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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Se volete dirlo e scriverlo come avrebbero fatto Maya e Aztechi, sappiate che 6 settembre 2011, è il 12.19.18.12.8 per il calendario Maya Lungo Computo, il 16 Mol nello Haab, e il 13 Lamat nello Tzolkin. Non facile da ricordare, certo, ma potrebbe andar meglio con 13.0.0.0.0 (il 21 dicembre 2012, lasciando da parte il calendario Haab e il Tzolkin, rispettivamente il calendario solare e quello religioso), giorno in cui il Lungo Computo (il complesso calendario invece utilizzato per marcare gli eventi sul lungo periodo) terminerà il suo lunghissimo ciclo di 5126 anni circa (il quarto per i Maya), avuto inizio il 6 settembre 3114 a.C (secondo il calendario giuliano). E con lui il prossimo anno, almeno secondo le profezie, anche il mondo dovrebbe finire. O, nel migliore di casi, subire un cambiamento radicale, l’apertura verso una Nuova Era.

File:Maya-Maske.jpg

Ma come e da dove hanno avuto origine questa apocalittiche profezie? In Messico, precisamente nel sito archeologico di Tortuguero, grazie all’ormai famoso monumento VI, che riporta una misteriosa (quanto in larga parte non interpretabile perché incompleta e danneggiata) iscrizione che si riferisce alla fine del tredicesimo baktun del Lungo Computo (1 baktun equivale a un periodo di circa 144mila giorni), coincidente proprio con la data del solstizio d’inverno dell’anno che verrà, come una data da tenere sotto controllo. Quel giorno infatti qualcosa di imprecisato dovrebbe accadere in seguito all’avvento di Bolon Yokte K’uh, dio maya generalmente associato con la creazione, ma anche con gli inferi, i conflitti e la guerra. Di qui l’idea di un grande cambiamento, qualcosa che implichi distruzione, come appunto la fine del mondo. Oppure l’avvento di Bolon Yokte K’Hu potrebbe avere a che fare con una nuova creazione (una New Age per l’appunto) piuttosto che con un evento distruttivo.

Secondo alcuni studiosi della civiltà Maya, però, né l’una né l’altra profezia sembrerebbero avere un reale riscontro: la fine del calendario maya non sarebbe altro che la chiusura di un ciclo prima dell’inizio di una nuova era. Eppure, dal Monumento VI, quella scritta ne ha generate di paure e miscredenze. Alcune vogliono che il 21 dicembre 2012 coincida con l’impatto, in pieno stile Armageddon, di un asteroide con la Terra e con l’avvento di un’estinzione di massa senza precedenti. Secondo altri invece potrebbe verificarsi un terremoto straordinario, e un cambiamento del campo magnetico del nostro pianeta - indotto dal raro allinearsi con gli altri componenti del sistema solare lungo l’equatore galattico - così forte da determinare un’inversione della polarità della Terra. Quanto manca? Circa 471 giorni, come cita il countdown del sito ufficiale dell’apocalisse prevista per il prossimo anno del sito December 21 2012. Noi, in ogni caso, non tratterremo il fiato.

Fonte: wired.it

 

È successo tutto tra giugno e agosto: un hacker che si firma con il motto " Janam Fadaye Rahbar" (qualcosa che suona come " sono pronto a sacrificarmi per il mio leader") ha violato migliaia di account Google di utenti iraniani. Per farlo, ha sfruttato i server del provider olandese DigiNotar, attraverso cui ha generato dei certificati digitali fasulli di cui Wired.it vi ha già raccontato. Secondo l'agenzia di Internet security Fox-IT, l'attacco informatico avrebbe aggirato facilmente alcuni firewall colabrodo. Così, vista la sonora batosta, gli esperti della sicurezza hanno pensato bene di soprannominare l'operazione " Tulipano nero".

Come racconta PCWorld, l'hacker ha usato i server di DigiNotar per generare un certificato digitale targato *.google.com fasullo. Armato di questa chiave d'accesso, il pirata informatico ha forzato username e password di migliaia di account gmail registrati in Iran e ne ha assunto il controllo. Il volume di informazioni riservate potenzialmente sottratte sarebbe enorme: a partire dal 4 agosto, infatti, i server di BigG sono stati contattati da 300mila diversi IP, tutti iraniani e con passaporto olandese. Una situazione davvero insolita, che ha messo tardivamente in allarme Google. Il certificato è stato bloccato il 29 agosto, quando ormai il peggio era già successo.

Per capire cosa si sia verificato nel concreto, è utile dare uno sguardo al report stilato da Fox-IT, che ha ricostruito i dettagli dell'accaduto a partire da fine agosto. I primi movimenti sospetti hanno avuto luogo a metà giugno, quando il provider olandese ha identificato delle attività sospette sui propri server. Il 19 luglio, in seguito a un controllo più approfondito, DigiNotar ha scoperto l'esistenza di 128 certificati fasulli generati sfruttando alcune falle nel suo sistema di sicurezza. Nonostante il blocco immediato di questi dati, l'attacco hacker è andato avanti fino al 27 luglio, generando altri 204 certificati pirata, tutti indirizzati verso l'Iran.

Insomma, il provider dei Paesi Bassi ha capito subito di trovarsi di fronte a attività di hacking su larga scala che stavano bersagliando computer iraniani. Ma, a quanto pare, DigiNotar non è riuscita a bloccare tutte le chiavi d'accesso create dal pirata informatico. Primo fra tutti, il famoso certificato *.google.com - generato, per la precisione, il 10 luglio - che è sfuggito completamente ai controlli ed è rimasto operativo per quasi 50 giorni. In questo arco di tempo, il burattinaio di Tulipano nero aveva diretto accesso ai contenuti degli account gmail e di qualsiasi altro servizio BigG a cui fosse possibile accedere con le credenziali rubate.

Nessuno, tuttavia, sa ancora quale sia stata la reale portata di questo attacco. Google ha semplicemente invitato gli utenti iraniani a cancellare i vecchi cookies e a scegliere una nuova password per il login.

Le identità dei bersagli colpiti dall' hacker non sono ancora note, ma di sicuro l'accaduto non verrà preso alla leggera. Giusto per capire la portata dell'attacco, basti pensare che tra gli altri codici sospetti bloccati da DigiNotar c'erano anche protocolli fasulli per accedere direttamente ai server di Microsoft, Cia e Mossad, i servizi segreti israeliani.

Fonte: daily.wired.it

 

Si chiama metil-butil-solfuro e potrebbe comparire nel prossimo libro del Guinness World Record. A che titolo? Come il più piccolo motore elettrico mai realizzato. Un gruppo di ricercatori della Tufts University del Massachusetts, guidati da E. Charles H. Sykes, è infatti riuscito per la prima volta a mettere in moto (non casuale) una singola molecola di metil-butil-solfuro grazie all’ energia elettrica trasmessa attraverso l’aiuto di un microscopio a effetto tunnel ( scanning tunnel microscope, un dispositivo usato generalmente per osservare fenomeni su scala atomica). Un’invenzione che oltre a guadagnare il primato mondiale potrebbe servire per il rilascio controllato di farmaci, o per lo sviluppo di circuiti elettrici su scala molecolare.

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La macchina monomolecolare realizzata dagli scienziati (appena un nanometro di lunghezza, ossia un miliardesimo di metro), e presentata in uno studio apparso sulle pagine di Nature Nanotechnology, è così costituita: un atomo di zolfo, cinque atomi di carbonio e dodici atomi di idrogeno, fissata a un supporto di rame attraverso un legame con lo zolfo. Asimmetrica: più lunga da una parte (quella del butile) e più corta dall’altra (quella del metile). Nel corso dell’esperimento i ricercatori hanno usato dell’energia elettrica come carburante, iniettata nel motore attraverso la sottilissima punta del microscopio, grazie al quale poi gli scienziati hanno osservato la risposta della molecola.

Una volta trasmessa l’energia elettrica il motore della macchina si è acceso: la molecola ha cominciato a ruotare intorno all’atomo di zolfo, sia dall’una sia dall’altra parte, preferendo generalmente una direzione (quella oraria) all’altra (come dipendenza sia della conformazione della molecola sia delle caratteristiche della punta del microscopio, spiegano i ricercatori), a una velocità di circa 50 giri al secondo (valore misurabile solo grazie all’abbassamento della temperatura: fino a 5°Kelvin - circa -268°C - in modo da ridurne il moto e da poterlo osservare).

Come ha spiegato Sykes, rispetto ai motori molecolari realizzati in passato - come quelli alimentati da sostanze chimiche o accesi dall’interazione con la luce - il microscopio, attraverso l’energia elettrica, permette di operare più precisamente, interagendo con una singola molecola, che a sua volta, potrebbe essere utilizzata come sistema di ancoraggio per altri sistemi molecolari, che si mettano in moto di conseguenza.

Fonte: wired.it

 

Julian Assange ha avuto i suoi motivi per pubblicare senza censure sul sito di WikiLeaks i 251mila  cablo sfuggiti al suo controllo nelle scorse settimane. Primo, gli informatori hanno bisogno di sapere se il loro nome appare nei documenti prima delle agenzie di intelligence (o comunque il prima possibile). Secondo, i materiali raccolti da WikiLeaks possono aiutare chi deve riformare i governi negli Stati in crisi. Terzo, al momento della pubblicazione ufficiale, il materiale non censurato circolava già in dozzine di siti e le informazioni venivano twittate: la frittata era già stata fatta. Per tutte queste ragioni era dunque necessario che la fonte dei cablo fosse attendibile e che le persone non si affidassero a versioni non autorizzate dei documenti. In qualche modo, infatti, il brand   WikiLeaks si è meritato la fiducia del pubblico, e assicura che i documenti diffusi siano quelli veri e che le informazioni siano esatte.

Lo ha detto lo stesso Assange in un’intervista al New Scientist, ricordando che nella Repubblica del Tajikistan e in Pakistan sono già circolati cablo falsi. Intanto, il Dipartimento di Stato, Amnesty International e Human Rights Watch sono stati contatti affinché avvisino gli informatori che presto potrebbero trovarsi nei guai.

Il fondatore di WikiLeaks continua ad addossare la responsabilità di quanto accaduto sul Guardian, che a febbraio ha pubblicato il libro WikiLeaks: Inside Julian Assange's War on Secrecy con tanto di codice per decriptare i file. La chiave di accesso ai contenuti dei cablo (caricati su un sito P2P per evitare che cadessero nelle mani di hacker, visti gli attacchi al server di WikiLeaks), sarebbe dovuta scadere prima della pubblicazione, si difendono David Leigh e Luke Harding, i due giornalisti autori del libro. " Ma non è così che funzionano i sistemi di decodifica”, risponde Assange: “ L’unica cosa temporanea era il luogo dei file. La password non era per l’accesso al sito, ma per la decodifica, in modo che i giornalisti potessero svolgere le loro inchieste. Il nostro sistema di sicurezza era perfetto, presumendo che il codice non venisse rivelato”.

In ogni caso, ironizza sul suo blog anche un super esperto della sicurezza informatica, Bruce Schneier, svelare una password è sempre male, perché offre agli hacker informazioni preziose su come un’organizzazione crea le sue chiavi di accesso.

Fonte: daily.wired.it

 

Se sulla Terra esistono molte riserve di metalli preziosi è soltanto un caso fortuito. Oro e platino, infatti, potrebbero esser piovuti letteralmente sul nostro Pianeta più di 200 milioni anni dopo la sua formazione, quando la Terra è stata bombardata dai meteoriti. È questa la scoperta annunciata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bristol sulla rivista Nature.

Quando il nostro Pianeta era ancora giovane, più o meno 3,9 miliardi di anni fa, il ferro fuso è sprofondato al centro ed ha formato il nucleo, trascinando con sé la maggior parte dei metalli preziosi, come oro e platino. Nel nucleo, secondo gli scienziati, ci sono abbastanza metalli preziosi da coprire l’intera superficie della Terra con uno strato di quattro metri di spessore. Tuttavia i metalli preziosi sono molto abbondanti, decine di migliaia di volte in più del previsto, anche nel mantello, quell’involucro silicato che si trova fra la superficie e il nucleo. Ecco perché i ricercatori hanno preso in considerazione l’ipotesi che la sovrabbondanza di metalli preziosi sulla Terra sia dovuta a un evento eccezionale, come una pioggia di meteoriti. Questa infatti avrebbe aggiunto altro carico di oro al mantello rispetto a quello che era già presente.

Per verificare questa teoria gli scienziati hanno analizzato le rocce provenienti dalla Groenlandia, che hanno quasi 4 miliardi di anni e che sono state raccolte da Stephen Moorbath dell’Università di Oxford. Queste rocce forniscono una visuale unica sulla composizione del nostro pianeta poco dopo la formazione del nucleo e prima che sia avvenuto il bombardamento di meteoriti.

I ricercatori hanno determinato la composizione isotopica del tungsteno di queste rocce antiche. Il tungsteno è un elemento molto raro (un grammo di roccia contiene solo circa un decimilionesimo di grammo di tungsteno) e, come l’oro e altri elementi preziosi, sarebbe dovuto confluire al centro della Terra nella fase della sua formazione.

Come la maggior parte degli elementi, il tungsteno si compone di diversi isotopi, atomi con le stesse caratteristiche chimiche ma con masse leggermente diverse. Gli isotopi provvedono a fornire impronte digitali dell'origine del materiale e con la caduta di meteoriti sulla Terra sembrano aver lasciato un segno significativo della presenza di tungsteno nelle rocce antiche. Dall’analisi di questi isotopi infatti i ricercatori hanno osservato delle significative variazioni di quantità abbondanza di isotopi 182W nelle rocce della Groenlandia rispetto alle rocce moderne. Questa differenza nella composizione dimostrerebbe che la sovrabbondanza di oro, e altri metalli preziosi, sulla Terra potrebbe essere davvero frutto di un fortunato sottoprodotto del bombardamento di meteoriti.

“ Il nostro lavoro - ha commentato Matthias Willbold, coordinatore dello studio - mostra che la maggior parte dei metalli preziosi su cui si basano le nostre economie e molto processi industriali chiave è stata aggiunta al nostro pianeta per una coincidenza fortunata, quando la Terra è stata colpita da circa 20 miliardi di miliardi di tonnellate di materiale asteroidale”.

Fonte: daily.wired.it

 

Non c’entra niente il plutonio e nemmeno il Mox, uno dei più noti combustibili nucleari. Nel sito di Marcoule, a due passi da Nimes in Francia e a poche centinaia di chilometri dai confini italiani, non si effettuavano strane miscele di sostanze ultraradioattive. Nemmeno si smontavano e si riciclavano bombe atomiche. Semplicemente si fondevano pezzi di vecchi impianti nucleari e si confezionavano lingotti di acciaio fuso. Certo l’acciaio era radioattivo, ma non a livello altissimo. “ Nel sito di Marcoule – spiega Francesco Troiani dell’Enea – vengono ricompattati i rifiuti cosiddetti a media e bassa attività”. Si tratta in altre parole di materiale proveniente da altri impianti nucleari che sono stati a contatto con il combustibile nucleare ma che hanno una vita media molto più bassa. Quindi non ci sono rischi per la salute delle persone che vivono vicino all'impianto.

In un primo momento ieri pomeriggio le agenzie avevano presentato il centro di Marcoule come un sito in cui veniva fabbricato il Mox, una miscela di plutonio, proveniente da vecchie testate nucleari, e di ossidi di uranio. La presenza, nell’impianto di questi materiali così altamente pericolosi, ha immediatamente suscitato l’attenzione dei media nei confronti dell’ esplosione che si è verificata nell’impianto. A dire il vero, però, l’impianto dove è avvenuto l’incidente non ha nulla a che vedere con questi materiali pericolosi e il forno in cui si è verificata l’esplosione, era utilizzato solo per la fusione di materiali di risulta delle attività di smantellamento delle centrali.

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“ Per fare qualche esempio in quell’impianto venivano trattati materiali di diversa natura, come per esempio tubi in metallo, o altri prodotti provenienti o da centrali o anche dal settore medico-sanitario”. Tra le scorie a media-bassa attività rientrano infatti anche i residui medicali, quelli cioè prodotti per fare le comuni radiografie, ma anche Tac e altri tipi di indagini diagnostiche che prevedono l’utilizzo di elementi radioattivi. Impianti del genere di quello che è stato protagonista ieri in Francia non sono presenti in Italia. “ Da noi – spiega Troiani – si è preferito usare un altro sistema per il trattamento di questo tipo di rifiuti”. Il sistema scelto in Italia, non prevede la fusione dei rifiuti, ma la loro semplice compattazione attraverso una banalissima pressa. “ Questo permette di ridurre il volume delle scorie e di compattarle in blocchi come quelli delle auto per intenderci, – dice l’esperto di combustibile nucleare dell’Enea – e di condizionarle all’interno di grandi blocchi di cemento armato che non presentano alcun problema di contenimento”. Un deposito di questo tipo di materiale è presenta all’interno del centro di ricerche dell’Enea alla Casaccia, alle porte di Roma.

Fonte: wired.it - Autore: Emanuele Perugini - 13 September 2011

 

Una risata fa bene all’anima, e anche al fisico. Ridere, infatti, innalzerebbe la soglia del dolore, aumentando il livello di endorfine, le molecole analgesiche prodotte dal nostro cervello. A dirlo sono i ricercatori dell’ Università di Oxford guidati dallo psicologo evoluzionista Robin Dunbar, con uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B.

Ecco la dimostrazione. Attraverso 6 diversi esperimenti, i ricercatori hanno testato la resistenza al dolore (per esempio la capacità di sopportare un oggetto ghiacciato su un braccio) in vari gruppi di volontari, prima e dopo averli fatti assistere ad alcuni sketch televisivi. Sono stati scelti degli episodi da Friends, i Simpson e South Park (ovvero delle serie comiche), dei documentari sulla natura (rilassanti, ma non umoristici) e alcuni programmi giudicati neutri (per esempio sul golf). Gli esperimenti sono stati poi ripetuti su alcuni volontari che avevano assistito a una commedia dal vivo.

I risultati? L’ilarità sembra aver aumentato la capacità di sopportare gli stress fisici e il dolore nei partecipanti, fino al 10% in più di quanto sperimentato prima della visione degli sketch, come riporta anche Bbc News; nessuna differenza significativa, invece, è stata osservata per chi aveva assistito al programma di golf o ai documentari. Gli effetti delle risate, inoltre, sarebbero proporzionali al loro fragore, alla loro spontaneità e al loro grado di contagiosità.

Gli autori dello studio ipotizzano che questo innalzamento della soglia del dolore sia dovuto a un aumento della produzione di endorfine (non rivelabili nel sangue, perché bloccate nel sistema nervoso centrale dalla barriera emato-encefalica, e quindi impossibili da misurare in modo non invasivo). Dunbar si spinge anche oltre: la risata avrebbe svolto un ruolo importante anche nel corso dell’evoluzione umana, favorendo la socializzazione. Una sorta di “grooming a distanza”, come dice lo psicologo dalle pagine del New York Times.

Fonte: wired.it

 

La forma della nostra Via Lattea non è stata sempre la stessa, e non è immutabile. Quella che osserviamo oggi - la spirale con la corona di braccia simmetriche che dipartono dal compatto nucleo centrale - è stata in realtà forgiata da una piccola galassia: la Galassia Nana Ellittica del Sagittario. I due oggetti celesti si sono scontrati e hanno interagito per miliardi di anni e, oggi, la Via Lattea sta inglobando la sua vicina.

A mostrarlo è una simulazione al computer dell’interazione tra i due insiemi di stelle, condotta da Chris Purcell e il suo team presso l’ Università di Pittsburgh.

“ Abbiamo sempre creduto che la Via Lattea si fosse evoluta relativamente indisturbata nel corso degli ultimi miliardi di anni - ha spiegato Purcell a Space.com - in altre parole, pensavamo che nessuna forza esterna rilevante avesse contribuito a donarle la struttura e la forma che possiede oggi”.

Invece, come descritto nell’ articolo pubblicato su Nature, molto probabilmente la storia è andata diversamente. I ricercatori hanno simulato l’interazione tra una galassia dalla forma circolare, piatta e compatta (come si presuppone dovesse essere in origine la Via Lattea) e una galassia minore del tipo Sagittario; i calcoli mostrano che, in questo particolare caso, la prima cambia aspetto, trasformandosi da un disco piatto a una spirale. Non solo: l’interazione tra i due sistemi porta anche alla formazione di una scia di detriti stellari attorno alla galassia maggiore, che ricorda molto la Costellazione dell’Unicorno che aleggia attorno alla Via Lattea.

La galassia nana, scoperta solo nel 1994, sta per essere cannibalizzata dalla Via Lattea, che entro i prossimi cento milioni di anni la ingloberà totalmente. Ma in questa fusione la Galassia del Sagittario non fa solo la parte della vittima e non è passiva, anzi. Se non fosse stato per lei “ non si sarebbe verificata la formazione di alcuna spirale”, ha ribadito Purcell su Scientific American.

Ma come ha fatto un piccolo ammasso di stelle ad avere tanta influenza su una galassia gigante come la nostra? Tanto per cominciare - spiegano i ricercatori - la Galassia del Sagittario non era poi così nana qualche miliardo di anni fa. È molto probabile che fosse racchiusa in un cocoon di materia oscura grande 100 miliardi di volte la massa del Sole. Secondo, quella tra i due sistemi stellari non è stata una semplice collisione: la Galassia del Sagittario, infatti, si è ripetutamente scontrata con la Via Lattea.

Quello descritto da Purcell e la sua équipe potrebbe non essere un caso isolato nell’Universo. “ Sappiamo che le galassie minori possono avere effetti rilevanti sulle loro ospiti - ha commentato David Law, un ricercatore dell’ University of Toronto’s Dunlap Institute for Astronomy and Astrophysics che non ha preso parte allo studio - ma questa è la prima volta che è stato individuata una relazione specifica tra l’azione di una galassia minore e il suo effetto”.

Rimane da scoprire quali altre galassie devono la loro forma alla collisione con sistemi stellari minori, un’affermazione tutt’altro che scontata. Molte, infatti, possono esser state le forze evolutive che ne hanno plasmato le forme. Altre informazioni a riguardo potrebbero arrivare dallo stesso Purcell, che ha intenzione di studiare Andromeda, una delle galassie a spirale più vicine alla Via Lattea, distante 2,5 milioni di anni luce).

Fonte: wired.it

 

Piume in evoluzione  Piume in evoluzione  Piume in evoluzione  Piume di Svasso  Sei barbe intrappolate nell'ambra

11 frammenti di ambra che risalgono a quasi 80 milioni di anni fa. Al loro interno tutta l’evoluzione delle piume. Sembra Jurassic Park, invece è una scoperta dell’ università di Alberta (Canada) presentata su Science, che getta luce sulla nascita del piumaggio. E ipotizza: forse uccelli e dinosauri hanno convissuto nel tardo Cretaceo.

Da fossili recuperati in Cina si supponeva che le piume fossero partite da sottili filamenti simili a peli, ma per loro natura questi resti sono poco affidabili, quando si tratta di ricostruire la forma di strutture così fragili e leggere. L’ambra, invece, conserva il materiale organico in modo fedele, grazie alle sue proprietà antibatteriche, quasi mummificandolo. Ed è da resti simili, provenienti da Grassy Lake, in Alberta che la squadra guidata dal paleontologo Ryan McKellar ha fatto chiarezza sul mistero del piumaggio.

Nei campioni recuperati, infatti, i ricercatori si sono trovati di fronte sia delle protopiume molto somiglianti a peli, sia piume ben strutturate, comparabili a quelle dei moderni uccelli. E non solo: nell’ambra erano intrappolati anche diversi stadi di passaggio dal modello arcaico a quello contemporaneo: dai filamenti individuali si passa a quelli multipli, formando quelle che si chiamano barbe. Poi le strutture si ramificano, arrivando a raggrupparsi attorno a un rachide centrale, si agganciano le une alle altre e acquistano tutta quella serie di caratteristiche che consentono il volo.

Purtroppo i paleontologi non sono in grado di determinare se queste piume appartenessero a dinosauri o a uccelli, ma, studiando la pigmentazione residua, hanno fatto un’altra scoperta: già 80 milioni di anni fa giravano degli animali con un piumaggio colorato.

Fonte: wired.it

 

Mario Monti (Varese, 19 marzo 1943) è un economista, accademico e politico italiano. È Senatore a vita dal 9 novembre 2011, e dal successivo 16 novembre Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, al suo primo incarico, e Ministro dell'Economia e delle Finanze dello stesso governo.

Presidente dell'Università Bocconi dal 1994, Monti è stato Commissario europeo per il Mercato Interno tra il 1995 e il 1999 nella Commissione Santer; sotto la Commissione Prodi ha rivestito il ruolo di Commissario europeo per la Concorrenza fino al 2004.

Video segnalato in Redazione: Paul Adrian Covaci

Commissario Europeo

Monti, allora rettore della Bocconi, è indicato come candidato italiano per la nomina a commissario europeo nel 1994 dal governo Berlusconi I, assieme alla radicale Emma Bonino. Jacques Santer, presidente della commissione, gli assegna le deleghe a Mercato Interno, Servizi Finanziari e Integrazione Finanziaria, Fiscalità ed Unione Doganale.

Mario Monti portrait.jpg

Nel 1999 la Commissione Santer si dimette in blocco, a causa di uno scandalo legato a cattive pratiche di gestione ed amministrazione da parte di alcuni commissari ma non coinvolge Mario Monti.

Nel 1999 Monti viene confermato commissario europeo dal governo D'Alema I, che indica Prodi come secondo rappresentante per la Commissione UE, di cui lo stesso Prodi diviene presidente, e riceve la delega alla Concorrenza. Sotto la sua guida la Commissione Europea approfondisce il ruolo di controllo della concorrenza, inaugurando il procedimento contro la Microsoft (tuttora in corso) e bloccando nel 2001 la proposta di fusione tra General Electric e Honeywell, considerata contraria alle normative antitrust.

 
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Now Colorado is one love, I'm already packing suitcases;)
14/01/2018 @ 16:07:36
By Napasechnik
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