere avviato in Val di Susa, c'è anche il rischio che i lavori possano subire dei forti rallentamenti. Non sarebbe infatti una novità se la realizzazione della linea ad alta velocità richiedesse più tempo e denaro rispetto a quanto preventivato dai primi progetti. È già successo nel caso delle tratte Roma-Firenze, Firenze-Bologna e Milano-Torino, dove i costi finali hanno superato i preventivi iniziali dalle quattro alle sette volte. Anche nel caso, poi, in cui la tratta Lione-Torino venisse completata in tempi ragionevoli, occorrerebbero altri 26 miliardi di euro per estenderla fino al confine sloveno e completare il corridoio merci che taglierebbe il nord Italia da Est a Ovest. In conclusione, il rapporto costo-benefici non penderebbe affatto a favore della Tav, che al netto produrrebbe un disavanzo di 25 miliardi di euro. Un bel fardello per la stagnante economia italiana.

Fonte: galileonet.it

 
By Admin (from 20/09/2011 @ 08:00:11, in it - Osservatorio Globale, read 1856 times)

É accertato infatti che vivere nei grandi centri urbani può provocare ansia, disturbi dell'umore e un aumentato rischio di schizofrenia. Meno chiare invece sono le alterazioni biologiche - provocate dalla vita cittadina - che inducono tali disturbi. Ora, i ricercatori del Central Institute of Mental Health (University of Heidelberg, Germania) e del Douglas Mental Health University Institute (McGill University, Montreal, Canada) hanno dimostrato che lo stress a cui si è sottoposti in città influisce - in modo cronico - sull'attività di due aree cerebrali funzionalmente connesse, ma implicate in emozioni di tipo diverso.

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Nello studio pubblicato su Nature, gli scienziati raccontano che per condurre le ricerche hanno messo alla prova 32 volontari, sottoponendoli a uno stress test consistente nella risoluzione a tempo di problemi matematici. I partecipanti erano tutti in buona salute fisica e mentale, e di status sociale e personalità comparabili. Unica differenza: provenivano da città di dimensioni diverse (comunità rurali, piccole cittadine e città con oltre centomila abitanti). Nel corso della prova, i ricercatori hanno utilizzato una risonanza magnetica funzionale (fMRI) per misurare l'attività neurologica dei volontari, e per ognuno hanno controllato i principali parametri fisiologici.

Nel corso degli esperimenti i ricercatori hanno rilevato, in ogni partecipante, l'aumento di battito cardiaco, pressione sanguigna, salivazione e livelli di cortisolo - l'ormone dello stress. Tutte alterazioni tipiche in situazioni di tensione. Tali cambiamenti erano però accompagnati anche  dall'attivazione di due specifiche aree cerebrali: l'amigdala, che regola le emozioni e l'umore ed è legata ad ansia e depressione, e la corteccia anteriore, che regola la risposta agli affetti negativi e allo stress.

Come spiegano i ricercatori, inoltre: “i risultati suggeriscono che differenti regioni del cervello sono sensibili alle esperienze affrontate in città in momenti diversi della propria vita [l'infanzia o l'età adulta ad esempio, ndr]”. Infatti, osservando i 32 volontari sottoposti al test, gli scienziati hanno riscontrato che vi era una maggiore attività dell'amigdala, in risposta alla pressione psicologica, in coloro che attualmente risiedono in città. Al contrario, negli individui che hanno trascorso anche (o solo) l'infanzia in un grande centro abitato, ricevendo quindi un'educazione urbana, è la corteccia cerebrale anteriore la regione più attiva nella risposta allo stress. Tuttavia, in questi ultimi l'appaiamento funzionale delle due aree cerebrali sembra essere ridotto, come accade nei soggetti con fattori di rischio genetico per la schizofrenia.

Per confermare l'affidabilità dei risultati ottenuti, infine, i ricercatori hanno sottoposto a dei test cognitivi e sociali, in situazione di pressione psicologica, altri due gruppi di individui. “Al di là della salute mentale – spiegano gli scienziati – i nostri dati dimostrano l'esistenza di un legame tra la vita in città e la sensibilità agli stress sociali”.

Fonte: galileonet.it

 

Stop all’indottrinamento religioso nelle scuole!

The Coat of arms of Romania

Le gravi carenze strutturali del sistema di istruzione romeno sono state generate negli ultimi due decenni dagli scarsi finanziamenti erogati, dai programmi e dai libri scolastici non proprio brillanti, dai continui sconvolgimenti del sistema gestito da quasi tutti i ministri dell’educazione in modo brutale, spesso, finanche senza una visione coerente a lunga scadenza.

Una colpa più grande va attribuita al sistema scolastico romeno pre-universitario anche perché i giovani non studiando l’etica non hanno possibilità di conoscere i loro diritti fondamentali o di comprendere il funzionamento della democrazia e diventare così cittadini nel vero senso della parola – persone con coscienza e preoccupazione per il corso della cosa pubblica della polis. La precarietà etica di molti studenti è emersa agli esami di maturità dove, incuranti, hanno provato a copiare in massa. L’assenza di una educazione alla democrazia aumenta la loro riluttanza verso i problemi della polis rendendoli così vulnerabili ai messaggi dell’estremismo politico. Quelle ore di educazione civica e materie facoltative che ogni scuola decide liberamente, da una parte non sono rispettate se non in pochissimi istituti scolastici, e dall’altra, non essendoci un programma uniforme è, perlopiù, un mistero che cosa effettivamente gli studenti facciano in quelle ore.

Ma un altro importante e grave fattore che aggiunge un peso maggiore e con ulteriori  e profonde implicazioni negative per la società è l’insistenza e la grande portata dell’indottrinamento religioso nelle scuole in Romania.

Indottrinamento della religione nelle scuole

E’ allarmante il fatto che generazioni di bambini e giovani siano stati e sono tuttora consegnati, nel nostro Paese, ad un processo ampio e sistematico di distorsione del pensiero e costrette a servire un dogma … Voglio precisare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che sono un adepto dell’insegnamento nelle scuole pubbliche di materie che presentino in modo neutrale le grandi religioni, i punti comuni e le differenze tra queste, del messaggio illuminante per il dialogo e la tolleranza, dell’ecumenismo tra individui e chiese, della storia delle religioni. Ma mi oppongo in modo categorico al modo attuale di indottrinamento religioso romeno che si basa sulla presentazione unilaterale di un particolare culto (ortodosso romeno, ndt)  e screditare gli altri culti o le persone che non sono adepte di una religione. Come  hanno indicato ripetutamente le ONG, il programma e i testi di religione, spesso, coltivato l’intolleranza, il ritualismo e una visione antiscientifica. Proliferano le preghiere per ottenere migliori risultati agli esami e alle prove, il che scoraggia l’impegno effettivo, per la buona riuscita in attesa dell’ “aiuto divino”.

Non si tratta solo del fatto che nelle ore di religione l’evoluzione è posta in una luce distorta e il creazionismo biblico  con i 6 giorni ed Eva “creata” dalla costola di Adamo è inculcato agli studenti, ma, in generale lo spirito scientifico e la capacità di avere un giudizio critico sui problemi hanno un opponente insidioso durante queste ore di indottrinamento religioso…

Il documentario ”Jesus Camp” Nominato agli Oscar per la categoria Best Documentary Feature nel 2007, presenta  in una maniera impressionante le vulnerabilità dei bambini di fronte ai tentativi sistematici di indottrinamento … Bambini normali, sereni e con lo stesso potenziale degli altri, con il tempo possono diventare senza grandi difficoltà partigiani fanatici innocenti di dogmi inculcati a scuola …

 

L’interesse nel formare le coscienze dei bambini a sostegno di una ideologia o dogma è forte in tutti i regimi autoritari e dittatoriali. La storia è uno spettacolo lugubre da questo punto di vista. Dagli eserciti cristiani che ardentemente hanno massacrato non credenti nel nome di Gesù alla Hitlerjugend fino ai giovani comunisti l’indottrinamento delle giovani menti ha prodotto risultati devastanti su queste persone e sulle nostre società. Oggi, anche se non ci troviamo nel bel mezzo di una guerra che richiede le sue legioni di fanatici, l’atmosfera generale in Romania, incluso il punto di vista economico,  sociale e politico, può diventare irrespirabile sotto questo aspetto. Ciò che il film “Jesus Camp” con forza ritrae è essenzialmente ciò che si manifesta, ma amplificato mille volte, nelle scuole pubbliche in Romania. La deriva del sistema educativo romeno verso il fondamentalismo religioso è dimostrata anche dalla cosiddetta “Olimpiade della religione”, che porta a partecipare al concorso circa 40.000 studenti romeni ogni anno. Stiamo assistendo ad una versione molto distorta dell’idea stessa di Olimpiadi per materie come la matematica, la fisica, la biologia, la lingua e la letteratura, ecc. La religione insegnata in modo confessionale non è una disciplina dello stesso genere, non rappresenta l’educazione e non coincide con una disciplina legittima in un sistema educativo moderno, performante, in uno stato laico. Ancor meno non può essere organizzata una Olimpiade di religione se il senso della parola “olimpiade” è mistificato nelle scuole pubbliche …

Una educazione autentica non è quella che anima un dogma o una ideologia in particolare, ma quella che aiuta il bambino a sviluppare una propria corrente di pensiero, in modo autonomo, avendo come riferimenti principii e valori assunti non automaticamente, acriticamente, per indottrinamento, ma in seguito a letture di vari punti di vista, per riflessione, mediante dibattiti che portino insieme una conoscenza approfondita delle cose. Il sistema educativo deve essere in grado di dare ad ogni bambino e giovane la possibilità di potere analizzare e valutare da solo le molteplici situazioni con cui ognuno si confronta.


L’articolo “Stop all’indottrinamento religioso nelle scuole! Romania - l’unico paese ad organizzare le Olimpiadi di religione! Segreto scrupolosamente custodito dal Ministero della Pubblica Istruzione: la religione è, per legge, facoltativa nelle scuole, non opzionale, né obbligatoria“, pubblicato da Remus Cernea sulla romena VoxPublica è stato tradotto, con permesso dell’autore, a cura di Simona C. Farcas per l’Agenzia di stampa EUROITALIA - Bucarest, 13 settembre 2011.

Fonte: http://futuroinsieme.wordpress.com

 

Detail-sclerosi multipla farmaci

Farmaci preventivi, in grado di scongiurare l’insorgenza di nuove lesioni a livello del sistema nervoso e di ritardare lo sviluppo della disabilità: risparmiando sull’assistenza sanitaria e riguadagnando il paziente dal punto di vista produttivo e sociale. Si è parlato di questo oggi Roma in occasione dell’incontro promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute sul tema dell’accesso sostenibile all’innovazione, prendendo come caso simbolo quello della sclerosi multipla. L’innovazione terapeutica però sarà veramente tale solo se coinvolgerà tutte le regioni italiane, nelle stesse modalità e con gli stessi tempi, recuperando il ritardo accumulato in termini di disparità di accesso alle cure esistente oggi sul territorio nazionale.

Come ha infatti dichiarato Federico Spandonaro, docente di Economia Sanitaria all’Università di Roma Tor Vergata: “Nel nostro paese il 9% dei pazienti in cura per la sclerosi multipla viene trattato con i farmaci più innovativi: un dato che varia molto nelle diverse regioni, con punte al di sotto della media nazionale, per esempio in Campania, con il 4,7%, in Sicilia, con il 7,8%, in Toscana, con il 5,6%, in Veneto, con il 6,5%, in Emilia Romagna e nelle Marche, dove rispettivamente si ha il 7,2% e il 7,3%”. Alla base di queste diseguaglianze non ci sarebbero fattori epidemiologici, quanto piuttosto difficoltà derivanti dal misurare e riconoscere l’innovazione, come ha sottolineato Spandonaro: “Un problema che si manifesta al momento dell’introduzione di un nuovo farmaco. Per esempio, il primo anticorpo monoclonale per la sclerosi multipla (il natalizumab, ndr) ha segnato un ritardo che, a seconda delle regioni, è stato di due fino a dodici mesi, come accaduto in Sicilia”.

E la disparità nell’accesso alle cure non riguarda soltanto i farmaci. È il caso del Friuli Venezia Giulia, regione che ha risposto alla circolare 1685 del Ministero della Salute - quella secondo cui la CCSVI (vedi Galileo) non può considerarsi una patologia, quindi non operabile dal Servizio Sanitario Nazionale - sospendendo gli interventi di disostruzione venosa nelle aziende ospedaliere universitarie di Trieste e Udine. A denunciare quanto accaduto nel Friuli Venezia Giulia e a chiedere il ripristino degli interventi, è il consigliere del PD Paolo Menis, portavoce delle associazioni di pazienti locali che per ricorrere all’operazione oggi si recano in altre regioni, spesso anche oltre confine.
 
Fonte: galileonet.it

 

Utilizzare il movimento del corpo come motore per produrre energia è un processo noto già da anni; la discoteca che si illuminava sfruttando la pressione esercitata sul pavimento di chi ballava in pista, ne è l’esempio principale. Su questa scia sono nati negli anni nuovi progetti.

La stessa ditta produttrice della Sustainable Dance Club sta sperimentando, ad esempio, a Tolosa in Francia un nuovo dispositivo per produrre energia dal movimento dei pedoni.

Il progetto consiste nel dotare i marciapiedi di una serie di tavolette che, sollecitate dal peso dei passanti, generano elettricità che viene immagazzinata in una batteria ed utilizzata per l’illuminazione pubblica.

Tolosa punta a divenire in questo modo una delle prime città in grado di riciclare l’attività urbana trasformandola in energia elettrica.

Un progetto simile è stato implementato anche in una stazione ferroviaria di Londra, nella quale è stato installato, sotto la banchina, un sistema per raccogliere e sfruttare l’energia prodotta dal transito dei pendolari.

Non finisce qui. In cantiere ci sono altre idee e iniziative in grado di produrre energia sfruttando il traffico autostradale grazie all’installazione di generatori, sotto l’asfalto, che utilizzando la pressione esercitata dal passaggio dei veicoli.

In Giappone, a Tokyo, per esempio, sul ponte Goshiki-Zakura-Ohashi sulle rive del fiume Arakawa, dove sono stati istallati una serie di piccoli generatori in grado di trasformare le micro vibrazioni prodotte dalle auto.

Questo impianto segue il principio delle casse acustiche che danno origine a suoni partendo da impulsi elettrici che generano vibrazioni, ma invertendo questo processo. I dispositivi installati sul ponte catturano le vibrazioni e le trasformano in energia.
Al momento l’elettricità prodotta è sufficiente a coprire solo il fabbisogno del ponte ma si sta già pensando di installare su altri il medesimo impianto.

La speranza è che queste idee non restino isolati tentativi ma diventino soluzioni condivise in ogni parte del mondo, per sfruttare energia che altrimenti andrebbe perduta.

Fonte: plef.org

 

Detail-pillola-dei-cinque-giorni-dopo

Il Consiglio Superiore di Sanità (CSS) ha dato parere positivo all'introduzione in Italia della cosiddetta "pillola dei cinque giorni dopo", in accordo con quanto avevano decretato l’Agenzia europea del farmaco (EMA) nel marzo 2009 e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense a giugno 2010. Il farmaco è a base di un antiprogestinico, l'ulipristal, che inibisce o ritarda l’ovulazione impedendo quindi, nei 5 giorni dopo un rapporto a rischio, che i gameti si incontrino e che avvenga la fecondazione.

Per il Consiglio – a cui l’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) aveva chiesto un parere prima di procedere con la regolamentazione della vendita del medicinale – l’azione svolta dal farmaco è contraccezione d'emergenza, e non aborto farmacologico. È quindi compatibile con la legge 194, che regola l’interruzione di gravidanza in Italia, purché si accerti con apposito test che la donna non sia già incinta. In pratica, le donne che vorranno ricorrere alla pillola dei 5 giorni dopo dovranno prima sottoporsi al test delle beta HCG; se questo sarà negativo, munite di ricetta medica, potranno recarsi in farmacia e comprare la pillola. Quando? A questo punto dipende dall’AIFA, che deve stabilire tempi e modi della commercializzazione.

L’azienda francese che produce la pillola, HRA Pharma, ha presentato domanda di registrazione all’ente italiano già nell’agosto 2009 e nel frattempo ha iniziato a venderla in 21 paesi europei, oltre che negli Usa e in Canada.

Il parere del CSS arriva a pochi giorni dalla pubblicazione del documento a firma delle società scientifiche italiane di contraccezione in cui si ribadisce che la pillola del giorno dopo non è un farmaco abortivo (vedi Galileo).

Fonte: galileonet.it

 
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