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Le dimissioni di Benedetto XVI, indipendentemente dalla dimensione storica dell'evento, si prestano a diverse chiavi di lettura.
By Admins (from 20/02/2013 @ 02:04:21, in it - Osservatorio Globale, read 1999 times)

Tra queste, e certo non meno lecita di altre, l'idea della resa del Papa.  Sì, perché in fondo Ratzinger ha abbandonato la sua faticosa crociata spirituale. Una resa ufficializzata con l'annuncio shock delle 11.46 dello scorso lunedì 11 febbraio. Una resa non più custodita dalle Mura Leonine, dall'invalicabile reticolato di storia che separa la Città del Vaticano dal resto del mondo. Ma nell'era della globalizzazione diventa sempre più difficile mantenere quest'isolamento. Già nel 2012 email, memorie, lettere, appunti e documenti segreti le hanno attraversate per finire sulla scrivania di magistrati e sulle prime pagine di giornali e rotocalchi. Il cosidetto "Vatileaks", la fuga di notizie che è solo uno dei tasselli nel mosaico interrotto di Ratzinger.

A uscirne indebolito è stato il Santo Padre ed il cattolicesimo in generale. Una situazione paradossale dal momento che Benedetto XVI doveva essere il papa della rinascita spirituale.  "Quando è stato eletto, Ratzinger aveva promesso di fare pulizia e di riportare la Chiesa alla sua funzione pastorale, quella della salvezza delle anime - spiega una fonte gesuita anglosassone, che per ovvi motivi vuole rimanere anonima -. Un compito che ha portato avanti per diversi anni. Poi, improvvisamente, ha fatto marcia indietro." Perché? Sicuramente uno dei codici per decifrare Vatileaks è proprio il comportamento, che alcuni definiscono "schizofrenico" del Papa nei confronti della pulizia spirituale.
Tra le battaglie interrotte c'è sicuramente quella contro la pedofilia, una lancia nel fianco della comunità cattolica di cui Wojtyla aveva per anni ignorato l'esistenza. Benedetto XVI, invece, questa lancia la voleva estrarre, tanto che ha rimosso ben 50 vescovi. Improvvisamente, però, tutto è tornato come ai tempi di Giovanni Paolo II. Irrisolto rimane anche il mistero di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un impiegato del Vaticano, scomparsa senza lasciar traccia nel 1983. Una pista porta addirittura a denaro mafioso. Ipotesi secondo la quale a far sparire la ragazza sarebbe stata, per conto di qualche boss mafioso, la famigerata banda della Magliana, che a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta spadroneggiava a Roma. Vatileaks però ne introduce una seconda: la ragazza potrebbe essere stata vittima della pedofilia.
Non tutti gli sforzi del Pontefice sono andati perduti; tra gli obiettivi raggiunti c'è quello di mettere ordine nelle caotiche finanze del Vaticano. Peccato che si tratti di una vittoria di Pirro, e vediamo perché. Nel maggio del 2009 Ratzinger affida questo delicato compito a monsignor Carlo Maria Viganò, nominato segretario generale del Governatorato, il ministero dell'economia del Vaticano. Č questo uno snodo cruciale della gestione dello Stato del Vaticano, poiché sovrintende a tutti gli appalti, le forniture, le spese dello Stato più piccolo al mondo. "Viganò non ci mise molto a scoprire che i motivi delle perdite ingenti del Governatorato erano legati alla pessima gestione di quest'istituzione e lo disse al Santo Padre," spiega la nostra fonte gesuita.
In una sua relazione  - pubblicata nel libro "Sua Santità" di Gianluigi Luzzi - monsignor Viganò denuncia anche l'operato del comitato finanza e gestione, che investiva il portafoglio finanziario del Vaticano (circa 400 milioni di euro l'anno) non nell'interesse della Santa Sede, ma dei banchieri che ne facevano parte. Ed infatti nel dicembre del 2009 si registra, in una sola operazione, una perdita di 2 milioni e mezzo di dollari che Viganò fa notare a Ratzinger. Il comitato, va detto, è composto dai grandi nomi della finanza cattolica: Pellegrino Capaldo, presidente coordinatore, ex Banca di Roma; Ettore Gotti Tedeschi, ex Banco Santander e ai tempi a capo dello Ior, l'Istituto per le Opere di Religione, la banca del Vaticano; Carlo Fatta Pasini, della Popolare di Verona e Massimo Ponzellini, allora a capo della Popolare di Milano.
Ma è nell'amministrazione della Città del Vaticano, divisa letteralmente in piccoli feudi, che il nuovo segretario generale scopre l'esistenza di una fitta rete di corruzione, nella quale sono coinvolti alti funzionari del Vaticano ed una cricca di appaltatori italiani. Dentro le Mura Leonine, insomma, tutto costa di più. Nel 2009, ad esempio, si spendono ben 550 mila euro per il presepe di Piazza San Pietro; una cifra esorbitante. Il risanamento delle finanze apparentemente funziona ed il bilancio del Governatorato passa da una perdita di quasi 8 milioni di euro nel  2009 ad un attivo di 34 milioni nel 2010. Missione compiuta, dunque. Ma non è così.
Monsignor Viganò si è fatto molti nemici dentro e fuori del Vaticano, gente potente che non rimane certo con le mani in mano, ma passa subito all'attacco. Nel marzo del 2011, sul Giornale, il quotidiano di proprietà di Berlusconi, escono un paio di articoli non firmati che lo attaccano e preannunciano la sua rimozione. Ed infatti, poco dopo, il Papa lo nomina Nunzio apostolico negli Stati Uniti e lo spedisce oltre oceano.
Č una promozione, ma anche una rimozione. In una lettera indirizzata al Santo Padre e mostrata nella trasmissione tv "Gli intoccabili", Viganò esprime grande amarezza per questa decisione; la sua partenza da Roma è infatti un segnale inconfondibile che lo status quo antes verrà ristabilito. Perché il Papa, invece di difenderlo, lo allontana  dal governatorato? Č una delle domande chiave del giallo in Vaticano.

L'eminenza grigia del Vaticano
Dai documenti privati trafugati dalla Santa Sede risulta che a far pressione su Benedetto XVI per abbandonare la crociata spirituale, e quindi cambiare atteggiamento nei confronti dell'opera di pulizia in Vaticano, sia stato il cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato, considerato dalla stampa italiana una sorta di eminenza grigia, è infatti lui l'uomo forte del Vaticano. "A Bertone l'opera di pulizia di Viganò non andava proprio a genio, perché metteva il naso nei rapporti che la sua corte mantiene con alcuni segmenti dell'élite del potere in Italia," spiega un banchiere vicino al comitato di gestione.  In qualità di segretario di Stato Bertone svolge le mansioni di primo ministro dello stato del Vaticano, che sebbene sia una monarchia assoluta, nella quotidianità viene gestito, appunto, dalla segreteria di Stato.
Tarcisio Bertone è accanto a Ratzinger dal 1995, quando venne nominato segretario della Congregazione per la Dottrina di Fede, di cui ai tempi Benedetto XVI era il prefetto. Nel 2003 venne nominato cardinale ed inviato a Genova,  dove mostrò subito grandi capacità imprenditoriali. Nel libro "La colata", sugli scandali edilizi italiani, gli autori raccontano come Bertone lanciò la Chiesa in una serie di attività immobiliari che fruttano ottimi profitti, tra le quali la gestione della sanità cattolica nella regione. Intorno al cardinale ronzavano come api politici, imprese ed appaltatori, alcuni dei quali finiti anche sotto inchiesta.
Di carattere aperto, con una grande facilità nell'istaurare relazioni amichevoli con tutti e ben introdotto negli ambienti politici, Bertone aveva tutte le carte in regola per diventare segretario di Stato di un papa teologo, poco interessato dunque alla dimensione temporale della Chiesa.
"Benedetto XVI è un intellettuale, un grande pensatore, ma non ha la stoffa del politico Wojtyla, un Papa che parlava alla pari con i capi di Stato in un periodo storico di grandi tensioni. Questo tipo di relazioni le tiene Bertone," spiega un sacerdote domenicano in pensione, che ha conosciuto Giovanni Paolo II dopo l'attentato in Piazza San Pietro. A Genova Bertone si fa le ossa investendo nel settore immobiliare, un successo che lo fa approdare alla segreteria di Stato e quando viene chiamato a dirigerla ne è subito all'altezza. Č lui, non il Papa, che nel gennaio del 2011 invia all'ufficio Cifra della nunziatura spagnola un cablo su come gestire, in modo diplomatico, la sorprendente richiesta dell'Eta di concordare una tregua con il governo spagnolo coinvolgendo nelle trattative la Chiesa.
Ma è nei rapporti con la classe politica italiana che il rodaggio genovese di Tarcisio Bertone dà i suoi frutti migliori.

La relazione speciale tra Vaticano e Italia
Il Vaticano riceve ogni anno l'otto per mille del valore totale dell'Irpef, l'imposta sul reddito delle persone fisiche italiana. Fino al 1984 l'Italia pagava ai sacerdoti soltanto la congrua, uno stipendio fisso, ma dato che le proiezioni al 2015 mostravano una riduzione del 50% nel numero dei sacerdoti dovuta alla crisi delle vocazioni, si decise di agganciare il contributo all'Irpef. L'idea fu di Giulio Tremonti, ai tempi consulente del governo socialista di Bettino Craxi, ex ministro delle finanze di quello di Berlusconi e da sempre tratto d'unione tra classe politica italiana e Vaticano. Naturalmente le pressioni per questo cambiamento provenivano dalla Santa Sede.
Sbaglia, però, chi pensa che nel rapporto tra questi due Stati il Vaticano sia il socio di maggioranza. "Il rapporto tra Chiesa e Stato italiano poggia su un'intricata rete di 'do ut des', di scambi e di favori, insomma," spiega un ex democristiano. Propaganda Fide, il ministero vaticano che coordina le missioni nel mondo e che possiede il patrimonio immobiliare più bello e prestigioso di Roma, ad esempio, affitta regolarmente ai vip dell'élite politica italiana appartamenti principeschi a prezzi accessibilissimi. "Per abitare a Piazza di Spagna o in via della Conciliazione non basta essere benestanti, bisogna essere classe dirigente e avere almeno un contatto elevato. Come se in cambio dell'affitto si garantisse una qualche benemerenza", spiega nel suo programma "Report" la giornalista investigativa Milena Gabanelli. A sua volta il governo italiano non applicava al patrimonio immobiliare di Propaganda Fide (pari a più di 8 miliardi di euro)  la tassa sugli immobili Ici,abolita da Berlusconi. E così via, la spirale di favori ed agevolazioni è infinita.
Naturalmente Tarcisio Bertone non gestisce questa macchina infernale, ma in quanto segretario di Stato è al centro della complessa ragnatela di relazioni che ne permette l'esistenza. "Viganò voleva distruggere questo meccanismo, non solo per la corruzione che genera in Vaticano ed altrove, ma per le perdite ingenti che produce alle finanze della Santa Sede," spiega la nostra fonte gesuita. Senza saperlo il suo alleato più forte è sempre stata l'Unione Europea.
Sebbene Berlusconi abbia esentato i luoghi di culto religioso dal pagamento dell'Ici, e Prodi abbia trovato uno stratagemma per mettere a tacere le proteste di Comuni, Province e Regioni riguardo a questo trattamento "speciale" con il decreto Bersani, all'Unione Europea questa politica non piace. La Commissione europea non ha gradito la creazione nel decreto della categoria "immobile non esclusivamente commerciale", una dicitura che esenta dalla tassa tutti i luoghi dove si può celebrare messa, ed ha dichiarato che l'esenzione va contro le direttive dell'Unione europea. All'inizio del 2011 l'Eu ha parlato di "multa sul Vaticano" qualora non accettasse di pagare l'imposta e tutti gli arretrati.
Solo a questo punto governo italiano e Santa Sede si attivano per trovare una soluzione. In una memoria del settembre del 2011, inviata da Gotti Tedeschi a Bertone e pubblicata da Pierluigi Nuzzi, il banchiere avanza alcune strategie che Mario Monti userà, meno di un anno dopo, per risolvere la questione.
Nonostante l'austerità nella primavera del 2012, infatti, Monti stanzia 200 milioni di euro di contributi  alle scuole private, per lo più gestite dal clero. Si tratta di una sorta di compensazione per la perdita dell'esenzione dell'Ici, oggi ribattezzata Imu. Monti lascia fuori dalla tassazione le scuole religiose non a scopo di lucro e concede la classe B a conventi, collegi, oratori e seminari per fargli pagare la vecchia aliquota, più bassa di quella nuova imposta dalle politiche di austerità.
In Italia che un governo tecnico tratti il Vaticano con i guanti bianchi non sorprende proprio nessuno. Berlusconi aveva due diplomatici che facevano da trait d'union con il Vaticano: Gianni Letta e Giulio Tremonti. Monti ne ha avuti a disposizione di più. Tra questi spiccano Andrea Riccardi, il fondatore della comunità di Sant'Egidio; Lorenzo Ornaghi (ex rettore dell'università Cattolica) e Corrado Passera (che si è fatto le ossa nella banca San Paolo di Torino). Il suo è stato uno dei governi più filo Vaticano dai tempi della Democrazia cristiana.
Ed infatti il governo Monti ha giocato un ruolo di primo piano nelle indagini riguardo alle accuse di riciclaggio dello Ior; indagini alle quali il Vaticano si è dovuto sottomettere a causa delle pressioni dell'Eu. Nell'estate del 2012, Moneyval, l'organismo antiriciclaggio del Consiglio d'Europa riunito in seduta plenaria a Strasburgo, emette un giudizio ambiguo, che evita al Vaticano di finire nella lista nera dei paradisi fiscali. Il Governo italiano, guarda caso, ha scelto di non parlare nella sessione plenaria in cui si discuteva il caso. Per protesta Giovanni Castaldi, direttore della Financial Intelligence Unit della Banca d'Italia,  ha ritirato i suoi due dirigenti dalla delegazione a Strasburgo per non essere complice di una posizione sbagliata.

La Banca di Dio
Lo Ior è un altro tassello importante. La banca nasce nel 1929 con i Patti lateranensi firmati da Mussolini, che sanciscono il risarcimento dei beni dello Stato Pontificio espropriati dopo l'unità d'Italia. Mussolini versò alla Santa Sede 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in titoli. Capitali con i quali lo Ior cominciò a lavorare. Sebbene sia a tutti gli effetti una banca straniera, fino a poco tempo fa il sistema bancario italiano la considerava alla stregua di un corrispondente estero di banche italiane. Che significa? "Che non applicava alle sue operazioni i controlli anti-riciclaggio richiesti dalla legge - spiega Gabbanelli sempre a Report -. Alla fine degli anni Novanta, ad esempio, tra la Banca di Roma e lo Ior inizia un traffico di denaro che ammonta mensilmente a 50, 60 milioni di euro. A che servono questi soldi e di chi sono? Molti pensano a tangenti, denaro mafioso ed evasione fiscale. Si tratta infatti di assegni in bianco, conti cifrati, operazioni irregolari, che però non destano alcun sospetto perché lo Ior è considerato alla stregua di una filiale." Il traffico continua per anni, chiude più di un occhio la Banca d'Italia, diretta fino al 2005 - quando verrà rimosso per ingerenze nell'acquisto della Banca Antonveneta - da Antonio Fazio, uomo religiosissimo e vicino ai vertici del Vaticano.  Nel 2008 sarà la magistratura italiana e l'Unione europea a costringere le istituzioni  ad investigare l'operato dello Ior.
La crisi economica del 2008, la recessione e la situazione critica dell'economia italiana fanno sì che la classe politica ceda alle pressioni di Bruxelles. Č una delle tante conseguenze negative che il mutato clima economico e finanziario esercitano sullo stato della Chiesa

Salvare il capitalismo per salvare la Chiesa
Anche se Tarcisio Bertone gestisce il potere temporale della Chiesa, a decidere deve sempre essere il Papa, poiché la Santa Sede è una monarchia assoluta. Č stato il Papa a rimuovere Viganò, non Bertone. Ed il Pontefice poteva dire di no, ma non l'ha fatto. Cade dunque la tesi della congiura di palazzo secondo la quale Vatileaks è stato frutto dello scontro di potere tra segretario di Stato e Papa; l'alleanza tra i due, infatti, non è stata mai così forte.
Dato che tutti concordano che Ratzinger si fida ciecamente di Bertone,  la domanda da porsi è: come ha fatto Bertone a convincere il Pontefice a fare marcia indietro? La risposta ce la fornisce la nostra fonte gesuita: "In un momento di crisi economica tanto profonda la crociata spirituale rischiava di spaccare l'istituzione della Chiesa e Ratzinger non voleva proprio correre questo rischio." La crisi finanziaria e la recessione che  affligge l'Occidente, forzano il pppa teologo ad indossare i panni del Pontefice politico, quelli prediletti da Wojtyla, ed il sarto che li confeziona è Tarcisio Bertone.
"Ratzinger è asceso al trono di Cristo dopo il papato di Wojtyla, che ha trasformato la Chiesa in un baluardo contro il comunismo - spiega la nostra fonte gesuita -. Il nostro ordine, che storicamente ha bilanciato gli interessi temporali con quelli spirituali in Vaticano, si è trovato spiazzato da altre istituzioni come l'Opus Dei o Comunione e Liberazione. Negli anni Novanta, molti di noi, tra cui un drappello di spagnoli, sono stati letteralmente messi alla porta ed hanno dovuto lasciare Roma. Non  è stato un cambiamento repentino, ma graduale, senza improvvisi licenziamenti. Così, quasi senza accorgercene, la gestione del Vaticano è passata di mano, da un ordine all'altro, e cambiata è anche l'enfasi del ruolo della Chiesa nel mondo. L'obiettivo prioritario del papato di Giovanni Paolo II è stato la caduta del comunismo, sicuramente un evento epocale, ma la Chiesa ha altri, più importanti compiti da svolgere quali l'evangelizzazione e la cura delle anime." Benedetto XVI condivideva quest'analisi, ne ha dato prova durante i primi anni del suo papato. Ma improvvisamente la Chiesa ed il suo alleato di sempre, il capitalismo occidentale, si sono trovati a dover fronteggiare un nuovo nemico, forse più potente del comunismo: la peggior crisi economica dal 1929.
Dalla caduta della Lehman Brothers il Vaticano, come tutto l'Occidente, naviga in cattive acque. Il bilancio della Santa Sede, che ha 2.700 dipendenti e riceve il grosso delle sue entrate dalla gestione del patrimonio immobiliare e dalle offerte, è infatti in perdita. Mentre nel 2007 si registrava un attivo di 6,7 milioni di euro, dal 2008 in poi il bilancio è in deficit, raggiungendo i 15 milioni di euro nel 2011. Unica eccezione il 2010, quando si è prodotto un modesto attivo, grazie anche a Viganò. Come spiegato da Viganò il Vaticano gestisce male le proprie finanze: in perdita è la Radio Vaticana, la Bbc del cattolicesimo, e l'Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano, ed in perdita è il portafoglio finanziario. Lo si legge in un documento della Curia pubblicato dal settimanale L'Espresso: "Su questo risultato (il deficit) ha influito l'andamento negativo dei mercati finanziari mondiali, che non ha consentito di raggiungere gli obiettivi preventivati." A spulciare nei bilanci ci si accorge che l'Obolo di San Pietro, e cioè le offerte che il Papa riceve personalmente ogni anno, sono in calo perché le tre nazioni tradizionalmente più generose - Stati Uniti, Spagna ed Italia-  sono in recessione. In particolare le finanze cattoliche americane sono provate dai risarcimenti che hanno dovuto pagare alle vittime della pedofilia, un'emorragia che proprio non ci voleva in questo momento di crisi.
Ecco spiegato perché l'economia e non la cura delle anime o l'impeto riformatore è al centro del dialogo che il Papa conduce da qualche tempo con il mondo, non solo con i fedeli, ma anche con le forze politiche. Ecco il motivo della sua inversione a U. La preoccupazione principale del papato di Benedetto XVI non è più spirituale, ma temporale. Anche lui, come il predecessore, ha indossato la corazza del paladino del capitalismo occidentale. Il nemico di oggi è l'avanzata delle economie emergenti, prima fra tutte la Cina, nazioni non cattoliche e spesso laiche, paesi che la Chiesa avrebbe dovuto evangelizzare, impresa ormai quasi impossibile a causa della loro crescita economica rapida. Il Vaticano teme non solo l'impoverimento dei Paesi occidentali, ma l'ascesa di nazioni come la Cina che potrebbero esportare e diffondere l'ateismo.

La Rivincita della Vecchia Guardia
L'abbandono della crociata spirituale consolida in Vaticano il potere di quelle forze interne alla Chiesa che non l'hanno mai vista di buon occhio. Così la già schiacciante presenza dell'Opus Dei si rafforza, mentre quella dei Gesuiti e Domenicani continua a scemare. Ed infatti le indagini sull'ormai famosa fuga di notizie sono state affidate al cardinale Julian Herranz, giurista di fiducia del Papa, ex presidente del dicastero dei testi legislativo e della commissione disciplinare della Curia Romana, e uomo dell'Opus Dei. Come il giornalista americano Greg Burke di Fox News, numerario dell'Obra, viene chiamato per  rimediare al danno che Vatileaks ha causato all'immagine del Vaticano nel mondo. Cambiamenti che rappresentano un duro colpo per chi aveva visto in Ratzinger  l'uomo del grande rinnovamento spirituale, in particolare per gesuiti, domenicani ed un esercito di fedeli. Adolfo Nicolas, a capo della Compagnia di Gesù, soprannominato il "Papa nero", manifesta al Pontefice questa delusione in una lettera che invia insieme a quella di un benefattore cattolico olandese, entrambe pubblicate da Nuzzi. "Perché il denaro gioca un ruolo centrale presso i diversi pastori della curia Romana - domanda il benefattore -, in alcune diocesi europee, come anche nel patriarcato di Gerusalemme?". Subito dopo - scrive Nuzzi - arrivano le accuse  alla cerchia più ristretta  di Ratzinger, dove si è accumulata in modo visibile e tangibile una misura considerevole di potere: "Alcune prove scritte pertinenti, in mia mano, servono a sostegno di quanto appena detto."

La delusione, la rabbia ed malcontento di quella fetta della Chiesa che si è vista privare del grande riformatore, hanno fatto da la miscela ideale per Vatileaks. "Come con il presidente Obama, il papato di Benedetto XIV aveva stimolato grandi aspettative," confessa un giovane padre domenicano di stanza in Vaticano. Quando queste si sono infrante la fuga di notizie è diventata l'ultima spiaggia per evitare che si insabbiasse il lavoro di anni.
Le dimissioni del papa sono legate alla lotta tra potere temporale e spirituale, una battaglia intestina che si combatte non solo dentro le Mura Leonine ma nel mondo intero? Č possibile, forse anche probabile anche se questo non è un conflitto nuovo, ma solo una nuova fase della guerra centenaria tra i due volti della Chiesa. Ratzinger ha deciso di abbandonare il campo e lasciare al prossimo pontefice la continuazione di questa guerra.

Fonte: caffe.ch - Autore: Loretta Napoleoni

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