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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Fulcro determinante della vita commerciale e turistica della Valle Gardena, Ortisei è una ridente località di villeggiatura nelle Dolomiti, famosa per le sue vicine piste da sci, il clima fresco in estate e secco in inverno, e per la sua secolare tradizione dell'artigianato in legno che qui trova valenti scultori famosi in tutte le Alpi.

Dal punto di vista storico la città di Ortisei, St. Ulrich in tedesco o se preferite Urtijëi il lingua ladina, possiede radice che affondano nel medioevo.

 

Risale infatti alla fine del '200 il toponimo che dovrebbe significare semplicemente una località legata alle ortiche. La versione tedesca nasce invece per una devozione particolare dei suoi abitanti a Sant'Udalrico, un vescovo della Baviera.

E' certo comunque che gran parte della notorietà di Ortisei risieda nella sua magnifica posizione panoramica: una volta risaliti dalla valle del fiume Isarco, sia da Chiusa che da Ponte Gardena. La valle si addolcisce e si allarga in una mirabile distesa di verdi prati, che diventano dolci pianure innevate durante l'inverno. Più in alto il bosco crea una cornice naturale, mentre le montagne della conca dominano solenni all'orizzonte: a sud troviamo l'Alpe di Siusi, e più lontano gli inconfondibili profili del Sasso Lungo e del Sasso Piatto (Lang kofel e Plattkofel), mentre a nord troviamo la Rasciesa e più avanti le nude rocce del gruppo delle Odle con il monte Seceda.

Dove sciare a Ortisei
Ad ortisei si ha la possibilità di utilizzare ben 175 km di piste da discesa, questo grazie al collegamento con Santa Cristina, nell'ottica del circuito Dolimiti Superski. I tracciati, di varia difficoltà, sono serviti da 55 impianti di risalita. I dislivelli sono buoni, il Monte Saceda tocca i 2500 m di altitudine, garantedo più di 1200 m complessiv di dislivello, in grado di fare divertire sia gli sciatore di livello base che quelli più tecnici. Non mancano poi i tracciati per lo sci di fondo, e grazie agli anelli dell'Alpe di Siusi i chilometri dedicati allo sci nordico superano il ragguardevole valore di 100 km.

Gli impianti partono direttamente dalla città e si può decidere di salire con la seggiovia della Rasciesa, oppure prendere l'ovovia che si dirige verso le Odle e quindi sul Monte Saceda, oppure dirigersi verso sud con la cabinovia che ha come obiettivo le piste dell'Alpe di Siusi (Seiser Alm), raggiungibili dal Monte Piz. La prima soluzione si ottiene salendo dal centro città verso nord, lungo la streda Sneton e la streda Rasciesa: una seggiovia conduce a quello che è considerato il balcone di Ortisei. Da qui si domina la vallata con ottime viste su tutta l'alta Val Gardena e il Sasso Lungo e il Gruppo Sella verso sud-est.

Oppure si può salire sul Monte Seceda dove si trova una più ampia scelta di piste, che tra l'altro si collegano a quelle di santa Cristina. Da qui partono i collegamenti per aggangiarsi al famoso Sellaronda, e si può arrivare con gli sci ai piedi fino alle Dolomiti venete. Salendo invece verso il monte Piz, che domina a sud, ci si può collegare agli impianti dell'Alpe di Siusi che rappresentano un vero paradiso per gli amanti dello sci alpino, ma soprattutto per i fondisti che qui trovano terreni davvero interessanti su cui cimentarsi.

Per coloro che non sciano Ortisei offre il suo piacevole centro pedonale, ricco di negozi sparsi nelle caratteristiche viuzze della cittadina: non si può rimanere indifferenti alle botteghe che espongono le magnifiche sculture in legno dei maestri artigiani della Val Gardena.

 

Da visitare segnaliamo la bella scenografia della Piazza della Chiesa (Kirchplatz), con due belle statue, e le chiese di Sant'Anna e S.Antonio. Anche in estate Ortisei offre interessanti spunti tur

 

istici, vuoi per il suo clima fresco, che per i numerosi sentieri che attraversano boschi ed alpeggi, che richiamano escursionisti, amanti del trekking ed anche tanti appasionati della ricerca dei funghi. ( Fonte: ilturista.info)

 

Nel bel mezzo della della alta Val Badia, a a circa 1600 m di altitudine in una posizione ottima ai piedi del Gruppo del Sella, nella valle soleggiata, si trova Corvara, importante centro turistico dell'Alta Badia adagiato ai piedi del passo Campolongo ad ovest e del passo Gardena a Nord.

Le radici di Corvara come stazione turistica per la pratica degli sport invernali risalgono ai primi del secolo scorso, quando nel 1936 venne aperto lo slittone, primo impianto sulla linea che sale al Col Alt, sulla stessa linea si sono succeduti fino ad oggi impianti sempre all'avanguardia della tecnica, nel 2006 è stata installata una modernissima cabinovia ad otto posti che garantisce rapide e comode risalite al riparo dalle intemperie.

L'essere posta al centro della valle fa di Corvara un punto di riferimento obbligato per chi pianifica la propria vacanza per poter usufruire dei caroselli sciistici del Superski Dolomiti, ogni mattina posso decidere verso quale valle dirigermi o se rimanere in loco per godere delle meravigliose piste del carosello del Pralongià, oppure chi cerca pendii di maggior livello tecnico non può assolutamente perdersi le piste del Boé che si snodano alle pendici del gruppo del Sella.

Corvara offre al turista un giusto mix di shopping e sport, alla sera dopo una giornata sugli sci posso fare quattro passi tra i negozi del centro, sorseggiare una cioccolata calda accompagnata da una fetta di torta in una delle pasticcerie del centro, oppure scegliere tra uno degli ottimi ristoranti della valle per una cena tradizionale.

Sulla sinistra orografica della valle che scende dal passo Gardena è morbidamente adagiato su prati assolati il pittoresco paese di Colfosco, frazione del comune di Corvara è il centro abitato più alto della valle posto a ben 1645 metri di quota.

Corvara gode di un accesso privilegiato al circuito del Sella Ronda, e assieme alla vicina Colfosco dispone anche di un piccolo comprensorio sciistico che si snoda alle pendici del Col Pradat ed offre piste di ottimo livello tecnico e famose tra gli sciatori per la qualità della cura e dell'innevamento.

Dalla stagione sciistica 2006/2007 oltre al già citato collegamento del Sella Ronda con il giro dei quattro passi si è aggiunta per gli sciatori della valle la possibilità di raggiungere le piste del Plan de Corones, da Pedraces un rapido skibus ci porta in località Piculin da dove una nuova telecabina risale fino al Piz de Plaies e da qui scendendo fino a San Viglio di Marebbe ho accesso alle piste del Plan de Corones.

Come in ogni comprensorio che si rispetti anche in Alta Badia è presente uno snowpark dove gli snowboarders si possono lanciare nelle loro spericolate evoluzioni tra boardercross, rail e jump, in particolare lo snowpark “Campai” è suddiviso in due parti una per i più esperti ed una più accessibile per chi si sta cimentando per le prime volte.

 

Fuoripista da non perdere e’ il percorso della Val Mezdì che dall’arrivo della funivia del Sass Pordoi conduce tra le ripide pareti del gruppo del Sella percorrendo l’omonima valle ci porta fino alle porte di Corvara. Per raggiungere questo fuoripista bisogna percorrere il Sella Ronda fino al Passo Pordoi (entrambi i sensi di percorrenza sono validi), si sale al Sass Pordoi in funivia da dove un percorso a piedi di circa 40 minuti ci porta all’imbocco del fuoripista, pur trattandosi di un percorso tecnicamente non particolarmente impegnativo, si raccomanda sempre la presenza di un maestro di sci o di una guida alpina.

La stagione estiva offre l'Alta Badia indossare un bellissimo abito verde che sale fino ai piedi delle pareti rocciose dei monti pallidi che sul fare della sera quando sono illuminate dagli ultimi raggio del sole di tingono di rosa dando luogo al famoso e unico fenomeno chiamato “Enrosadira”, termine ladino che letteralmente vuol dire “diventare di color rosa”. ( Fonte: ilturista.info)

 
By Admin (from 12/09/2010 @ 08:11:51, in it - Scienze e Societa, read 3483 times)

Prato allo Stelvio (Prad am Stilfserjoch) è una ridente località di fondovalle, posta qualche chilometro a monte della confluenza del Rio Solda con il fiume Agide. Siamo all’inizio dell’alta Val Venosta , quel tratto terminale della valle del fiume Adige che stretta dai massicci dell’Ortles e del Palla Bianca, gradualmente risale in direzione di Malles e più in alto al lago e al passo di Resia.

 

Da Prato inizia la salita al celebre passo alpino, vetta di prestigio per tutti gli appassionati di ciclismo, che con un dislivello complessivo di 1.845 metri porta in 25 chilometri e 48 tornanti al celebre passo dello Stelvio, la cima Coppi per antonomasia del Giro d’Italia.

La Val Venosta è stata da sempre un importante vi di comunicazione tra Europa Centrale bacino Mediterraneo, costituendo uno dei valichi più bassi dell’arco alpino assieme a quello del Brennero, ma oggi si candida a diventare un importante direttrice del turismo, ponendosi al confine tra Austria, Svizzera ed Italia, ed offrendo la magia di impressionanti paesaggi montani, sulle cui cime regna perenne il gelo ed il ghiaccio. Per raggiungere Prato allo Stelvio in genere si preferisce la direttrice dell’autostrada A22 del Brennero da percorrere fino a Bolzano sud. Da qui si segue la Statale 38, molto scorrevole, che supera Merano, Silandro e porta per un totale di 75 km (1 ora di percorso) al bivio di Sponfigna. Da qui si abbandona la Val Venosta e si sale in circa 2 km all’abitato di Prato allo Stelvio.

Pur trovandosi sul fondovalle, Prato allo Stelvio è comunque una località climatica in virtù dei sui 913 m di quota che rendono l’aria cittadina fresca e frizzante, e refrattaria alle calure tipiche dell’estate. Il clima di questo comparto delle Alpi vede estati fresche in cui si alternano fasi stabili a episodi temporaleschi, più frequenti sulle cime specie nei pomeriggi. Sono proprio i mesi estivi a vedere gli apporti di precipitazioni più abbondanti, mentre in inverno cade la neve e grazie alle inversioni termiche di fondovalle, con minime che scendono a valori intorno ai -10 °C si hanno le condizioni ideali per creare piste ed anelli di fondo di ottima qualità.

Cosa fare e vedere a Prato dello Stelvio?
La posizione di Prato allo Stelvio, sulla conoide di deiezione del Rio Solda, allo suo sbocco nella Val Venosta, permette di raggiungere diversi comprensori sciistici in un tempo relativamente breve: a sud di Prato allo Stelvio troviamo le stazioni di Solda (Sulden), Trafori e il Passo dello Stelvio, mentre più a nord oltre a Malles Venosta troviamo i centri di sciistici di Belpiano e Malga di San Valentino. Prato allo Stelvio si trova anche abbastanza vicino alla Val Senales e gli impianti di Laces – Malga Tarres.

Prato allo Stelvio lega comunque il suo nome all’importante Parco Nazionale Dello Stelvio, un enorme area protetta che si noda interno al massiccio dell’ortles-Cevedale. Qui a prato si trova il Centro visite Aquaprad uno dei più importanti del Parco Nazionale, di sicuro quello con la più grande aerea espositiva, con obiettivo puntato proprio sull’acqua. Elemento che tra l’altro caratterizza gli ambienti del parco, con i ruscelli, le cascate ed i grandi ghiacciai in alta quota. Presso l’Aquaprad si trova: la mostra “Tra i pesci – un viaggio in mondi sconosciuti”, con acquari didattici che raccolgono le specie ittiche della zona. Qui è possibile acquistare il libro guida di aquaprad e qui inoltre si tengono spettacoli e manifestazioni presso la Sala Raiffeisen. Il prezzo di ingresso è di 6 euro per gli adulti e 4 euro per i bambini.

A Prato si trovano poi alcuni edifici storici, in stile rinascimentale e una bella chiesa.
San Giovanni è una basilica in stile romanico, riccamente affrescata, da segnalare in città anche la Chiesa Parrocchiale della Vergine Regina. Fuori da Prato allo Stelvio merita una visita la chiesa di San Giorgio nella vicina frazione di Agumes, e la chiesa di Santa Cristina a Pinet. Vicino a studerno si trovano le rovine del Castello Churburg, o Castello Coira. ( Fonte: ilturista.info)

 
By Admin (from 11/09/2010 @ 16:00:00, in it - Scienze e Societa, read 2853 times)

A una decina di chilometri ci sono i blu intensi e le tinte dorate della Riviera Ligure di Ponente, mentre dalla parte opposta, sullo sfondo del borgo, si riconosce la sagoma maestosa del monte Bignone, alto 1299 metri. Siamo ad Apricale, un paese ligure di appena 600 abitanti in provincia di Imperia, situato nell’entroterra di Bordighera a circa 50 km dal capoluogo.

 

Incastonato nella valle del Merdanzo, il centro vanta a una Bandiera Arancione del Touring Club, ricevuta per l’alta qualità dell’offerta turistica, ed è recensito tra i Borghi più Belli d’Italia.

 

I riconoscimenti ufficiali non stupiscono i visitatori, che giungendo ad Apricale si sentono immediatamente a casa, abbracciati da un paesaggio variegato e affascinante che comunica protezione e potenza all Compreso nella Comunità Montana Intemelia, il paese ha uno stemma comunale insolito per un borgo montano: vi è raffigurato, infatti, un veliero, per ricordare la collaborazione che un tempo Apricale intratteneva con i cantieri navali del litorale ligure, trasportando verso i porti costieri il legno delle sue foreste, necessario alla realizzazione delle navi della Repubblica di Genova.

Oggi l’economia di Apricale si regge principalmente su una componente diversa, ovvero il turismo. Il successo della località, a metà strada tra le atmosfere sublimi della montagna e il calore solare della Riviera Ligure, è dovuto in gran parte alle bellezze storiche, artistiche e architettoniche che costellano il piccolo centro. Tra gli edifici più interessanti ci sono numerose chiese, come la chiesa di Santa Maria degli Angeli situata ai piedi del paese, decorata all’interno con magnifici affreschi quattrocenteschi.

La rassegna dei monumenti religiosi può continuare con la parrocchiale della Purificazione di Maria Vergine, eretta nel XII secolo ma modificata e ampliata a più riprese. In particolare, nel 1760, un massiccio restauro ha conferito all’edificio delle linee tipicamente barocche, e anche la facciata neo romanica è stata ristrutturata completamente nel 1935. Meritano un po’ di attenzione anche la Chiesa di Sant’Antonio del XIII secolo, eretta presso il cimitero locale, l’Oratorio di San Bartolomeo con il suo polittico ligneo del 1544, i ruderi della chiesa di San Pietro in Ento e la Cappella di San Vincenzo Ferrer, edificata nel Cinquecento ma arricchita di forme barocche in seguito, situata a circa un chilometro dal cuore di Apricale. Altre cappelle da non perdere sono quella di San Martino, la cinquecentesca Cappella di San Rocco e la Cappella di Moudena, collocata proprio lungo la mulattiera che conduce verso la regione di Moudena.

Un ultimo edificio di grande pregio, questa volta a carattere civile, è il Castello Lucertola, che veglia sulla piazza principale di Apricale dall’alto di uno sperone roccioso, affiancato dalla bella chiesa della Purificazione di Maria Vergine. Realizzato per i Conti Ventimiglia nel X secolo, il maniero passò dalle mani della famiglia genovese Doria ai Savoia, e infine alla famiglia Cassini di Apricale, che decise di cambiarlo da postazione difensiva a dimora privata. Oggi il castello appartiene al Comune di Apricale e, in seguito a una massiccia operazione di restauro, è adibito a spettacoli, eventi culturali e manifestazioni.
Infatti ad Apricale non mancano le occasioni di festa e di divertimento, che danno la possibilità ai visitatori di aggiungere un po’ di svago al proprio soggiorno e di conoscere più da vicino gli usi locali. Ogni anno si allestiscono mostre fotografiche, scultoree e pittoriche nel castello, mentre la piazza antistante è scenario della festa dell’olio nuovo, della festa di primavera, della festa di San Valentino e della sagra della pansarola. Quest’ultima cade la prima domenica di settembre ed è dedicata al tipico dolce della zona: per lì occasione le donne del paese si svegliano all’alba e iniziano a preparare le pansarole, deliziose frittelle di farina, zucchero e anice, alternandosi di fronte ai pentoloni destinati alla frittura. Una volta cotti, i dolciumi sono spesso accompagnati da zabaione fatto in casa. Altri prodotti caratteristici della zona sono l’olio, che deriva dalle pregiate olive taggiasche, e il vino di uva Rossese.

Chi ha già l’acquolina in bocca non perda altro tempo: raggiungere Apricale è semplice con qualunque mezzo di trasporto, grazie agli efficienti collegamenti autostradali e ferroviari di cui gode. In auto si arriva comodamente tramite la A10 Genova-Ventimiglia, uscendo a Bordighera, mentre la stazione ferroviaria di Bordighera è a soli 15 minuti di autobus. Gli aeroporti più vicini sono quelli di Nizza e Genova, rispettivamente a 35 minuti e un’ora di auto da Apricale.

La ciliegina sulla torta, che completa l’offerta irresistibile di uno dei più bei borghi italiani, è un clima mite di tipo temperato, ideale per le vacanze estive a contatto con la natura ma anche per le visite culturali primaverili o autunnali. Le estati sono calde ma non afose, rinfrescate dalla brezza che spira dalla costa, e le temperature medie di luglio e agosto vanno dai 18°C di minima ai 27°C di massima. Il mese più freddo è gennaio, con valori medi compresi tra 4°C e 11°C, mentre le precipitazioni si concentrano in autunno e primavera, quando piove in media 8 giorni al mese. ( Fonte: ilturista.info)

 
By Admin (from 11/09/2010 @ 13:00:45, in it - Scienze e Societa, read 2473 times)

Una delle nostre battute preferite è una vignetta di Calvin & Hobbes (e quindi di Bill Watterson): “Credo che uno dei segni più sicuri dell’esistenza di intelligenze aliene sia il fatto che nessuno di loro ha mai cercato di contattarci“. Insomma, sembra proprio che, se vogliamo chiacchierare con qualcuno, si sia noi a dover prendere l’iniziativa.

Un primo tentativo ragionevolmente serio di comunicazione con gli extraterrestri è quello tentato il 16 novembre 1974 ad Arecibo, per festeggiare la ristrutturazione del telescopio: 1679 bit, trasmessi in circa tre minuti verso M13 (che, come tutti sanno, è l’Ammasso Globulare di Ercole, quindi grosso modo in direzione del “centro” della nostra Galassia; da non confondersi con M31, che è invece il codice, nel catalogo Messier, di Andromeda), contenevano un messaggio destinato a raggiungere tra venticinquemila anni circa (niente battute sulle poste nazionali, prego) qualche probabile alieno.

1679 può sembrare un numero piuttosto strano, ma ha una ben precisa ragione: è il prodotto di due numeri primi (73 e 23), quindi viene spontaneo (beh, diciamo che quantomeno “potrebbe” venire spontaneo) organizzare i nostri bit in modo univoco in un rettangolo 23×73 e vedere se esce fuori qualcosa [Nota a margine: in realtà potete organizzarlo come due rettangoli, quello "giusto" da 73 righe e 23 colonne o l'altro, da 23 righe e 73 colonne: quest'ultimo, comunque, mostra delle regolarità che dovrebbero convincervi a provare nell'altro modo].

AreciboMa cosa c’era, nel messaggio? Beh, per prima cosa lo riproduciamo qui di fianco (grazie, Wikipedia); le parti nere sono degli zeri, mentre tutte le parti colorate sono degli uno: i colori sono inseriti unicamente per capire di che zona stiamo parlando.

La prima parte (zona bianca) riporta i numeri da uno a dieci in binario; ignorate l’ultima riga, serve solo a far capire da che parte si trova il bit meno significativo; inoltre, avendo a disposizione sostanzialmente tre bit, dall’otto in poi si sono dovute usare due righe.

La parte viola sono numeri: 1, 6, 7, 8 e 15: visti così non vi dicono probabilmente nulla, ma il fatto che siano i numeri atomici di idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo, ossia degli elementi che compongono il nostro DNA probabilmente (?) salterà immediatamente agli occhi degli extraterrestri, e questo dovrebbe portarli a capire la zona verde: il blocco sulla sinistra contiene le cifre 7-5-0-1-0 e, siccome abbiamo appena finito di parlare di atomi, una popolazione ragionevolmente intelligente dovrebbe associarli immediatamente al sistemino visto sopra: sette del primo (idrogeno), cinque del secondo (carbonio), nessuno di azoto, uno di ossigeno e niente fosforo, ossia, per la gioia dei chimici, C5OH7, che come tutti dovrebbero sapere è la forma del desossiribosio così come si trova nel DNA.

Da qui è tutta discesa: sulla stessa riga del desossiribosio avete adenina e timina (e poi un’altro desossiribosio), poi una riga formata da due gruppi fosfato (ripetuta anche alla fine) e in mezzo i soliti due desossiribosio con citosina e guanina.

La parte blu, a questo punto, dovrebbe essere abbastanza chiara: l’elica del DNA, mentre il numeraccio bianco in mezzo secondo qualcuno rappresenta un errore: c’è scritto qualcosa dalle parti di quattro miliardi e rotti e dovrebbe essere il numero delle coppie, ma il valore esatto è dalle parti di tre miliardi.

Quello in rosso è un omino, disegnato come forse anche Rudy riuscirebbe a farlo: sulla sinistra l’altezza, e qui gli extraterrestri dovrebbero rendersi effettivamente conto che siamo degli enigmisti: infatti non è indicata in centimetri, ma in multipli della lunghezza d’onda del messaggio. Idea decisamente carina, secondo noi.

La parte gialla rappresenta il sistema solare, e la Terra, per indicare che è casa nostra, è sfalsata; il telescopio di Arecibo (con indicate le dimensioni), chiude il messaggio e, per far vedere che a noi le complicazioni piacciono, scrive il numero in orizzontale.

Placca del Pioneer 10Non sappiamo se si sia notato, ma come messaggio a noi sembra cervellotico, scritto male e tale da mettere fortemente in dubbio l’origine intelligente; tutt’altro discorso, invece, se parliamo della piastra attaccata al Pioneer 10, ma fosse lì è più facile: sempre da Wikipedia, la vedete qui di fianco.

Qui, la simbologia è decisamente più diretta (e più comprensibile: qualche dubbio potremmo averlo sul disegno in alto a sinistra (la transazione di spin dell’atomo di idrogeno) o sul fatto che la strana stella sotto rappresenti il nostro indirizzo di casa, riferito alle distanze di quattordici quasar di cui è indicato il periodo (l’unità di tempo, qui, è data dalla frequenza della transazione di spin); in realtà all’epoca aveva causato molte discussioni per il suo supposto antropocentrismo: francamente, visto che l’abbiamo fatta noi e deve parlare di noi, evitare l’antropocentrismo ci pare piuttosto difficile, e abbiamo sempre considerato la più bella critica quella di una vignetta che Rudy ricordava, ma non se ne parla neppure di ritrovarla; ormai pronto a violare fior di copyright pur di riprodurla (facendola ridisegnare al figlio ancora minorenne, quindi anche sfruttamento di minori), è arrivato in soccorso Piero, che ne conservava una copia: la riproduciamo qui di fianco.

Sagan GiovianiIl tentativo più robusto (e serio) per comunicare con gli extraterrestri, a nostro parere è comunque quello tentato dal radiotelescopio di Eupatoria, (o Evpatoria, o Evpatorija, o Yevpatoriia; scegliete voi la traslitterazione dal cirillico che preferite) trasmesso tre volte a distanza di quattro mesi una dall’altra; abbiamo recuperato il testo della prima trasmissione, e ve lo passiamo volentieri: lo trovate a Link a RM029; siccome è molto lungo, non ci pensiamo neanche a riprodurlo qui.

Ora, se avete letto con attenzione, dovrebbe sorgervi spontanea una domanda: “Perché il testo della prima trasmissione?” Semplice: nella prima c’era un errore di stampa, corretto nelle successive: se volete provare a decifrarla, cercate anche l’errore; se non volete neanche provarci, trovate la soluzione di un lettore nel nostro Bookshelf.

Quello che ci rende tristi è il fatto che quello probabilmente più bello di tutti non è mai stato trasmesso; è stato costruito nel 1960, ed è stato proposto come problema ai lettori su un giornale giapponese: presumiamo utilizzando i caratteri occidentali, che rispetto agli ideogrammi hanno una parvenza quasi extraterrestre (sensazione reciproca, se possiamo dire la nostra); per quanto ci risulta, solo quattro soluzioni esatte sono arrivate al giornale, e ve lo proponiamo qui di seguito: abbiamo qualche problema di notazione, quindi vi diciamo subito che le lettere adiacenti sono trasmesse con un breve intervallo tra l’una e l’altra e gli spazi, le virgole, i punti e virgola, i punti fermi e i ritorni carrello rappresentano intervalli di silenzio crescenti; i numeri a inizio paragrafo non vengono trasmessi.

1 A. B. C. D. E. F. G. H. I. J. K. L. M. N. P. Q. R. S. T. U. V. W. Y. Z.
2 A A, B; A A A, C; A A A A, D; A A A A A, E; A A A A A A, F; A A A A A A A, G; A A A A A A A A, H; A A A A A A A A A, I; A A A A A A A A A A, J.
3 A K A L B; A K A K A L C; A K A K A K A L D. A K A L B; B K A L C; C K A L D; D K A L E. B K E L G; G L E K B. F K D L J; J L F K D.
4 C M A L B; D M A L C; I M G L B.
5 C K N L C; H K N L H; D M D L N; E M E L N.
6 J L AN; J K A L AA; J K B L AB; AA K A L AB. J K J L BN; J K J K J L CN. FN K G L FG.
7 B P C L F; E P B L J; F P J L FN.
8 F Q B L C; J Q B L E; FN Q F L J.
9 C R B L I; B R E L CB.
10 J P J L J R B L S L ANN; J P J P J L J R C L T L ANNN, J P S L T; J P T L J R D.
11 A Q J L U; U Q J L A Q S L V.
12 U L WA; U P B L WB; AWD M A L WD L D P U. V L WNA; V P C L WNC. V Q J L WNNA; V Q S L WNNNA. J P EWFGH L EFWGH; S P EWFGH L EFGWH.
13 GIWIH Y HN; T K C Y T. Z Y CWADAF.
14 D P Z P WNNIB R C Q C.

…logicamente, anche qui qualcuno ha avuto qualcosa da ridire: un messaggio, in particolare, presupporrebbe una convenzione che non è spiegata; non solo, ma pare che solo alcuni extraterrestri dovrebbero riuscire a capire cosa significa una certa riga.

Ora, se volete provarci…

Fonte: rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it

 

Manarola, a poco meno di un'ora da Vernazza, se ne sta su uno sperone di roccia e scende fino alla spiaggia, un tempo letto del torrente Volastra. Domina il borgo la parrocchiale di San Lorenzo, costruita nel 1338 in forme tardo- gotiche. Sul portale ogivale della facciata un basso rilievo del '400 con il martirio di San Lorenzo.

 

Partite le poche barche di pescatori verso porti più ospitali e persa la partita contro la natura che rende difficili e precarie le coltivazioni, Manarola si è votata alla Via dell'Amore.

Strada pedonale di un romanticismo mai stucchevole, scavata nella roccia, arriva a Riomaggiore camminando a picco sul mare. Non è indispensabile essere innamorati per godersi  panorama, profumi e colori della macchia. Però indubbiamente aiuta.

 

Prima di partire, è bene informarsi sulle condizioni della strada, soggetta a frane e smottamenti. Arrivati a Riomaggiore, ultimo borgo delle Cinque Terre, ecco un impianto urbano assolutamente originale, organizzato in percorsi pedonali ai vari livelli del terreno, che permettono di accedere direttamente ai piani superiori delle case, piccole torri disposte in schiere parallele. Tutte cose che si possono godere solo fuori stagione, senza eccessi turistici. ( Fonte: I weekend più belli d'Italia - Autori vari)

 
By Admin (from 09/09/2010 @ 08:20:42, in it - Scienze e Societa, read 3238 times)

Nelle Cinque Terre bisogna aver voglia di camminare. I borghi che ne compongono il paesaggio si trovano a poca distanza tra loro, collegati da strade pedonali. A quella che da Vernazza porta a Corniglia si aggiunge anche una scalinata che, in quasi due ore di cammino in salita, porta all'unico paese del territorio non affacciato direttamente sul mare.

 

Più che di storie di mare, da queste parti si parla di campi, di vigneti che ripagano a fatica il duro lavoro di coltivarli, di lento spopolamento.

 

Difficile lasciare Corniglia, aggrappata a picco su una conca verde tutta strapiombi, vallette e romantici ponti pensili. All'inizio del paese, dopo altri inesorabili scalini, si arriva alla Chiesa di San Pietro. É la parrocchiale, il cui impianto testimonia la sovrapposizione di forme gotiche e barocche. Dall'esterno è inequivocabilmente trecentesca, con il rosone in marmo bianco di Carrara, realizzato nel '300. Di un secolo più antico è, invece, il fonte battesimale che si trova all'interno .

 

Nonostante l'inevitabile istinto ad arrampicarsi che coglie tutti quelli che visitano Corniglia, non bisogna dimenticare di guardare giù, verso i resti delle antiche fortificazioni genovesi più a valle. In parte, sono inglobate nel cimitero locale e nelle acque tranquille della riviera di Levante. ( Fonte: I weekend più belli d'Italia - Autori vari)

 

Novecento abitanti, impegnati a coccolare i villeggianti o dediti all'attività principale del paese: coltivare ginestre, mimose, rose, fronde verdi, tra cui mille varianti di eucalyptus. Oppure alla produzione di olio extravergine, perchè il paese è la propaggine più alta della strada dell'Olio imperiese.

 

A Perinaldo è rilassante perfino la lettura del' elenco telefono, diviso tra pochissime famiglie. Tra i cognomi prevalenti, Cassini, come Gian Domenico, famoso astronomo del' 600 allievo di Galilei, nato qui, primo di un' illustre stirpe di scienziati. Lo scopritore dei satelliti di Saturno è celebrato con una statua che guarda verso il cielo terso dello spettacolare bel vedere di Perinaldo, e con la chiesa campestre della Madonna del Poggio dei Rei, eretta su suo progetto, con precisione assoluta, sul meridiano ligure.

 

Fiori, olive e cielo, sembra essere il motto del borgo medioevale, che possiede un Osservatorio astronomico e organizza osservazioni notturne guidate di pianeti, stelle, ammassi stellari e nebulose, facilitate dal bassissimo inquinamento luminoso e atmosferico di questa montagna.

 

I monumentali locali sono semplici e discreti, come quello che viene definito “Palazzo” cosi, tout court, senza attribuzioni, e che era residenza estiva dei marchesi Doria, talvolta usato d'inverno per la caccia: il castello Maraldi, dove nacque Cassini e che ospitò Napoleone di passaggio; la parrocchiale di San Nicolò, con un'entrata per gli uomini e una per le donne e un bel dipinto, che qui chiamano “ Delle anime”, della scuola del Guercino. ( Fonte: I weekend più belli d'Italia - Autori vari)

 

Eugenio Benetazzo, economista e critico indipendente, risponde alle critiche di chi lo aveva accusato di razzismo.

MILANO - Nel dialetto veneto, soprattutto nell'hinterland vicentino, vi è una locuzione verbale molto diffusa, "gheto capio" che significa "hai capito ?" utilizzata spesso anche come modo per intercalare durante una conversazione con uno o più interlocutori. Scrivo questo redazionale per rispondere alle accuse di leghismo e razzismo che mi sono state rivolte in occasione della pubblicazione di un altro articolo di inchiesta, al cui interno analizzavo la società americana sulla base della sua attuale situazione macroeconomica come conseguenza della sua stessa struttura sociale. Premetto che i complimenti ed apprezzamenti migliori li ho ricevuti proprio da persone che vivono e lavorano negli States da anni, i quali hanno confermato pienamente l'outlook di analisi che ho dipinto per l'America dei 50 Stati. Le accuse più infamanti invece sono arrivate da lettori italiani (molti dei quali non hanno mai visitato il paese in questione) che hanno recepito il mio redazionale come una manifestazione di appoggio politico a questa o quella forza politica.

Italiani classisti - La caratteristica principale della popolazione italiana è rappresentata dal classismo sociale: questo significa che qualsiasi titpo di affermazione, proposta, contestazione o critica deve essere sempre riconducibile a qualche movimento politico. Della serie, se Benetazzo dice che l'America è fallita a causa della sua composizione etnica allora significa che è leghista o estremista di destra e pertanto questo determina l'ammirazione di quella parte politica o il disprezzo della parte avversaria.

In Italia non vincerà mai il buonsenso - Mi rammarico per questo e temo che difficilmente il futuro del nostro paese possa essere roseo visto che non potrà mai vincere il buonsenso, ma solo un determinato colore politico. Quanto ho precedentemente scritto, come tutte le altre mie opere intellettuali, sono frutto di un analisi economica e non di una appartenenza politica. Vi è di più: il periodo di studio all'interno degli States ha voluto essere di natura prettamente inquisitoria nei confronti della società e dell'apparato economico, e non volto a visitare la Statua della Libertà a NY, Ocean Drive a Miami, il Museo della Coca Cola ad Atlanta, Rodeo Drive a Los Angeles, la Strip a Las Vegas e così via. Nel mio caso questo tipo di attrazioni sono state ignorate (tranne in parte per Las Vegas), in quanto ho voluto conoscere e studiare l'America e gli Americani per come producono, per come consumano e lavorano, come si indebitano e cosi via. La mia permanenza pertanto non è stata caratterizzata dallo svago e dal divertimento, quanto piuttosto dall'analisi, sintesi e riflessione su quanto raccolto.

L'inchiesta americana - Ho avuto modo di visitare numerose banche e grandi corporation, intervistare brokers ed executive, incontrare giornalisti e reporter indipendenti: il quadro che ne è uscito (che vi piaccia oppure no) contempla quanto scritto in precedenza. Ad esempio a Miami non mi sono sollazzato in spiaggia sotto il sole o sbronzato di tequila nei locali latinoamericani durante le notti brave, quanto piuttosto ho incontrato numerosi realtor, building developer e mortgage brokers, oltre che visitare i famosi appartamenti in svendita con il 60 % di sconto. Ad Atlanta invece (correndo non pochi rischi) ho visitato il quartiere dei neri a Downtown intervistando numerose persone che avevano appena perduto il posto di lavoro e vivevano con il sussidio federale. Quello che ne è uscito è un quadro con una logica di esame ben comprensiva se vista nel suo insieme.

Il duro prezzo della delocalizzazione americana - Il primo paese al mondo che ha delocalizzato (prima in Messico, poi in Cina, dopo in India ed ora in Vietnam) sono stati proprio gli Stati Uniti, ed ora stanno pagando il conto di quella scellerata strategia di svendere le loro produzioni all'Oriente e contestualmente anche i posti di lavoro. In parallelo a questo si è verificato uno spropositato overbulding (eccesso di costruzione) grazie al mutuo facile a soggetti underscoring (low and bad credit, solitamente persone di etnia nera, ispanica od orientale). La Fed ha poi aiutato a far peggiorare il tutto con grande incoscienza attraverso una politica monetaria suicida.

Una precisazione sui dati contestati riguardanti la composizione demografica - L'accusa più ridicola mi è stata mossa da italiani (che non sono mai stati negli USA) i quali contestano i dati da me forniti circa la composizione demografica dell'America sostenendo che secondo l'ultimo censimento la popolazione statunitense è costituita dal 60% di bianchi caucasici, il 15% da afroamericani, il 15 % ispanici, il 5% da orientali ed il restante da una molteplicità di etnie. Presa in senso generalizzato questa è la statistica media della popolazione americana. Tuttavia i 2/3 degli americani vive in aree metropolitane od urbane con più di 100.000 abitanti: l'intera economia statunitense è radicate e sviluppata nelle grandi aree metropolitane. Ma nelle aree metropolitane non abbiamo questa ripartizione: suvvia, non crediate ciecamente a me, ma almeno ai rapporti demografici che descrivono le aree in questione. Solo nelle prime dieci aree metropolitane (ce ne sono 52 in USA) vivono almeno più di 100 milioni di persone.


New York, popolazione 19.000.000, caucasici 35, Neri 25, Ispanici 20, Asiatici 10
 
Los Angeles, popolazione 12.800.000, caucasici 20, Neri 10, Ispanici 40, Asiatici 10
 
Chicago, popolazione  9.500.000, caucasici 30, Neri 30, Ispanici 25, Asiatici 10

Miami, popolazione 5.400.000, caucasici 15, Neri 25, Ispanici 45, Asiatici 10
 
Dallas, popolazione 6.300.000, caucasici 30, Neri 35, Ispanici 20, Asiatici 10
 
Seattle, popolazione 3.350.000, caucasici 50, Neri 20, Ispanici 15, Asiatici 10
 
Phoenix, popolazione 4.200.000, caucasici 50, Neri 10, Ispanici 25, Asiatici 5
 
Houston, popolazione 5.700.000, caucasici 28, Neri 25, Ispanici 35, Asiatici 5
 
Detroit, popolazione 4.400.000, caucasici 12, Neri 81, Ispanici 5, Asiatici 1
 
Atlanta, popolazione 5.300.000, caucasici 38, Neri 55, Ispanici 3, Asiatici 1

I bianchi vivono nelle campagne - La tabella di sintesi conferma pienamente quanto avevo precedentemente espresso. Se invece andate a visitare i paesini rurali in cui vive il restante 1/3 degli americani scoprirete con grande sorpresa che la popolazione è costituita al 98% da bianchi caucasici (ad esempio Springfiled in Nebrasca rappresenta una insignificante nucleo cittadino con appena 1500 abitanti, il 99% dei quali sono bianchi caucasici). Sono i nuclei di insediamento nelle aree rurali che alzano abbondantemente la percentuale dei bianchi per tutta la popolazione, tuttavia queste piccolissime comunità vivono di una economia stanziale caratterizzata da relazioni commerciali quasi rarefatte: difficilmente vi troverete la sede di una grande corporation o il jet market di una famosa catena alimentare.

Nei dati non si tiene conto dei clandestini - Inoltre anche i dati in percentuale che io stesso ho preso come riferimento (sull'ultimo censimento datato dieci anni or sono) sono discutibili. Ma in peggio. Infatti non contemplano i flussi di immigrati clandestini che entrano in America soprattutto dal Messico, una stima piuttosto ottimistica parla infatti di almeno 15 milioni di clandestini. Solo nella città di Houston si stimano 500.000 presenze. Sono proprio le grandi città metropolitane infatti che diventano le porte di ingresso preferite per l'immigrazione clandestina e per le migrazioni dei nuclei familiari. Ma il dato più significativo che conferma il profondo cambiamento del tessuto sociale statunitense è riferito ai diversi trand di crescita di ogni etnia, con in testa al momento la popolazione ispanica, la quale rappresenterà il 40 % della popolazione statunitense entro il 2030.

I rischi del credito facile - Chi ancora non fosse convinto di questo quadro spero si convinga almeno della voce autorevole di Market Watch, la prestigiosa testata giornalistica online statunitense, la quale ancora nel 2007 in un passato redazionale analizzava i rischi per l'economia americana legati al credito facile a fasce sociali dal basso rating creditizio. Voglio terminare infine con una considerazione rivolta proprio a tutti coloro i quali in questa ultima settimana non hanno fatto altro che etichettarmi come razzista o leghista: fate attenzione invece, cari lettori, a non essere proprio voi i razzisti. Chi non lo avesse ancora compreso i cosidetti processi di integrazione tanto propagandati in passato come fenomenali processi di crescita culturali per tutti i paesi che li vogliano abbracciare, conditi da buonismo ed accoglienza sfacciata, altro non hanno fatto se non istituzionalizzare lo schiavismo moderno asservito al capitale e sfruttare senza limiti tutte quelle popolazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di integrazione, spingendo proprio queste persone ad accettare lavori pericolosi, insalubri o fisicamente usuranti per una paga notevolmente inferiore a quella che sarebbe invece spettata ad un lavoratore autoctono.

La menzogna dell'integrazione razziale - E questa strada è stata perpetrata ai danni di altri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e cosi via) che hanno visto in pochissimi anni modificarsi verso il basso i loro livelli minimi salariali. L'unico beneficio che ha portato la menzogna dell'integrazione razziale è stato il vile aumento dei profitti delle grandi corporations che hanno beneficiato cosi di manodopera a costo inferiore senza tante seccature sindacali o rispetto per la dignità umana altrui. Chi invece si scalda tanto per consentire ed osannare le fenomali opportunità dell'integrazione, perchè così pensa di poter aiutare queste popolazioni dai mezzi limitati, non fa altro che condannarle ad una nuova era di schiavismo moderno, andando nel contempo a compromettere il tenore reddituale dei lavoratori autoctoni. Fate quindi attenzione, ed iniziate a considerare le opportune conseguenze (i famigerati side effects) di queste politiche di integrazione infelice, in quanto il modello americano è stato esportato in tutto il mondo, Europa compresa. Gheto capio.

Foto d'apertura: Keystone / Ap Matt Rourke

Fonte: Tio.ch

 
By Admin (from 07/09/2010 @ 08:30:28, in it - Scienze e Societa, read 1625 times)

Davanti a Portovenere, dove il golfo di La Spezia si apre verso la Corsica, c'è una delle isole italiane meno conosciute: la Palmaria. Il suo periplo lungo il sentiero principale inizia costeggiando l'ottocentesco forte ed ex carcere militare Umberto I.

 

Da qui si domina il braccio di mare con la torre Scola, un edificio del '600 su un isolotto artificiale, che era il caposaldo del sistema difensivo del golfo.

 

Superata la fortezza, il sentiero sale dolcemente per ridiscendere a Cala del Pozzo, immersa nella macchia mediterranea, luogo di attracco dei battelli provenienti da Spezia e Lerici. Si prosegue quindi verso un'ex postazione militare fino alle antiche cave di marmo nero del Pozzale e a un'ampia insenatura con una spiaggia deliziosa.

 

Un'altra breve salita, e si arriva nei pressi della Grotta dei Colombi, una delle principali testimonianze dell'età preistorica in Liguria, e all'imponente forte Cavour. Il sentiero ridiscende poi alla punta Carlo Alberto e al Terrizzo, dove ancorano le barche che attraversano le Bocche e dove non lontano ci sono stabilimenti balneari per i militari delle basi di Spezia. Divenuta Parco Naturale Regionale e dichiarata nel' 97 dall'Unesco Patrimonio Mondiale dell'umanità. ( Fonte: I weekend più belli d'Italia - Autori vari)

 
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