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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Dimenticatevi body scanner, nasi elettronici e tecnologie da film di James Bond: la nuova frontiera della lotta al terrorismo passa... per l’orto. Una biologa dell’ Università del Colorado, con la collaborazione del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, è infatti riuscita a mettere a punto una pianta capace di rilevare gli esplosivi.

fiore poliziotto

Orchidee da guardia?

«Le piante non possono scappare di fronte al pericolo», ha spiegato qualche giorno fa ai media June Medford, la responsabile del progetto, «se vengono attaccate devono reagire». Quando una pianta viene per esempio infestata da un parassita, inizia a secernere alcune sostanze chiamate terpeni il cui compito è quello di ispessire lo strato protettivo esterno del fogliame rendendolo più resistente.
In questo meccanismo giocano un ruolo chiave alcuni recettori proteici che si trovano nel DNA del vegetale: sono loro che avvertono il pericolo e scatenano la risposta difensiva della pianta.
La Medford e il suo team hanno sviluppato un modello computerizzato che permette loro di manipolare queste proteine rendendole reattive ai componenti chimici di esplosivi, sostanze tossiche, veleni e inquinanti vari.

Bianche di paura

Dal punto di vista pratico, quando la pianta OGM percepisce la presenza di esplosivi diventa improvvisamente bianca. L’idea è quella di piantarla in aereoporti, stazioni e tutti i luoghi a rischio di attentato. E visto che questo recettore proteico può vivere in ogni pianta, potrà essere impiegato in tutto il mondo senza problemi di clima o stagionalità, all’aperto o al chiuso.
Il progetto, partito nel 2003, è stato finanziato a più riprese dal Dipartimento della Difesa con oltre 8 milioni di euro.
Al momento le piante della Medford riescono a scoprire con una discreta precisione il TNT, ma lavorano in laboratori a luce e temperatura costante, senza vento e in condizoni operative molto distanti da quelle reali. Prima di poterle impiegare concretamente a fianco dei poliziotti passeranno almeno altri 3-4 anni. Obiettivo della ricercatrice è quello di mettere a punto piante antiesplosivo sensibili come il naso di un cane.

Fonte: Focus.it

 

Innanzitutto, cos'è .lib, e perchè ha scritto questo documento?

.lib è un'associazione totalmente indipendente di persone che si interessano alla politica. Ci sta a cuore contrastare la disinformazione, e ne abbiamo vista molta negli ultimi tempi riguardo al referendum sull'acqua del 12 e 13 giugno. Siamo inoltre convinti che sia importante sapere come stanno le cose, per poter fare delle scelte consapevoli. Per questo abbiamo deciso di smascherare tutte le bugie che ci hanno detto.

Devo votare no per dire si? come funziona?

IL REFERENDUM Č ABROGATIVO. Questo significa che la domanda è fatta, all'incirca, in questa maniera: “vuoi tu abolire la legge Ronchi del 2009”? (in realtà si aboliscono parti di essa). Se si vota sì, si sceglie di far abolire la legge. Se si vota no, tutto rimane come prima. I quesiti sono due. Uno dei due, quello della scheda gialla, chiede se, dall'art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (o “Codice dell’Ambiente”), vadano eliminate le parole “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Ciò significa che chi decide le tariffe per un ipotetico gestore privato, non può inserire costi aggiuntivi finalizzati a far guadagnare chi investe in obbligazioni o quote azionarie delle società di gestione degli acquedotti. Questo sarebbe un forte disincentivo per un privato, che non avrebbe interesse a investire sulle reti idriche, dato che non potrebbe ottenere nulla dal suo investimento. Č una norma suggerita dalla UE ai fini della trasparenza: poiché, altrimenti, si potrebbe cercare di remunerare il capitale investito per vie traverse (ad esempio tramite le tasse dei cittadini). Ricordiamo inoltre di tener conto dell'effetto di un disincentivo agli investimenti nonostante le reti italiane ne siano in disperata necessità, e nonostante l'Italia sia incapace di fornire denaro pubblico, vista la tragica situazione di indebitamento in cui si trova. Un particolare da notare è che il rendimento sul capitale investito è fissato in un'altro articolo di legge, il cosiddetto “metodo tariffario normalizzato”. Tale articolo fissa il rendimento al 7%, una cifra molto alta commisurata al rischio che si corre. Sull'altro quesito invece torniamo più avanti.

Ma stanno privatizzando l'acqua?

FALSO. l'acqua e gli acquedotti erano e rimarranno pubblici, sia che vinca il si, sia che vinca il no.

Che l'acqua sia un bene pubblico è un principio sancito dal numerose leggi ordinarie, tra cui l'articolo 822 del Codice Civile. Ciò è ribadito più volte dalla legge Ronchi del 2009, quella che il referendum vuole parzialmente abolire, la quale all'articolo 15 parla di "piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche."

Allora cosa cambia?

POCHISSIMO. Di fatto, la legge Ronchi (quella che si vuole abolire col quesito della scheda rossa), dà la libertà, alle amministrazioni locali, di affidare, se lo vogliono, la sola gestione degli acquedotti (e non la loro proprietà) a imprese private, tramite gare ad evidenza pubblica. Se vince il si, si applicherà la normativa europea, che permette comunque di affidare la gestione a privati e sempre tramite gara pubblica.

La legge Ronchi stabilisce che la prassi per la gestione degli acquedotti è l'affidamento a società di qualunque tipo (sia pubblica che privata) con gara ad evidenza pubblica. Alternativamente è possibile affidare la gestione a società miste con almeno il 40% di partecipazione in società private, scelte con gara pubblica (si noti che è comunque meno del 50%+1 necessario a controllarle). Ma lascia anche la libertà di andare in deroga, e affidare la gestione a imprese totalmente pubbliche (senza in questo caso l'obbligo di gara), come succede adesso nella stragrande maggioranza dei casi. Di fatto, le amministrazioni locali (e quindi i cittadini, a livello dei comuni) possono scegliere ciò che ritengono più opportuno. Inoltre ricordiamo che la legge Ronchi non regola solo le norme sulla gestione del servizio idrico, ma anche di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica esclusi trasporti ferroviari, energia elettrica, gas e farmacie. La sua abrogazione determinerebbe, quindi, una lacuna normativa in tutti i settori interessati da tale legge.

Se vince il si, a detta delle sentenze 24 e 25 del 12/1/11 della Corte Costituzionale, il vuoto normativo lasciato dalla legge Ronchi dovrà essere sostituito dall'applicazione generalizzata del principio della gara ad evidenza pubblica, pena il mancato rispetto delle norme europee. Ricordiamo che la legge Ronchi integra nella legge italiana le normative suggerite dall'Unione Europea (tuttavia non necessariamente vincolanti), le quali raccomandano che l'affidamento a privati con gara sia la pratica di uso comune. Le norme UE hanno importanza maggiore rispetto alle leggi ordinarie italiane, come stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale N.183 del 1973, in applicazione dell'articolo 11 della Costituzione. Uno dei quesiti referendari proposti, quello che prevedeva il divieto totale di affidamento ai privati, è stato infatti ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale per inutilità, in quanto la vittoria del sì avrebbe riportato in vigore la normativa europea, che prevede l'affidamento con gara pubblica.

In che stato sono gli acquedotti italiani oggi?

PESSIMO. Le perdite ammontano in media al 30% (ciò significa che per ogni tre litri prelevati alla fonte, uno va sprecato per strada), con punte del 70% al sud. In più, spesso agli acquedotti è concesso andare in deroga (cioè ignorare) ai controlli sull'assenza di sostanze nocive nell'acqua. In molti comuni, specialmente al sud, non è garantita la fornitura di acqua corrente tutti i giorni, da anni. Il 30% circa della popolazione italiana non dispone di impianti di depurazione adeguati.

Si stima che siano necessari, per la riparazione e l'ampliamento delle reti idriche, circa 2 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20-30 anni. Una cifra molto grande, e non è ben chiaro da chi verrà pagata. Finora, nella maggiorparte dei casi, si è scelto di investire pochissimo e saltuariamente, lasciando così come sono perdite, sprechi, inefficienze, inquinamento, con danni non solo ecologici ma anche economici ingenti. è stato reso poco trasparente il modo in cui questi danni vengono pagati.

Chi decide le tariffe e gli investimenti da fare?

I POLITICI. Finora, la decisione sulle tariffe è stata affidata ai politici: sindaci, presidenti di province e regioni, tramite i cosiddetti ATO (Autorità di ambito territoriale ottimale). Che spesso hanno scelto di tenerle bassissime (sono le più basse in Europa) per ricevere consensi elettorali. Così gli acquedotti si indebitavano, e i debiti venivano coperti con i soldi delle tasse (e non delle bollette). Questo significa che chi si è sforzato di consumare poca acqua per non sprecarla ha pagato, tramite i soldi delle tasse, i consumi di chi invece ha sperperato l'acqua. Con la legge Ronchi non cambia nulla in merito a questa questione, quindi, qualunque sia l'esito del referendum, questa situazione rimarrà immutata.

Come stabilito dal Decreto Ministeriale 1/08/96 , esiste un tetto massimo alle tariffe, ma non un limite minimo. La tariffa viene stabilita da un decreto annuale del Ministero dell'Ambiente in base a una serie di fattori che lasciano comunque un ampio margine di ritocco. In realtà sarebbe necessario reperire i i soldi per la manutenzione e l'ampliamento delle reti esistenti, che sono investimenti necessari. Non è affatto chiaro da dove questi soldi arriveranno (se arriveranno). I finanziamenti agli acquedotti con il denaro delle tasse rendono tutto poco trasparente: non si capisce bene chi paga. Si perde così, inoltre, la progressività: è infatti possibile che, anche chi ha meno e si sforza di sprecare meno acqua, debba pagare molto, mentre chi è più abbiente e sperpera acqua paghi relativamente poco. La legge Ronchi non entra affatto nel merito di questa questione, che andrebbe invece curata con grande attenzione da chi ci governa, e colpevolmente e interessatamente la ignora.

Esiste un organismo di controllo indipendente, che possa verificare il buon funzionamento degli acquedotti?

NO. Tutti gli organismi di controllo sono fortemente dipendenti dalla volontà dei politici. Così non c'è nessuno che controlli se sbagliano. O meglio, loro controllano sè stessi, e se sbagliano nessuno può punirli.

Fino a Gennaio 2011 la sorveglianza sulle reti idriche era affidata alle ATO ("Autorità d'ambito territoriale ottimale"), enti locali composti sostanzialmente da sindaci, presidenti di province e regioni. Le stesse che avevano il compito di gestire il servizio. Dal 2011 è lasciato alle Regioni il compito di istituire degli organismi di controllo decentrati, con modalità scelte arbitrariamente. A livello nazionale esiste il CONVIRI (Commissione Nazionale di Vigilanza sulle Risorse Idriche). Nessuna di queste istituzioni, però, ha il potere di multare o sanzionare in caso ci siano degli errori o delle negligenze. Spesso sono anche incapaci di raccogliere i dati necessari per l'analisi dell'andamento del servizio. Di fatto, sono inutili come organismi di controllo. In molti paesi europei esiste invece un'organismo di controllo al disopra dei politici, che può sanzionare chi fornisce male il servizio ai cittadini, e il tutto è sottoposto al controllo delle Autorità Antitrust.

Ma è vero che con la privatizzazione aumentano le tariffe?

NO. Almeno secondo i pochi dati disponibili. Al 1 gennaio 2011 gli unici ATO affidati ai privati (5 su 54) erano 4 in Sicilia e uno in Lazio. Gli altri “privati”, di cui si sente parlare spesso a sproposito, sono società miste pubblico/privato, dove la quota di partecipazione del pubblico è superiore al 50% (quindi i privati non hanno potere decisionale). Nel primo caso, non si registrano sensibili aumenti di tariffa rispetto alla media, almeno per la Sicilia. Acqualatina S.p.A. in Lazio, invece, ha visto un aumento notevole delle tariffe, in un contesto però di pessima e opaca gestione che durava da anni, che ha incluso anche indagini della magistratura e arresti. Dal 1 gennaio 2011 gli ATO sono stati aboliti, e le Regioni stanno lavorando per elaborare i nuovi sistemi di gestione della rete idrica.

Ribadiamo ulteriormente che se il sistema italiano fosse sano e trasparente, le tariffe dovrebbero essere sensibilmente più alte. Ad oggi, i soldi che i gestori perdono a causa delle tariffe troppo basse vengono rimpiazzati con il denaro delle tasse (che pagano tutti, quindi anche chi è meno abbiente o si sforza di non sprecare l'acqua).

Per approfondire, qui il documento scritto (anche in versione pdf o solo testo), e qui l'intera bibliografia.
Il video integra le correzioni agli errori del precedente (di cui ci scusiamo), e lo sostituisce interamente.

E la Puglia, come sta?

OBIETTIVAMENTE MALE. La rete idrica pugliese è gestita interamente dalla AQP S.p.A., società quotata in borsa, di proprietà totalmente pubblica dai primi di maggio 2011, per decreto del Consiglio Regionale. I consiglieri d'amministrazione sono scelti politicamente, su nomina della coalizione al governo. Riportiamo i dati della relazione al parlamento del CONVIRI 2009 (quella del 2010 non è reperibile). Si evince che la Puglia è sest'ultima su 54 ATO per il rapporto fra investimenti previsti e investimenti effettuati, con un tasso di realizzazione del 16% (laddove la media nazionale è del 54%), contando anche il denaro pubblico ricevuto a fondo perduto. Inoltre, è sest'ultima anche per quantità di perdite, con il 54%, per un totale di 284.506.690 metri cubi di acqua perduti per strada ogni anno. Infine, è l'acquedotto più grande d'Italia e d'Europa con più di 4 milioni di utenze (e ciò significa che porta questo servizio a una enorme quantità di cittadini). Non sappiamo se sia in virtù di questi dati che il presidente Vendola parla di «un'azienda presa a modello dalle principali riviste economiche e di settore perchè è un'azienda pubblica che ha saputo risanare e rilanciare la propria immagine (...) un'azienda sana» (dichiarazione del 27 aprile 2011).

Cosa ne pensa .lib?

Questa è l'unica parte del testo in cui esprimiamo opinioni nostre invece che dati di fatto. Pensiamo che, aldilà dello scontro sui referendum, innanzitutto, sia necessario avere più trasparenza nel servizio pubblico: deve essere chiaro di chi è la responsabilità per gli errori, chi si occupa di fare le decisioni, chi controlla e anche chi sta pagando per cosa, e al momento questo è quasi impossibile. Inoltre, pensiamo che sia necessaria una autorità di controllo indipendente dalla volontà dei politici, che stabilisca degli standard di qualità precisi e li faccia rispettare, come avviene nel resto d'Europa. I politicanti, alla ricerca di consenso elettorale a breve termine, prendono delle decisioni dannose per la collettività sul lungo termine, e non c'è nessuno a fermarli, sia perchè hanno potere assoluto, sia perchè sono difficili da controllare, poichè tutto il sistema non è assolutamente trasparente. Infine, siamo convinti che il problema non risieda nella gestione pubblica o privata degli acquedotti - per quanto in molti casi si sia visto che una gestione privata è più efficiente. Quello che conta è il modo in cui la gestione è effettuata - e ad oggi la situazione è pessima. Questo accade per precisa volontà dei politici, che rendendosi impossibili da controllare, hanno ancora più potere in mano.

Come posso essere sicuro che mi stiate dicendo tutta la verità?

Tutto quello che abbiamo scritto qui è documentato da fonti attendibili, spesso istituzionali, e liberamente reperibili su Internet. Se siete interessati a verificare che abbiamo detto la verità, oppure ad approfondire, potete consultare il sito: http://punto-lib.blogspot.com/ dove troverete la bibliografia completa che è stata utilizzata per scrivere questo documento, nonchè altri approfondimenti.

 

Una perdita di acqua radioattiva sarebbe avvenuta nelle ultime ore (notizia Adnkronos 04 giugno, ore 14:56) nella piccola centrale nucleare di Anshas, in Egitto, dopo l'esplosione di una pompa del reattore.

Anshas is a city East of Cairo located in the Sharkiya Governorate in the Nile Delta of Egypt.
It holds the first nuclear reactor to be operated in Egypt.  The City also holds the First Arab League Summit in 1949, which declared the creation of the League.

Lo rivela una fonte dell'Autorita' egiziana per l'energia atomica, coperta da anonimato, al giornale locale Rose el Youssef, che titola 'L'Egitto si salva da un disastro nucleare'.

La fonte ricorda che il primo reattore di ricerca di Anshas e' stato rimesso in funzione di recente senza l'autorizzazione del Centro per la sicurezza nucleare e senza rispettare le norme di sicurezza dei reattori.

 

Scoprire che la Terra è sull’orlo di una nuova estinzione di massa non è probabilmente il modo migliore per iniziare la giornata. Eppure diversi scienziati sono convinti che il crescente numero di specie in pericolo, dai più piccoli microrganismi ai grandi mammiferi, sia un chiaro indicatore dell’avvicinarsi di questo evento. Negli ultimi 540 milioni di anni il nostro pianeta ha già affrontato cinque di questi momenti, assistendo ogni volta alla completa scomparsa di almeno il 75% delle specie animali viventi.

tigre bianca

L'inizio della fine

In un articolo pubblicato su Nature, un gruppo di paleobiologi dell’Università di Berkley fa il punto della situazione, e confronta la situazione attuale con quella di 540 milioni di anni fa.
"Se consideriamo solo i mammiferi più a rischio, quelli che hanno almeno il 50% di probabilità di estinguersi nelle prossime 3 generazioni, e ipotizziamo che entro i prossimi 1000 anni saranno definitivamente scomparsi, siamo certi di essere prossimi a una nuova estinzione di massa" afferma Anthony D. Barnosky, docente di biologia e principale autore della ricerca. Ma c’è di più: "Se tutte le specie oggi classificate come fortemente minacciate o vulnerabili scomparissero e il ritmo di estinzione non accennasse a diminuire, l’estinzione di massa potrebbe manifestarsi in un periodo compreso tra i prossimi 300 e 2200 anni".
C’è però anche qualche buona notizia. Secondo Barnosky non è troppo tardi per tentare di salvare le specie a rischio, ma per farlo occorre combattere contro surriscaldamento globale, distruzione degli habitat,  deforestazione, epidemie.

Ecco il colpevole

Lo scienziato fa notare che fino ad oggi si è comunque estinto solo l’1-2% delle specie sotto osservazione: è un segnale positivo ma che non deve comunque indurre ad abbassare la guardia, anche perché, secondo i ricercatori di Berkley l’attuale tasso di estinzione delle specie è più alto rispetto al passato.
I ricercatori hanno calcolato che negli ultimi 500 anni sono si sono estinte 80 specie di mammiferi su 5570, mentre la media negli ultimi 500 milioni di anni è stata di gran lunga più bassa: appena due estinzioni ogni milione di anni.
"La moderna estinzione di massa è guidata da una pericolosa miscela di cambiamenti climatici e attività umane: le conseguenze di questo fenomeno potrebbero essere imprevedibili, molto serie e, soprattutto, irreversibili" dichiara H. Richard Lane, direttore della National Science Foundation's Division of Earth Sciences che ha finanziato lo studio.

Lo studio

Gli scienziati hanno calcolato i tassi di estinzione nelle diverse ere basandosi sulle evidenze fossili e, per le epoche più recenti, sulle cronache scientifiche. Lo stesso Barnosky ammette che il metodo non è esente da errori: la datazione dei fossili non è mai precisa e non si può essere certi di aver conteggiato ogni specie che sia mai esistita. La scelta di limitare lo studio ai mammiferi è stata dettata da motivi pratici: seguirne la storia fossile è più semplice rispetto ad altre classi di animali. Per confermare i risultati dello studio occorrerà comunque allargare lo spettro della ricerca a pesci, uccelli e invertebrati.
"Il nostro lavoto sottolinea la necessità di intervenire per tutelare le specie a rischio: solo così sarà possible preservare la biodiversità nel lungo periodo. Se invece la maggior parte di loro morirà, entro i prossimi 1000 anni il mondo si troverà a dover affrontare la sesta estizione di massa".

Fonte: Focus.it

 

"L'asse terrestre si è spostato di 10 centimetri", "il giorno si è accorciato di 1,8 microsecondi", "sisma di magnitudo 8.9 sulla scala Richter": sono solo alcuni dei numeri utilizzati in questi giorni dai media per descrivere la portata fisica e geologica del terremoto e dello tsunami che lo scorso venerdì hanno colpito il Giappone. Ma cosa significano queste cifre? Che effetti avranno le conseguenze del sisma sulla nostra quotidianità? Facciamo un po' di chiarezza.

I numeri della catastrofe

#8,9: la violenza del sisma espressa in gradi Richter. L'energia liberata durante un terremoto di questa magnitudo è pari a quella prodotta dall'esplosione di 31.6 miliardi di tonnellate di tritolo. Il terremoto più forte mai registrato risale al 22 maggio del 1960: colpì il Cile tra le città di Temuco e Conception e raggiunse una magnitudo di 9.5 gradi Richter (equivalenti alla detonazione di 178 miliardi di tonnellate di tritolo).
#400 km: la lunghezza della spaccatura provocata dal sisma nel pavimento oceanico 80 miglia nautiche al largo della costa orientale del giappone. Ha una larghezza di circa 24 km.
#457 cm: lo spostamento verso gli Stati Uniti della zolla più vicina all'epicentro del terremoto. Dopo il sisma Giappone e USA sarebbero insomma più vicini: lo spiega al The New York Times Ross Stein, il ricercatore dello United States Geological Survey che ha effettuato la stima.
#30 cm: l'abbassamento della linea costiera del Giappone, conseguenza dello spostamento delle placche tettoniche. http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/iotd.html http://nctr.pmel.noaa.gov/honshu20110311/Energy_plot20110311-1000.png
#8 cm: lo spostamento dell'asse terrestre in seguito al sisma. Anche in questo caso non si tratta di una misurazione diretta ma di una stima. L'ha effettuata Richard Gross, geofisico della NASA. Secondo Gross l'asse di rotazione del pianeta si è spostato perchè il sisma, spostando intere placche tettoniche, ha ridistribuito la massa della Terra.
Il pianeta non ha insomma subito "uno scossone" che l'ha spostato come hanno erroneamente riferito numerosi media in questi giorni.

#1,8 microsecondi: (pari a 1,8 milionesimi di secondo) l'accorciamento del giorno generato dal sisma. Il terremoto ha spostato verso il centro del pianeta enormi masse di materiale: questa variazione nella distribuzione dei "pesi" ha causato un leggero aumento della velocità di rotazione della Terra, un po' come accade a una pattinatrice che avvicina le braccia al corpo mentre ruota su se stessa.
Secondo Gross queste variazioni possono essere provocate anche da eventi molto meno eclatanti come il lento spostamento dei ghiacchi polari e non hanno alcun tipo di effetto pratico sulla nostra vita. Si tratta insomma di misure e speculazioni puramente scientifiche. «Variando la distribuzione della massa della Terra, il terremoto giapponese dovrebbe aver causato una piccola accelerazione della sua rotazione, accorciando la lunghezza del giorno di circa 1,8 microsecondi» ha spiegato il geofisico. «Questo assestamento della posizione dell’asse provocherà un tremito leggermente diverso alla rotazione della Terra, ma non uno spostamento dell’asse nello spazio: questo possono ottenerlo solo forze esterne come l’attrazione gravitazionale del Sole, della Luna e dei pianeti».
#300 miliardi di dollari: una stima approssimativa del danno economico subito dal Giappone come conseguenza dello tsunami. L'ha fornita ai media Jayanta Guin, esperto della Air Worldwide, una delle società di ricerca specializzata nella progettazione di modelli sui disastri naturali. Secondo Guin la cifra sarebbe comunque da ritoccare al rialzo perchè calcolata solo sul valore delle proprietà assicurate.

Fonte: Focus.it

 

E' davvero un grande miracolo. Un miracolo italiano. E la cosa più miracolosa, è che l'annuncio dell'imminente vaccino contro la malefica Escherichia Coli sia arrivato circa un anno PRIMA dell'epidemia che è scoppiata in Europa. Le vie della Provvidenza sono davvero infinite.

Come infinita è la gratitudine che dobbiamo nutrire verso la Novartis, che dopo averci salvato tutti dall'epidemia di suina con un tempestivo vaccino, ecco che in quel di Siena nel 4 maggio scorso annuncia di aver identificato antigeni di E.Coli mai scoperti prima (prima della seguente epidemia) e quindi di essere sulla buona strada per produrre il fatidico vaccino.

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Ma le mirabilie non finiscono qui. Anche una compagnia canadese ha appena comunicato di aver pronto il vaccino, proprio lì nel cassetto, quello giusto giusto per la variante O157:H7 tedesca, che servirà per inoculare le Nmiliardi di vacche residenti sul pianeta e renderle inabili a produrre il batterio.

Davvero noi comuni mortali dobbiamo stupire ed inchinarci davanti alla scienza, che riesce persino a prevedere il futuro grazie ai suoi misteriosi esoterici poteri.

Fonte: crisis.blogosfere.it - Il blog è curato da Debora Billi, laureata in Lettere, giornalista, membro Aspo Italia.

 

Appena terminato l’anno della biodiversità (a dire la verità senza troppi risultati positivi), l’Onu proclama il 2011 anno delle foreste. Le distese di alberi sono in tutto il mondo tra gli ambienti più minacciati dall’attività, nonostante la loro indubbia importanza nell’ecologia mondiale.

Quanto vale una foresta? Non solo gli studiosi di dinamiche ambientali, ma anche gli economisti infatti hanno cominciato a fare i conti e capire quanto “valga” una foresta, in termini di servizi agli ecosistemi; per esempio quanto costerebbe racchiudere in un serbatoio tutta l’acqua che una foresta accumula nella stagione piovosa per poi rilasciarla in quella secca. O quanto sarebbe il budget per un impianto di depurazione grande come un intero bosco. Ma la funzione più indispensabile delle foreste è quella di agire da enormi serbatoi di carbonio per il pianeta. Quando sono abbattute, questo gas va a aumentare la quantità di anidride carbonica che è un potentissimo gas serra; è per questo che l’abbattimento delle foreste contribuisce circa per il 15% all’aumento del riscaldamento globale. In occasione dell’Anno delle foreste, l’associazione Conservation international ha steso così una lista delle foreste più ricche di specie e più minacciate del pianeta.

Punti caldi. Queste distese sono anche 10 hotspot di biodiversità, punti cioè dove il numero di specie animali e vegetali e le loro interazioni sono particolarmente elevate. A parte un paio di casi, quasi tutte queste foreste sono nei Paesi tropicali sia in Asia sia in Africa sia nell’America meridionale. Ogni hotspot ha le sue caratteristiche peculiari e le sue specie presenti, spesso endemiche e rarissime.

Fonte: Focus.it

 

Negli ultimi mesi, tra intercettazioni telefoniche e scorribande informatiche di Wikileaks, la privacy dei politici nostrani è stata spesso messa a dura prova. Forse impensierito dalle vicende dei colleghi europei, il Presidente USA Barack Obama ha deciso di non correre rischi e per salvaguardare la sicurezza delle proprie comunicazioni ha deciso di affidarsi alla tecnologia.

Tenda top secret

Nella foto qui a fianco, diffusa dalla Casa Bianca e scattata durante il suo ultimo viaggio in Brasile, lo si vede al videotelefono all'interno di una curiosa tenda blu: nonstante le apparenze è uno dei luoghi più sicuri e riservati al mondo.
Allestita nella hall dell'albergo che ha ospitato il Presidente e il suo staff, gli ha permesso di rimanere in contatto con il Segretario di Stato Hillary Clinton e seguire in tempo reale l'evolversi della crisi libica al riparo da orecchi indiscreti. Priva di finestre e realizzata con un materiale segreto impermeabile alle onde elettromagnetiche, la tenda è protetta da un complesso sistema elettronico che la rende a prova di spia: le emissioni di telefoni e computer vengono bloccate all'interno della struttura rendendola di fatto invulnerabile a qualsiasi tentativo di intercettazione.
L'unico segnale che esce dalla tenda è quello criptato e diretto al satellite che gestisce le comunicazioni presidenziali. Nessuna delle apparecchiature interne può essere gestita da remoto e tutti i segnali viaggiano esclusivamente su cavo, perchè le onde di telecomandi e reti wireless potrebbero essere facilmente intercettate.
La struttura può essere eretta ovunque,al chiuso come all'aperto: la sua collocazione viene scelta di volta dallo staff che si occupa della sicurezza del Presidente dopo opportuni sopralluoghi.

Costa come un appartamento in centro

Realizzata da Command Consulting Group, un'azienda privata specializzata in sistemi di sicurezza, la tenda è adottata anche da numerose società che temono lo spionaggio industriale. Può essere ulteriormente protetta da recinti, telecamere e sistemi biometrici di accesso, come la scansione della retina o il rilevamento delle impronte digitali. Il costo? Non esorbitante: dai 1000 ai 15.000 euro al metro quadro a seconda dell'allestimento.

Fonte: Focus.it

 

The Guardian

Prometteva di stimolare la discussione e creare un po’ di scalpore, secondo la notizia di agenzia dell’Ansa del 18 aprile (secondo quanto affermato il 18 aprile dall’ANSA, l’agenzia italiana).
E in effetti sembrava proprio così quando il libro di Carmelo Abbate, “Sex and the Vatican”, è stato pubblicato lo scorso mese. Il libro è il risultato di un’inchiesta dell’autore, pubblicata l’anno scorso dal settimanale Panorama, sulla doppia vita di alcuni preti gay a Roma.

“Sex and the Vatican”, tutttavia, molto più a fondo. Parla di problemi  tabù per la Chiesa cattolica come le donne che diventano amanti di preti e dei loro figli (e dei loro aborti). Riporta i dettagli delle presunte violenze sessuali subite dalle suore ad opera di preti. E conclude che gran parte del clero conduce una doppia vita a causa del peso enorme imposto loro dall’insistenza del Vaticano sulla necessità di condurre una vita di celibato e castità.

Converrete che si tratta di un argomento scabroso. L’edizione francese è schizzata al numero 12 della classifica dei saggi più venduti di Amazon.fr e la prima edizione è andata esaurita in meno di una settimana.

Abbate è stato intervistato a lungo durante uno dei programmi di attualità televisivi francesi in prima serata. Ci sono stati articoli su di lui e sul suo libro in diversi quotidiani francesi. Al momento la televisione francese sta preparando un documentario basato sulle sue rivelazioni.

In Italia, al contrario, la pubblicazione di “Sex and the Vatican” è stata accolta da un muro di imbarazzato silenzio. Č come se il libro non fosse mai stato pubblicato. Prima di scrivere questo articolo, ho fatto una ricerca nella banca dati Factiva dei giornali per controllare che la mia impressione soggettiva fosse corretta. La ricerca ha indicato che, a parte la notizia dell’Ansa (e una estesa presentazione su Panorama), l’unico articolo su “Sex and the Vatican” nella stampa italiana è apparso il 27 aprile su un quotidiano  finanziario milanese a bassa tiratura, Finanza e Mercati.

Naturalmente ci saranno quelli che ritengono il libro di Abbate solo un caso di sensazionalismo becero. Tuttavia i suoi meriti e demeriti non sono stati neppure discussi, in Italia. Tutto ciò è inquietante per almeno una ragione, o forse due. Ciò mostra che, nonostante la fine della Democrazia Cristiana, la vita pubblica italiana continua ad essere influenzata dalla Chiesa cattolica in un modo che è profondamente non salutare. La questione, che senza dubbio non sarà mai risolta, è se il silenzio che ha avvolto “Sex and the Vatican” è il risultato di un’autocensura e un malposto senso di rispetto da parte dei giornalisti italiani, o se è dovuto ad un intervento diretto delle gerarchie ecclesiali.

Se la ragione fosse quest’ultima, allora il libro di Abbate è stato trattato in un modo che rispecchia esattamente le principali accuse contro la Chiesa cattolica negli scandali di abusi sessuali degli ultimi anni:  invece di occuparsi delle cause del problema, i leader della Chiesa lo hanno occultato facendo finta che non esistesse. I preti e i monaci che sono stati trovati colpevoli di abusi (e in molti casi anche di violenze sessuali) nei confronti di bambini o adolescenti, sono stati trasferiti in altre diocesi o comunità; le accuse sono state soffocate e gli accusatori discreditati, perché la considerazione più importante non era l’eliminazione delle mele marce, ma la protezione della reputazione dell’industria da cui provenivano.

Qualunque sia il grado di coinvolgimento della Chiesa nella sepoltura mediatica di “Sex and the Vatican”, l’ipocrisia che si indovina è la stessa dei vescovi che per decenni hanno fatto finta di non vedere i preti che erano noti o sospetti assalitori.

La settimana prossima il Vaticano pubblicherà un nuovo documento per i vescovi, con le indicazioni su come comportarsi nei casi di abusi sessuali. Ci si aspetta di trovare linee guida su come comportarsi con le vittime, come collaborare con le autorità civili, come proteggere i bambini ed educare i futuri preti. Ma tutto ciò avrà un’efficacia limitata se il comportamento di fondo della Chiesa resterà invariato. E la storia di “Sex and the Vatican” dà motivo di credere che sia così.

Fonte: italiadallestero.info - Traduzione: Loredana Spadola - Autore: John Hooper - Articolo originale "Italy shuts out Sex and the Vatican"

 

Un'anticipazione l'abbiamo avuta in Firefox (Volpe di fuoco, 1982) con il duello aereo tra Clint Eastwood e il suo sovietico rivale: acrobazie, mitragliate e missili come se piovesse e - meraviglia! - il tutto controllato dalla vista e dal pensiero. 


 
Fantasie? Quei risultati sono ancora lontani ma il Pentagono, è noto, spende milioni di dollari l'anno in ricerche sulle interfacce cervello-computer (BCI, brain-computer interface) per sviluppare armi da controllare da lontano con la mente e sistemi di comunicazione capaci di trasmettere avvertimenti e ordini tra soldati impegnati in azioni di combattimento senza che questi debbano aprire bocca.

Per quello che ci è dato sapere le ricerche sono ancora solo ricerche, ma qualche risultato è stato ottenuto. Il più sorprendente è il prototipo di un casco telepatico: i sensori di cui è pieno rilevano l'attività cerebrale di chi lo indossa, i suoi chip traducono i segnali elettrici in bit, selezionano quelli significativi (per il contesto) e li associano a suoni o simboli predefiniti che infine la radio incorporata trasmette al casco del vicino. E improvvisamente il ricevente sente il comando nell'auricolare o lo legge sul display incorporato nel casco: "via al tre!", "attento a destra", "charlie a ore 9"...
VOLONTÀ, NON TELEPATIA Non è telepatia, anche se le somiglia. Neppure le basi scientifiche di applicazioni del genere sono poi tanto misteriose: dall'elettroncefalogramma alle più recenti tecniche di indagine per immagini, le neuroscienze hanno fatto progressi soprendenti nella capacità di mettere in relazione un'attività (elettrica) in una zona del cervello con uno stato o un'azione in corso, dall'alzare una gamba al pensiero di farlo, dal pronunciare una parola al pensare alla parola.
 
Su basi simili si è costruita, per esempio, la carrozzella-robot per disabili che Focus.it ha visto e provato nel 2009 in un laboratorio del Politecnico di Milano, una "invenzione" che con poche differenze ha visto la luce in molte università e centri di ricerca in Italia e nel mondo. Napoli, Pisa, Tokio, New York... Proprio nella Grande Mela Gerwin Schalk, ricercatore presso l'Albany Medical College, dopo avere lavorato per anni a sistemi di supporto per i disabili ha voluto provare l'affidabilità delle stesse tecnologie nella lettura e trasmissione di pensieri - o di qualcosa di molto simile.
 
Il risultato è un apparecchio di notevoli dimensioni che somiglia più al macchinario della Tac che a un casco, ma che in prospettiva - e nei desiderata dell'US Army - potrebbe appunto diventare un casco e permettere ai combattenti di essere partecipi di quanto vedono e sentono i loro compagni.
 
Come vuole la tradizione, nelle neuroscienze è lo stesso ricercatore a farsi cavia e tester del proprio macchinario, che descrive come un "traduttore di volontà, non un lettore del pensiero". Niente misteri o segreti svelati, dunque, ma imposizioni del tipo "guarda", "muoviti", "vai" e via dicendo. Può sorprendere che tutto ciò - trasmissione radio da un casco all'altro compresa - sia considerabile più sicuro di uno sguardo o del classico gesto di puntarsi due dita verso gli occhi, ma i militari non finiscono mai di sorprendere.

Fonte: Focus.it

 
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