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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Un altro duro colpo per chi sta cercando di smettere di fumare in mezzo a mille difficoltà: le terapie di sostituzione della nicotina (in inglese Nrt, Nicotine Replacement Therapies) non funzionano come dovrebbero. Cerotti e gomme alla nicotina, infatti, non sembrano efficaci, nel lungo periodo, per aiutare i fumatori ad abbandonare le bionde, anche quando combinati con il supporto psicologico di consulenti.

Lo studio poco incoraggiante proviene dai ricercatori della Harvard School of Public Health e della University of Massachusetts Boston, ed è stato pubblicato sulla rivista Tobacco Control. Introdotta per la prima volta in Svizzera 25 anni fa, l’obiettivo della terapia di sostituzione della nicotina è quello di fornire all’organismo nicotina per compensare la dose abituale quotidiana che viene a mancare con l’astensione dal fumo.  “Sulla base di questo studio, possiamo dire che le Nrt non producono i risultati sperati. E la Food and Drug Administration dovrebbe limitarsi ad approvare solo quei presidi farmaceutici che sono realmente efficaci e che effettivamente aiutano a smettere di fumare sul lungo termine abbassando progressivamente la nicotina in modo da ridurre la dipendenza dalle sigarette”, ha spiegato Gregory Connolly, co-autore dello studio.

La ricerca ha coinvolto 787 fumatori adulti del Massachusetts che avevano di recente smesso di fumare. I partecipanti sono stati monitorati in tre periodi di tempo: 2001-2002, 2003-2004 e 2005-2006. Ai volontari era stato chiesto se usassero una qualche forma di terapia di rimpiazzamento della nicotina (gomme, inalatori alla nicotina, sprai nasali) e qual era stato il periodo più lungo in cui avevano usato questi prodotti con continuità. Inoltre, è stato anche loro chiesto se si fossero rivolti a un qualche servizio di counseling. I risultati dell’indagine non sono stati positivi: circa un terzo dei volontari, in ogni periodo d’osservazione, era ricaduto nel vizio e gli scienziati non hanno trovato (in quei volontari che avevano seguito una NRT per almeno sei settimane) nessun effetto benefico dovuto al lavoro del counselor. Inoltre, non c’erano nemmeno differenze nei risultati delle Nrt fra fumatori leggeri e pesanti.

“Questo studio mostra che le Nrt, nel lungo termine, per smettere di fumare non sono più efficaci della decisione di chiudere con le sigarette che si può prendere in proprio, senza altri aiuti”, ha aggiunto Hillel Alpert del Harvard School of Public Health e primo autore dello studio. La ricerca si inserisce nel filone di studi che riguarda le Nrt e che mostra un certo scetticismo nei confronti di cerotto, gomme, inalatori e spray, che vengono mostrati come prodotti aventi tutti più o meno lo stesso livello di efficacia e nessuno dei quali è capace di essere risolutivo nel lungo termine.

Per esempio, quello di Scott Leischow, ricercatore dell’ Università dell’Arizona, che già nel 1999 pubblicò un articolo sull’ American Journal of Health Behavior in cui esponeva i risultati di uno studio da cui emergeva che i cerotti alla nicotina producessero basse percentuali di abbandono - del  4-5 per cento - in un anno, cioè  il tasso di cessazione dal fumo che si verifica spontaneamente.

Fonte: wired.it

 

Eventi fantasma, friend list inesistenti e notifiche fuori posto: il campionario di bug di Facebook è così esteso che vale la pena mettere insieme un album di (imbarazzanti) ricordi. A quanto pare, il social network di Palo Alto ha fatto cilecca più di una volta: a dimostrarlo è Evan Priestley - http://pinterest.com/epriestley/facebook-production-bugs/ , ex ingegnere al soldo di Mark Zuckerberg, che ha deciso di mettere online una bacheca Pinterest con tutti i peggiori strafalcioni apparsi sulle pagine di Fb.

Come segnala TechCrunch, Priestley ha anche cercato di spiegare il perché di tutti questi bug. In una nota postata su Quora, l'ex ingegnere azzarda un'ipotesi che – a pensarci bene – suona davvero molto credibile: “Facebook è il software più buggato che mi capita di usare. Nonostante produca un software così pieno di problemi, ha un successo clamoroso. Ecco spiegato il motivo per cui il social network può fare a meno di ricercare alti standard di qualità”.

In pratica, siamo tanto abituati a fare login sul nostro profilo e a leggere le notifiche provenienti dai nostri contatti da accettare pacificamente il fatto che Facebook sia pieno di errori. Errori che, di fatto, non perdoneremmo a nessun altro. Ecco perché, secondo Priestly, quando il suo Facebook mobile è andato in tilt per 36 ore, l'ex ingegnere l'ha presa con molta filosofia e ci si è fatto quattro risate.

Fonte: wired.it

 

Un evento diventato, specie dall’Ottocento, un simbolo dell’Inquisizione.

Contro la «leggenda nera»

Da allora non sono mancate e non mancano difese della condanna di Bruno e della stessa macchina inquisitoriale. Secondo alcuni tradizionalisti cattolici come Rino Cammilleri (ma non è il solo) le accuse dei “laicisti” contro la «mite» Inquisizione sono una «leggenda nera». Essi sostengono che quella «santa» istituzione fu «necessaria», in alternativa ai tribunali laici, dato che «solo esperti ecclesiastici potevano asserire […] chi fosse davvero eretico, garantirgli un giusto e formale processo e persuaderlo, ove possibile» a pentirsi, avendo salva la vita. Per Cammilleri è ovviamente scontata la legittimità di processare gli eretici, perché in una società cristiana l’attacco alla Chiesa è un reato contro l’ordine sociale. «Il Santissimo Tribunale», anzi, «trattò con caritatevole pazienza e severa clemenza Giordano Bruno il quale [...] era pieno di sé, pertinace e impenitente» e profferiva «le bestemmie più orribili [...] Fu questo il motivo per cui lo condussero al rogo con la bocca serrata». Ci sono poi altri cattolici tradizionalisti più prudenti (si fa per dire), come il vescovo ciellino di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri: essi giudicano sì l’omicidio una grave offesa alla persona, pur se insistono sul carattere garantista del processo a Bruno, ma ritengono che la sua condanna vada storicizzata («contestualizzata», direbbe Fisichella). Essa costituirebbe, come tutta l’attività dell’Inquisizione, una «riduzione della creatività e della libertà umana». Ma, tenuto conto che quella libertà era usata da Bruno in modo indebito, e che avrebbe portato alle ideologie totalitarie del Novecento, negatrici dell’uomo, «dobbiamo legare il 1600 al 1900» e pensare che, «forse», limitando «la libertà di ricerca in un punto», la Chiesa ha «creato quello che Giovanni Paolo II chiama “un grande movimento per la liberazione della persona umana”» (da False accuse alla Chiesa, Piemme). Da un male un bene, dunque: «una redenzione per mezzo del fuoco», come dice con sarcasmo Mark Twain a proposito dell’inferno.

La Chiesa e l’Inquisizione

Queste valutazioni sono ancora presenti fra i cattolici e non proprio marginali. Ma non è questa la posizione ufficiale della Chiesa, enunciata dal cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, il 3 febbraio 2000, nel quarto centenario del rogo. «Constatata l’incompatibilità della filosofia bruniana col pensiero cristiano, bisogna ribadire il
rispetto per la persona», dice Poupard. E fin qui è come Negri. Ma poi, anziché contestualizzare, aggiunge: «Il rogo di Campo dei Fiori è, certo, uno di quei momenti storici, di quelle azioni di cui oggi non ci si può non rammaricare, deplorandole chiaramente. L’ uso della coercizione e di metodi violenti non è assolutamente compatibile [...] con l’ affermazione della verità evangelica».

Ciò si ricollega alla condanna di Giovanni Paolo II contro le violenze dell’Inquisizione, per le quali il papa chiese perdono giudicandole «controtestimonianze di cui la Chiesa si pente», “deviazioni” – anche se commesse da «uomini di Chiesa» – dalla sua dottrina.

Tutto a posto, dunque? Non proprio.

Non “deviazioni” ma dottrina

Le persecuzioni per ragioni di fede iniziano già nel 325 col Concilio di Nicea, continuando tutto il Medioevo e sfociando nell’Inquisizione, che va dal XII al XVIII secolo e finisce non per iniziativa della Chiesa ma per decisione dei principi illuminati e di Napoleone. Ancora più tardi, qualche anno fa, arriva la richiesta di perdono. Ora, come si può considerare “deviazione dalla via maestra” una pratica che la Chiesa ha seguito per quasi tutta la sua storia, senza mai seguirne un’altra?

Ciò costringe a pensare che non di “deviazioni” si tratti ma di comportamenti derivanti dalla stessa dottrina o da essa giustificati. E se ne ha conferma appena si osserva che le «violenze» deprecate da Giovanni Paolo II sono ordinate e predicate dagli «uomini di Chiesa» fondandosi sulla Bibbia (dove Dio invita gli israeliti a distruggere gli altari dei falsi dei e a uccidere chi li adora) o sugli argomenti dei massimi teologi – da Tommaso d’Aquino, per cui «è giusto uccidere gli eretici», a Bernardo di Chiaravalle, per cui ammazzare un infedele è «malicidio». Né manca la legittimazione solenne del magistero, di papi e di concili, come l’enciclica Quanta cura (1864) con cui Pio IX ricorda ai fedeli il «dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica».

La contraddizione, in una parola, non è fra i precetti della Chiesa e i comportamenti occasionali di alcuni suoi figli, ma fra la presunta mitezza del messaggio evangelico che la Chiesa millanta per offrire una immagine cattivante di sé e la durezza dei precetti costantemente predicati e applicati, sempre in nome del Vangelo – variandoli o scusandosene, quando la situazione lo consiglia, salvo tornare a “peccare” appena possibile.

Fonte: CronacheLaiche.it - via cattolicesimo-reale.it - Autore: Walter Peruzzi -

 

C'è sempre una buona occasione per battere i record, anche quando si tratta di ricerche astronomiche ai confini del sistema solare. Tutto merito del telescopio spaziale Kepler, il gioeillino della Nasa che lo scorso dicembre ha individuato le tracce dei tre esopianeti rocciosi più piccoli conosciuti finora (ma, dopo averli scoperti, cosa si fa?). Si chiamano Koi-961.01, 02 e 03: i nomi non sono il massimo, ma le loro dimensioni ridotte (il minore, 03, è la metà circa della Terra), come racconta New Scientist, hanno suscitato l'interesse dell'intera comunità di astronomi sparsi per il mondo.

La scoperta è stata annunciata durante il meeting dell' American Astronomical Society tenutosi a Austin, Texas, dall’8 al 12 gennaio. Il trio di pianeti orbita intorno a una stella di modeste dimensioni – Koi-961, una nana rossa – localizzata nella nostra galassia e incapace di suscitare un qualsiasi interesse scientifico in tutti coloro che scrutano lo spazio profondo alla ricerca di segnali particolari. Non a caso, la presenza dei tre mini esopianeti è stata ignorata per anni, fino a quando l'astronomo dilettante inglese Kevin Apps non ha notato qualcosa di strano nel grande calderone di dati estrapolati da Kepler.

Infatti, il passaggio dei tre piccoli pianeti sconosciuti davanti a Koi-961 modificava in modo impercettibile il suo spettro luminoso, lasciando una traccia che il pignolissimo Apps ha fiutato subito come buona. Gli è bastato spedire una email a John Johnson, astronomo del California Institute of Technology di Pasadena, per far suonare i campanelli di allarme. Forse Koi-961 aveva in serbo qualche bella sorpresa.

Così, per raccogliere più informazioni sul trio di esopianeti, Johnson ha aperto gli occhi del Keck Observatory puntandoli sulla nana rossa individuata da Apps. Č bastata una analisi della variazione della radiazione luminosa proveniente della stella per dedurre le dimensioni dei pianeti. Ed eccoli, i tre compagni di Koi-961 avevano rispettivamente una misura paria a 0.78, 0.73 e 0.57 volte quella della Terra.

Comunque sia, il trio di pianeti rocciosi non sembra riservare altre grandi sorprese. La temperatura sulla loro superficie è di circa 200°C, quanto basta per escludere la presenza di acqua allo stato liquido e depennare i fratelli Koi-961 dalla lista di esopianeti su cui cercare probabili tracce di vita. Almeno per adesso, Koi-961.01 detiene ancora il record di pianeta più piccolo mai individuato finora. Ma in futuro, l'incessante ricerca da parte di Kepler potrebbe individuare nuove stelle vicino a cui cercare altri corpi celesti di dimensioni ridotte.

Fonte: wired.it

 

La svolta social di Google sta continuando a far discutere. Alle prime critiche per aver integrato Google+ e lasciato fuori Twitter e Facebook il presidente Eric Schmidt aveva risposto su Marketingland accusando Twitter di essersi tirato fuori da solo non rinnovando l’accordo che avevano con Google, e comunque dichiarandosi “felice di aprire un dialogo”. Ora si attende la risposta alle critiche piovute dall’Electronic Privacy Information Center (Epic) secondo cui Google Search Plus Your World potrebbe violare le norme sull’Antitrust. L’Epic, riporta Cnet, ha chiesto alla Federal Trade Commission di indagare sulla cosa e di verificare pure se il nuovo strumento di ricerca social non violi gli accordi precedentemente presi da Google con l’Ftc a garanzia della privacy degli utenti.

L’accusa infatti è la stessa sollevata nei confronti di Buzz un anno fa: con l’opt-in per tutti gli utenti Gmail l’indirizzo di posta veniva di fatto reso disponibile agli utenti Buzz. Già allora l’Fta aveva concordato con l’Epic. Google si trova ora ad affrontare gli stessi problemi che ebbe Microsoft quando introdusse Internet Explorer in Windows, che ora propone la scelta del browser. D’altra parte, proprio per gli accordi che anche Facebook ha preso con l’Ftc, sembra difficile che il social network possa essere indicizzato da Google per inserire i contenuti nelle ricerche, sottolinea PcMag.

Google Search Plus è stato attivato ieri per ora solo su Google.com. La mancanza del bottone per l’opt-out fa storcere il naso. Google l’aveva annunciato: arriverà. Il fatto che non ci sia sembra strategia per far conoscere il servizio. Al momento l’unico modo di evitare che post, foto, video e commenti dei nostri contatti Google+ finiscano nelle nostre ricerche è fare il logout dal nostro Google account. Sottolinea Socialfresh: il 31,8% degli utenti effettua ricerche rimanendo loggato. Proprio su questo batte l’Epic: gli utenti di Google+ non hanno mai accettato che Google tratti in questo modo i propri dati personali, quindi l’opt-in viola le regole sulla privacy. A ben vedere, lo fa in parte: nelle opzioni del profilo Google+ c’è la possibilità che il nostro profilo appaia o meno in Google Search. Però si parla esclusivamente di profilo e non di contenuti.

Noi l’abbiamo usato un po’ e abbiamo notato alcune cose che non ci hanno convinto. I contatti nella search box sono molto carini, ma noiosi. In alcuni casi bastano due lettere per veder comparire al posto del suggerimento per completare la ricerca la faccina di un contatto. In altri casi ce ne vogliono quattro, mentre Google parlava di tre. Questo migliora le nostre ricerche? No: se cerchiamo qualcuno di solito non lo conosciamo o non siamo ancora suoi amici.

Nei risultati delle ricerche l’integrazione c’è e non è così invadente. Almeno per ora: a usare Google+ sono 60 milioni di persone in tutto il mondo, ma soprattutto in America.

E soprattutto geek, nerd, appasionati di tecnologia e brand del mondo della comunicazione. Così la ricerca per “ Obama” non mi dà risultati plus, a parte suggerirmi un amico nella search box. Cercando “ music” invece il primo risultato è Britney Spears e il secondo Snoop Dogg, entrambi con 1,3 milioni di fan circa. Č un vantaggio? Per noi no. Inoltre: come può un cantante che apre oggi un profilo su Google+ arrivare qui?

Attualmente Google Search Plus è integrato totalmente solo con Chrome. Con gli altri browser vengono proposti solo i suggerimenti. E solo su Chrome è possibile eseguire l'opt-out per la durata di una sessione: dal simbolo ingranaggio bisogna selezionare le opzioni di ricerca e togliere la flag a quella relativa ai contenuti personali. Dopo averlo provato con Chrome siamo rimasti ancora più delusi: i contenuti social hanno spesso poco a che fare con le finalità delle nostre ricerche, benché aggiungano un ulteriore livello di approfondimento orizzontale a queste.

Searchengineland nota: se non sei su Google+ non sei nei suggerimenti di Google Search. Quindi, come farsi trovare da Google Search Plus? Ecco le linee guida di Google. La prima cosa è creare un profilo Google+ completo in tutti i suoi aspetti. Per farlo, la cosa migliore è fare il logout dal proprio account Google, cercare il proprio profilo in google.com e cliccare sul bottone per l’update. Se avete un blog o scrivete da qualche parte nel Web, compilate anche la sezione contributor e chiedete la verifica della mail. Ora occorre usare Google+ postando update, foto e video relativi agli argomenti per cui ci interessa essere correlati.

Come in Facebook, possiamo creare una pagina fan, ma qui si può fare solo per entità diverse da noi, in quando il nostro profilo personale su Google+ è già pubblico. Anche in questo caso dobbiamo condividere. Su Google+. Un esempio di quanto la cosa sia interessante per i brand: cercando “ cars” i miei suggerimenti sono la pagina della Ferrari e della Bmw. Altre marche nei risultati della ricerca non ci sono. Curiosamente, per “ computer” il primo suggerimento è Linus Torvalds, creatore di Linux, e il secondo Leo Laporte, uno dei più famosi tech journalist americani.

Fonte: wired.it

 
By Admin (from 23/02/2012 @ 08:02:55, in it - Osservatorio Globale, read 3056 times)

Se cercate informazioni sugli effetti del resveratrolo (una molecola che si trova nell’uva e nel vino rosso) sul cuore e vi imbattete negli articoli di Dipak K. Das, scartateli a priori: sono pura invenzione, frutto delle tecniche e degli escamotage (neanche troppo mascherati) adottati dal direttore del Cardiovascular Research Center dell'Health Center della  University of Connecticut per far tornare i conti. E ora, dopo tre anni dalle prime insinuazioni, anche lo stesso ateneo di Das ha confermato i sospetti, congelando i finanziamenti del professore e mettendo in moto le pratiche per il suo licenziamento.

Truffa ad alta gradazione

Stando all’indagine condotta dall’università, dopo le segnalazioni su possibili ritocchi agli studi di Das, pervenute nel 2008 da fonte anonima, lo scienziato avrebbe alterato i dati delle proprie ricerche sulla molecola ben 145 volte, negli articoli pubblicati da parte di 11 diverse riviste. Ma non solo. Das, infatti, avrebbe falsificato le proprie ricerche anche in tre richieste di finanziamento.

Di mira sono soprattutto le opere di taglia e cuci effettuate dallo scienziato con le bande di Western Blotting (una tecnica utilizzata per identificare e misurare i livelli di proteine). Come è stato possibile? Stando a quanto riporta il Time, Das avrebbe operato per lo più da solo, dividendo le sue ricerche in singoli esperimenti, di modo che gli altri autori degli studi non fossero coinvolti nell’elaborazione dei dati. Anche se, come scrive Nature, l’università sta indagando sul possibile ruolo di studenti e collaboratori del laboratorio di Das.

In realtà, l’ipotesi sull’esistenza di complici sarebbe più di un sospetto, visto che - come si legge nella sintesi del rapporto di quasi 60mila pagine compilato dall’università - uno studente avrebbe scritto a Das:  “Ho cambiato le figure come mi avevi detto”. Malgrado le prove, però, il professore continua a dichiararsi estraneo alla vicenda delle manipolazioni. Le conferme potrebbero arrivare dalle indagini che anche l’ Office of Research Integrity sta conducendo sul caso.

Come ricorda il Time, Das non è certo l’unico ad aver truccato i dati scientifici. Sin dalla beffa di Piltdown, la storia della scienza è piena di frodi e bufale.

Fonte: wired.it

 

Un conto è mandare un modulo con equipaggio nello Spazio, un altro è fare in modo che riesca a agganciarsi a una seconda navicella senza il minimo intoppo. Negli anni '60, pensare di poter eseguire una manovra di docking in orbita era tutt'altro che scontato. Deve essere per questo che, quando le navicelle sovietiche Soyuz 4 e Soyuz 5 si sono incontrate a 224 chilometri di altitudine, il centro di controllo di Baikonur è rimasto con il fiato sospeso. Era il 16 gennaio 1969: due cosmonauti russi indossano le tute spaziali e prendono al volo il passaggio offerto da un collega. Un vero successo, ma il ritorno a casa non è stato felice per tutti.

Andiamo con ordine. Il 14 gennaio la Soyuz 4 viene spedita in orbita con a bordo un solo uomo, Vladimir Shatalov. Il suo compito è quello di attendere l'arrivo dei tre colleghi della Soyuz 5, che lasciano il pianeta solo il giorno dopo. L'obiettivo della missione è quello di far incontrare le due navicelle in modo tale da compiere il primo trasferimento di equipaggio mai tentato nella storia. Infatti, i progetti spaziali sovietici miravano alla realizzazione di una base spaziale permanente: un buon motivo per fare un po' di pratica nelle operazioni di aggancio.

Così, verso le 8 di mattina del 16 gennaio, la Soyuz 5 – con a bordo Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov – si avvicina alla navicella compagna agganciandosi con una manovra da manuale. E non è poco, visto che per tutti e quattro i cosmonauti – guarda a caso – si trattava della prima missione in orbita. Il resto dell'operazione è, letteralmente, una passeggiata. Yeliseyev e Khrunov indossano le tute spaziali, salutano Volynov e uno alla volta raggiungono Shatalov a bordo della Soyuz 4. Tutto va a gonfie vele, grandi strette di mano, e tutti pronti a tornare verso casa.

Dopo essersi separate, le due navicelle continuano a orbitare intorno alla Terra in attesa di entrare in contatto con le stazioni di controllo e descrivere la rotta di rientro sul pianeta. Il trio a bordo della Soyuz 4 riceve l'ok per il rientro dopo la mezzanotte e alle 7 del mattino del 17 gennaio è già atterrata senza un graffio in Kazakistan. Tutto perfetto, quasi fosse stata una scampagnata tra amici. Ma per Volynov, l'unico rimasto a bordo della Soyuz 5, il viaggio di ritorno si trasforma in un vero e proprio incubo.

Infatti, il modulo di rientro – una piccola capsula adatta giusto a contenere il pilota – non riesce a distaccarsi dal modulo di servizio grazie a cui la Soyuz 5 è arrivata fin lassù. Č un bel problema, perché nel frattempo la navicella è entrata in fase di discesa e non può più fermarsi. Solo che l'assetto del modulo è completamente sballato, e la parte più vulnerabile della fusoliera viene esposta direttamente all'attrito causato dal rientro in atmosfera.

In una manciata di minuti, le guarnizioni della Soyuz 5 si fondono, sprigionando fumi tossici che rischiano di intossicare Volynov. Č un po' come guidare una macchina contromano con l'abitacolo in preda a un incendio: avvincente quando capita nei film, ma non quando sei a centinaia di chilometri di altitudine e rischi di finire incenerito. Per fortuna, il calore sprigionato dal rientro mette fuori uso gli elementi di connessione tra i moduli, e la capsula orienta il suo schermo protettivo nella direzione giusta: la Terra.

Tuttavia per Volynov i guai non sono ancora finito. Anche se la Soyuz 5 sta rientrando con il giusto assetto, infatti, al momento dell'atterraggio i paracadute e i razzi di frenata non funzionano bene. Lo schianto è tale che l'astronauta si rompe i denti. Altra sorpresa, aprendo il portellone della capsula il russo scopre di essere atterrato nel posto sbagliato: è in mezzo ai monti Urali, a 37°C sotto zero. Nella sfortuna la buona sorte non lo abbandona e riesce a trovare riparo nelle vicinanze e i soccorritori lo trovano sano e salvo davanti a un bel fuoco scoppiettante. Nonostante la brutta avventura, il suo amore per lo Spazio non si affievolisce, e sette anni più tardi, Volynov è di nuovo in orbita.

Fonte: wired.it

 

Ha iniziato con un semplice circuito audio e si è ritrovato miliardario. La storia di Ray Dolby, pioniere delle tecnologie digitali nato a Portland (Oregon, Usa) il 18 gennaio 1933, passa letteralmente attraverso il muro del suono. Nel 1949, a soli 16 anni, il suo lavoretto part-time alla Ampex gli permette di mettere le mani sul primo registratore a nastro sul mercato. Così, dopo una laurea a Stanford e un dottorato a Cambridge, il giovane Dolby decide di mettersi in proprio e cambiare il modo in cui percepiamo i suoni incisi sui nastri magnetici.

Esatto, quel Dolby

Tutto inizia con la costruzione del primo compansore, un dispositivo elettronico capace di ridurre il rumore di fondo e i disturbi all'interno dei segnali acustici. L'idea, nata nel 1965 quando Dolby attraversa l'Oceano per fondare i Dolby Labs in Inghilterra, riscosse un grande successo tra gli studi di registrazione professionali. Così, tre anni più tardi, la nuova versione del circuito – il Dolby B-type – venne integrato all'interno dei registratori commerciali: era l'inizio di una grande scalata al successo. 

Nel 1976, Dolby torna negli States e stabilisce definitivamente l'azienda a San Francisco, la città dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia. Nel frattempo, grazie a un brevetto riconosciuto nel '69, era nato il Dolby Sound System, ossia la tecnologia che ha dato una svolta agli effetti audio del cinema. In pratica, si trattava di un sistema per migliorare la qualità del parlato all'interno delle pellicole, dove spesso colonna sonora e dialoghi si mescolavano con scarsa qualità. Tanto per capire, il primo film a utilizzare il sistema Dolby è stato un capolavoro del cinema: Arancia Meccanica.

Con il passare del tempo, la tecnologia audio ha fatto altri passi in avanti tenendosi a stretto contatto con il mondo del cinema. Nel 1992, l'atmosfera di Batman il Ritorno è diventata a tutti gli effetti molto più avvolgente di qualsiasi altro film mai proiettato fino a allora. Il capolavoro di Tim Burton è stato il primo a sperimentare l'uso del sistema surround Dolby Stereo Digital, dove la traccia audio veniva scomposta in diversi canali, ciascuno collegato ad amplificatori collocati di fronte, ai lati e alle spalle del pubblico.

Nell'arco di pochi anni, il suono inizia a circondare gli spettatori anche dentro le loro case. Nel 1995 il sistema surround viene applicato all' home vision e si conferma come uno degli standard audio preferiti dai produttori cinematografici. Così, l'impresa fondata da Dolby cresce a dismisura e nel 2005 viene quotata in borsa. Ma nel 2011, dopo 45 anni di attività, il papà del sorround ha lasciato il direttivo dell'azienda per ritirarsi a vita privata e godersi il gruzzolo accumulato nel tempo. Secondo la rivista Forbes, Dolby è uno dei 400 uomini più ricchi d'America: si posiziona al 144° posto con un patrimonio da 2,9 miliardi di dollari.

Fonte: wired.it

 

Gli  esordi nella piccola criminalità, le prime condanne, le auto sportive, gli eccessi, la vita al limite, i contatti con le parti più in vista dell’industria, le molte identità e l’ arresto rocambolesco (un’operazione di polizia in grande stile che ha messo al lavoro Fbi, Department of Justice e la polizia della Nuova Zelanda, Olanda, Germania, Canada e Filippine) fanno di Kimble o Kim Dotcom o Kim Schmitz o Kim Tim Jim Vestor il più grande malavitoso della Rete. Pur senza aver ucciso nessuno (almeno per quanto se ne sa) l’estensione delle sua attività apertamente illegale, i suoi ricavi, la crescita di un business sempre più mastodontico (18 i domini sequestrati che occupavano il 3% della banda del pianeta) e il suo atteggiamento ricordano da vicino i grandi boss dell’America proibizionista.

Ancora di più  Kimble, come ogni grande capo clan, stava operando il salto mortale della pulizia, stava passando cioè da un business organizzato e criminale ad un’attività lecita e redditizia. Megaupload da tempo ha un’area legale, utilizzata per scambio video e archiviazione che doveva essere il business del futuro, come anche l’annunciato servizio di rental e streaming legale di contenuti, per i quali si diceva fosse in trattativa con le major. Cosa che, se fosse vera, renderebbe l’attacco di stanotte una vera pugnalata alle spalle, roba da realtà che imita il cinema.

Ad ogni modo, vero o non vero, Kim Schmitz operava nel business della soddisfazione dei bisogni degli utenti in maniera non diversa da come  Al Capone faceva quando contrabbandava alcol. Non solo il modo di fare affari era lo stesso ma anche la maniera in cui si rapportava al resto del pianeta sembrava ricordare quell’idea di potere. Per questo e molti altri motivi, sebbene sia sempre meno possibile stare dalla parte dell’autorità quando si tratta di pirateria, copyright e SOPA varie, suona anche stonata la difesa armata operata da Anonymous (che per tutta la notte ha attaccato tramite DDoS diversi server illustri e poco simpatici da quello dell’Fbi, giù fino ad Hadopi). La libertà d’espressione e la ricerca di un’idea di copyright meno estremo possono passare attraverso la pirateria come sistema di scambio tra pari e “resistenza attiva” ad un sistema che non si adegua ma ingrossare il portafogli e aggiungere Rolls Royce, Lamborghini e Maserati al garge di un criminale, invece che foraggiare major ugualmente avide, non è molto diverso nè tantomeno utile o nobile.

Fonte: Wired.it

 

Monopolio Siae abolito, anzi no. I minuti successivi alla conferenza stampa di presentazione del decreto liberalizzazioni del governo di Mario Monti hanno fatto (ben) sperare in merito a un rivoluzionario cambiamento della gestione dei diritti d'autore, tradizionalmente nelle esclusive (quantomeno entro i confini nazionali) mani della Società Italiana degli Autori ed Editori. Ulteriori verifiche e analisi di quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 39 del decreto, che ricordiamo deve ancora passare al vaglio del Parlamento, hanno permesso di dare una chiave di lettura più precisa.

A venire toccati " al fine di favorire la creazione di nuove imprese nel settore della tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori" sono " i diritti connessi al diritto d'autore", la cui " attività di amministrazione e intermediazione" diventa " libera". Monti & Co. sono quindi intervenuti nel campo d'azione del Nuovo IMAIE, che si occupa appunto della riscossione e tutela dei diritti spettanti - ad esempio - ad artisti che effettuano registrazioni o legati all'immagine dei titolari delle opere, e hanno imposto la concorrenza all'interno dello stesso. Si tratta, come spiega a Wired.it il segretario di Agorà Digitale Luca Nicotra, comunque " di un successo enorme, che apre ad altre modifiche del settore: se passa l'idea che una competizione tra enti commerciali o cooperative di autori è vantaggiosa e utile ulteriori aperture sono possibili". Il capitolo IMAIE, aggiunge Nicotra, " era intoccabile" alla stessa stregua di quello Siae, non a caso il commissario straordinario Gian Luigi Rondi ha sentito il bisogno di ribadire l'importanza del ruolo della Società Autori ed Editori nel giorno dell'approvazione da parte del Cdm del decreto.

In Parlamento, aggiunge l'avvocato Guido Scorza, sono già presenti 6 o 7 disegni di legge atti ad abolire il famoso articolo 180 della legge 633 del 1941, che tiene da anni sotto scacco chiunque voglia accedere a materiale con il bollino Siae. Scorza cita, per rendersi conto degli effetti di una gestione monopolistica del settore, lo studio dell'istituto Bruno Leoni, secondo il quale fatto 7 il costo di una serata musicale in termini di diritti in Italia, in Inghilterra bisogna sborsare solo 1. La medesima analisi evidenzia come l'attuale regolamentazione costi ai soggetti coinvolti (autori, discografici e fruitori) 13,5 milioni di euro all'anno.

Fonte: Wired.it

 
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Now Colorado is one love, I'm already packing suitcases;)
14/01/2018 @ 16:07:36
By Napasechnik
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21/11/2016 @ 09:41:39
By Anonimo
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21/11/2016 @ 09:40:41
By Anonimo


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24/04/2024 @ 07:04:15
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