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" INVICTUS " LA RECENSIONE
By Admin (from 28/07/2010 @ 15:47:32, in it - Video Alerta, read 2435 times)

Nulla può meglio mettere in luce gli intenti sociologici di Clint Eastwood come regista,del suo ultimo "Invictus",dramma storico dalle valenze altamente creative,elemento quantomeno estraneo nell'orizzonte produttivo dell'attuale studio system americano.

In tutta la sua carriera di attore e regista ed in particolare nei due ultimi decenni della sua produzione artistica,Eastwood ha elaborato e sviscerato una molteplicità di tematiche di spessore non prettamente divulgativo,mescolando,come in questo film,un messaggio sociale e una lezione storica in un componimento biografico esposto con una fluidità narrativa che non lascia posto ad alcun ricorso a raffinati artifici tecnici ma semplicemente limitarsi a raccontare una storia.

Eastwood è passato dalla citazione dell'intransigenza razziale seguita da una presa di coscienza,("Gran Torino"),al clima sessista innervato nei rigori del pregiudizio maschile ("Million Dollars Baby"),dallo scottante tema dell'intervento sul malato terminale,all'eredità dei valori della tradizione ("Flags of Our Fathers"),dal recupero dell'equilibrio morale ("Gli spietati"),alla eroica ma ancor più tragica inchiesta sulla natura del comando ("Letters From Iwo Jima").

"Invictus" è un dramma su Nelson Mandela (Morgan Freeman),sul dopo apartheid sud africano e sullo sport del rugby,ambientato in un momento storico che vede il Capo di Stato appena eletto assumere una posizione nei confronti del suo Paese così decisa e rischiosa,da essere altamente criticata perfino dal suo organico governativo al punto di essere egli stesso considerato fautore e responsabile del suo suicidio politico.

Il film,ispirato al romanzo di John Carlin "Playing the Enemy" racconta della condizione sociale del Sud Africa nel 1995,dopo l'elezione di Mandela,primo presidente di colore nella storia del suo Paese.
Molti bianchi nazionalisti Afrikaner restavano ancora simpatizzanti per un sistema che condizionava i neri in una in uno stato di povertà ed oppressione,mentre i seguaci del neo presidente auspicavano un riscatto da decenni di umiliazione subiti nel clima dell'apartheid,ricetta ideale per una instabilità sociale ed il disastro politico.

Mandela aveva un compito estremamente delicato da svolgere : mantenere l'equilibrio della nuova e fragile condizione democratica del Paese. Salendo al potere dopo ventisette anni di carcere,Mandela è già una figura leggendaria ed un idolo per il Sud Africa e per tutte le nazioni che da lui sperano un giro di volta del suo Stato.

Il capo di Stato sente che la sua celebrità è ingombrante ed un fardello pesante da portare,ma è anche una forte risorsa da utilizzare come mezzo politico. La sua maggiore preoccupazione nei confronti dei suoi fedeli è quella di riuscire a trovare il prestigio morale che possa condurlo ad una intesa,un atto di mediazione con i bianchi che lo consideravano un terrorista ed un usurpatore delle tradizioni ed una minaccia ai valori fondamentali del Paese.

Nell'incipit del film,Mandela,appena uscito di prigione,passa fra due campi di gioco.
Fin da questa scena si inquadra lo spirito che animerà l'intera pellicola di Eastwood.
Sono sequenze fluide,ma fitte dell'intenso significato che darà corpo a tutta la narrazione che segue. Forse la più bella sequenza del film.

Da una parte i neri sudafricani interrompono la partita per salutare ed inneggiare all'uomo dei sogni,dall'altro lato della strada i bianchi giocano a rugby ed il loro coach apostrofa Mandela indicandolo come il terrorista a causa del quale il Paese andrà in rovina (“Ricordate questo giorno,ragazzi,è il giorno che il nostro Paese andrà in pasto ai cani”).

Qui Eastwood non evidenzia una differenza di razze e due diverse discipline sportive.
Piuttosto il regista sottolinea trasversalmente come nel corso degli anni la squadra nazionale di rugby degli Springboks fu identificata come il simbolo della condizione dell'apartheid sudafricano,al punto da portare i neri a tifare per qualsiasi altra squadra possa incontrarli nei tornei internazionali.

Il regista e lo sceneggiatore Anthony Peckman raccontano con una metafora la spaccatura sociale di una nazione lacerata da profonde contese razziali e la possibilità che lo sport possa essere il mezzo e la strategia per colmare l'abisso fra le due parti e riportare l'equilibrio nel Paese.

L'ambizioso piano di Mandela è quello di far leva sull'immagine della squadra nazionale,per volgerne il gioco a suo favore,coinvolgendo il capitano Afrikaner Francois Pienaar (Damon) a sostenere la sua causa:conciliare le aspirazioni dei neri con le paure dei bianchi.

Lo sforzo di Francois per mantenere il controllo della sua squadra ed i suoi tentativi di persuasione verso i giocatori scettici e perplessi di fronte a questa nuova realtà,rappresentano un microcosmo del disegno più vasto di Mandela,che si spalanca sulla condizione politica della sua nazione.
Alla fine i due si troveranno uniti,condividendo i versi del poema vittoriano che dà titolo al film.

Eastwood allunga lo sguardo oltre il politico;fa luce sulla sofferenza e malinconia di un uomo solo,cui manca l’affetto ed il sostegno di una famiglia,una moglie solo citata nel film ed una figlia prigioniera di un rancore cui non viene data spiegazione.

Alla guardia che gli domanda come sta la sua famiglia,Mandela risponde che la sua famiglia è molto numerosa ed è costituita da quarantadue milioni di persone.

Eastwood si ispira a John Carlin nel suo “Playing The Enemy” e ne cita il contenuto quando fa dire a Freeman che “…in prigione occorreva che studiassi i miei nemici,per poter prevalere su di essi;non sono più i nostri nemici,ma i nostri fratelli sudafricani”.

In un’altra scena Damon si chiede come “si faccia a passare trent’anni in galera ed essere pronto a perdonare chi ti ci ha rinchiuso”.

Mandela sta dunque mettendo in atto il suo progetto della Nuova Nazione Arcobaleno,fondandola sulla riconciliazione e il perdono “…che libera l’anima e cancella la paura”.

Tutto il film è permeato della creatività di ampio respiro e della ricca pacatezza narrativa che contraddistinguono le opere di Eastwood “Gli spietati”,”Gran Torino”,pur restando leggermente sotto tono rispetto a questi ultimi.

Nel ritmo quieto della narrazione il regista innesta il dinamismo di una vivace storia sportiva,innervata nell’articolata complessità politica di uno Stato e dell’uomo che ne ha preso le redini in mano,”perché non debba più subire l’oltraggio di essere lo scarico del mondo”.

Eastwood è magistrale nel far confluire idealismo nazionalista con proiezioni politiche,status razziale ed aspirazioni sociali nell’essenzialismo di un contesto sportivo,senza impoverire il contenuto del suo messaggio.

In “Invictus” il filmaker non fornisce un racconto di persone,scavando nelle rispettive realtà famigliari o tracciandone il profilo delle condizioni esistenziali.

Nel suo poema scritto nel 1875,William Henley riversa l’amarezza e la tragicità di una vita di sofferenze fisiche e malattie da cui lo scrittore ripara all’ombra di una profonda soluzione introspettiva.
“Invictus” è un film sulle psicologia umana raccontato in forma di parabola ad esprimere nell’allegoria di un’attività sportiva l’ostinazione che l’uomo può trovare in sé stesso per raggiungere la realizzazione dei propri ideali visti concretizzati – quasi contraddizione in termini -nella formazione dell’unità dei valori e delle persone per le quali una vita vale la spesa di essere vissuta (“Io sono il capitano del mio destino ed il padrone della mia anima”). ( Fonte. cinemali.it)

Autore della recensione : Francesca Caruso

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli