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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
By Admin (from 05/03/2011 @ 08:00:31, in it - Scienze e Societa, read 1768 times)

Valsugana e Lagorai… esperienze da vivere, attimi da ricordare…


 
Lunghe giornate di piacere distesi a crogiolarsi pigramente al sole, una leggera brezza che solletica il corpo finalmente libero di respirare, il dolce rumore dell’acqua dei laghi che accarezza i sensi più
profondi: benvenuti in Valsugana e Lagorai!

Lasciatevi conquistare dal silenzio della montagna, dai colori della natura che qui si è espressa al meglio delle sue potenzialità regalando paesaggi di poetica bellezza, dai profumi ormai dimenticati, dai sapori di antica tradizione, dall‘ emozione di uno sguardo ed una stretta di mano da chi ha fatto dell’accoglienza un vero e proprio mestiere di vita.
 
L’incanto dell’acqua, quella delle terme di Levico, Vetriolo e Roncegno, dei laghi di Levico e Caldonazzo e dei torrenti di alta montagna; la purezza dell’aria, quella dei boschi e della montagna più selvaggia del Lagorai; l’amore della natura e della terra, quella dei campi coltivati come un tempo, dei lunghi tracciati da scoprire a piedi, a cavallo o in bicicletta.

 
Il senso dell’ozio: un ozio prezioso che cambia la vita, che fa sorridere, che fa tornare felici e spensierati come bambini. Vi offriamo ciò che noi abbiamo la fortuna di vivere ogni giorno: la natura, la montagna, i laghi,… la Valsugana ed il Lagorai.
 
In questo splendido angolo del Trentino innumerevoli sono le occasioni per trasformare la vostra vacanza in un vero e proprio “bagno di salute” e rigenerare il corpo e la mente, ritrovando l’armonia con voi stessi e l’ambiente circostante.
 
È grazie al clima mite, all’aria salubre che si respira, alla vicinanza dei monti e alla presenza dei laghi, che qui tutto diventa più facile e ogni attività più stimolante. I modi per rilassarsi sono molti: dalle passeggiate in mezzo ai boschi, ai voli in parapendio fino ai rilassanti trattamenti termali.
 
 Le terme, che troviamo a Levico, Roncegno e Vetriolo sono avvolte da una magica quanto affascinante leggenda che si perde nella notte dei tempi...
 
Si narra che i quattro figli del Monte Fravort, Sidero (ferro), Cobalto (arsenico), Cupro (rame) e Ocra, buoni ed ottimamente istruiti, decisero di lasciare la casa paterna per portare a tutti le ricchezze del loro sapere e la gioia di vivere. Non appena furono lontani, però, si lasciarono contagiare dalla malvagità degli uomini, superando chiunque nella capacità del male.

Portarono discordie, guerre, calunnie e inimicizie.
 
Il Signore decise di fulminarli ma Fravort implorò clemenza. Furono quindi riportati al luogo d’origine e rinchiusi nelle viscere del monte a piangere il loro tristissimo passato. Le loro lacrime filtrarono il terreno fino ad una grotta di Vetriolo, la Caverna dell’Acqua Forte, dove oggi sgorga un’acqua minerale che può ridonare la salute e la gioia di vivere. Ocra fu rinchiusa più in basso dei suoi fratelli, nella Caverna dell’Ocra, e dalle sue lacrime nasce l’acqua minerale leggera. Ogni notte Fravort scende a visitare i figli prigionieri e porta loro notizie del bene operato a chi si affida alle loro acque.

Fonte: valsugana.info

 
By Admin (from 03/03/2011 @ 12:00:12, in it - Scienze e Societa, read 2289 times)

Nella piazza al centro del paese, volgendo lo sguardo all’insù, ci si sente protetti da una culla verdeggiante, imponente e rassicurante allo stesso tempo: il borgo montano è Pergine Valsugana, in provincia di Trento, e la cornice tutt’intorno è fatta di montagne e foreste, di vallate che si intersecano fondendo le proprie storie millenarie, avvicinando tradizioni diverse e confondendo la leggenda con la realtà. Siamo nel capoluogo del comprensorio Alta Valsugana, in Trentino Alto Adige, all’inizio della Valsugana e allo sbocco della Valle del Fersina, dove comincia la Valle dei Mocheni.

Posizionata in un’ampia valle, inondata di sole per molte ore al giorno, Pergine si trova a 490 metri di quota ed è circondata da vari rilievi: le curve dolci del colle Tegazzo, la sagoma del Monte Marzola e quella del Monte Celva, il Cimirlo verso Trento, la Panarotta con le sue piste da sci e tanti altri giganti, che come imponenti sculture abbelliscono una regione fiabesca. Un ricamo argenteo e alcune chiazze di cielo spezzano il velluto verde: sono il fiume Fersina, che scivola lungo la catena dei Lagorai e raggiunge l’Adige, il Lago di Caldonazzo e altri specchi d’acqua cristallini, come il lago di Costa, il lago Pudro, il Canzolino e il lago di Madrano.

Mentre le forze della natura, nel corso dei secoli, davano il meglio di sé per creare il magnifico paesaggio trentino, la maggior parte degli italiani non conosceva le meraviglie che se ne stavano nascoste tra le Alpi: la Valle dei Mocheni ad esempio, culla di una delle minoranze linguistiche del nostro paese, fu raggiunta dalle vie di comunicazione nella seconda metà del Novencento, e presenta tutt’ora un sapore misterioso, dove le tradizioni sono rimaste intatte e genuine come un tempo. Un clima autentico che si respira anche a Pergine Valsugana, con i suoi 20 mila abitanti, le sue testimonianze storiche e architettoniche, le abitazioni rustiche ma anche i palazzi eleganti, per non parlare delle attività economiche ancora legate alla terra e l’irresistibile arte culinaria, che fa innamorare qualunque forestiero.

Tra gli edifici più affascinanti, degno di un libro illustrato, c’è il Castello di Pergine, che impettito e fiero si erge sulla cima del colle Tegazzo. Fondato in epoca medievale, il maniero occupa una posizione strategica sulle terre che spaziano dall’Alta Valsugana ai monti Celva e Calisio, facendo da spartiacque tra il Veneto e il Trentino. La cinta muraria esterna, costellata di torri di guardia, si interrompe in corrispondenza di una torre quadrata per consentire l’accesso alla fortezza: al pianterreno si scoprono così le cucine, le cantine e l’ingresso al giardino, mentre la sala del trono (oggi utilizzata come reception), la Cappella di sant’Andrea, un bar e un prestigioso ristorante si trovano il primo piano. Le cinque sale del secondo piano sono occupate da mostre di vario tipo, dedicate alla storia della regione e alle tradizioni paesane.
Il mistero non manca nel castello: narra la leggenda che il fantasma di una dama bianca sia stato avvistato tra i corridoi del castello, e lungo le scale si apre una macabra sala di tortura, dove i prigionieri venivano sottoposti al temutissimo stillicidio.

Ma lo spirito autentico di Pergine si respira soprattutto nel centro storico, ad esempio nel cosiddetto Spiaz de le Oche, antica piazza originariamente destinata all’agricoltura, costeggiata sino alla fine del Settecento dalla palude compresa tra il paese e la vicina località di San Cristoforo. Oggi si possono ammirare le vecchie case tipiche, strette le une alle altre, coi loro ballatoi in legno e i caratteristici graticci in cui si essiccava il granturco.

Interessante anche l’edificio del Municipio, formato da due nuclei distinti e di età differenti. La parte più antica risale al 1697, e originariamente consisteva in un piano terra adibito a Dogana e in un primo piano con le stanze del Monte dei Pegni, la sala riunioni del Consiglio e un piccolo archivio. Danneggiata da un incendio all’inizio del Settecento, la Casa Comunale venne ampliata nella seconda metà del secolo, mentre a metà Ottocento venne sopraelevato assumendo l’aspetto attuale. Da vedere, nelle immediate vicinanze, la casa Ochner a pianta decagonale e il Capitello dei Cerri, con un pregevole affresco di Raffaele Fanton, datato 1984.

Numerose sono le chiese, testimoni della devozione popolare. Tra le più belle c’è quella di San Rocco, di piccole dimensioni, fondata nel 1631 dopo un’epidemia di peste per ringraziare della grazia ricevuta. Ampliata a più riprese nell’arco del Seicento, nel 1908 ha visto la rimessa a nuovo dell’affresco del timpano, raffigurante San Sebastiano e San Rocco.
A due passi dalla chiesa, in via della Pontara, si incontra il Museo della Banda Sociale di Pergine.

Chi visita Pergine Valsugana, aldilà del centro storico grazioso e curato, cerca il contatto con la natura e il relax assoluto che solo l’alta montagna può regalare. I più sportivi potranno optare per le escursioni nella stagione estiva, oppure per lo sci nel periodo invernale: a una decina di chilometri da Levico, nota città termale, ci sono le piste della Panarotta 2002, maggiore centro sciistico della Valsugana, situato alle porte del Lagorai; in alternativa, se si cercano maggiore adrenalina e una scelta di piste più ampia, ci si può spostare nella vicina Val di Fassa.

Per rilassarsi e divertirsi in paese, invece, si può contare su numerosi eventi e manifestazioni. A inizio luglio c’è la Notte Bianca affiancata dalla Festa dei Piccoli Frutti, in occasione della rassegna culturale ‘Pergine Spettacolo Aperto’. Alla fine di luglio, con le Serate e le Feste Medievali, il Castello e le vie del borgo trasportano i visitatori indietro nel tempo, alla riscoperta di un’epoca intrigante, mentre alla fine di agosto si fa onore alla tradizione culinaria locale con il trekking gastronomico ‘Perzenando’, una passeggiata a tappe lungo le frazioni del Perginese, tra aperitivi e stuzzichini, pasti gustosi e fresche golosità, accompagnati dall’animazione dei cittadini, trasformati per l’occasione in briganti e cavalieri, dame e cortigiane. L’autunno colora di oro il bellissimo Parco ai Tre Castagni, dove si svolge la golosa Festa della Zucca, ma è l’inverno a portare la vera magia in paese: nel 2010 parte il progetto Perzenland – La Valle Incantata e Il Villaggio delle Meraviglie, realizzato dal Comune e pro loco di Pergine, dal Consorzio delle pro loco della Valle dei Mocheni e dall’associazione Pergine Spettacolo Aperto. Dal 23 novembre al 24 dicembre si mette in atto una nuova sfida: proporre nell’arco di pochi chilometri un ventaglio innovativo di mercatini, spettacoli e eventi collaterali, rispettando l’antica tradizione delle feste natalizie ma con alcune peculiarità inedite. La ristorazione a chilometro zero e le luminarie ecologiche testimonieranno la sensibilità per l’ambiente montano; il villaggio per bambini, la ricerca dell’oro nel Fersina, la giostra settecentesca e lo spazio per inviare le e-mail a Babbo Natale saranno apprezzati dai più piccoli, e non mancheranno gli intrattenimenti per i più grandi, che potranno cimentarsi nello sport e imparare a conoscere questa valle incantata.

Il clima è fondamentale per creare l’incantesimo, e qui le caratteristiche sono quelle tipiche dell’ambiente montano: inverni freddi e secchi e estati piacevolissime, ideali per assaporare il paesaggio. Il gennaio, il mese più freddo, le temperature medie vanno da una minima di -5°C a una massima di 6°C, mentre in luglio e agosto si passa dai 15°C ai 29°C. Le precipitazioni sono nevose nei mesi più freddi, mentre la pioggia si concentra tra luglio e agosto, quando cadono in media 92-93 mm al mese.

Per raggiungere Pergine Valsugana si possono valutare diverse soluzioni: chi viaggia in auto deve percorrere l’autostrada A22 del Brennero, uscire a Trento Centro e continuare sulla SS47 della Valsugana per circa 13 km. La stazione ferroviaria di Pergine Valsugana si trova sulla linea Valsugana-Trento-Venezia, mentre l’aeroporto più vicino è quello di Bolzano.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 02/03/2011 @ 12:00:20, in it - Scienze e Societa, read 2719 times)

In estate i pini e i larici frusciano alle carezze del vento, spandendo nell’aria un profumo fresco di resina, in inverno, quando una coltre di neve ricopre le montagne, fanno capolino dalla coperta bianca come vedette curiose che controllano gli sciatori. E’ questo il paesaggio che abbraccia Champoluc, frazione del comune di Ayasnella val d’Ayas, in Valle d’Aosta. Situata nel lembo finale della val d’Ayas, Champoluc è la cittadina più importante della zona, appollaiata a 1568 m di quota e sormontata dal suggestivo pianoro Crest, fulcro degli sport invernali.

Il clima della Valle d’Aosta contribuisce a rendere la natura ancora più affascinante, colorando il paesaggio di luci diverse o congelandone la bellezza nella neve, nella stagione più fredda. Gli inverni, in effetti, sono piuttosto rigidi, e di notte si raggiungono anche minime di -15/-20°C, specialmente quando il cielo è limpido. Le precipitazioni in generale non sono molto abbondanti, ad eccezione delle belle nevicate che glassano le vette più alte, preparando le piste da sci al periodo turistico. Per godere di temperature più alte, adatte alla vita all’aria aperta, bisogna attendere la tarda primavera, quando si può arrivare a 20/22°C, e soprattutto l’estate: questa è la stagione delle lunghe passeggiate lungo i prati montani, baciata da temperature piacevoli e mai eccessivamente elevate, con serate fresche e qualche temporale passeggero.

Intuite le potenzialità di Champoluc, nel 1905 vi si stabilì il primo hotel: da quel momento in poi il borgo ha sprigionato tutta la sua vitalità, diventando in poco tempo una delle mete turistiche più rinomate della regione: in estate i visitatori possono esplorare innumerevoli sentieri, o servirsi della funivia che li conduce alla cima del Crest; in inverno gli impianti di risalita consentono l’accesso alle discese e alle piste di fondo. Le funivie per il Crest, infatti, portano ad altri impianti: subito dopo c’è la seggiovia per l’alpe di Ostafa e infine la seggiovia del Frachney, che sorvola il corso del torrente Evançon.

La stazione sciistica di Champoluc è un paradiso di divertimenti, arricchito di panoramici idillici e servizi impeccabili: inserita nel comprensorio del Monterosa Ski, comprende un’area sciistica collegata con quella di Gressoney-La-Trinité e, da questo punto, con il versante di Alagna Velsesia. Il Colle Bettaforca, con i suoi 2672 metri di altitudine, è la vetta più elevata del comprensorio, e permette di accedere alla Valle del Lys.

Ma l’aspetto più accattivante di Champoluc è forse la sua capacità di fondere passato e presente, divertimento e relax, paesaggio e tradizione. In questo borgo silenzioso e mite, incastonato tra le montagne più sublimi, la vivacità degli abitanti si manifesta al meglio in occasione del Festival diChampoluc, un attesissimo evento che si svolge in paese nel mese di agosto. Si tratta di un festeggiamento colorito e bizzarro, che cambia ogni anno il tema principale: si è passati dal festival sui pigri a quello sui grassi, fino alla festa dedicata ai bugiardi. In un turbinio simpatico di vizi e virtù, il festival è un’ottima occasione per conoscere l’ospitalità del luogo e le prelibatezze tipiche della cucina locale.

Per raggiungere Champoluc ci sono diverse possibilità. Da Torino, da Milano e dalla Francia si può percorrere l’autostrada A5 fino all’uscita di Verres, per poi imboccare la SR 45 e, dopo 25 km, giungere a destinazione. Chi preferisce il treno e viene da Torino o Milano deve arrivare alla stazione di Chivasso, per poi prendere la coincidenza per Aosta fino alla stazione ferroviaria di Verres. A questo punto si può usufruire delle autolinee fino al centro di Champoluc. Gli aeroporti più vicini sono quelli di Torino e Milano Linate, rispettivamente a 108 km e 191 km.

Fonte: andareingiro.net

 
By Admin (from 01/03/2011 @ 12:00:17, in it - Scienze e Societa, read 2779 times)

La Valle d’Ayas è un’incantevole vallata della Valle d’Aosta, incastonata tra montagne imponenti e ghiacciai, cosparsa di vegetazione color smeraldo e spesso scintillante di neve. Qui sorge una costellazione di borghi sparsi, che insieme formano il comune di Ayas, tra cui spicca il pittoresco paese di Antagnod: il nome significa “prima del bosco”, a testimoniare la vicinanza della foresta nel periodo della sua fondazione, e la sua bellezza gentile ha fatto si che nel 2008 venisse incluso tra i Borghi più Belli d’Italia.

Antagnod fa parte della Comunità Montana Evançon, e come una scultura da ammirare se ne sta appollaiato a 1710 metri di quota, abbarbicato al versante occidentale della valle di Ayas, da cui si gode una vista spettacolare del Monte Rosa. Ad allungare il collo oltre i tetti dell’abitato, tra il fumo dei comignoli, c’è il campanile della chiesetta locale: è lui che saluta il sole, e cattura gli ultimi raggi d’oro, prima che questo cali dietro le montagne disegnando le sagome degli abeti. La chiesa, le stradicciole tortuose e le abitazioni di legno, timide a confronto delle montagne imponenti, basterebbero a far innamorare di questa località, ma ad attirare così tanti turisti ad Antagnod sono gli impianti sciistici all’avanguardia.

Ci sono voluti anni di interventi, manutenzione e progettazione per realizzare degli impianti adeguati, che offrissero ai visitatori un servizio impeccabile senza alterare il paesaggio splendido della Valle d’Aosta. Il risultato è strabiliante: in uno scenario magico si inseriscono ottime strutture alberghiere, piste mozzafiato, spazi di divertimento per i più piccoli e locali accoglienti in cui rilassarsi tra una discesa e l’altra. Le piste non sono estese come in altre località montane, ma riescono a soddisfare anche gli sciatori più esigenti: 18 chilometri adibiti allo sci alpino e 3 chilometri per lo sci nordico sono i tracciati del complesso di Antagnod, incluso nell’ampio comprensorio del Monterosa Ski. Le piste sono spaziose, panoramiche e non eccessivamente ripide, perfette per chi ama scivolare in tutta calma, divertendosi ma anche assaporando la brezza pungente tra i capelli, godendo il profumo degli abeti e lanciando lontano lo sguardo sognante.

I bambini apprezzeranno la pista per lo slittino, e tutta la famiglia potrà avventurarsi lungo i sentieri innevati nei dintorni di Antagnod, con le ciaspole ai piedi. Chi invece non rinuncia alla tintarella neppure in montagna sarà lieto di sapere che l’esposizione al sole di Antagnod è eccellente: fuori dal rifugio, in prossimità delle piste, ci si può rilassare con il volto rivolto al sole, per respirare l’aria pura delle Alpi, assaporare il profumo del vin brulé e, allo stesso tempo, guadagnare un colorito da vacanza.

In effetti il clima locale è a dir poco idilliaco. L’esposizione geografica garantisce tante ore di sole sia in inverno che in estate, gli inverni hanno temperature spesso al di sotto dello zero che regalano nevicate strepitose, e le estati sono fresche quanto basta per godere appieno della bellezza della natura. Le temperature medie di gennaio, il mese più freddo, vanno da una minima di -3°C a una massima di 3°C, mentre in luglio e agosto variano tra i 17°C e i 27°C. Le piogge danno il meglio di sé in giugno, quando si presentano anche per dieci giorni sul totale, mentre in inverno le precipitazioni sono a carattere nevoso, suggestive e cariche di atmosfera festosa.

Se non vi accontentate dello sport e delle vedute panoramiche, preferirete le passeggiate nel centro vero e proprio del borgo: è un dedalo grazioso di viuzze e piazzole, con costruzioni suggestive tipiche della montagna e abitanti ospitali, e non mancano i piccoli tesori culturali. Tra gli edifici da non perdere c’è la Chiesa di Saint Martin de Tours, una chiesetta millenaria più volte rimaneggiata, ristrutturata nel XV secolo e nel XIX. All’interno si può ammirare l’altare barocco, intagliato nel legno con maestria, e altri due altari del Seicento, un reliquario e alcuni dipinti realizzati nel XVI secolo.

Se siete curiosi di conoscere le tradizioni di Antagnod dovete visitare la “Maison Fournier”, una delle abitazioni tipiche più suggestive, che ospita la mostra permanente dedicata ai prodotti dell’artigianato locale, oppure potete assistere a uno degli eventi culturali organizzati in paese dalle AIAT e dal comune di Ayas.

Raggiungere la Valle di Ayas significa immergersi in una costellazione appassionante di borghi e tesori naturali: per farlo basta scegliere il mezzo più indicato e partire, carichi di entusiasmo e curiosità. Chi viaggia in macchina, venendo dall’Italia, dovrà imboccare l’autostrada A5 Torino-Aosta fino al casello di Verres, poi proseguire lungo la regionale 45 della Valle di Ayas. Dopo i primi tornanti, che da Verres salgono verso la cima dei monti, si arriva a Challand-Saint-Victor e a Challand-Saint-Anselme, si raggiunge poi il cuore di Brusson, prima stazione sciistica, e superato l'abitato di Extrepieraz si accede al comune di Ayas. Sin dal bivio di Corbet si può scegliere di deviare sulla strada panoramica che attraversa i villaggi di Lignod e, finalmente, Antagnod.

Chi preferisce il treno dovrà scendere a Verres: da Torino e da Milano bisogna dirigersi a Chivasso per prendere la coincidenza con la linea Chivasso-Aosta. Giunti a Verres si trovano i pullman diretti alla Valle d’Ayas. Gli aeroporti più vicini sono quelli di Torino, Milano Malpensa e Milano Linate, rispettivamente a 107 km, 168 km e 191 km.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 28/02/2011 @ 08:00:07, in it - Scienze e Societa, read 2428 times)

Se nella vita non riusciremo mai a cancellare i nostri errori, forse tra qualche anno potremo “formattare” la nostra mente per eliminare almeno i ricordi dolorosi. Un gruppo di ricercatori americani ha infatti scoperto che la responsabile della “scrittura” permanente di ricordi traumatici nella nostra memoria è una proteina prodotta dal cervello.

 

Questa scoperta potrebbe diventare la base per la creazione di farmaci ad hoc per curare chi ha subito un grave trauma psicologico, come una guerra, una strage, uno stupro, ... e ha la vita rovinata da un "passato" difficile da superare perché troppo "ingombrante".

Per confermare la loro ipotesi, gli scienziati hanno condotto alcuni test sui topi da cavia, che venivano spaventati con suoni molto forti. E' stato quindi osservato che, in seguito all'evento traumatico, l'amigdala, una regione del cervello, produce una grande quantità di una determinata proteina, la cui concentrazione aumenta in maniera temporanea, raggiungendo un picco dopo 24 ore e scomparendo dopo 48.

 

Le proteine prodotte, però, sono instabili e quindi facili da eliminare. Quando infatti i ricercatori le hanno "rimosse" nei topi, questi non hanno più reagito al suono, dimostrando che il ricordo traumatico era stato cancellato.

 

La ricerca condotta dagli scienziati statunitensi può offrire un valido contributo alla creazione di farmaci in grado di manipolare i meccanismi mentali che concorrono nel consolidamento di un ricordo traumatico.

Tuttavia, eventuali farmaci non dovranno essere utilizzati come sostitutivi di una terapia psicologica, ma semmai dovranno integrarla, e solamente nei casi più gravi. Prima di intervenire con i medicinali, è necessario fare uno sforzo per imparare a metabolizzare alcune emozioni, per non finire di "abusare" di questa nuova opportunità...

Fonte: milanoweb.com

 

ERASMO DA ROTTERDAM (1466-1536)


...A me definire animalesco o bestiale  un conflitto armato, sembra ancora inadeguato. In effetti gli animali vivono per lo più concordemente e socievolmente all'interno della propria specie, si muovono in gruppo, si difendono e si aiutano reciprocamente....

 

Ma per l'uomo non c'è bestia più pericolosa dell'uomo. Gli animali, quando combattono, combattono con le armi che gli ha dato la natura. Noi uomini ci armiamo a rovina degli altri uomini di armi innaturali , escogitate  da un'arte diabolica. Gli animali non si scatenano per qualsiasi ragione, ma solo perché sono inferociti dalla fame, perché si sentono braccati, perché temono per i cuccioli. Noi uomini -chiamo Dio a testimone-  scateniamo le più tragiche guerre per i motivi più futili...

 Chi ha mai sentito dire che centomila animali si sono sterminati a vicenda?

 

Eppure così fanno dappertutto gli uomini . Ma il confronto non è ancora finito . Ci sono specie animali divise fra loro da un'ostilità congenita, ci sono però anche specie unite da una genuina e salda amicizia . Invece fra uomo e uomo, fra tutti gli uomini presi uno a uno, c'è guerra perpetua ; non esiste nel genere umano un'alleanza veramente salda. Così è : ogni creatura che tradisce la propria natura, degenera e diviene peggiore che se fosse stata originariamente maligna....

...non esiste pratica, per quanto infame, per quanto atroce, che non si imponga, se ha la consuetudine dalla sua parte . Quale fu dunque questo misfatto ? Ebbene, non ebbero scrupolo di divorare i cadaveri degli animali, di lacerarne a morsi la carne esanime, di berne il sangue, di suggerne gli umori, e di seppellirsi viscere nelle viscere, come dice Ovidio. ...Che cadaverici piaceri ! ...Dagli animali feroci si passò alle bestie innocue. Si cominciò dappertutto a infierire sulle pecore,  animali senza frode né inganno, sulla lepre colpevole soltanto di essere saporita . Non risparmiò il bue domestico, che aveva lungamente nutrito col suo lavoro l'ingrata famiglia ; non ci si astenne da nessuna razza di uccello né di pesce ; e la tirannide della gola arrivò al punto che nessun animale fu più in grado di sottrarsi alla caccia spietata dell'uomo...

 

Il tirocinio che abbiamo descritto, fu un addestramento all'omicidio...

E a forza di sterminare animali, s'era capito che anche sopprimere l'uomo non richiedeva un grande sforzo.

 

...E' senz'altro da preferirsi la vita delle mosche e degli uccelli, che possono vivere tranquillamente secondo natura, per quanto almeno lo permettono le insidie dell'uomo . E' incredibile quanto perda del suo fascino un uccello che, chiuso in gabbia, abbia imparato a balbettare qualche parola umana . Giacché la creazione della Natura è senz'altro più lieta e attraente di quella dell'uomo.

 
By Admin (from 24/02/2011 @ 10:00:20, in it - Scienze e Societa, read 1776 times)

Stili di vita non salutari ancora diffusi fra i bambini italiani. Secondo i dati dell'indagine OKkio alla Salute, che ha analizzato oltre 42.000 alunni delle terze classi delle scuole primarie, è ancora alta la prevalenza del sovrappeso (23%) e dell'obesità (11%). I piccoli del belpaese nel 9% dei casi non fanno colazione e nel 30% non la fanno adeguatamente, mentre 1 bambino su 4 non mangia quotidianamente frutta e verdura e circa il 50% consuma bevande zuccherate o gassate nell'arco della giornata.

 

I dati sono stati resi noti in occasione di un incontro organizzato oggi a Roma per discutere il bilancio dell'iniziativa 'Scuola e Salutè, avviata nel 2007 dal ministero della Salute e da quello dell'Istruzione per e che mira a inculcare la cultura della prevenzione e della salute fin dalle scuole elementari.

 

Secondo i dati diffusi 1 bambino su 2 oggi ha la televisione in camera, uno su 5 pratica sport per non più di un'ora a settimana. Inoltre, i genitori non sempre hanno un quadro corretto dello stato ponderale del proprio figlio: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 36% non ritiene che il proprio figlio abbia chili di troppo.  Lo studio Zoom8 condotto dall'Inran su un campione di 2.100 bambini di 8-9 anni ha approfondito alcuni aspetti indagati da OKkio alla Salute, rilevando che circa il 70% dei bambini non ha l'abitudine di andare a scuola a piedi e che solo il 26,8% gioca più di due ore al giorno all'aria aperta, nei giorni feriali. La scarsità di tempo trascorso dai piccoli all'aperto è correlata alla sicurezza dell'ambiente circostante l'abitazione e alla mancanza di strutture adeguate, specie al Sud.

 

Il ribaltamento di queste tendenze è l'obiettivo principale del progetto 'Scuola e Salutè, che insegna a 'guadagnare vità sin dai banchi di scuola. È stato presentato oggi il bilancio di tre anni dell'iniziativa che, grazie a una sinergia tra scuole, ministero della Salute e ministero dell'Istruzione, vuole contribuire alla riduzione del numero delle malattie e delle morti causate da stili di vita scorretti e cattive abitudini, come l'obesità, il fumo e l'alcol. L'Health Behaviour in School-aged Children, studio multicentrico promosso dall'Organizzazione mondiale della sanità finalizzato a raccogliere dati sui comportamenti relativi alla salute in età pre-adolescenziale (11-15 anni), realizzato in collaborazione tra l'Istituto superiore di sanità, le Università di Torino, Padova e Siena, indica fra i teenager italiani una diminuzione dell'eccesso ponderale al crescere dell'età.

La frequenza dei ragazzi in sovrappeso e obesi va dal 29,3% nei maschi e dal 19,5% nelle femmine undicenni, al 25,6% nei maschi e al 12,3% nelle femmine di 15 anni. Emerge un minor consumo quotidiano di verdura nel Sud e tra i maschi. L'indagine evidenzia inoltre lo svolgimento di minore attività fisica tra i ragazzi di 15 anni (47,5% dei maschi e 26,6% delle femmine) rispetto ai tredicenni (50,9% dei maschi e 33,7% delle femmine); una percentuale del 40% dei maschi e del 24% delle femmine di 15 anni che dichiara di consumare alcol almeno una volta a settimana e un 19% dei quindicenni (maschi e femmine) che dichiara di fumare almeno una volta a settimana.

 

Proprio sul fumo, i dati più recenti a disposizione (Doxa-Iss-Osfad 2010) indicano che tra i 15 e i 24 anni d'età i fumatori rappresentano il 21,9%. I maschi sono il 25,3% e le femmine il 18, 4%. In questa fascia d'età, l'indagine ha rilevato che il 34,5% dei baby-tabagisti inizia a fumare prima dei 15 anni e il 50,8% tra i 15 e i 17 anni: quindi l'85,3% dei ragazzi si accende la prima sigaretta prima dei 18 anni, quando frequenta ancora la scuola. Secondo i dati, il 73,4% dei giovani fumatori prende il vizio sotto l'influenza degli amici: si fuma perchè 'lo fanno tuttì. 

Fonte: leggo.it

 
By Admin (from 22/02/2011 @ 12:00:56, in it - Scienze e Societa, read 1807 times)

Per chi guarda alla crisi in corso dal punto di vista di un mondo diverso alcune questioni già ampiamente dibattute in altre sedi possono essere date per scontate. Innanzitutto, se c'è o ci sarà una "ripresa" dalla crisi - il che è ancora da vedere - non sarà granché; dei tre principali indicatori con cui si misura l'andamento economico (Pil, profitti e occupazione), la ripresa potrà riguardare il Pil di alcuni paesi, i profitti di una parte, e una parte soltanto, delle imprese; ma sicuramente non riguarderà l'occupazione e i redditi da lavoro. Meno che mai possiamo pensare di andare incontro a una nuova fase di espansione economica, come quella dei cosiddetti "Trenta gloriosi" (1945-1975); per lo meno nella parte del mondo che ci riguarda. Investimenti e profitti sono ormai irreversibilmente disgiunti da occupazione e migliori condizioni di lavoro.

Il pianeta Terra è sull'orlo di un baratro dovuto all'eccessivo consumo di ambiente, sia dal lato del prelievo delle risorse che da quello dell'emissione di scarti, residui e rifiuti. Crisi economica e crisi ambientale sono indissolubilmente legate. Per questo, per garantire reddito e condizioni di vita e di lavoro dignitose a tutti è necessario un profondo cambiamento sia dei nostri modelli di consumo che dell'apparato produttivo che li sostiene. Consumi e struttura produttiva sono indissolubilmente legati: fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica, risparmio e riciclo di suolo e di risorse, mobilità sostenibile e agricoltura biologica, multiculturale, multifunzionale e a km0 sono i capisaldi del cambiamento necessario. Questo cambiamento impone una radicale inversione di paradigma nei processi economici, per sostituire alle economie di scala fondate su grandi impianti e grandi reti di controllo economico e finanziario (come il ciclo degli idrocarburi, dalla culla alla tomba) i principi del decentramento, della diffusione, della differenziazione territoriale, dell'integrazione attraverso un rapporto diretto, anche personale, tra produzione di beni o erogazione di servizi e consumo. L'esigenza di rilocalizzare e "territorializzare" produzioni e consumi riguarda ovviamente le risorse e i beni fisici (gli atomi) e non l'informazione e i saperi (i bit); ma questo corrisponde perfettamente al criterio guida di pensare globalmente e agire localmente.

Le attuali classi dirigenti, sia politiche (di maggioranza e di opposizione) che manageriali o imprenditoriali non sono attrezzate né sostanzialmente interessate a un cambiamento del genere. La crisi potrebbe sviluppare processi sia di compattazione autoritaria che di disgregazione del tessuto connettivo dell'economia e della società. In entrambi i casi, pericolosi per tutti. C'è pertanto bisogno di una diversa forza trainante, non solo per essere realizzare, ma anche solo per concepire e progettare nelle loro articolazioni qualsiasi trasformazione sostanziale.

Una forza del genere oggi non c'è, ma nel tessuto sociale di un pianeta globalizzato si sono andate sviluppando nel corso degli ultimi due decenni pratiche, esperienze, saperi e consapevolezze nuove, anche se prive di una "voce" commisurata alla loro consistenza o di collegamenti adeguati; sia per mancanza di risorse e di accesso ai media, sia, soprattutto, per le loro caratteristiche ancora in gran parte locali o settoriali. Ma per una riconversione di vasta portata non bastano la difesa, la rivendicazione e il conflitto; servono anche progettualità, valorizzazione dei saperi e delle competenze mobilitabili, aggregazione non solo dell'associazionismo, ma anche di imprenditorialità e di presenze istituzionali. Una aggregazione del genere delinea un perimetro variabile, ma essenziale, di una democrazia partecipativa - compatibile e per molto tempo destinata a convivere con le rappresentanze istituzionali tradizionali - le cui forme non potranno necessariamente essere simili dappertutto.

Ho evitato finora di nominare termini come decrescita, democrazia a Km0, conversione ecologica, socialismo, lotta di classe, partito e simili: parole che possono dividere. Cercando di porre l'accento su quello che unisce o può unire uno schieramento di idee, di pratiche e di organizzazioni più ampio possibile. Qui di seguito, invece, prendo posizione su questioni che possono non trovare più tutti d'accordo.

Innanzitutto ritengo che lo Stato e gli Stati siano la controparte e non gli agenti di una trasformazione come quella delineata, che non può essere governata o gestita, ma nemmeno progettata, dall'alto e in forma centralizzata. Tanto meno possono svolgere un ruolo del genere la finanza internazionale o gli organismi che la rappresentano a livello planetario o quelli in cui si articola il loro potere.

In secondo luogo, ritengo sacrosanta e irrinunciabile la difesa dell'occupazione e del reddito sui luoghi di lavoro, ma se si svolge senza mettere in discussione logica e tipologia dei beni e dei servizi prodotti, al di fuori di una prospettiva di riconversione della struttura produttiva e dei modelli di consumo vigenti, è una lotta perdente. Per esempio non porta a nulla chiedere che la Fiat produca più auto, che ne produca di più in Italia, che produca modelli a più alto valore aggiunto, cioè di lusso, che produca "auto ecologiche" (peraltro un ossimoro). Per questo ritengo fulcro della riconversione il passaggio dall'accesso individuale ai beni e ai servizi a forme sempre più spinte di consumo condiviso. Non si tratta di "collettivizzare" i consumi, ma di associarsi per migliorarne l'efficacia e ridurne i costi. Gli esempi a portata di mano sono i Gas (gruppi di acquisto solidale) che nel corso degli ultimi due anni si sono diffusi in modo esponenziale; quelli più promettenti sono l'associazionismo per gestire il risparmio energetico, installare impianti di energia rinnovabile o promuovere la mobilità flessibile. È un modello che può investire tutti i servizi pubblici locali: trasporti, energia, rifiuti, acque, manutenzione del territorio, welfare municipale. E poi cultura, spettacolo, istruzione, formazione professionale e permanente; ma anche riuso di beni dismessi o da dismettere, attraverso la promozione di una cultura e di una pratica della manutenzione.

Certamente c'è bisogno di un quadro programmatico generale, non solo di livello nazionale, ma anche internazionale. Ma in mancanza di soggetti e agenti in grado o disponibili a farsene carico - e comunque impossibilitati a realizzarlo nelle sue articolazioni territoriali - è a livello locale che si gioca la partita; oggi un disegno programmatico generale può nascere solo dal concorso di iniziative a carattere locale, ancorché concepite con un approccio e un pensiero globali. Per questo la salvaguardia o la riconquista di un ruolo fondamentale per i poteri locali - municipalità e i loro bracci operativi - assume una valenza strategica generale: cosa che la campagna contro la privatizzazione dell'acqua ha messo in evidenza.

Niente a che fare con il "federalismo" sbandierato dalla Lega. Non c'è mai stato tanto accentramento e tanta espropriazione dei poteri locali - dall'Ici alle decisioni sulla localizzazione degli impianti nucleari; dal sequestro dei fondi Fas al taglio dei trasferimenti e all'accentramento degli interventi straordinari nelle mani della Protezione civile, cioè della Presidenza del consiglio, cioè della "cricca" - come da quando la Lega è al governo. Ma la minaccia e l'ostacolo maggiori per qualsiasi prospettiva di cambiamento radicale dello stato di cose presente sono rappresentati dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali, promossa e portata avanti sotto le false sembianze della loro "liberalizzazione". Non solo perché essa sostituisce il profitto alla valenza e alle finalità sociali dei "beni comuni". Ma soprattutto perché il divieto o la limitazione dell' in house providing, lungi dal promuovere l'efficienza dei servizi, innescano processi di aggregazione e finanziarizzazione delle gestioni; e con esse un progressivo e violento allontanamento dei poteri decisionali dal territorio di riferimento in attività che sono essenzialmente "servizi di prossimità", la cui efficacia dipende dal grado di controllo e di condizionamento - ma anche di partecipazione e di coinvolgimento - che l'utenza riesce a esercitare su di essi. La vicenda dei rifiuti urbani della Campania, la cui gestione era stata affidata nella sua interezza a una multinazionale estranea al territorio, dopo essere stata sottratta, con l'istituto del Commissario straordinario e con la militarizzazione del territorio, al già debole controllo delle rappresentanze istituzionali e della contestazione dal basso, è un caso da manuale. Come lo è la vicenda del sequestro del servizio idrico privatizzato in provincia di Latina.

Per questo la promozione di forme nuove di consumo condiviso - che vuol dire controllo o condizionamento sulle condizioni in cui il bene o il servizio vengono prodotti, distribuiti o erogati - è al tempo stesso via e risultato di una democrazia partecipata che coinvolga la cittadinanza attiva e la faccia crescere in numero e capacità di autogoverno: protagonisti ne dovrebbero diventare, secondo le modalità specifiche proprie di ciascun attore, i lavoratori e le loro organizzazioni, il volontariato e l'associazionismo di base, le amministrazioni locali o qualche loro segmento, le imprese sociali e quelle, anche private, soprattutto se a base locale, disponibili al cambiamento. La progettazione e la realizzazione di questo passaggio richiede comunque un confronto aperto tra tutti gli interlocutori potenziali; un confronto che nella maggior parte dei casi andrà imposto con la lotta; ma che in altri potrà essere favorito dal precipitare della crisi.

Le proposte maturate e già sperimentate in anni di riflessione e di pratiche in seno ai movimenti sono vincenti. In un confronto aperto e trasparente non possono che prevalere. Il che non significa che si impongano anche le soluzioni proposte: tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Autore: Guido Viale - Fonte: ariannaeditrice.it

 
By Admin (from 14/02/2011 @ 10:00:45, in it - Scienze e Societa, read 2916 times)

È una guerra psicologica, chimica, elettronica. La posta in gioco? Il cervello. Ma perché così tanto rumore? Semplicemente perché due scuole si affrontano. Da un lato quella della psicoanalisi, dall’altro quella delle neuroscienze.

 

La guerra comincia all’inizio del secolo con la nascita della psicoanalisi sotto l’egida di Freud. Una cinquantina d’anni più tardi, quando a Parigi apre i battenti il primo congresso mondiale di psichiatria (tra i temi affrontati, la lobotomia e l’elettroshock), e mentre i sovietici si muovono in pieno “dogma pavloviano”, vengono messi a punto i primi neurolettici. Ben presto fanno la loro comparsa anche gli antidepressivi, i sali di litio e gli ansiolitici. Alcuni di questi farmaci vengono accusati di non essere altro che dei potenti sedativi che agiscono come delle camicie di forza chimiche.

 

Ma come osserva Michel Marie-Cardine: “La spettacolare diffusione dell’uso degli psicotropi ha riguardato inizialmente le psicosi. I neurolettici hanno portato all’abbandono progressivo dell’insulinoterapia e, più rapidamente, a quello della lobotomia. E soprattutto hanno permesso a numerosi pazienti di uscire dopo molti anni dagli ospedali”.

 

Ma quali sono le conseguenze per la psicoanalisi? Negli Stati Uniti, a partire dai primi anni Settanta, il suo successo comincia rapidamente a declinare. Oggi si calcola che farebbero ricorso a essa solo il 2 per cento delle persone affette da disturbi mentali. In Francia, nello stesso periodo, la situazione è molto diversa. Tra l’antipsichiatria di Laing e Cooper e le posizioni di Jacques Lacan, la psicoanalisi appare come una vera e propria moda intellettuale. Da allora le cose sono cambiate: le dispute interne hanno incrinato la credibilità della disciplina, e la crisi economica ha fatto il resto. Il consumo di Prozac è aumentato a mano a mano che si sono svuotati gli studi degli psicoanalisti. Nel frattempo le tecniche della biologia hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti.

Molti anni dopo la messa a punto del microscopio elettronico (1955), seguito dall’uso dei microelettrodi, si assiste alla nascita degli strumenti per la visualizzazione del cervello, come gli scanner a risonanza magnetica nucleare. Oltre all’“esplorazione” del cervello, queste tecniche permetteranno anche di individuare meglio il percorso seguito dalle sostanze psicotrope attraverso il cervello, consentendo così di scoprire nuovi neurotrasmettitori e recettori specifici finora sconosciuti. Come procede oggi la coesistenza tra psicoanalisi e neuroscienze? Dice lo psicoanalista Daniel Widlöcher: “Freud era un materialista convinto. Anch’io lo sono e credo che ogni pensiero sia il prodotto del cervello. Ma ciò non significa che la conoscenza del cervello ci faccia capire la natura del pensiero. Bisogna lavorare su entrambi. Si deve determinare a quale livello la spiegazione neurofisiologica, quella cerebrale, può aiutare a capire i fenomeni studiati dalla psicoanalisi”.

 

Il neurobiologo Marc Jeannerod cita i lavori di Utta e Christopher Frith che, con un apparecchio a emissione di positroni, sono riusciti a registrare le immagini del cervello di un soggetto schizofrenico in fase di allucinazione verbale. Ma a cosa servono queste immagini? “Il nostro ruolo consiste anzitutto nell’osservare e nel cercare di capire perché gli schizofrenici presentano un deficit di segnali endogeni, cioè un deficit nel sistema cognitivo. Questo ci porta a una considerazione diversa della malattia e, a volte, a una modifica del trattamento psicoterapeutico”. Ma la comunicazione tra psicoanalisi e neuroscienze rimane ancora difficile.

Autore: Bernard Géniès, Le Nouvel Observateur

 
By Admin (from 13/02/2011 @ 12:00:46, in it - Scienze e Societa, read 2502 times)

Un alt alle sigarette elettroniche che secondo l'Oms non aiutano affatto a smettere di fumare e che non sono innocue come si tende a credere, e alle centinaia di additivi aggiunti al tabacco arriva della Conferenza sul controllo del tabacco (CCLAT), tenuta a Punta del Este, in Uruguay. Una netta presa di posizione che ufficializza quando denunciato da molti altri organismi, compresa l'Unione Europea che su entrambe le questioni della sigaretta elettronica e degli additivi ha già annunciato un giro di vite.

 

Pubblicizzata come infallibile sistema indolore per buttare il pacchetto una volta per tutte, la sigaretta elettronica "sabota in realtà le strategie messe in atto dall'Oms nella sua lotta contro il fumo", ha detto nel suo intervento Eduardo Bianco, direttore regionale dell'Alleanza per la Convenzione-quadro anti-tabacco dell'Oms. Venduta ormai in tutte le farmacie, non è altro che un mini aerosol metallico a forma di sigaretta che sprigiona vapori aromatizzati che danno l'illusione di fumare.

 

Inoltre, ha aggiunto, certi ingredienti "sono nocivi".  In alcuni casi possono essere infatti più pericolose del tabacco. (stessa OMS che ha transformato l'influenza in PANDEMIA per vendere vaccini - n.d.Red.TA) Sul fronte istituzionale l'Unione Europea è pronta è intervenire con una consultazione pubblica proprio sulle sigarette elettroniche, bonbon che contengono nicotina e gli additivi presenti nelle sigarette.

 

La norma attuale, che risale al 2001, fissa già limiti massimi di sostanze presenti nelle sigarette come la quantità di nicotina, catrame e ossido di carbonio, impone ai fabbricanti di stampare testi di avvertenza sanitaria, ha vietato i termini light o mild e propone una nuova regolamentazione delle sostanze nocive, tese a indurre dipendenza dai prodotti del tabacco.

In Italia è per ora fermo al Senato un disegno di legge bipartisan firmato dal senatore Pd Ignazio Marino e da Antonio Tomassini del Pdl. "Proponiamo l'inserimento in ciascun pacchetto di sigarette - spiega Marino - di un foglietto illustrativo con l'elenco e la concentrazione delle sostanze nocive e velenose che si assumono con le sigarette. Mercurio, ammoniaca, cianuro di vinile e altre 40 sostanze tossiche si aggiungono, infatti, alla nicotina, al monossido di carbonio e al catrame. Se il ddl non fosse bloccato in Commissione Bilancio al Senato, l'Italia avrebbe l'occasione di essere al passo con le delibere internazionali molto prima di altri Paesi". 

Fonte: americaoggi.info

 
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