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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Mi chiamo Mina e nel lontano 1980 ho sposato Piergiorgio, Piergiorgio Welby, un uomo affetto da distrofia muscolare.

Piergiorgio prima di morire mi ha detto: “Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.”

Queste e altre parole contro l'accanimento terapeutico e per il diritto all'eutanasia Piergiorgio le pronunciava in un discorso del settembre 2006 al Presidente Napolitano. Un discorso, fatto dal letto al quale era inchiodato, in cui aggiungeva: “Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude”.

In Italia, chi aiuta un malato terminale a morire - come un genitore o un figlio che vuole smettere di soffrire - rischia fino a 12 anni di carcere. Il diritto costituzionale a non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la nostra volontà è costantemente violato.

Il 13 settembre 2013 abbiamo consegnato in Parlamento una legge di iniziativa popolare che regola l'eutanasia e il testamento biologico.

Oggi chiedo, in memoria di Piergiorgio e per il diritto di tutti, la calendarizzazione in aula della proposta di legge sull’eutanasia e il testamento biologico.

Piergiorgio amava la vita, ma per lui la vita era altro dall'essere condannato a stare inchiodato a un letto. Se anche per te la vita è un’altra cosa, aiutaci firmando la petizione.

Mina Welby via Change.org

 
Firma la petizione

 

C'è condanna e condanna: per me quei quattro mesi per la rottura "di quei sigilli violati dal vento" (come avrebbe cantato Modugno) sono una MEDAGLIA AL VALORE CIVILE.

Perché non sempre la "giustizia" coincide con la "legalità" (il Mahatma Gandhi lo sapeva bene e pure Sandro Pertini lo sperimentò duramente).

Grazie Beppe per il sostegno alla lotta NO TAV della Val Susa.  (3 Mar 2014 - beppegrillo)

La Procura di Torino, in Italia,  ha chiesto di condannare a nove mesi di reclusione Beppe Grillo al termine di un processo legato a una delle dimostrazioni dei No Tav in Val di Susa. I pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, della procura di Torino, hanno chiesto anche la condanna a pagare 200 euro di multa. Il reato è la violazione di sigilli per un episodio legato alla costruzione di una baita-presidio dei No Tav in Valle di Susa. I due pm, nella proposta di conteggio della pena, hanno applicato la recidiva in riferimento a una precedente condanna per diffamazione.

Beppe Grillo era salito in Valle di Susa il 5 dicembre 2010 durante una manifestazione dei No Tav. Davanti alla baita ancora in costruzione improvvisò un breve comizio e si fece accompagnare all’interno del locale. In precedenza il comandante dei carabinieri della compagnia di Susa lo aveva informato che se avesse varcato la soglia della casetta avrebbe commesso un reato. Dopo qualche minuto Grillo uscì e, davanti alle telecamere, mimò di avere i polsi ammanettati.
Il processo vede imputate 21 persone per violazione di sigilli. Sono state chieste quattro assoluzioni e, per il resto, condanne fra i 18 e i 6 mesi di reclusione. (07 Feb 2014 - gdp)

 
Molti anni fa una giornalista americana, Judith Harris, del Reader's Digest, mi chiese quale fosse la differenza tra Brigate rosse e mafia. Senza pensarci due volte risposi: le Br sono contro lo Stato, la mafia è con lo Stato. E spiegai che la capacità della mafia è di intessere legami stretti con le istituzioni - politica, magistratura, servizi segreti - a tutti i livelli. Con le buone o le cattive maniere. Chi resiste, come Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, viene eliminato, senza pietà. Collante tra mafia e Stato è da sempre la massoneria.



Questo sistema di legami, che risale alla strage di Portella delle Ginestre, non si è mai interrotto nel corso degli anni, anzi si è rafforzato ed è diventato più sofisticato. Ma molti hanno fatto finta che non esistesse. Complice la stampa manovrata da potenti lobbies economiche.

Da qualche tempo è affiorato, nelle indagini sulle stragi mafiose del 1992, il tema della possibile trattativa avviata da Cosa Nostra tra lo stato e la mafia dopo la strage di Capaci, per indurre le istituzioni ad accettare le richieste mafiose: questo sarebbe il movente della uccisione di Borsellino. Non ho dubbi che le cose siano andate proprio in questo modo. Ma per capire quello che si è verificato ai primi anni ‘90, occorre uno sguardo verso il passato. Partendo dall'assassinio di Aldo Moro e da ciò che lo precedette e lo seguì.


Con la riforma del 1977, che istituì il Sismi ed il Sisde, i primi atti del presidente del consiglio Giulio Andreotti e del ministro dell'interno Francesco Cossiga furono la nomina ai vertici dei servizi segreti di Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, due generali affiliati alla P2 di Licio Gelli: che già allora era legato a Totò Riina, il capo di Cosa Nostra. Furono diversi mafiosi a rivelare questo collegamento tra Gelli e Riina.aldo_moro_rapimento

I servizi segreti di quel tempo non persero tempo: strinsero patti scellerati con Pippo Calò e la banda della Magliana, contro la quale, senza rendermene conto, fin dal 1975 avevo cominciato ad indagare, assieme al pm Vittorio Occorsio: con lui trattavo alcuni processi per sequestri di persona, tra cui quelli di Amedeo Ortolani, figlio di Umberto, uno dei capi della P2, di Gianni Bulgari e di Angelina Ziaco; sequestri che vedevano coinvolti esponenti della Magliana, della P2 e del terrorismo nero. Tra gli affiliati alla loggia di Gelli c'era un noto avvocato penalista, riciclatore del denaro dei sequestri, che poi venne stranamente assolto dopo che Occorsio aveva dato parere contrario alla sua scarcerazione.


Di quella banda facevano parte uomini come Danilo Abbruciati, legati alla mafia ed ai servizi segreti. Occorsio, che aveva scoperto l'intreccio tra la strage di Piazza Fontana, l'eversione nera e la massoneria, venne assassinato l'11 luglio 1976. Per l'attentato fu condannato Pier Luigi Concutelli, che risultò iscritto alla loggia Camea di Palermo, perquisita da Falcone.

La mia condanna a morte fu pronunciata, probabilmente dalla stessa associazione massonica, subito dopo che fui incaricato di istruire il caso Moro, in cui apparvero uomini della mafia guidati da Calò, i capi dei servizi manovrati dalla banda della Magliana e politici amici di Gelli. A raccontarlo al giudice Otello Lupacchini fu il mafioso Antonio Mancini; costui disse che verso la fine del 1979 o i primi del 1980, avendo fruito di una licenza dalla Casa di lavoro di Soriano del Cimino, non vi aveva fatto rientro; in occasione di un incontro conviviale in un ristorante di Trastevere, l'Antica Pesa o Checco il carrettiere, cui aveva partecipato assieme ad Abbruciati, a Edoardo Toscano, ai fratelli Pellegrinetti, a Maurizio Andreucci e a Claudio Vannicola, mentre si discuteva del controllo del territorio del Tufello per il traffico di stupefacenti, si parlò «di un attentato alla vita del giudice Ferdinando Imposimato».

«Dal discorso si capiva che non si trattava di un'idea estemporanea: era evidente che erano stati effettuati dei pedinamenti nei confronti del magistrato e della moglie; che erano stati verificati i luoghi nei quali l'attentato non avrebbe potuto essere eseguito con successo; si era stabilito che comunque non si trattava di un obiettivo impossibile, per carenze della sua difesa nella fase degli spostamenti in auto: il luogo in cui l'attentato poteva essere realizzato era in prossimità del carcere di Rebibbia dove la strada di accesso all'istituto si restringeva e non vi erano presidi militari di alcun genere».

Proseguiva Mancini: «Quando sentimmo il discorso che si fece a tavola, io e Toscano pensammo che l'attentato dovesse essere una sorta di vendetta per l'impegno profuso dal magistrato nei processi per sequestri di persona da lui istruiti e che avevano visto coinvolti i commensali, i quali parlavano del giudice Imposimato definendolo “quel cornuto che ci ha portato al processo”. Successivamente, parlando dell'attentato ai danni del giudice Imposimato, Abbruciati mi spiegò che, al di là delle ragioni personali che pure aveva, aveva ricevuto una richiesta in tal senso “da personaggi legati alla massoneria”, dei quali il giudice Imposimato aveva toccato gli interessi».strage-via-fani

In seguito, durante le indagini su Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli, il procuratore della Repubblica di Perugia accertò che alla riunione, nel corso della quale si parlò dell'attentato alla mia persona, avevano partecipato due uomini dei servizi segreti militari italiani di cui Mancini fece i nomi: essi furono incriminati e rinviati a giudizio per favoreggiamento. In seguito i due mi avvicinarono dicendomi che loro «non c'entravano niente con quella riunione» e che «evidentemente c'era stato uno scambio di persone da parte di Mancini, altri due uomini del servizio erano coloro che avevano preso parte a quell'incontro in cui venne annunciata la condanna a morte».

Ovviamente non fui in grado di stabilire chi fossero i due agenti dei servizi. Restava il fatto che c'era stato un summit tra agenti segreti e mafiosi per decidere di eliminare, per ordine della massoneria, un giudice che istruiva due processi “scottanti”: quello sulla banda della Magliana e il processo per la strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Moro. Né io potevo occuparmi di una vicenda che mi riguardava in prima persona come obiettivo da colpire.

Ma nessuno - tranne Falcone, che seppe, mi sembra da Antonino Giuffrè, che Riina aveva avallato l'assassinio di mio fratello - si preoccupò di stabilire chi dei servizi avesse partecipato al summit in cui era stato annunciato l'imminente assassinio del giudice che in quel momento si stava occupando del caso Moro. Processo in cui, trenta anni dopo, venne alla luce il ruolo determinante della massoneria, della mafia e della politica.


In quel periodo non mi occupavo solo di sequestri di persona, ma anche del falso sequestro di Michele Sindona, altro uomo della P2, e dell'assassinio di Vittorio Bachelet, dei giudici Girolamo Tartaglione e Riccardo Palma e, naturalmente, del caso Moro; ed avrei accertato, dopo anni, che della gestione del sequestro Moro si erano occupati, nei 55 giorni della prigionia, i vertici dei servizi segreti affiliati alla P2 e legati alla banda della Magliana. Ma tutto questo all'epoca non lo sapevo: la scoperta delle liste di Gelli avvenne nella primavera del 1981. Ciò che è certo è che il capo del Sismi, Santovito, piduista, era nelle mani di uomini della Magliana, articolazione della mafia a Roma. E dunque il racconto di Mancini era vero in tutto e per tutto.

Qualcuno voleva evitare che la mia istruttoria su Moro e quella sulla banda della Magliana mi portassero a scoprire il complotto politico-massonico che, con la strumentalizzazione di sanguinari ed ottusi brigatisti, aveva decretato l'assassinio di Moro per fini che nulla avevano a che vedere con la linea della fermezza.

Il disegno di costringermi a lasciare il processo sulla Magliana e quello sulla strage di via Fani riuscì, ma non secondo il piano dei congiurati. La mia uccisione non ebbe luogo per le precauzioni che riuscii a mettere in atto, ma nel 1983, nel pieno delle indagini su Moro, venne ucciso mio fratello Franco da uomini della mafia manovrati da Calò: gli stessi che avevano eseguito la vergognosa messinscena del 18 aprile 1978, ossia la morte di Moro nel lago della Duchessa. Era evidente come il Sismi, che si era servito del mafioso Antonio Chichiarelli per preparare il falso comunicato, erano tutt'uno con la mafia, della quale si servivano per compiere operazioni sporche di ogni genere, compresa quella del lago della Duchessa, che provocò una reazione violenta delle Br contro Moro, divenuto “pericoloso”.

A distanza di 30 anni dal processo Moro e di 26 anni dall'assassinio di mio fratello Franco - assassinio che mi costrinse a lasciare la magistratura e tutte le mie inchieste - ho avuto la possibilità di scoprire quali fossero le ragioni del progetto criminale contro di me: impedirmi di conoscere il complotto contro Moro. Non era una trattativa tra Stato e mafia, ma un vero e proprio accordo tra servizi, mafia e massoneria, che, con la benedizione dei politici, sancì prima la eliminazione di Moro e poi la mia esecuzione: la quale fallì, ma si ritorse contro mio fratello Franco, il quale prima di morire, mi chiese di non abbandonare le indagini. Il risultato fu che dopo quel barbaro assassinio fui costretto ad abbandonare tutte le inchieste sulla mafia e sui legami tra mafia, massoneria e stragismo. E nel 1986 dovetti rifugiarmi alle Nazioni Unite.


Durante le indagini che io conducevo a Roma sul falso sequestro Sindona, Falcone a Palermo per associazione mafiosa, e Turone e Colombo a Milano per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, venne fuori a Castiglion Fibocchi, nella villa di Gelli, l'elenco degli iscritti alla P2. Enorme fu la sorpresa degli inquirenti: comprendeva i capi dei servizi segreti italiani e del Cesis, l'organismo che coordinava i servizi, e di quelli che facevano parte del Comitato di crisi del Viminale. Quel comitato che era stato istituito da Cossiga con l'avallo di Andreotti.

Dopo la scoperta, venne decisa dal ministro Virginio Rognoni l'epurazione degli uomini di Gelli dai servizi e dal ministero dell'interno; ma di fatto non fu così. La Loggia del Venerabile mantenne il controllo sui servizi segreti, come ebbe modo di accertare la Commissione parlamentare sulla P2; e le deviazioni continuarono, con la complicità dei vari governi che si susseguirono. La corruzione dei politici di governo, le intercettazioni abusive su avversari politici, giornalisti e magistrati, i ricatti fondati su notizie personali sono stati una costante della vita dei servizi (la vicenda Pollari-Pompa docet) senza che mai i responsabili abbiano pagato per le loro colpe.

Oggi è riesplosa sulla stampa, per pochi giorni, la storia legata alla morte di Borsellino, subito silenziata dai mass media.Via_DAmelio_dopo_lattentato_a_Paolo_Borsellino La magistratura di Caltanissetta ha riaperto un vecchio processo che collega la sua tragica morte a moventi inconfessabili legati a menti raffinate delle stesse istituzioni. L'ipotesi investigativa prospetta la possibilità che Borsellino sia rimasto schiacciato nell'ingranaggio micidiale messo in moto da Cosa Nostra e da una parte dello Stato in sintonia con la mafia, allo scopo di trattare la fine della violenta stagione stragista in cambio di concessioni ai mafiosi responsabili di crimini efferati come la strage di Capaci.

Si trattava di una vergogna, un'offesa alla memoria di Falcone ed ai cinque poliziotti coraggiosi morti per proteggerlo. Salvatore Borsellino dice che le prove di questa ricostruzione erano nell'agenda rossa sparita del fratello Paolo, il quale, informato di questa infame proposta, probabilmente ha reagito con sdegno e rabbia: sapeva che lo Stato voleva scendere a patti con gli assassini. Di qui la decisione di accelerare la sua fine.

Ricordo che in quel tragico luglio del 1992, poco prima della strage di via D'Amelio, ero alla Camera dei deputati dove le forze contigue alla mafia erano ancora prevalenti e rifiutavano di approvare la norma voluta da Falcone, da me e da molti altri magistrati antimafia: la legge sui pentiti e il 41 bis. Nonostante la morte di Falcone, non c'era la maggioranza. Fu necessaria la morte di Borsellino per il suo varo. E oggi la si vuole abrogare.

L'aspetto più inquietante riguarda il ruolo di un ufficio situato a Palermo nei locali del Castello Utveggio, riconducibile ad attività sotto copertura del Sisde, entrato nelle indagini per la stage di via D'Amelio dopo la rivelazione della sua esistenza avvenuta durante il processo di Caltanissetta ad opera di Gioacchino Genchi. Al numero di quell'ufficio dei servizi giunse la telefonata partita dal cellulare di Gaetano Scotto, uno degli esecutori materiali della strage di via D'Amelio. Mi pare ce ne sia abbastanza per ritenere certo il coinvolgimento di apparati dello Stato.

Tratto da La Voce delle Voci di Settembre 2009

Dopo la condanna di Marcello Dell'Utri sembrano schiarirsi i contorni di una trattativa Stato-Mafia che ha impedito, per lunghissimi anni, di scoprire la verità sui delitti Falcone e Borsellino e sulle bombe del '93-'94. Ferdinando Imposimato, un protagonista di quegli anni della storia italiana, ripercorre le tappe del patto scellerato.


Fonte: infiltrato.it
 

La storia del nudismo risale a settant’anni fa. I vestiti sono un‘invenzione relativamente nuova nella nostra storia e secondo gli archeologi, iniziammo a coprirci, quando iniziammo ad emigrare a zone più fredde, circa 40.000 anni fa. Addirittura le Olimpiadi originarie (istituite nel 776 a.C.) erano eventi nudisti. Gli atleti potevano così muoversi più facilmente. Apparentemente quello che si sapeva nell’antica Grecia è stato poi dimenticato: girare nudi è una vera e propria celebrazione del corpo ed è una sensazione bellissima, almeno quando splende il sole e fa caldo.

Malaga, famosa per godere di uno dei migliori climi europei, conta con varie spiagge dove potrete pendere il sole, nuotare, dormire, chiacchierare con il vostro vicino di ombrellone o leggere, nudi come un angioletto. Ecco un breve elenco delle migliori spiagge nudiste che ci sono…

A soli dieci minuti dal centro di Malaga, troverai la spiaggia Guadalmar, l’unica spiaggia naturista autorizzata della città che conta con un ambiente familiare e un lungo litorale sabbioso. Vieni a passare il pomeriggio in relax per poi goderti una squisita cena in città.

Se vuoi passare un po’ di tempo in un ambiente ancora più naturale, vi consigliamo la Cala del Pino, un vero gioiello nei pressi di Nerja. Questa spiaggia nascosta tra alte scogliere conta con un mare limpidissimo.
C’è poi la famosa Playa de Almayate, una spiaggia semi-urbana a Torre del Mar, a Vélez-Málaga. Qui il nudismo è di consuetudine la spiaggia è frequentata da vari tipi di persone. Proseguendo per la costa troverai molte altre spiagge, come la spiaggia nudista di Arroyo Vaquero a Estepona las Yucas, Benalmádena; Cabo Pino, a Marbella e quella d’Almayate a Torre del Mar. Vale la pena esplorare un po’ la zona per trovare il tuo proprio paradiso. Per riposarti, affitta appartamenti a Malaga, togliti le scarpe (e tutto il resto) e goditi le bellissime spiagge nudiste della Costa del Sol.

Fonte: whattovisitinmalaga.com

WIE VAN DE DRIE

Miranda | Angelica | Connie

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La città di Rovigno, in Croazia, è balzata di recente alle cronache per essere diventata ufficialmente un 'paradiso swinger e gay'. I naturisti e gli scambisti si davano appuntamento in sordina già da tempo, ma solo da pochi giorni una società russa ha deciso di investire in Internet e di lanciarla tra gli amanti degli scambi di coppia. La spiaggia si trova per la precisione tra il Colle di Monsena e la zona protetta di Punta Cristo e la cosa sta già facendo discutere.

La località più famosa per gli scambi di coppia però resta sempre Cap d'Agde, nel Sud della Francia. E' una normale meta turistica di mare, dove chiunque può trascorrere le proprie vacanze, ma ospita uno dei più grandi villaggi naturisti d'Europa, frequentati tranquillamente anche da famiglie con bambini che hanno fatto del nudismo uno stile di vita. Il villaggio è completmanete recintato e inaccessibile dall'esterno all'occhio indiscreto dei curiosi. Tuttavia all'interno del villaggio pare ci sia una zona della spiaggia frequentata da chi pratica scambi di coppia. Persone che continuano, alla luce del sole, le pratiche svolte in un particolare hotel con tanto di piscina e discoteca dove, secondo quanto documentato dal programma Tv Le Iene, sembra succeda di tutto.

In rete si trovano rumor anche a proposito di una spiaggia in Italia dove si praticherebbe lo scambio di coppia. Si tratta di Campomarino Lido, in provincia di Campobasso. Una spiaggia bellissima coperta di dune di sabbia naturali, dalla quale si può ammirare lo spettacolo delle Isole Tremiti. Se qualcuno avesse voglia di andare a verificare...

Fonte: virgilio.it

 

L’Ungheria sta facendo la storia.

Mai più dagli anni ’30 con il caso della Germania un paese europeo aveva osato sfuggire alle grinfie dei cartelli bancari internazionali controllati dai Rothschilds. Questa è una notizia stupenda che dovrebbe incoraggiare i patrioti nazionalisti del mondo intero ad intensificare la lotta per la libertà dalla dittatura finanziaria.

Già nel 2011 il primo ministro ungherese,  Viktor Orbán promise di ristabilire la giustizia sui predecessori socialisti che avevano venduto il popolo della nazione alla schiavità di un debito infinito con i vincoli del FMI (IMF) e lo stato terrorista d’Israele. Queste amministrazioni precedenti erano infiltrate da israeliani nelle alte cariche, in mezzo al furore delle masse che alla fine, in reazione, hanno votato il partito  Fidesz di Orban.

Secondo una relazione sui siti germanofoni  del “National Journal”, Orbán si è accinto a scalzare gli usurai dal trono. Il popolare e nazionalista primo ministro ha detto all’FMI che l’Ungheria non vuole né richiede “assistenza” ulteriore dal delegato della Federal Reserve di proprietà dei Rothschild. Gli ungheresi non saranno più costretti a pagare esosi interessi a banche centrali private e irresponsabili.

Anzi, il governo ungherese ha assunto la sovranità sulla sua moneta e adesso emana moneta senza debito e tanta quanto ne ha bisogno. I risultati sono stati nientemeno che eccezionali. L’economia nazionale, che vacillava per via di un pesante debito, ha ricuperato rapidamente e con strumenti inediti dalla Germania nazionalsocialista.

Il ministro per l’Economia ungherese ha annunciato che grazie a “una politica di bilancio disciplinato” ha ripagato il 12 agosto 2013 il saldo dei 2,2 bilioni di debito all’FMI, prima della scadenza ufficiale del marzo 2014. Orbàn ha dichiarato: “L’Ungheria gode della fiducia degli investitori” che non vuol dire né l’FMI né la Fed o altri tentacoli dell’impero finanziario dei Rothschild. Piuttosto si riferiva agli investitori che producono in Ungheria per gli ungheresi, creando crescita economica vera, e non già la “crescita di carta” dei pirati plutocratici, bensì quel tipo di produzione che assume realmente le persone e ne migliora la vita.

Con l’Ungheria libera dalla gabbia della servitù agli schiavisti del debito non c’è da meravigliarsi che il presidente della banca centrale ungherese gestita dal governo per il bene pubblico e non per l’arricchimento privato abbia chiesto all’FMI di chiudere i battenti da uno dei paesi più antichi d’Europa. Inoltre, il procuratore generale, ripetendo le gesta dell’Islanda, ha accusato i tre precedenti primi ministri del debito criminale in cui hanno precipitato la nazione.

L’unico passo che rimane da fare per distruggere completamente il potere dei bancksters in Ungheria, è di attuare un sistema di baratto per lo scambio con l’estero come esisteva in Germania con i nazional socialisti e come esiste oggi in Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i cosiddetti  BRICS, una coalizione economica internazionale. E se gli USA seguissero la guida dell’Ungheria, gli americani potrebbero liberarsi dalla tirannia degli usurai e sperare in un ritorno a una pacifica prosperità.

Autore: Ronald L. Ray, autore freelance che risiede nel libero stato del Kansas, discendente di vari patriotti della Guerra americana di indipendenza. - Traduzione a cura di N. Forcheri - Fonte: sapereeundovere.it

 

Paesi lasciati soli nel 2011 senza una Banca Centrale di proprietà della famiglia Rothschild sono: Sudan del Nord, Siria, Cuba, Corea del Nord ed Iran.

Dopo le proteste ed istigazioni con le rivolte nei Paesi arabi, i Rothschild hanno la strada spianata per stabilire anche là delle banche centrali, e sbarazzarsi di quei leader con forte carisma verso i loro popoli.

Proprio questi Paesi, se ci fate caso, vengono fatti passare dai media come gli ultimi stati "cattivi" che i "buoni" americani devono distruggere per fondare la democrazia e la libertà. Basta fare qualche ricerca per capire facilmente che gli Stati Uniti sono lo stato più autoritario presente al momento.

 

“La Siria sta pagando un prezzo altissimo per una partita che serve a stabilire nuovi equilibri mondiali e in Italia la verità non viene detta, viene raccontata un’altra realtà”. E’ quanto afferma Mimmo Srour, siriano, ingegnere, ex assessore della Regione Abruzzo e della Provincia dell’Aquila, ex sindaco di Sant’Eusanio Forconese, comune in provincia de L’Aquila.
Srour è nato a Nakib, in Siria, dove è rimasto fino al momento di intraprendere gli studi universitari. Il suo vero nome è Mahmoud ma tutti lo chiamano “Mimmo” fin da quando venne in Italia, nel 1969, per laurearsi in Ingegneria presso l’Università dell’Aquila, città dove ha deciso di restare mettendo sù famiglia.

Mimmo Srour conosce bene la Siria e anche in questi momenti così delicati e complessi continua ad essere in contatto costante con persone, che ricoprono vari incarichi, che vivono in Siria. L’aspetto che mette in evidenza e che non riesce ad accettare riguarda l’informazione di parte che viene portata avanti in Occidente. “Un po’ di tempo fa alcuni giornalisti italiani, di giornali anche blasonati, sono andati in Siria – afferma – e una volta tornati nessun giornale gli ha dato la possibilità di scrivere e raccontare quello che avevano visto. E’ stato imposto il silenzio su quanto sta accadendo in Siria”.

Secondo lei cosa sta accadendo in Siria?

Io sono convinto che tutto è già stato scritto da parecchio tempo. Chi è attento a quello che succede in Siria, queste cose le ha sentite e lette tempo fa, da tanto si parla di Grande Medio Oriente, di disordine creativo. Hanno promesso queste cose a tutto il bacino del Mediterraneo. Vi sono in atto nuovi equilibri mondiali, in cui la Russia aspira ad un ruolo diverso rispetto a quello che ha assunto negli ultimi anni, dopo il crollo del muro di Berlino e dell’Unione sovietica. Dietro la Russia sembra che ci sia la Cina, ma anche Brasile, India e Sudafrica, cioè i cinque Paesi che compongono il BRICS. Credo che la Siria stia pagando questo prezzo e per questo si sta combattendo una guerra. Il Times ha scritto che quelli che combattono in Siria in realtà sono tutti mercenari, combattono dietro un compenso pagato dai Paesi del Golfo. E’ vero che in Siria ci sono dei problemi, tra cui la corruzione, però questo non c’entra niente con quanto sta accadendo, i Paesi del Golfo hanno voluto approfittare della situazione difficile per arrivare ad un loro obiettivo. Basta guardare la carta geografica e leggere cosa sta succedendo in questi giorni in Pakistan, in Afghanistan dove sappiamo chi c’è, in Iran, in Iraq e in Siria che diventa la porta verso il Mediterraneo. Il “cambio del regime” in Siria è una parola d’ordine e solo le parole d’ordine si rispettano in questo modo: con il silenzio. Nessuno dice, nemmeno per dovere dell’informazione, cosa fa una parte e cosa sta facendo l’altra. Si stanno verificando atti di puro terrorismo, come l’attentato che è successo a Damasco. Non capisco perché se il ministro della Difesa e il viceministro sono colpevoli allora li portiamo a processo, altrimenti li uccidiamo con le bombe. Oggi in Siria non si può viaggiare da una città all’altra perché c’è il rischio di essere sequestrati e in base alla carta d’identità pure uccisi. Ci sono delinquenti di professione che hanno costituito le loro bande, fermano e uccidono.

Da un lato c’è la Russia e dall’altro lato chi c’è?

C’è l’Arabia Saudita, il Qatar, tutti i Paesi del Golfo, e la Turchia, Paesi che pagano. Poi c’è l’America e tutto l’Occidente tra cui l’Inghilterra, la Francia, che sta cercando di riacquistare un ruolo da protagonista ma sta facendo solo danni, che forniscono armi, strumenti, attrezzature, tecnologie. Tutti abbiamo l’obbligo, il dovere di difendere la laicità della Siria, la tolleranza della Siria. In Siria il 40% della popolazione sono minoranze: Sunniti, Sciiti, Alawiti, Drusi, Cristiani Ortodossi, Cristiani di rito Orientale e Occidentale e si trovano ben quattro etnie diverse: arabi, curdi, armeni e drusi. Convivono insieme 19 confessioni religiose, questo era un modello che andava salvato e salvaguardato. Non è possibile giustificare quanto sta accadendo solo perché non fa comodo avere Assad, perché bisogna dare vita al grande Medio Oriente. Una donna in minigonna fino a qualche tempo fa poteva andare alle 3 di notte in una qualunque via di Damasco da sola e non le sarebbe successo niente. Nel giro di 18 mesi siamo arrivati che nessuno può uscire da casa.

Lei ha contatti con persone che si trovano in Siria?

Ho contatti continuamente e la gente è terrorizzata, impaurita, la gente non capisce perché questo odio contro il popolo siriano, la gente non riesce a comprenderlo. Addirittura noi che difendiamo le minoranze, in Siria abbiamo abbandonato anche i cristiani. Bisogna ricordare a tutti che il cristianesimo è nato in Siria seicento anni prima dell’Islam. La Siria non è un paese qualsiasi, ha una storia alle spalle. Ha dato alla Chiesa cattolica quattro Papi, ha dato imperatori all’Impero Romano. Io dico che quanto sta accadendo non è comprensibile. Dove sta la primavera di cui parlano tutti? Questo è un “inverno gelido”, non una “primavera”. Dove sta in Libia, in Egitto? La primavera consiste nel consegnare la sponda Sud del Mediterraneo all’Islam politico e in alcune occasioni integralista? Significa che non abbiamo capito nulla. Io ho dedicato la vita per il dialogo nel bacino del Mediterraneo, per creare non una frontiera, ma un ponte di dialogo e invece stiamo lavorando per consegnare, malgrado la volontà popolare, la Siria alle monarchie assolute. In Arabia Saudita una donna non può uscire di casa da sola, deve essere accompagnata da un uomo, non può guidare la macchina, non c’è un Parlamento, non si vota nemmeno per un condominio. Nel Qatar la stessa cosa. Possono essere protagonisti di una “primavera democratica” questi Paesi che sono monarchie assolute? A chi vogliono farlo credere.

Tempo fa è stato detto che l’Emiro del Qatar vuole diventare il leader di un grande movimento islamico del Medio Oriente....

Appunto e noi dobbiamo aspettare un po’ di tempo per vedere cosa succederà. Adesso c’è questo baratto, ma poi vedrete cosa succederà. Certo che la Siria deve essere cambiata, tutto quello che vogliamo, ma non è questa la strada, non si può perseguire la strada libanese dove uno uccide l’altro, dove si uccide il vicino di casa con il quale prima erano stati condivisi momenti belli. Non capisco nemmeno questo silenzio che è stato imposto, non si dice cosa sta accadendo in Siria, questa Europa che non vale più niente, è un’Europa che ha dimenticato il suo passato, lo sta barattando.

Assad è stato sempre descritto come una persona diversa dal padre, molto più aperto. Qual è il suo commento?

Ma a chi vogliono far credere che questo ragazzo sia un dittatore. La Siria è un paese che ha una Costituzione e un Parlamento da almeno 60 anni. Assad è uno che accompagna i figli a scuola, ha studiato all’estero, è un oculista, e in fondo non voleva neanche fare questo mestiere, si è trovato al posto del padre probabilmente a causa della morte del fratello. Veramente è incredibile quello che avviene e come sta accadendo, tutto quello che sta accadendo in Siria è stato progettato e scritto anni fa dai neoconservatori americani e adesso Obama lo sta mettendo in atto, credevamo che lui era diverso e invece non lo è per niente. Se è vero che l’obiettivo sono le riforme, ci sarà un modo per far sedere tutti attorno a un tavolo e discutere del futuro della Siria. E’ necessario mettere le bombe? Le infrastrutture in Siria sono state demolite, stanno riducendo il Paese all’età della pietra. Le ferrovie non esistono più, tutti i ponti ferroviari sono stati fatti saltare. Le centrali elettriche sono state distrutte e metà paese è stato ridotto al buio. Distrutti anche gli oleodotti, c’è una carenza di gas e le famiglie non possono cucinare e in inverno non potranno riscaldarsi. Ma perché tutto questo? A cosa serve, se non a distruggere un paese.

Cosa dobbiamo aspettarci?

Il problema non è Assad. Se per un motivo qualsiasi Assad venisse messo fuori, la Siria si divide, gli alawiti e i cristiani della costa vanno per conto loro, i drusi della zona confinante con la Giordania se ne vanno da soli, i curdi andranno da soli. Sarà guerra civile vera. Noi oggi dobbiamo sperare nel buon senso di qualcuno, che è l’Occidente da una parte e la Russia dall’altra, che rinuncino ai loro progetti e lascino stare il popolo siriano a discutere del suo futuro. Solo con il dialogo e non con le armi si può risolvere tutto. La Russia vuole la sua base a Tartus, vuole ostacolare questo grande Medio Oriente perché nella parte sud della Russia ritorna la cintura di ferro e la Russia non accetterà mai questo. Già non digerisce la stazioni radar in Turchia e in Polonia. Sapendo tutto questo perché devono portarci verso una guerra. E’ una pazzia quello che sta avvenendo. L’unica cosa che possiamo fare è di costringere il regime e gli oppositori, che sono tanti e a cui è difficile dare una identità, a ragionare del futuro della Siria. La Siria è un paese di tolleranza e noi non possiamo buttarlo nella guerra civile come si sta facendo.
Sul sito Siriatruth che è un sito dell’opposizione, un’opposizione diversa dalle altre, laica, c’è scritto che chi ha messo la bomba nel quartier generale della Sicurezza Nazionale siriana è il segretario del presidente Assad, che non ha niente a che fare con l’opposizione ma è un uomo dei servizi segreti americani. E dopo l’attentato si è rifugiato nella casa dell’ambasciatore americano a Damasco. Questa è una notizia che arriva dall’opposizione. Ma è possibile che se uno Stato o un governo non ci piace noi lo buttiamo giù, ma non democraticamente. Se tutti fossero stati sinceri allora dovevano far votare il popolo siriano, sotto controllo internazionale, e si vedeva cosa voleva questo popolo. Se il popolo non votava per Assad, allora lo si mandava via. Nessuno ha scritto la notizia che Assad ha anche cambiato l’articolo 8 della costituzione così come gli era stato chiesto, nessuno ha detto niente. Ultimamente in Siria sono nati 20 partiti nuovi anche di opposizione ma nessuno lo dice, perché l’obiettivo sono gli equilibri internazionali e la Siria fa parte di questo scacchiere, in nome di una “primavera” che non c’è stata.

Cosa pensa del Piano di pace di Kofi Annan?

Si è capito subito che questo Piano non poteva avere un seguito, perché quando la Lega Araba, e sappiamo chi è oggi la Lega Araba, ha mandato i suoi osservatori questi hanno scritto qualcosa di diverso rispetto a quello che avrebbero voluto leggere questi monarchi arabi e cosa è successo: gli osservatori sono stati mandati a casa. Kofi Annan è più tosto e si sta muovendo meglio, in quanto sta coinvolgendo la Russia in modo più forte, certamente non è detto che ci riuscirà ma prima di mettere da parte il Piano passerà un po’ di tempo.

Pensa che ci sarà un intervento militare?

Questo lo vogliono fare già da molto tempo, l’unica cosa che lo impedisce è la forza missilistica siriana, in quanto la Siria si prepara da sempre, e questo è un altro male, ad un’altra guerra con Israele. Di conseguenza la Siria ha un esercito organizzato, è un Paese che non si può paragonare alla Libia. Inoltre la preoccupazione dei Paesi occidentali è quella di giustificare con l’opinione pubblica l’invio dei soldati in Siria. L’opinione pubblica non sopporta i troppi morti come è successo in Iraq, allora solo per questa paura stanno cercando di indebolire l’esercito siriano e poi fanno l’attacco. Non hanno fatto l’attacco tempo fa perché in Siria c’è un esercito organizzato e certamente sanno che ci vuole del tempo per indebolire e rendere meno reattivo l’esercito siriano. In Iraq i Paesi occidentali hanno fatto una guerra in base ad una bugia e chi ha mai chiesto conto su tutto questo, sono morti un milione di iracheni e nessuno si è preoccupato, tanto sono iracheni e possono morire. In Libia sono morte 40 mila persone e nessuno ha detto niente.

Cosa dovrebbe fare il governo italiano?

Il governo italiano non è in grado di fare nulla, ogni tanto gli dicono di fare qualche dichiarazione perché in tutta questa vicenda c’è il gioco delle parti.

Qual è la sua speranza?

Spero che il popolo, non il governo, italiano non rimanga inerme di fronte a tutto questo, ma pretenda di conoscere la verità e di sentire tutte e due le campane e non una sola, di far passare notizie per potersi formare un’opinione. Per farsi un’opinione bisogna leggere tutto e non solo una parte. L’attentato a Damasco è stato riportato come un atto eroico e mi sta bene che lo dicono, però devono dire anche il resto, non solo una parte. Abbiamo il diritto come popolo italiano di formarci un’opinione, l’informazione non può essere a senso unico. E’ impossibile che la televisiva siriana in arabo “Addounia”, laica, viene oscurata in Europa, parlo di una Tv libera, e invece trasmettono decine e decine di stazioni televisive salafite, che notte e giorno incitano alla morte, all’assassinio. E’ possibile questo in una Europa che ha conosciuto l’Illuminismo? Eppure avviene, avviene nel XXI secolo. Il colonialismo del XIX e XX secolo era molto moderato, più dolce, rispetto a quanto sta accadendo oggi.

Fonte: notiziarionline.com

 

Anche a Gesu‘ piaceva la cannabis. Un’affermazione di questo tipo potrebbe scandalizzare qualcuno e fare gridare alla blasfemia qualcun altro se non fosse il risultato di uno studio britannico. A stabilire che il Messia faceva regolare uso di marijuana è stato il ricercatore Chris Bennett. Le sue analisi sono poi state pubblicate già anni addietro da varie testate, come la rivista High Times o il quotidiano The Guardian.

L’ingrediente “magico” presente negli olii delle unzioni praticate da Gesu’ conteneva un ingrediente chiamato kaneh-bosem che da allora è stato identificato più semplicemente come estratto di cannabis.

Tutto lo studio realizzato da Chris Bennett pubblicato in un articolo dal titolo “Gesù era uno sballato?” su High Times, arriva alla conclusione che l’olio di cannabis era usato quotidianamente da Gesu’ e dai suoi discepoli, e che addirittura perfino l’incenso usato durante le abituali cerimonie conteneva un estratto di cannabis.

La vicenda avrebbe anche un chiaro riscontro storico: secondo il professore di Mitologia Classica alla Boston University, Carl Ruck, questo fatto è del tutto verosimile. Ruck ha infatti affermato: “Ci possono essere pochi dubbi sull’effettivo ruolo della cannabis nella religione giudaica“, perchè era prassi comune fare uso di marijuana, all’epoca. Il professore di Boston ha poi aggiunto: “Ovviamente la facile disponibilità e la lunga tradizione di utilizzo della cannabis nel giudaismo antico le ritroviamo inevitabilmente anche nella cultura dei primi cristiani“.

Le guarigioni miracolose di Gesu’ quindi potrebbero essere state il risultato delle proprietà medicamentose della marijuana, che sotto forma di olio veniva anche assorbita massicciamente proprio attraverso la pelle.

Concludendo, Bennet ci fa riflettere: “Se la cannabis è uno degli ingredienti principali di questi oli, la ricezione di questo olio è ciò che ha reso Gesù il Cristo, e i cristiani suoi seguaci, e oggi perseguitare coloro che fanno uso di cannabis potrebbe essere considerato anticristiano”.

Fonte: qnm.it

 

Con questa motivazione la Terza sezione penale della Corte di Cassazione ha disposto l'invio degli atti alla Consulta perché valuti i dubbi di legittimità della legge sulla droga Fini-Giovanardi.

La decisione della Suprema Corte arriva in risposta ad un ricorso presentato da un 46enne originario di Palermo, condannato a 4 anni di reclusione e ad una multa di 20 mila euro per essersi rifornito di quasi 4 kg di hashish. Il difensore ha sollevato in Cassazione la questione di legittimità costituzionale della norma sulla base del fatto che l'eliminazione della distinzione "e il rilevantissimo aumento delle pene edittali" per le condotte che riguardano le droghe leggere "non sarebbe conforme né al principio di proporzionalità rispetto al disvalore espresso dalla condotta incriminatrice, né all'esempio di proporzionalità predisposto a livello comunitario". I giudici della Terza sezione penale, ritenendo fondate le questioni sollevate, ha rinviato gli atti alla Corte Costituzionale.

I dubbi della Cassazione riguardano però anche il percorso che portò all'approvazione della Giovanardi-Fini e in particolare la possibile violazione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, che regola i decreti legge e le leggi di conversione: le norme in questione, infatti, vennero inserite nella legge di conversione con un maxiemendamento al dl 272/2005, inerente "misure urgenti dirette a garantire la sicurezza e il finanziamento per le Olimpiadi invernali di Torino, la funzionalità dell'amministrazione dell'interno e il recupero di tossicodipendenti recidivi".

Per la Suprema Corte, dunque, la questione di legittimità della norma che "parifica ai fini sanzionatori" droghe pesanti e leggere - elevando così le pene (prima comprese tra 2 e 6 anni) per chi spaccia hashish prevedendo la reclusione da 6 a 20 anni con una multa compresa tra 26mila a 260mila euro, riguarda, in via principale, "il profilo dell'estraneità delle nuove norme inserite nella legge di conversione all'oggetto, alle finalità e alla 'ratio' dell'originale contenuto del decreto legge". In via subordinata, la Cassazione chiede che, "qualora le nuove norme siano ritenute non del tutto estranee al contenuto e alla finalità della decretazione d'urgenza" venga valutato il profilo della "evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessità ed urgenza" relativo ai decreti legge. "Appare non manifestamente infondato - si legge nella sentenza n.25554 depositata - ritenere che l'introduzione delle nuove norme abbia travalicato i limiti della potestà emendativa del Parlamento tracciati dalle pronunce della Corte Costituzionale".

Fonte: repubblica.it

 
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