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" LA SICILIANA RIBELLE " LA RECENSIONE
By Admin (from 06/08/2010 @ 10:55:11, in it - Video Alerta, read 1619 times)

Anni ‘80. Rita ha 12 anni quando assiste all’uccisione del padre, Don Vito Mancuso (Marcello Mazzarella), per mano di un boss mafioso rivale in affari. A distanza di alcuni anni anche il fratello viene ucciso, così la ragazza (Veronica D’Agostino), all’età di 17 anni, decide di diventare collaboratrice di giustizia, mettendosi contro la mafia e l’intero paese nel quale ha vissuto la sua adolescenza.

Il regista Marco Amenta dirige un autentico trattato antimafia che si ispira alla vera storia di Rita Atria, collaboratrice di giustizia del giudice Borsellino, suicidatasi una settimana dopo l’attentato mortale al magistrato per opera di Cosa Nostra.

Sebbene con nomi fittizi e libere interpretazioni, la sceneggiatura trae le sue colonne portanti dai fatti reali che emersero in uno dei più importanti processi degli anni’90. Partendo dal motivo scatenante, l’omicidio di Don Vito, Amenta fa apparire la decisione di Rita di collaborare con lo Stato come una sorta di vendetta meditata per anni e nei confronti di un uomo solo, Don Salvo, il quale commissionò quel delitto.
Nel film ci sono vari spunti di riflessione e diverse scene che simbolicamente o direttamente indagano nell’universo mafioso attraverso la sua inesorabile evoluzione. Nella prima sequenza, ad esempio, la piccola Rita sporca le lenzuola bianche stese sul tetto scrivendoci un saluto al padre con la passata di pomodoro: se ne evince un significato chiaro, metaforico, un presagio di color vermiglio che annuncia i drammi che si susseguiranno da lì a poco intaccando l’innocenza e i sogni giovani della bambina.

Sotto un profilo politico, poi, il delitto di Don Vito prima e quello del maresciallo dopo sanciscono una vera e propria guerra tra Stato e Cosa Nostra, a cominciare dall’ascesa agli inizi degli anni ‘80 con la droga posta come nuovo oggetto di commercio malavitoso. La mafia cambia connotazione e si configura non più come movimento legato ai cosiddetti “uomini d’onore”, bensì come associazione a delinquere finalizzata a grandi interessi di natura economica e politica.

Gli epicentri della sua camaleontica trasformazione sono rilevabili nei piccoli paesi della Sicilia, in cui la realtà poggia tragicamente su questioni dettate dal timore nei confronti del potere violento e occultate dalle consuetudini omertose ed effimere adottate dalla gente comune, nata e cresciuta in un clima corrotto e precario.

Rita abbraccia non senza difficoltà la causa di giustizia, pur conservando principalmente una mentalità plasmata dalle gesta del padre e dalla rabbia del fratello, le due figure pseudo educative seguite dalla ragazza.

Il rapporto fra giudice e collaboratrice viene coltivato lentamente, passando dall’ostilità reciproca alla comprensione che sposa il buon senso, quello del dovere. Entrambi i due caratteri, che si possono dire “istituzionali”, si prendono i propri rischi, convivendo con la paura che condiziona pesantemente la loro esistenza e il loro viver civile.

Rita, pervasa dalle turbolenze della propria età, abbandonata dalla madre e ripudiata dai compaesani, costretta a muoversi in un limbo minaccioso, morirà suicida ma vittoriosa, dichiaratasi nemica della mafia a seguito delle sue pregresse sofferenze. Amenta specifica l’approssimativa trattazione dei personaggi mostrando sul finale immagini di repertorio riguardanti il funerale di Rita e titoli di coda esaustivi in tal senso.

Questa cronaca di una morte annunciata rappresenta una decisa denuncia verso la mafia, ma anche nei confronti di uno Stato spesso incapace di fronteggiare situazioni dalle quali scaturiscono stragi e ambigue implicazioni. “La siciliana ribelle” è stato giudicato il miglior film al festival di Roma. ( Fonte: cinemalia.it)

Autore della recensione: Samuele Paquino

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

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