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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Per ora, infatti, i piani della Nasa non contemplano alcuna base di appoggio sul satellite, da cui poi poter puntare a Marte. Visto il tempo di vacche magre, i progetti della agenzia spaziale sono decisamente low profile e meno entusiasmanti. In ballo vi sono 3 possibili missioni selezionate tra 28 proposte: si parla di inviare una sonda sul Pianeta Rosso per uno studio di geofisica, di indagare l’evoluzione delle comete o di sorvolare l’oceano di metano ed etano su Titano, una delle lune di Saturno. Questi progetti finalisti riceveranno 3 milioni di dollari ciascuno per portare avanti lo studio di fattibilità. La prossima selezione per entrare nel Discovery Program è fissata per il 2012, quando verrà scelta la missione vincitrice, che riceverà altri 425 milioni (lancio escluso) perché tutto sia pronto per il 2016.

Il primo dei progetti si chiama Gems (da Mars Geophysical Monitoring Station) e ha appunto l’obiettivo di studiare la struttura interna del pianeta per capire qualcosa di più sul processo che ha portato alla sua formazione. È previsto lo sviluppo di almeno tre strumenti da inviare sul pianeta: uno per misurare le vibrazioni del pianeta, un altro per i terremoti e l’ultimo per misurare il flusso di calore geotermico.

La seconda missione è la Comet Hopper, che ha l’obiettivo di “esplorare l’eterogeneità delle comete”. L’idea alla base del progetto è di seguire su una cometa nel tempo, per osservare come cambia man mano che interagisce con il Sole. Ovviamente, di sonde puntate sulle comete ce ne sono state diverse, ultima la Stardust e il suo incontro ravvicinato con Tempel1. Ma questo, come ricorda anche Popsci, sarebbe il primo progetto che vuole seguire la naturale evoluzione di questi oggetti celesti.

Terza missione è Titan Mare Explorer (TiME) che, come dice il titolo, propone di sorvolare l’oceano di metano-etano di una delle lune di Saturno. Si tratterebbe della seconda sonda ad andare sul mare di Titano dopo Huygens dell’Esa. L’idea è anche quella di cercare forme di vita che cibino di metano.

Oltre alla missione, l’agenzia dovrà scegliere anche tra tre progetti dimostrativi di tecnologie per lo studio di comete, asteroidi dello Spazio profondo e dei Neo (near-Earth object) e gli oggetti prossimi alla Terra. Il primo prevede la realizzazione di un telescopio spaziale, NEOCam, che guarderà il cielo in cerca di piccoli corpi che incrociano l’orbita terrestre, come spiega il Jet Propulsion Laboratory del California Institute of Technology. Il secondo strumento si chiamerebbe Primitive Material Explorer (PriME): studierebbe la composizione delle comete ed esplorerebbe il loro ruolo nel portare acqua e altri composti sulla Terra. Infine, Whipple – ROSS (Reaching into the Outer Solar System) vorrebbe sperimentare un nuovo metodo di ricerca degli oggetti celesti lontani.

Fonte: galileonet.it

 

Alluminio, gallio, indio e stagno. Sono questi i componenti principali di un depuratore d'acqua portatile in grado di funzionare anche come un'efficiente generatore d'energia. Tutto in completa autonomia. Lo ha ideato il team di ricerca di Jerry Woodall, ingegnere elettrico della Purdue University (Usa), che conta di realizzarlo in tempi brevi. Una volta completato, il dispositivo potrebbe portare acqua potabile ed energia nei territori in cui queste scarseggiano.

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L'idea alla base del progetto è semplice: si tratta di un serbatoio del peso di circa 45 chilogrammi che può essere trasportato ovunque ci sia bisogno di acqua fresca e pulita. Basta versare al suo interno qualche litro d'acqua – anche salata – per innescare una reazione chimica che ossida l'alluminio e scalda il liquido fino a farlo evaporare. In questo modo, il calore sprigionato uccide tutti i batteri patogeni, rendendo l'acqua potabile. Il dispositivo, inoltre, è in grado di alimentare una cella a idrogeno per la produzione di energia elettrica.

Secondo le previsioni di Woodall, la piccola centrale potrebbe generare una quantità di energia a un costo di circa 24 centesimi di euro a kilowattora; un prezzo assai competitivo per tutte quelle aree del mondo dove la costruzione di infrastrutture e centrali elettriche richiederebbe spese assai più elevate. Il costo dell'acqua potabile prodotta si aggirerebbe, invece, intorno ai 20 centesimi di euro al litro.

"Si potrebbero far arrivare il serbatoio e la cella a idrogeno in qualsiasi area remota del pianeta paracadutandoli da un aereo” - ha ipotizzato Woodall - “a quel punto il macchinario verrebbe assemblato sul posto: aggiungendo acqua salata, o dolce, la reazione chimica convertirebbe alluminio e acqua in diverse parti di idrossido di alluminio, calore e idrogeno. Il vapore ucciderebbe tutti i batteri contenuti nell'acqua e per berla basterebbe solo condensarla”.

I ricercatori americani sono ottimisti: presto avranno a disposizione la giusta soluzione per risolvere il problema dell'approvvigionamento di acqua ed energia nelle zone più irraggiungibili del pianeta. Per di più sotto forma di una tecnologia versatile e sicura: infatti, la buona disponibilità del reagente principale, l'alluminio, e l'assenza di tossicità dei suoi prodotti di scarto ridurrebbero al minimo l'impatto ambientale del dispositivo. In attesa del primo brevetto, Woodall prevede già di impiegare la cella a idrogeno per realizzare anche una serie di motori per imbarcazioni e robot sottomarini.

Fonte: galileonet.it - Purdue University

 
By Admin (from 18/07/2011 @ 08:00:03, in it - Osservatorio Globale, read 2497 times)

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La formazione dell'atmosfera di Titano, considerata uno dei più grandi misteri dell'astronomia, potrebbe essere avvenuta in seguito a un intenso bombardamento di comete, asteroidi e altri corpi celesti, avvenuto circa 3,9 miliardi di anni fa. A sostenerlo, sulle pagine di Nature Geoscience, è un team di ricercatori dell'Università di Tokyo, dell'ateneo di Osaka e del Chiba Institute of Technology (Giappone).
“Ciò che rende tanto speciale l'atmosfera di Titano è la sua densità e l'altissima concentrazione di azoto”, ha spiegato nell’articolo di accompagnamento Catherine Neish, astronoma del Laboratorio di Fisica Applicata dell'Università Johns Hopkins (Maryland, Stati Uniti): “Sulla superficie della luna, infatti, la pressione atmosferica è circa due volte quella della Terra, e più del 95% di questo mantello gassoso è fatto di azoto”.

Nel corso degli anni si sono succedute diverse teorie sulla formazione di questo velo gassoso. Prima della missione Cassini-Huygens intorno a Saturno, nel 2004, gli scienziati non erano in grado di dire se Titano e la sua atmosfera si fossero formati contemporaneamente dalla stessa nuvola di materiale, oppure se lo strato gassoso fosse comparso successivamente.

“I dati raccolti dalla sonda Huygens – ha spiegato Yasuhito Sekine, autore principale dello studio - hanno negato la prima ipotesi”. Se l'atmosfera avesse avuto origine assieme alla luna, infatti, il suo ingrediente principale sarebbe stato l'argon che, essendo un gas più pesante dell'azoto, avrebbe avuto più possibilità di rimanere intrappolato dalla gravità. La scarsità di argon e la ricchezza di azoto, dunque, fanno pensare che Titano abbia perso la sua atmosfera originaria (ammesso che l'avesse) e che il mantello gassoso che conosciamo oggi si sia formato solo in un secondo momento.

Altre teorie più recenti giustificano la presenza di una così grande quantità di azoto chiamando in causa fenomeni vulcanici e reazioni fotochimiche, ma sono plausibili soltanto se si assume che le temperature del giovane Titano fossero molto più elevate di quelle attuali. Tuttavia, i dati raccolti dagli strumenti a bordo dell'orbiter Cassini suggeriscono una storia diversa. L'ipotesi più accreditata, infatti, è che a generare l'azoto atmosferico sia stato il bombardamento di comete, asteroidi e altri corpi celesti sulla crosta ghiacciata di Titano. Questi oggetti, in particolare, si sarebbero abbattuti con tanta energia sulla superficie da rompere chimicamente i legami dei ghiacci ricchi di ammoniaca.

Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno ricostruito lo scenario in laboratorio: hanno “sparato” a diverse velocità dei piccoli proiettili (accelerati da laser) di oro, platino e rame contro diverse miscele di ghiaccio e ammoniaca ghiacciata. Dall'esperimento è emerso che il forte calore e la forte pressione che si generano a velocità d'impatto maggiori a 5,5 chilometri al secondo rompono efficacemente il ghiaccio di ammoniaca in azoto, idrogeno e vapore acqueo.

Secondo Sekine, se anche (come sembra) Titano fosse stato freddo e privo di aria, il numero e la dimensione degli impatti che lo avrebbero colpito sarebbero bastati a generare la quantità di azoto presente oggi nella sua atmosfera. E se anche la luna di Saturno fosse stata relativamente più calda e avvolta da un'atmosfera primordiale, quel primo mantello gassoso potrebbe essere stato rimpiazzato.

“In entrambi i casi – concludono i ricercatori – il modello è in grado di spiegare la scarsità di argon”. Ora resta da capire se, a sua volta, l'ammoniaca su Titano sia apparsa durante la formazione della luna oppure successivamente.

Fonte: galileonet.it - Riferimento: doi:10.1038/ngeo1147

 

Il compleanno di Amnesty International, che si è celebrato il 28 maggio 2011, è l’occasione per fare il punto sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il rapporto annuale 2011, presentato e pubblicato in Italia da Fandango Libri, racconta di cambiamenti storici nella lotta alle oppressioni, messi in moto dalle comunità più colpite dalle violazioni e resi possibili grazie anche all’uso delle nuove tecnologie e dei social media. Ma la repressione delle rivolte è sempre dietro l’angolo, e c’è ancora molta strada da fare per garantire le libertà e i diritti nel mondo.

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Il segnale più forte è quello che viene dal Medio Oriente e dall’Africa del Nord. Il vento di libertà e giustizia partito dal basso offre un’opportunità senza precedenti per i diritti umani, mette in evidenza Amnesty, ma si tratta di un cambiamento che corre sul filo del rasoio. “La gente sfida la paura. Persone coraggiose, guidate soprattutto dai giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante le pallottole, le percosse, i gas lacrimogeni e i carri armati”, spiega Christine Weise, presidente della sezione italiana dell’organizzazione. “Questo coraggio, insieme alle nuove tecnologie che aiutano le attiviste e gli attivisti ad aggirare e denunciare la soppressione della libertà di parola e la violenta repressione delle proteste pacifiche, sta dicendo ai governi repressivi che i loro giorni sono contati”. I governi di Libia, Siria, Yemen e Bahrein hanno dimostrato però di voler restare al potere, a costo di soffocare nel sangue le proteste pacifiche, mentre è forte anche la battaglia per il controllo dell’informazione e i tentativi di limitare l’accesso ai mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie della rete, come avvenuto in Egitto e Tunisia. In questo clima, quindi, il sostegno alle rivolte e alla successiva ricostruzione degli stati sarà il banco di prova per tutta la comunità internazionale, dice Amnesty.

Ma veniamo ai dati. Il rapporto, che illustra la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nel 2010, documenta restrizioni alla libertà di parola in 89 paesi (erano 96 nel 2009), casi di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi, torture e altri maltrattamenti in almeno 98 paesi (111 nel 2009) e riferisce di processi iniqui in almeno 54 paesi. In 23 paesi ci sono state esecuzioni capitali (18 nel 2009), in 67 paesi sono state emesse condanne a morte (56 nel 2009) e due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità di accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori. Nel corso del 2010, inoltre, è peggiorata la situazione dei diritti umani in vari paesi, con ripercussioni sull’azione degli attivisti in Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina; c’è stata la spirale di violenza in Nigeria e l’escalation della crisi causata dall’insurrezione armata dei maoisti nell’India centrale e nordorientale; e le crescenti minacce nei confronti dei popoli nativi delle Americhe. Non si possono dimenticare i conflitti che hanno provocato distruzione in Ciad, Colombia, Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, la regione nord caucasica della Russia, Somalia, Sri Lanka e Sudan, dove i civili sono stati spesso presi di mira da gruppi armati e forze governative. Amnesty documenta anche il peggioramento della situazione legale per le donne che scelgono d’indossare il velo integrale in Europa e l’aumentata propensione, sempre nel Vecchio Continente, a rinviare persone verso paesi dove rischiano la persecuzione.

E l’Italia? Secondo il rapporto, i richiedenti asilo e i migranti non hanno potuto accedere a procedure efficaci per ottenere protezione internazionale. I diritti dei rom hanno continuato a essere violati e gli sgomberi forzati hanno contribuito a spingere sempre più nella povertà e nell’emarginazione le persone colpite. I commenti dispregiativi e discriminatori di alcuni politici hanno alimentato un clima di crescente intolleranza nei confronti di rom, migranti e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Infine, l’Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale e Amnesty è preoccupata circa le segnalazioni di maltrattamenti da parte delle forze di polizia o di sicurezza e l’accuratezza delle indagini sui decessi in carcere e sui presunti maltrattamenti.

Fonte: galileonet.it

 

Il Sol Levante sostiene di uccidere i cetacei per scopo scientifico (consentito dalla Convenzione Internazionale sulla Caccia Baleniera) e l’Australia dice che non è vero. Così il ministro degli Esteri Kevin Rudd e il ministro dell'Ambiente Tony Burke hanno presentato alla Corte di Giustizia dell'Aja un rapporto che denuncia le violazioni dei cacciatori nipponici alle norme internazionali. Il Giappone dovrà rispondere alle accuse entro il 9 marzo 2012.

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Le ragioni del governo australiano non sono infondate. Nel giugno del 2008 due attivisti di Greenpeace, Junichi Sato e Toru Suzuki, noti come i “Tokyo Two”, smascherarono un traffico di carne di contrabbando nel deposito postale di Amaori nel nord del Giappone per un valore di circa 3.000 dollari. Per il primo ministro australiano Julia Gillard fu la conferma di ciò che da tempo già sapeva: le baleniere giapponesi che solcano l’Oceano Antartico perseguono esclusivamente scopi commerciali, lasciando tra l’altro tonnellate di carne invenduta. Se a ciò si aggiunge l’inconsistenza degli studi scientifici finora presentati dal Giappone, diventa sempre più difficile per gli australiani dare credito a quel millantato “piano di ricerca scientifica” nelle acque intorno al polo Sud.

Ma se non viaggiano in nome della scienza, le baleniere sono fuori legge. La Convenzione Internazionale sulla Caccia Baleniera firmata nel 1986 introdusse infatti una moratoria mondiale che consentiva solo due tipi di caccia: per sostentamento, permessa solo ad alcune popolazioni indigene (l'appiglio a cui si aggrappano Islanda e Groenlandia) e per ricerche scientifiche (l’ancora di salvezza del Giappone).

Negli anni si sono succeduti tentativi per rendere le norme internazionali più restrittive, vietando la caccia alle balene tout court, ma anche, al contrario, proposte per liberalizzarla. Per esempio, un anno fa i vertici della Commissione baleniera invitarono ad abbandonare il lungo atteggiamento proibizionista per consentire nei prossimi dieci anni ai paesi cacciatori (Norvegia, Giappone, Islanda) la cattura dei cetacei in quote stabilite.

La proposta, che sollevò un vespaio di critiche, non fu approvata: cacciare per scopi commerciali resta quindi un reato. Spetterà alla corte dell’Aja stabilire se il Giappone se ne è macchiato.

Fonte: galileonet.it

 

È il risultato di una ricerca svolta dal Virginia Institute of Marine Science (VIMS - Gloucester Point, USA) per la localizzazione di contaminazioni ambientali. Tale sensore ha mostrato la capacità di identificare inquinanti marini come il petrolio in modo più economico e rapido delle tecnologie attualmente disponibili. I risultati dei primi test, pubblicati su Environmental Toxicology and Chemistry, rivelano come il biosensore potrebbe essere utilizzato per il rapido rilevamento e il monitoraggio delle maree nere.

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Gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario degli organismi quando vengono “attaccati” da elementi estranei. Tali proteine sono in grado di riconoscere virus e altre molecole organiche, ai quali si legano in modo specifico. Gli scienziati del VIMS hanno pensato quindi di sfruttare questa importante capacità degli organismi per produrre anticorpi in grado di riconoscere alcuni inquinanti ambientali.

Per ottenere gli anticorpi, i ricercatori hanno “vaccinato” dei topi contro i contaminanti, somministrando loro un composto di proteine e IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici, sostanze presenti nel petrolio). Quando i linfociti del loro sistema immunitario hanno iniziato a produrre gli anticorpi IPA-specifici, gli scienziati li hanno isolati, prelevati e fatti crescere in coltura, in modo da ottenere una quantità sufficiente di anticorpi da inserire in un sensore elettronico sviluppato appositamente.

Gli esperimenti condotti dai ricercatori nel fiume Elizabeth, in Virginia, hanno dimostrato che il biosensore è in grado di processare campioni di acqua in meno di 10 minuti, e di rilevare livelli estremamente bassi di inquinanti. Inoltre, l’analisi dei campioni direttamente sul campo (e non in laboratorio) ha permesso una diminuzione significativa dei tempi e dei costi di analisi, pur mantenendo lo stesso livello di accuratezza delle tecnologie attuali.

“Se questi biosensori fossero posizionati vicino a uno stabilimento petrolifero e se ci fosse una perdita, lo sapremmo immediatamente” ha concluso Stephen Kaattari, uno degli autori dello studio. “E siccome potremmo identificare concentrazioni crescenti o decrescenti, potremmo anche seguire la dispersione della perdita in tempo reale”. 

Fonte: galileonet.it - via: Environmental Toxicology and Chemistry

 
By Admin (from 27/07/2011 @ 08:00:38, in it - Osservatorio Globale, read 2704 times)

Non sono solo sei i passeggeri dello shuttle Endeavour, finalmente partito a maggio 2011 dal Kennedy Space Center alla volta della Stazione spaziale internazionale. A bordo infatti, oltre agli astronauti della Nasa e al nostro Roberto Vittori,ci sono anche sei diversi tipi di microrganismi (tra cui uno soprannominato "Conan il batterio"), parte del Living Interplanetary Flight Experiment (Life) della Planetary Society, e un piccolo calamaretto, un esemplare di Sepiola atlantica per la precisione.

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Obiettivo: dimostrare quali tipi di organismi, privi delle attrezzature degli astronauti, possono viaggiare nello Spazio e sopravvivere all'assenza di gravità e alle radiazioni, e verificare la validità dell'ipotesi della transpermia, secondo la quale la vita sulla Terra potrebbe essere arrivata attraverso meteoriti provenienti dalla superficie di altri pianeti come Marte e Venere.

Quella a bordo della navicella, più che una manciata di microrganismi, sembra una squadra di supereroi della Marvel. Il team è composto da estremofili come i terdigradi (soprannominati "orsi d'acqua"), piccolissimi invertebrati in grado di sopportare temperature vicine allo zero assoluto o, al contrario, ai 150°C; poi ci sono i batteri Deinococcus radiodurans (il nostro “Conan”) che possono sopravvivere anche se esposti a una radiazione di15mila Gy, gli archeobatteri Haloarcula marismortui che vivono a livelli di salinità insostenibili per qualunque altro organismo, e i cosiddetti mangiatori di fuoco, Pyrococcus furiosus, resistenti al calore. A chiudere questa sfilata di super poteri ci pensano alcuni esemplari di Cupriavidus metallidurans, bacillo responsabile della formazione di pepite d'oro, e di Bacillus subtilis: organismo modello in molti laboratori, è già stato portato nello Spazio diverse volte e fungerà da controllo.

Questa squadra ha fondamentalmente la funzione di apripista per progetti ben più ambiziosi del Life. La prossima missione, infatti, prevede di spedire un nutrito gruppetto di microrganismi su Phobos, la polverosa luna di Marte. A novembre, invece, un altro team di questo tipo partirà con destinazione Pianeta Rosso a bordo del  Fobos-Grunt lander, per poi tornare a Terra nell'estate del 2014.

Certo e amaro è il destino che aspetta il povero calamaro: non è lui il vero oggetto dello studio, ma alcuni benefici batteri ospiti del suo organismo come i Vibrio fischeri, usati dal mollusco per generare luce. Gli scienziati della Nasa, infatti, vogliono verificare se a questi batteri buoni capiti quanto osservato in quelli cattivi: nelle condizioni estreme di temperatura e radiazioni, questi ultimi diventano ancora più nocivi. Quindi, una volta raggiunta la Stazione spaziale, il piccolo calamaro sarà colonizzato con i batteri esposti allo Spazio, ucciso e conservato per poter poi essere analizzato una volta di ritorno sulla Terra. Così anche lui andrà ad aggiungersi alla lunga lista di animali morti in missione, da Laika a oggi.

Fonte: galileonet.it - Riferimenti: wired.it

 
By Admin (from 29/07/2011 @ 08:00:36, in it - Osservatorio Globale, read 2786 times)

Un asteroide che punta minaccioso verso la Terra e pochi giorni per decidere cosa fare. E' la sceneggiatura di molti film catastrofisti, ma anche un'ipotesi che sta ispirando software per evacuare la popolazione dalle eventuali zone d'impatto. È il caso del progetto di Charlotte Norlund - PhD in astronautica presso l'Università di Southampton - presentato a Bucarest in occasione della International Academy of Astronautics Planetary Defence Conference.

Detail-impatto asteroide

Il programma di simulazione si chiama Near Earth Object Mitigation Support System (Neomiss) e aiuterà i governi ad adottare le migliori strategie per ridurre la perdita di vite umane nel caso di un imminente impatto. Il sistema è in grado di valutare le tipologie di danno che l'asteroide potrebbe causare all'ambiente e alle infrastrutture circostanti il punto di collisione sotto forma di terremoti, onde d'urto e incendi. Unendo questi dati a una precisa valutazione dell'affollamento delle vie di fuga, Neomiss è in grado di indicare tutte le soluzioni per facilitare la fuga.

"L'idea alla base di questo sistema può essere applicata a qualsiasi tipo di calamità naturale"- ha precisato Hugh Lewis, ingegnere aerospaziale e coordinatore della ricerca - “basta disporre in anticipo di alcune previsioni di allerta, come nel caso di uragani, eruzioni vulcaniche, tsunami e impatti di asteroidi. I primi risultati dimostrano che, in caso di emergenza, in diverse aree del mondo si impiegherebbe troppo tempo per mettere in salvo la popolazione”.


Mentre Neomiss suggerisce gli interventi possibili, i telescopi del programma Nasa Spaceguard sorvegliano lo Spazio puntando i loro sensori sulle traiettorie degli asteroidi che sfiorano l'orbita terrestre. Il prossimo sarà 2005 YU55, un gigante del diametro di 400 metri che sfreccerà vicino alla Terra nel novembre 2011.

Fonte: galileonet.it

 

"Ciao bella! Il tramonto del Paese più incantevole del mondo”. Così l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha titolato la copertina di una sua recentissima edizione, dedicandola interamente alla crisi della nostra Italia. Una crisi che è soprattutto economica, ma non solo: perché il caso italiano ha attirato l’attenzione della stampa internazionale alla luce del recente attacco della speculazione, ma la sua malattia è molto più profonda.

Ed è così che Der Spiegel traccia il ritratto di un Paese paralizzato a livello politico, economico e culturale, che fa fatica ad affermarsi nell’economia globale nonostante la sua presenza nell’olimpo dei Paesi più industrializzati. Un’immagine già di per sé triste, costantentemente schiacciata a livello internazionale dagli ingombranti problemi personali della sua classe dirigente.

Tanto per cominciare, Der Spiegel cita il Forum Economico Mondiale di Ginevra, che ha definito l’Italia “un grosso intralcio” allo sviluppo; un’inefficiente burocrazia statale, un sistema tributario corruttibile, infrastrutture insufficienti e un fiacco sistema di prestiti sono alla base della sua debolezza. Il bilancio 2010 della Banca d’Italia ha rivelato un livello di economia pari a 25 anni fa. Nel 2009 il volume del sistema produttivo si è contratto del 5%, mentre nel 2010 ha superato di poco la parità.

Tra il 2008 e il 2009 sono stati cancellati 560mila posti di lavoro; il debito pubblico ha raggiunto i 1.843 miliardi di euro, più del doppio di quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo e nel 2011 raggiungerà con ogni probabilità il 120% del Prodotto interno lordo (Pil). E, dulcis in fundo, solo il 27,5% dei cittadini italiani sostiene l’attuale Governo, ma la forza di cambiare davvero sembra scemare.

Č da vent’anni a questa parte che l’Italia perde progressivamente di credibilità sotto ogni punto di vista, e questo non è un mistero. Per il settimanale tedesco il verdetto decisivo in questo senso è arrivato settimana scorsa dai mercati: citando il Financial Times, Der Spiegel scrive che la finanza non dà più credito al Governo italiano perché la sua politica crea insicurezza negli investitori. E anche ora che la manovra per la riduzione del deficit è passata e il vertice europeo di giovedì a Bruxelles sembra aver rassicurato i mercati (tra cui anche Piazza Affari che ha ripreso istericamente colore), il pericolo finanziario non sembra del tutto scongiurato.

Perché in realtà le basi su cui poggia il piano di risparmio da oltre 70 miliardi del Governo italiano lasciano aperti spiragli di insicurezza, suggerisce Der Spiegel. “Tra questo e il prossimo anno si prevede di risparmiare 9 miliardi di euro, solo l’11% del traguardo finale”, si legge nel lungo servizio, 10 pagine che sembrano non finire mai, “nel 2013 ci saranno poi le elezioni e la sopravvivenza della manovra alla campagna elettorale è tutt’altro che sicura”. In pratica, i veri sacrifici sono rimandati a una prossima legislatura: poco probabile che l’Italia stia recuperando la sua attendibilità di fronte ai mercati per la serietà del suo programma di risparmio.

“Di quell’Italia degli anni ’70 e ’80 che l’Europa tutta guardava con speranza, simpatia e forse una punta di invidia rimane sempre meno”, prende atto Der Spiegel, e introduce la sua analisi della nostra società dal punto di vista dei costumi e della cultura. E si parte dal ruolo fisso delle donne nella televisione, che si riduce al mero, inconsapevole “sculettare”, passando per gli “orgogliosi comuni del Nord Italia”, trasformatisi nella “roccaforte xenofoba della Lega Nord”, e per Cinecittà, ormai leggenda nella memoria tedesca, che affonda facendo spazio “all’impero del cattivo gusto”.

Inutile aggiungere che, ancora una volta, al centro del servizio di Der Spiegel c’è il premier Silvio Berlusconi: dai processi in corso al Rubygate, dalla nascita del suo impero mediatico agli interventi sulle leggi italiane che gli garantiscono la sopravvivenza politica ed economica, senza tralasciare i recenti diverbi con il ministro delle Finanze Giulio Tremonti e i provvedimenti per circoscrivere la libertà dei giudici. Nessun particolare è risparmiato all’Italia e alla sua politica, definita da Der Spiegel la “democrazia dell’intrattenimento”, perché l’Europa è preoccupata e osserva.

Ed è proprio un filosofo friulano, Flores D’Arcais, a dare voce alle inquietudini europee: “Il berlusconismo è la moderna alternativa al fascismo e si fonda sulla legalizzazione dei privilegi, così come sul potere assoluto delle immagini”. Der Spiegel non manca di citare le parole dell'intellettuale, facendo presente che il rischio di contagio per il resto del continente è reale. Berlusconi è deciso a portare a termine la sua legislatura nonostante i vari coinvolgimenti privati, e tutte le capitali europee ne sono sbalordite. Nel resto del mondo i politici si dimettono per una tesi copiata o per una relazione clandestina con stagiste: ai più viene difficile capire la mentalità italiana fino in fondo. Perché nulla cambia.

L’Europa non crede più all’Italia e i segnali sono chiari. Č difficile accettare il quadro che la stampa internazionale traccia della nostra società, eppure è giusto prenderne atto. Forse preferiremmo non doverci confrontare continuamente con il romanzo dei problemi privati della nostra classe politica, ma come possiamo aspettarci che il mondo faccia finta di niente quando il nostro rapporto con la politica si riduce a questo, a una lotta quotidiana con le loro complicazioni private? La difficoltà maggiore è quella di dimostrare agli stranieri che noi siamo diversi, che la nostra classe politica non ci rappresenta. Anche se è arduo sconfiggere i pregiudizi, almeno quanto il malgoverno.

Fonte: altrenotizie.org - Autore: Emanuela Pessina

 
By Admin (from 01/08/2011 @ 18:00:08, in it - Osservatorio Globale, read 2564 times)

E’ proprio uno di noi Silvio Berlusconi, da giorni racconta se stesso con le parole amare che proprio ognuno di noi pronuncerebbe al posto suo: “ Mi hanno tolto i risparmi di una vita…”. Cinquecentosessantaquattro milioni di euro, appunto “i risparmi di una vita”. Togliendo dal compunto i primi dieci anni, quelli da zero a dieci in cui effettivamente si risparmia pochino anche se mamma e papà ti dotano di un porcellino-salvadanaio, ne restano a ciascuno circa 55 di anni prima di andare in pensione. Guarda caso a circa dieci milioni di euro l’anno fa più o meno quella cifra là: 564 milioni. E chi è che non risparmia una decina di milioni l’anno? Chi è che fa fatica a condividere l’esperienza, la dolorosa esperienza, lo sgomento da annullamento che in questi giorni Berlusconi sta vivendo e raccontando? Praticamente nessuno, tutti o quasi possono mettersi nei suoi panni, anzi è lui Berlusconi che con quel grido accorato “i risparmi di una vita…” si mette nei nostri panni. E’ la stessa esperienza di quando ti rubano in casa i gioielli di nonna e l’argenteria: i risparmi di una vita. O di quando hai comprato i titoli di una Parmalat che non ti rimborsa più: i risparmi di una vita. O di quando con la liquidazione compri un pezzo di casa ai figli che il mutuo integrale nessuna banca glielo darebbe: i risparmi di una vita. Sì, Silvio Berlusconi è proprio uno di noi.

Anzi uno un po’, appena un po’ più previdente di noi. Infatti, nonostante gli abbiano sottratto i risparmi di una vita, 564 milioni, per fortuna ha altro gruzzolo di qualche miliardo di euro nell’aziendina di casa. Si dirà, direbbe lui in persona, che insistere malignamente su questi particolari, sulla sua capacità di risparmio e accumulo, è manifestazione di “invidia sociale”. Ebbene sì. A nome di quelli che in una vita risparmiano cinquecentosessantamila euro, di quelli che in una vita risparmiano cinquantaseimila euro, di quelli che ne risparmiano cinquemilaseicento, confessiamo invidia nei confronti di Silvio Berlusconi. Per la sua faccia sfrontata: ce ne vuole per dichiarare 564 milioni di euro “i risparmi di una vita” e per invitare noi tutti a piangerci sopra insieme con lui le stesse lacrime.

Fonte: blitzquotidiano.it - Autore: Mino Fuccillo

 
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14/01/2018 @ 16:07:36
By Napasechnik
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21/11/2016 @ 09:41:39
By Anonimo
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21/11/2016 @ 09:40:41
By Anonimo


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19/04/2024 @ 00:38:16
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