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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
By Admin (from 28/12/2010 @ 08:00:22, in it - Scienze e Societa, read 1832 times)

Giardino Esotico Pallanca.

Subito dopo la galleria di Punta Migliarese, ecco un ripido pendio roccioso a picco sul mare, con fasce e terrazze popolate da splendide piante. E' il Giardino Esotico Pallanca, spettacolare monumento naturalistico realizzato dai discendenti di Bartolomeo Pallanca, giovanissimo"bocia" e poi collaboratore di Lodovico Winter. Vi sono tremiladuecento specie di piante. Spicca la preziosa collezione di cactus e succulente, la più importante d'Italia e una delle più importanti d' Europa. La pianta più antica - una "Copiapoa" originaria del Cile, che cresce sulle pendici delle Ande - ha trecento anni. Il Giardino Esotico Pallanca ben si può considerare come l'erede del Giardino Moreno.

 

Il Lungomare Argentina

Un rettilineo lungo due chilometri che corre tra la ferrovia e la spiaggia, fiancheggiato da splendidi filari di "Araucaria excelsa" e da variopinti giardini con piante grasse e fiori.

Il magnifico Lungomare Argentina, così chiamato perché inaugurato da Evita Perón, la moglie del Presidente argentino che trascorse a Bordighera una giornata del luglio 1947; una presenza vissuta come "auspicio" della rinascita turistica della città nel dopoguerra.

Il Lungomare Argentina è la passeggiata mare pedonale più lunga della riviera.

Da qui si ammira il "panorama incomparabile" descritto da Edward e Margaret Berry. Lo sguardo abbraccia la costa fino alla rocca della Turbie, ai grattacieli di Montecarlo, al promontorio di Cap Ferrat e oltre. Nel Chiosco della Musica, lungo la passeggiata, si tenevano tre concerti alla settimana.

Il Sentiero del Beodo

"Ecco una delle passeggiate più entusiasmanti di Bordighera, che ogni artista non può dimenticare", esclamava Charles Garnier: " una successione ininterrotta di tanti angoli nei quali si armonizzano forma ed eleganza."

E' la passeggiata lungo il percorso dell'antico canale dell'acquedotto (béodo) che portava in città l'acqua potabile e per l'irrigazione. Alimentava una cisterna (oggi coperta) scavata al centro della Piazza Padre Giacomo Viale. Il béodo riforniva d'acqua le case, le fontane, i frantoi, i lavatoi pubblici, fino ai giardini e agli orti della città bassa. Il sentiero parte poco oltre la Città Alta (verso la Via dei Colli), passa sotto un tunnel, risale la Valle del torrente Sasso per una vecchia mulattiera; procede a mezza costa, lungo le fasce sostenute da muri a secco, tra mimose e ginestre, olivi, piante grasse e ciuffi di palme. Nel primo tratto domina la costa, quindi svolta verso l'interno, fino a raggiungere la piccola frazione di Sasso.

 

La chiesina Del Carmelo

La Cappella della Madonna del Carmelo di Bordighera risale al 1790 circa e fu eretta per iniziativa del Sindaco della città Giacomo Maria Giribaldi (1763-1850). Sensibile alle aspettative dei primi abitanti della "nuova" Bordighera, quella cioè del "Borgo Marina", egli volle mettere a disposizione un'area attigua alla casa dei suoi antenati, sulla tradizionale Piazza Mazzini, per farvi costruire un chiesetta che servisse alle necessità dei suoi concittadini per le funzioni religiose senza doversi recare nella lontana chiesa parrocchiale della Città Alta. Sorse così il piccolo tempio che venne dedicato alla Madonna del Carmelo e ottenne presto dalle Autorità Ecclesiastiche ogni privilegio.

Nella facciata principale, orientata verso l'attuale Piazza Mazzini, si trova un pregevole fregio floreale in stucco che contorna uno stemma Mariano e che è sovrastato da un rosone adornato da vetrata policroma. Sopra il rosone una lastra di gesso con la dicitura"DECOR CARMELI"; più in alto un fregio richiama l'antica configurazione architettonica della facciata con due finestrelle e una piccola cella campanaria in posizione centrale sormontata da una croce. Nella parte inferiore della facciata è rimasto il portone originale in legno, a due ante.

 

All'interno, nonostante la sostituzione della volta con un soffitto piano, rimane uno spazio ben proporzionato minuto e raccolto, esaltato dalle linee morbide delle decorazioni e degli stucchi e dai dipinti di pregio. Nel pavimento originale in ardesia, sono inserite le lapidi in memoria di antenati della famiglia Giribaldi. Sopra l'altare una grande nicchia accoglie la statua della Madonna del Carmelo col Bambino; ai lati due statue in gesso originali di San Giuseppe e Sant' Erasmo. Sulle pareti laterali nel presbiterio vi sono due dipinti ad olio raffiguranti San Giovanni Battista e San Francesco. Sulle pareti dell'aula sono applicati dipinti più piccoli. Il 5 ottobre 1996 il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali ha emesso un decreto con il quale la Chiesa del Carmelo è stata dichiarata" bene di interesse particolarmente importante e come tale sottoposto a tutte le disposizioni contenute nella Legge 1.6.1939 n.1089". (Dalla relazione storico-artistica del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali).

Fonte: Comune di Bordighera

 
By Admin (from 29/12/2010 @ 08:00:53, in it - Scienze e Societa, read 2417 times)

Una mezza luna per metà inzuppata nel mare, per metà protesa verso il cielo con vette montuose imponenti: questa è la Liguria, lingua di terra sottile e allungata, in viaggio ogni giorno tra l’ambiente mediterraneo e le colline, tra i terrazzamenti coltivati ad ulivo e le cime innevate delle prime Alpi. Qui, nella parte più elevata della regione, dove l’inverno sparge generoso manciate di candida neve, sorge la località sciistica Monesi di Triora, frazione di Triora.

 

Abbarbicata a 1376 m di quota, Monesi è l’unica frazione di Triora a non trovarsi nella Valle Argentina, bensì in Val Tanaro, nella verdeggiante provincia di Imperia. A breve distanza dal paese il Tanaro affiora alla luce e inizia il suo corso avventuroso verso valle, mentre sopra l’abitato si erge possente il Saccarello, il monte delle Alpi Liguri più elevato della zona. Quasi alla sommità del rilievo, riconoscibile sin da lontano, se ne sta il celebre monumento del Redentore, posto qui oltre cento anni fa perché vegliasse sulle Alpi Marittime.

 

Lo scenario che abbraccia Monesi di Triora è un patchwork variegato di colori diversi, profumi che si confondono ricordando ora la montagna ora il mare, dove le montagne sono sculture di roccia modellate da mani titaniche. A seconda della stagione le luci si fanno intense o gentili, malinconiche o gioiose, e il panorama cambia d’abito da un mese all’altro: il regno dell’estate è fatto di verdi teneri e freschi, ma quando entra in carica l’inverno porta con sé una bellezza glaciale che immerge la natura in un velo di seta bianca.

 

Ad accarezzare il paesaggio c’è il clima montano di Monesi, freddo come si addice alle località d’alta quota ma piuttosto mite rispetto ad altre zone alpine. Qui le temperature medie di gennaio, il mese più rigido, vanno da una minima di -1°C a una massima di 2°C, mentre in luglio e agosto, i mesi più tiepidi e ideali per le passeggiate, si passa dai 14°C ai 25°C. Le precipitazioni, che nei mesi più freddi regalano bei fiocchi di neve, si concentrano soprattutto tra aprile e maggio, quando cadono in media 113-124 mm di pioggia mensili.

 

Il connubio di ambiente e condizioni climatiche fa sì che Monesi di Triora, dall’inizio dell’inverno ai primi giorni di primavera, sia una rinomata stazione sciistica. Fondata a metà degli anni Cinquanta, la località conobbe il maggior successo nei due decenni successivi, quando erano in funzione cinque efficienti impianti di risalita tra cui quattro skilift, uno dei quali costituiva il primo skilift italiano con illuminazione notturna, e una seggiovia, che per diversi anni ha detenuto il record di più lunga d’Europa. Agli impianti si aggiungevano una pista di pattinaggio, un’accogliente piscina e strutture ricettive all’avanguardia, che avevano attirato al paese il soprannome di “piccola Svizzera ligure”.

Purtroppo una combinazione di eventi sfortunati, come alcuni inverni poco nevosi o la gestione insufficiente della promozione turistica, ha fatto sì che la zona perdesse lustro a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, e un lento declino ha costretto gli albergatori a chiudere certe strutture, perdendo turisti e prestigio. Ma non ci si deve far ingannare da questa parentesi sfavorevole: chi conosce il panorama delle Alpi Liguri sa che vale la pena di salvare le località della zona, per non dover rinunciare allo sci e alle escursioni in un vero e proprio paradiso incontaminato, capace di emozionare e rilassare allo stesso tempo. Proprio per questo, dal 2008, si sta operando con cura e attenzione per la ripresa della stazione, che è ormai in fase di piena ripresa: gli alberghi confortevoli, i bar e i ristoranti tipici sono di nuovo vivaci, e gli impianti di risalita promettono discese mozzafiato.

 

Aldilà alle vecchie piste, che si possono ancora utilizzare, il vero fiore all’occhiello di Monesi sono i numerosi fuoripista che accompagnano i temerari dalla vetta del Saccarello sino in paese. La superficie percorribile con gli sci ai piedi è di ben 330 ettari, e comprende percorsi diversi per tutti i gusti e tutti i livelli di preparazione. Ma quando le giornate di marzo si fanno più tiepide e il sole accarezza la neve con sempre maggior calore, ecco che il candore inizia a ritirarsi per rivelare il cuore verde di queste montagne.

 

Dalla primavera all’estate si possono scoprire innumerevoli attività, divertenti o rilassanti, da condurre all’aria aperta a contatto con la natura. Il trekking è il passatempo più amato, da sperimentare nei sentieri che solcano i crinali rocciosi del Saccarello, a metà strada tra la Liguria, il Piemonte e la Francia. Da provare anche le pedalate in mountain bike, le passeggiate a cavallo, il rafting lungo il torrente Arroscia e il parapendio nei pressi di San Bernardo di Mendatica.

 

Ma Monesi di Triora non offre soltanto passatempi sportivo: un’ottima alternativa per trascorrere una vacanza in paese è partecipare ad alcune delle manifestazioni che vi si organizzano nell’arco dell’anno. Tra le occasioni più accattivanti ci sono la fiaccolata di carnevale e la festa in maschera sulla neve, con la cioccolata calda per tutti, e l’attesissimo Skitest Mela Verde di fine febbraio, che fa la gioia degli sciatori e degli snowboarder più appassionati.

Per raggiungere Monesi di Triora e le sue piste da sci ci sono diverse possibilità. Chi sceglie l’auto può percorrere l’Autostrada A10 Genova-Ventimiglia e uscire ad Arma di Taggia, quindi seguire le indicazioni per Triora lungo la SS 548. Chi preferisce il treno può scendere ad Arma di Taggia o a San Remo, mentre gli aeroporti più vicini sono quelli di Nizza e di Genova, rispettivamente a 90 km e 155 km di distanza.

Fonte: ilturista.info

 

Se Genova si può comparare a un grande puzzle di colori, odori, consistenze variegate e ogni volta sorprendenti, fatte di aria di mare e monumenti dalla lunga storia, allora Nervi è una delle tessere più interessanti. Si tratta di un quartiere residenziale all’estrema periferia orientale del capoluogo, uno dei comuni della Grande Genova che negli anni ’20 del Novecento vennero soppressi dalla riforma urbanistica fascista.

 

Sono poco più di 11 mila gli abitanti di Nervi, che possono godere un bel panorama sulle scogliere e un clima gradevolissimo garantito dalle alture a ridosso del mar Ligure, che proteggono l’abitato dai venti e dal freddo e lo rendono più mite rispetto al resto di Genova. In effetti qui le temperature medie sono sempre piuttosto dolci, comprese tra i 5°C e gli 11°C in gennaio e tra i 21°C e i 27°C in luglio. Anche le precipitazioni sono scarse in primavera e in estate, e soltanto in autunno si fanno un poco più abbondanti, sino a raggiungere i 153 mm di pioggia.

 

Con queste condizioni climatiche è un vero piacere passeggiare nel cuore della cittadina, alla scoperta dei monumenti e degli edifici storici che raccontano il passato di Nervi, le sue usanze e le sue tradizioni. Tra le architetture religiose più interessanti spicca la Chiesa di San Siro, prima parrocchiale di Nervi, conosciuta in età medievale come “Plebana” e dotata un tempo di una facciata molto più ampia di quella attuale. All’interno si possono ammirare pregevoli sculture neoclassiche di diversi artisti genovesi, come Pasquale Bocciardo e Bernardo Mantero.

 

Tra le architetture civili c’è invece Villa Gnecco, posizionata sul torrente di Nervi, edificata nel XVIII secolo con una tipica struttura ad angoli rinforzati e corpi angolari avanzati, come nelle antiche fortificazioni. Da vedere anche Villa Gropallo, circondata da un bel parco, e Villa Luxoro, oggi sede di un museo con opere pittoriche e pezzi d’antiquariato di grande valore, anch’essa immersa in un ampio giardino che si affaccia su una scogliera a picco sul mare. Infine non mancano a Nervi alcune importanti strutture militari, in particolare la torre di Gropallo e il Castello, quest’ultimo edificato a protezione dell’attuale porticciolo situato alla foce del torrente Nervi.

Se amate la vita all’aria aperta e le passeggiate apprezzerete i cosiddetti Parchi di Nervi, tre aree verdi inserite proprio all’interno del contesto urbano, e la passeggiata dedicata a Anita Garibaldi, un lungo percorso che venne realizzato in due tempi dal marchese di Gropallo, la prima parte nel 1862 tra il porto e la torre di Gropallo, e la seconda nel 1872 per unire via Serra Gropallo con l’area di Capolungo. Lungo l’itinerario si incontrano diversi accessi che consentono di raggiungere la scogliera, meta preferita dei pescatori o dei bagnanti che visitano Nervi nella stagione estiva.

 

Per completare la panoramica del paese varrebbe la pena di prender parte a uno dei tanto eventi che vi si tengono nell’arco dell’anno. Tra le varie manifestazioni ce ne sono due particolarmente suggestive, una in piena estate e una nel periodo natalizio. Nella prima metà di agosto c’è la Disfida delle focacce, che coinvolge tutti i comuni dell’area e consiste in una sfida culinaria per premiare il paese produttore della migliore focaccia. Ogni cittadina ha un proprio forno vincitore, che partecipa alla finalissima, e non mancano gli assaggi gratuiti e la degustazione di vini del territorio. L’evento più bello dell’inverno è invece ambientato all’interno della chiesa della confraternita del Rosario: qui viene allestito ogni anno uno dei presepi più grandi e ammirati del territorio genovese, animato da suoni, luci e giochi d’acqua, interamente fatto a mano.

 

Trovandosi nella periferia di Genova, raggiungere Nervi non è difficile. La stazione ferroviaria e l’aeroporto Cristoforo Colombo consentono collegamenti efficienti con le maggiori città d’Italia e d’Europa, e per chi si sposta in auto è sufficiente uscire dall’autostrada al casello di Genova Nervi, per poi seguire i cartelli stradali sino a destinazione.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 31/12/2010 @ 10:00:28, in it - Scienze e Societa, read 2469 times)

Situato ai piedi delle Alpi svizzere, il convento di San Giovanni offre uno sguardo unico sul Medioevo che nel 1983 l'Unesco ha riconosciuto come Patrimonio mondiale. Un monastero vivo, dove coesistono impegno culturale, ricerca archeologica e rigore benedettino.

 

L'aria è pungente nel convento di San Giovanni. Una luce fioca illumina la navata centrale e immerge la chiesa in un'atmosfera surreale. Ogni angolo del complesso monastico trasuda storia. Una storia che ha inizio 1200 anni fa, raccontata attraverso il più vasto ciclo di affreschi del basso ed alto medioevo ancora esistente al mondo.

La chiesa con il suo campanile e la torre Planta con le caratteristiche guglie a coda di rondine disegnano l'inconfondibile profilo del monastero; quel profilo che contraddistingue tutto il villaggio di Müstair. Oltre alle pitture parietali il convento custodisce altri tesori culturali e artistici unici nel suo genere, frutto di almeno otto fasi di ristrutturazione. Ogni epoca ha lasciato le proprie tracce con stuccature, volte e salotti rivestiti in legno che si fondono in un insieme armonico.

«L'idea di candidare il convento alla lista dell'Unesco è nata un po' per caso ed è frutto dell'iniziativa del professor Alfred Schmid, allora presidente della Commissione federale dei monumenti storici», spiega Elke Larcher, responsabile delle pubbliche relazioni per la Fondazione Pro Monastero. «In quegli anni, la prassi da seguire era senza dubbio più semplice anche perché il marchio di patrimonio dell'umanità non era ancora molto conosciuto al grande pubblico».

 

Situata all'estremità orientale delle Alpi svizzere, dietro i ghiacciai dello Stelvio e a pochi passi dal Tirolo, la Valle Monastero ha fondato per secoli la sua economia sull'agricoltura e il transito dai passi. Oggi gli oltre 1'700 abitanti vivono prevalentemente di turismo, coscienti di quanto le peculiarità naturali e culturali – non da ultimo la lingua romancia – rappresentino una vera e propria risorsa per la regione.

«È difficile stabilire fino a che punto il riconoscimento dell'Unesco abbia accresciuto il turismo nella valle, ma di sicuro ha regalato al convento una maggiore visibilità, soprattutto all'estero», precisa Elke Larcher. Un'opportunità di sviluppo ecosostenibile che potrebbe prosperare ulteriormente se la candidatura della biosfera Val Monastero – comprendente il Parco nazionale svizzero – fosse accolta dall'Unesco.

Un tentativo di ritorno allo splendore del passato, quando attorno a questo villaggio a 1'250 metri di altitudine si cristallizzava l'agire politico, economico, sociale e religioso dell'epoca.

 

La fondazione, tra mito e storia

La leggenda racconta che Carlo Magno, di rientro dalla sua incoronazione a re dei Longobardi nel 774, riuscì a sopravvivere a una bufera di neve e in segno di gratitudine fondò il convento di San Giovanni. Müstair si trovava infatti in una posizione strategica per le sue ambizioni di espansione ad est, verso la Baviera.

Come ogni leggenda, anche questa sembra avere un fondo di verità: le travi in legno inserite nella struttura originaria della chiesa risalgono proprio al periodo in cui l'imperatore percorse la Valtellina e attraversò il passo dell'Umbrail dopo aver conquistato il regno longobardo. Da allora la figura dell'imperatore è venerata come quella di un santo a Müstair. La sua statua si erge fiera a fianco del crocifisso, quale guardiano della chiesa.

Sin dall'inizio il convento è stato decorato con pitture murali e vetrate policrome, segno evidente di un periodo di prosperità e rinascita culturale. «Bisogna immaginare la chiesa come un locale semplice, con pareti lisce e un soffitto piatto, interamente dipinto», spiega Elke Larcher. I pilastri, la volta e il matroneo furono aggiunti solo nel 1492.

Gli affreschi carolingi (VIII e IX secolo) ricoprivano interamente le pareti della chiesa e illustravano la storia della redenzione. Intorno al 1200 tutta la parete orientale fu completamente decorata con un nuovo strato di affreschi, più dinamico e fantasioso rispetto al passato, ma caratterizzato dagli stessi contenuti iconografici.

Guardiane del convento

Le pitture parietali vennero riportate alla luce tra il 1947 e il 1951, ma l'esistenza di cicli di affreschi carolingi è stata documentata già a partire dall'inizio del secolo scorso. Nel 1969 venne poi avviata una campagna di restauro finanziata dalla Fondazione Pro Monastero, volta a conservare gli edifici del complesso e affiancata da scavi archeologici. Nel 2003 sono terminati i lavori di restauro e di consolidamento della torre Planta, coronati dall'apertura del nuovo museo del monastero.

«Oltre agli aspetti prettamente artistici, unici nel loro genere, il convento riesce a far coesistere l'elemento culturale – tra storia, scienza e restauro – con quello religioso», ricorda Elke Larcher. «La presenza delle suore è stata decisiva per la sopravvivenza del monastero e rappresenta tuttora un elemento di importanza fondamentale per il villaggio». Un convento vivo, insomma, dove la regola di San Benedetto viene rinnovata giorno dopo giorno e scandisce i ritmi quotidiani tra preghiera e lavoro.

Müstair fu prima di tutto un centro destinato a consolidare la cristianità e a propagare il modello monastico. Oggi non è soltanto un punto di riferimento turistico, ma anche un luogo di pellegrinaggio. Un modo diverso di concepire il viaggio, lontano dal caos della vita moderna e alla ricerca di quel silenzio che ha il sapore del passato. Tra pitture medievali e litanie benedettine, resta soltanto la meridiana a scandire il tempo nel convento di Müstair.

Autore: Stefania Summermatter, Müstair, swissinfo.ch

 
By Admin (from 01/01/2011 @ 10:00:51, in it - Scienze e Societa, read 2622 times)

Inclusa già nel 1983 nella lista del Patrimonio mondiale dell'umanità, l'Abbazia benedettina di San Gallo ha rappresentato per oltre 12 secoli uno dei principali centri di cultura in Europa e ancora oggi custodisce una delle più ricche e antiche biblioteche del mondo.

 

Una fucina d'arte e di conoscenza con oltre 1200 anni di storia, una biblioteca con una straordinaria collezione di libri e una sala barocca considerata un gioiello d'architettura. Con queste peculiarità non vi è da stupirsi che l'Abbazia di San Gallo sia stata uno dei primi siti di tutto il mondo a essere iscritto nel Patrimonio dell'umanità, già pochi anni dopo la creazione della prestigiosa lista dell'Unesco.

"L'idea di presentare una candidatura non era venuta da San Gallo, ma era stata avanzata da alcuni organismi internazionali. Mentre oggi vi è quasi una corsa a livello mondiale per figurare nella lista dell'Unesco, a quei tempi non si sapeva molto bene cosa potesse significare questo riconoscimento", ricorda Karl Schmuki, viceresponsabile della biblioteca abbaziale.

A San Gallo l'impatto di questa iscrizione si è capito soprattutto nell'ultimo decennio, da quando i siti del Patrimonio mondiale hanno cominciato a suscitare un forte interesse popolare e ad attirare masse di turisti dai 5 continenti. Il numero dei visitatori è lievitato anche nell'abbazia sangallese e la cittadina della Svizzera orientale ha guadagnato rinomanza e visibilità internazionale.

 

Una città nata dall'abbazia

Per i sangallesi, l'importanza dell'abbazia benedettina era però già nota da molto tempo. Senza di essa, forse San Gallo non esisterebbe nemmeno e di certo non sarebbe diventata una delle principali capitali culturali e scientifiche del Medio Evo. La città è infatti sorta attorno al convento, situato ancora oggi nel cuore del centro storico.

La nascita risale al 612 d.C., quando il monaco peregrinante Gallo, di origini irlandesi, si stabilì in questo sito, radunando attorno a sé numerosi discepoli. Un secolo più tardi il sacerdote alemanno Otmaro assunse la guida della comunità e diede vita al monastero, il primo fondato in Svizzera.

Con l'introduzione della Regola benedettina, che imponeva letture quotidiane ai membri del cenobio, cominciò a svilupparsi lo scriptorium, l'officina scrittoria in cui generazioni di monaci si dedicarono all'arte della calligrafia, della decorazione e della rilegatura. Ancora oggi numerose delle grandi biblioteche del mondo custodiscono manoscritti creati dai benedettini sangallesi.

Accanto allo scriptorium sorsero una scuola e una biblioteca che fecero di San Gallo uno dei centri di studi e di sapere più luminosi d'Europa. Il monastero lasciò importanti tracce anche nell'architettura: la pianta realizzata nel IX secolo per l'ampliamento del complesso abbaziale servì da modello all'architettura monastica in tutto il continente. E, più recentemente, ispirò anche "Il nome della rosa" di Umberto Eco.

Una miniera d'oro

L'abbazia, che si raggruppa attorno alla collegiata e ad un grande cortile, conserva ancora oggi molteplici testimonianze dei diversi stili architettonici sviluppati nel corso dei secoli. Il complesso attuale risale prevalentemente al XVIII secolo e vanta una delle più splendide realizzazioni dell'architettura barocca: la sala della biblioteca, visitata ogni anno da oltre 130'000 persone.

"In una biblioteca simile ci si lascerebbe volentieri rinchiudere per l'eternità", scrisse nel 1822 l'erudito tedesco Andreas Wilhelm Cramer. Il salone, considerato il più bell'ambiente rococò della Svizzera, è un capolavoro armonico di colonnati, nicchie, rilievi, decorazioni e dipinti.

Sopra la porta d'entrata della sala, che contiene 30'000 preziosi volumi, figura la scritta greca "Farmacia dell'anima". Un richiamo alle virtù spirituali attribuite dai monaci benedettini al patrimonio di conoscenza raccolto nel corso dei secoli dall'abbazia.

La biblioteca, annoverata tra le venti più importanti del mondo, dispone di una collezione complessiva di 160'000 libri e rappresenta una vera e propria miniera d'oro per gli studiosi del Cristianesimo, del Germanesimo e della Classicità. Vi si trovano numerose opere uniche e antiche - tra cui migliaia di manoscritti, incunaboli e manufatti della legatoria - che documentano 12 secoli di storia europea in ambito di liturgia, arte, scienza, medicina e vita quotidiana.


Un patrimonio minacciato

"È quasi incredibile che questi tesori siano giunti fino a noi, attraverso una così lunga storia di incendi, saccheggi e guerre", osserva Karl Schmuki. A più riprese i monaci trafugarono la collezione a centinaia di chilometri di distanza, fino in Austria, per sfuggire alle minacce. Dapprima le orde degli Ungari, che nel X secolo depredarono i conventi di mezza Europa, poi i seguaci della Riforma, che si accanirono contro i tesori della Chiesa cattolica, o le forze della Rivoluzione, che soppressero nel 1805 l'abbazia e secolarizzarono la biblioteca.

La tradizione bibliofila sangallese ha dimostrato di saper sormontare anche le rivoluzioni tecnologiche. All'epoca dell'invenzione della stampa i monaci benedettini si adeguarono creando una loro stamperia. E oggi, nell'era di internet, la biblioteca ha già avviato uno dei progetti più innovativi a livello mondiale di digitalizzazione dei testi medievali, per permettere a tutti di accedere alla sua inestimabile fonte di sapere.

Autore: Armando Mombelli, San Gallo, swissinfo.ch

 
By Admin (from 02/01/2011 @ 10:00:09, in it - Scienze e Societa, read 2871 times)

Vette maestose, pareti di roccia mozzafiato, un'immensa lingua di ghiaccio che lambisce le cime: il sito Unesco Jungfrau-Aletsch racchiude in un'area di oltre 800 km2 uno dei più spettacolari paesaggi delle Alpi svizzere.

 

A ovest, la regione è costeggiata dalla linea ferroviaria del Lötschberg, a est dalla strada del Grimsel. Il suo margine meridionale coincide per alcuni tratti con il crinale nord del Vallese, in altri si spinge fin verso il fondovalle. Quello settentrionale è delimitato dalla formidabile muraglia delle Alpi bernesi.

Innumerevoli strade, piste, funivie, skilift e trenini di montagna – il più noto è quello della Jungfrau – permettono di giungere ai confini dell'area protetta e talvolta di varcarli. Una fitta rete di sentieri ne percorre la fascia esterna. Il suo nucleo rimane però pressoché inaccessibile, se non per le aquile e per gli alpinisti.

Il sito comprende montagne celebri, come la triade Jungfrau-Eiger-Mönch, il Bietschhorn, il Wetterhorn, lo Schreckhorn e il Finsteraarhorn (con i suoi 4274 metri, la vettta più alta dell'area). Nove cime superano i 4000 metri di altitudine, altre cinquanta i 3500. Una superficie di circa 350 km2 è coperta dai ghiacciai.

Il paesaggio selvaggio e inospitale ha affascinato generazioni di artisti e viaggiatori, alla ricerca di spazi di natura incontaminata in un'Europa sempre più industrializzata. La civiltà però non si ferma ai confini della regione Unesco. Alcune aree della fascia esterna del sito sono segnate dal lavoro dei contadini, dalla transumanza secolare delle greggi e delle mandrie, dalla vita quotidiana delle popolazioni di montagna.

 

Non solo montagne

«Per noi è sempre stato importante integrare nell'area della Jungfrau-Aletsch il paesaggio culturale che la circonda, che emana un fascino del tutto particolare», osserva Beat Ruppen, direttore del centro di management del sito Unesco a Naters (Vallese), mostrando fotografie dei ripidi tratturi percorsi dalle pecore dirette ai pascoli dell'Aletsch e delle suonen vallesane, canali per l'irrigazione dai tracciati vertiginosi.

Nuovi paesaggi modellati dal lavoro dell'uomo si sono aggiunti al sito con l'ampliamento approvato dall'Unesco nel 2007. I confini dell'area protetta sono stati spostati a est verso il passo del Grimsel e Meiringen, a ovest verso il lago di Öschinen (Kandersteg) e verso la parte bassa della Lötschental.

Nel lungo percorso che ha condotto alla candidatura Unesco, la definizione dei confini e l'integrazione nell'area protetta di paesaggi di interesse economico ha però dato adito a molte discussioni, per il timore delle regioni di montagna di essere sottoposte a troppi vincoli ambientali.

Processo partecipativo

La proposta di fare della regione dell'Aletsch un sito iscritto nella lista del patrimonio mondiale naturale dell'Unesco risale agli anni Settanta del secolo scorso. Allora l'idea si era però scontrata con un diffuso scetticismo da parte della popolazione locale e il progetto si era arenato.

Negli anni Ottanta, oltre il 90% del territorio che oggi fa parte del patrimonio mondiale è stato inserito nell'inventario federale dei paesaggi di importanza nazionale. La decisione ha facilitato la nuova candidatura Unesco, lanciata nel 1996, disinnescando almeno parzialmente i timori di norme di protezione troppo gravose. I vincoli imposti dall'Unesco infatti non vanno oltre quelli stabiliti dalla Confederazione.

La candidatura è stata accompagnata da lunghe trattative per definire il perimetro del sito. «Abbiamo adottato un modello partecipativo, coinvolgendo nelle discussioni la popolazione locale. È stato un processo lungo, che ha però permesso di far capire a chi vive nella regione l'importanza del marchio Unesco», ricorda Beat Ruppen.

Resta il fatto che dal perimetro sono state in larga misura escluse le zone di qualche interesse economico. Ruppen invita a comprendere le ragioni di chi vive nelle Alpi: «Senza prospettive di sviluppo economico, queste regioni rischiano di svuotarsi. E questo non può essere l'obiettivo di un sito dell'Unesco».


Vivere con l'Unesco

La regione della Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn è stata inserita nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco nel 2001. Dopo l'ampliamento nel 2007, il sito ha ricevuto il nuovo nome Alpi Svizzere Jungfrau-Aletsch. Nel frattempo anche la popolazione locale ha scoperto i pregi del sito Unesco.

«La gente è orgogliosa di vivere in una regione che è considerata un patrimonio dell'umanità. L'identità locale ne è rafforzata», osserva Ruppen. Il logo o il nome Unesco si trova ovunque, nella regione. Anche chi in passato era scettico utilizza oggi la parola Unesco per pubblicizzare le sue attività.

La sfida è quella di garantire un equilibrio sostenibile tra protezione dell'ambiente e sviluppo economico. Con il surriscaldamento climatico, la pressione del turismo sulle regioni di alta montagna tende a crescere. I comuni sul cui territorio si trova il sito Unesco si sono impegnati a favorire uno sviluppo sostenibile, firmando nel 2001 la carta della Concordia. Per far sì che ghiacci, monti e genti possano vivere ancora per secoli insieme.

Autore: Andrea Tognina, Naters, swissinfo.ch

 
By Admin (from 03/01/2011 @ 12:00:50, in it - Scienze e Societa, read 3263 times)

La ferrovia dell'Albula/Bernina, patrimonio mondiale dell'Unesco, non è soltanto un importante collegamento tra Svizzera e Italia. Il celebre trenino rosso offre pure un viaggio nella storia e tra le bellezze naturali dei Grigioni.

 

I passeggeri in partenza da Tirano lo possono constatare sin dai primi minuti: quello del Bernina non è un treno come gli altri.

Appena uscito dalla stazione del comune valtellinese, il treno lascia la linea ferrata per immettersi nel traffico stradale e attraversare - tra pedoni, biciclette e donne con la borsa della spesa - la piazza del Santuario della Madonna. Più che di convoglio ferroviario, narra la voce registrata che accompagna i viaggiatori, ci troviamo a bordo di un «tram» che collega i villaggi della valle.

«A volte capitano incidenti con i veicoli. Nulla di grave, a parte i ritardi sulla tabella di marcia», ci dice Marco Costa dalla cabina di comando.


Storia e paesaggio

Da Tirano (429 m.s.l.m.) il trenino rosso sale lungo la val Poschiavo, accarezza laghi e ghiacciai, supera due massicci montuosi (Bernina e Albula), fa tappa in numerose località turistiche prima di giungere a Thusis. Il convoglio prosegue poi verso Coira, capoluogo dei Grigioni e città più antica della Svizzera.

Con i suoi 196 ponti e viadotti, 55 gallerie e 128 km di tracciato, la ferrovia retica è descritta come un miracolo della tecnica. Un'opera che a oltre un secolo dalla sua costruzione continua ad affascinare ingegneri e turisti.

Concepita da noti specialisti dell'epoca, la linea sposa - con efficacia e senso estetico - la tecnologia della ferrovia di alta quota e la valorizzazione del patrimonio alpino. La vista che si gode dalla carrozza panoramica è mozzafiato e il percorso impregnato di storia.

«Quella è una vecchia postazione utilizzata per sorvegliare le valanghe», spiega Marco Costa, indicando una costruzione conica in pietra a lato dei binari, con due fessure rivolte verso la montagna. «Non credo ne rimangano molte in Svizzera».

«I ponti e i viadotti hanno mantenuto la struttura originale. Fino a qualche mese fa c'erano addirittura ancora i vecchi pali in legno dell'alta tensione».

 

Vivere un sogno

La scelta del tracciato, in particolare quello della linea del Bernina, è stata dettata dalla volontà di far conoscere le attrazioni turistiche della regione, riducendo il più possibile l'impatto ambientale sul territorio. Ancora oggi, la maggior parte delle 700'000 persone che ogni anno utilizzano la ferrovia nei due sensi sono turisti.

«Mi è sembrato di vivere un sogno», ci racconta Joree, in vacanza in Svizzera e Italia da Bangkok. «Le montagne, le vette innevate, i ghiacciai... è un'esperienza straordinaria, sicuramente da ripetere».

Per collegare Tirano a Thusis, la ferrovia retica attraversa zone climatiche, paesaggi, spazi culturali e linguistici molto diversi. L'ospizio del Bernina rappresenta ad esempio la barriera linguistica tra l'italiano (a sud) e il tedesco e il romancio dell'Engadina. Anche per questi motivi, l'iscrizione nella lista dell'Unesco (luglio 2008) comprende non soltanto la linea ferroviaria, ma pure il paesaggio circostante.

Il viadotto della Landwasser (Albula) e il viadotto elicoidale di Brusio (Bernina), che in poche decine di metri consente di superare un brusco dislivello, sono poi costruzioni famose in tutto il mondo.


Pendenza massima

Completata nel 1903 (linea dell'Albula) e nel 1910 (Bernina), la ferrovia retica è «un'opera unica al mondo», si legge sul suo sito internet. Si tratta in effetti della «trasversale alpina più alta di tutta Europa e di una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide al mondo».

Lungo i binari a scartamento ridotto, il trenino rosso s'inerpica senza cremagliera fino ai 2'253 metri del passo del Bernina. «La pendenza raggiunge il 7 per cento: è il massimo che si può affrontare con la semplice trazione», spiega Marco Costa.

«Altra particolarità - aggiunge, mentre il trenino s'infila nell'oscurità di uno stretto tunnel - è l'alimentazione: questo è uno dei pochi treni a viaggiare a corrente continua».


Ogni giorno una scoperta

Se la locomotiva non ne vuol più sapere di continuare il viaggio - «le panne non sono rare», confida Marco Costa - i colleghi alle officine di Poschiavo sono pronti a intervenire.

«Da quando la ferrovia è patrimonio mondiale i tempi di lavoro si sono accorciati. In estate ci sono molti turisti ed è essenziale risolvere i problemi con rapidità», afferma Davide Menghini, responsabile della manutenzione delle locomotive.

«Per noi l'Unesco è una sorta di garanzia: non credo che qualcuno oserà toccare le officine, diventate nel frattempo un polo di competenza nella manutenzione del treno del Bernina».

Con o senza Unesco, il lavoro di Marco Costa - macchinista da 20 anni - è rimasto uguale. Una professione monotona? «Per nulla. In pochi minuti si passa dalla primavera dei prati in fiore all'inverno dei passi innevati. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo. E il paesaggio al tramonto... è incredibile».

Luigi Jorio, Poschiavo, swissinfo.ch

 
By Admin (from 04/01/2011 @ 12:00:11, in it - Scienze e Societa, read 2660 times)

Gravedona è un incantevole comune lombardo di poco meno di 3.000 abitanti situato sulla sponda nord-occidentale del lago di Como, distante 52 chilometri dal capoluogo comasco. Dal punto di vista geografico, il paesino sorge all’interno della pianura alluvionale del torrente Liro, esattamente di fronte rispetto al lago alla penisola di Piona ed al Monte Legnone, l’ultima grande altura lariana prima dell’inizio della Valtellina. Dall’1 settembre 2009 Gravedona è divenuta capoluogo della Comunità Montana Valli del Lario e del Cereso, nata dall’accorpamento di due piccole entità preesistenti: la Comunità Montana dell’Alto Lario Occidentale e la Comunità Montana delle Alpi Lepontine. L’offerta turistica del comune è ricca e variegata, potendo contare sulle numerose testimonianze di carattere storico e artistico, oltre che su un paesaggio contraddistinto da scenari paradisiaci nel quale convivono il fascino delle montagne ed i divertimenti del litorale del lago.

 

Abitata fin dalla preistoria, la zona di Gravedona fu segnata profondamente dall’occupazione romana, con la quale cominciò a radicarsi sul territorio il cristianesimo. Attorno al 550 d.C. tutta la provincia di Como cadde sotto l’influenza dei Franchi, dei quali sono visibili tutt’oggi alcuni splendidi monasteri. Con la progressiva disgregazione dell’impero Carolingio, buona parte dei territori circostanti al lago di Como finirono per essere contesi tra le città di Como e Milano, che diedero vita alla decennale guerra che si combatté tra il 1118 e il 1127 concludendosi con la celebre pace di Costanza. Dopo la successiva reggenza dei Visconti, Gravedona venne amministrata prima dagli svizzeri e poi dagli spagnoli, fino a quando la guerra di Indipendenza, alla quale parteciparono anche numerosi gravedonesi, ne sancì il definitivo ingresso nel Regno d’Italia. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale qui si rifugiarono numerosi partigiani, ed il 25 aprile 1945, proprio in queste zone, venne fermata la carovana nazista che scortava il Duce e i suoi ufficiali.

 

Cullato da un meraviglioso golfo verdeggiante e protetto a nord da un’impenetrabile distesa di montagne, il centro di Gravedona è un libro aperto sul passato della provincia, con le piazzette e gli stretti vicoli acciottolati che si diramano tra chiese e monumenti di grande valore architettonico. Il cuore della città antica è la piccolissima Piazza di Prà Castello, anche se tutta la zona conosciuta come il “Castello” è ricca di edifici storici.

 

Tra le attrattive principali del comune spicca lo splendido Palazzo Gallio, l’architettura civile più rinomata della zona, edificato nel 1582 e da alcuni anni riconosciuto come monumento nazionale. A disegnare il progetto, commissionato dal Cardinale Tolomeo Gallio, fu Pellegrino De’Pellegrini, che optò per una struttura imponente e chiaramente distinguibile anche da molto lontano in quanto posta su un promontorio roccioso tra i monti e le acque del lago. Rimanendo nelle immediate vicinanze di Gravedona ricordiamo le splendide chiese costruite prevalentemente tra l’XI ed il XV secolo; tra le più suggestive vi sono: S. Maria del Tiglio, maestosa testimonianza del medioevo comasco; la parrocchiale di San Vincenzo, innalzata secondo i classici canoni romanici nel 1072; S. Maria delle Grazie, che comprende la chiesa ed il convento agostiniano completato nel 1467; e SS. Guemeo e Matteo, una fabbrica romanica immersa in un fitto parco di platani.

 

Gravedona offre anche svariate possibilità in termini di svago e sport, sia estivi che invernali. Da maggio a settembre a monopolizzare l’attenzione dei turisti è il lido comunale, presso il quale si trovano anche due piscine; in alternativa c’è il campo sportivo, dove si possono praticare indifferentemente tennis, calcio e atletica. Molto inflazionati sono gli sport acquatici, wind-surf, vela e sci nautico su tutti, tenendo conto che per i principianti vi sono i corsi organizzati da scuole altamente specializzate. Le alture circostanti sono invece il terreno di conquista di escursionisti e appassionati di mountain-bike, con la quale inerpicarsi lungo irti sentieri tra i boschi. Particolarmente suggestivo, anche se adatto ad escursionisti esperti, è il sentiero del lago Darengo, mentre gli appassionati di bici da strada hanno solo l’imbarazzo della scelta tra le tante salite impegnative della zona.

Ad allietare ulteriormente il soggiorno vi sono i numerosi eventi organizzati ogni anno dal comune o dalla comunità montana. Tra i più importanti ricordiamo: la festa patronale di San Vincenzo, in calendario il 22 gennaio; la Fiera di Sant’Antonio, sempre in gennaio; la Fiera di San Marco, ad aprile, quando si tiene anche la Mostra delle Camelie; la Fiera di Santa Maria Maddalena, in programma a luglio; e la Festa del lago, che ogni anno la notte del 14 agosto accende il cielo sopra Gravedona con una miriade di fuochi artificiali.

 

Il periodo più affollato dell’anno è quello estivo, quando molti turisti si recano a Gravedona anche per cercare un po’ di refrigerio dalla calura delle metropoli del nord Italia. In questa stagione, infatti, il lago e le montagne riescono a tenere la temperatura della zona di qualche grado più bassa rispetto al resto della Lombardia, con precipitazioni temporalesche che, pur essendo piuttosto rare, possono però rovinare qualche pomeriggio di relax in spiaggia. D’inverno il lago riesce a mitigare soprattutto le minime, che non scendono mai di troppi gradi al di sotto dello zero.

Per quanto riguarda i trasporti, Gravedona dista pochissimi chilometri dal corso della SS 340, la statale che costeggia tutto il margine occidentale del lago fino a Como, da cui è separata da circa un’ora e un quarto d’automobile. A pochi chilometri di distanza dal centro si trova invece il confine svizzero, con Lugano e Bellinzona raggiungibili in poche decine di minuti.

Fonte: ilturista.info

 

Posta a meno di 150 km dalle coste Italiane, Lussino (in croato: Lošinj) è un gioiello turistico, forse meno conosciuto di Cherso e Veglia, ma non per questo meno interessante. Mare limpido, rocce a strapiombo e spiagge appartate caratterizzano questa isola dalla forma stretta ad allungata, posta nel Golfo di Quarnaro in posizione più esterna di Krk e Cres (Veglia e Cherso), le due isole maggiori dell'arcipelago, e separata dal mare aperto dalla presenza di isole più piccole come quelle di Susak, Srakane (Isole Canidole) e Unie.

 

Ci sono varie possibilità di raggiungere Lussino: l'isola è raggiungibile in traghetto, con corse da Zara e da Pola, mentre un percorso più breve con il traghetto, è quello che collega Veglia (Krk) con Cherso, visto che poi alcuni ponti consentono di approdare su Lussiono e Lussinpiccolo. I pulmann da Fiume utilizzano questo percorso, ed anche molti turisti della mittel Europa e dall'italia, quando portano la propria auto al seguito, seguono questa direttrice.

L'isola di Losinj possiede anche un aeroporto, sito sulla sull parte più occidentale dell'isola, ma la lunghezza della pista, inferiore al chilometro, consente il volo di piccoli aerei da turismo.

 

Dal punto di vista Storico Lussino porta testimonianze antiche di insediamenti, risalenti ad oltre 4.000 anni fa. Le tracce interessano la zona dell'attuale Osor, che fu anche l'antica Ossero dell'impero romano. Lo sviluppo più intenso si ebbe però nel medievo, con l'impulso della dominazione Veneziana, e il porto di Veli Losinj (Lussinpiccolo) divenne uno dei più importanti dell'Adriatico settentrionale. Venezia portò il suo eleganto modo di costruire e organizzare le città, ed ha lisciato un impronta urbanistica inconfondibile. Se i secoli correvano con l'economia basata sui commerci e la pesca, è solo dalla fine dell'800 che il mondo si è accorto dell'importanza turistica, ma soprattutto di quella climatica dell'isola di Lussino. Risale infatti l 1885 l'esordio ufficiale dell'isola nel circuito delle stazioni climatiche adriatiche, con numerosi ospiti dal centro Europa in cerca di un clima piacevole durante l'inverno. Dal primo albergo sorto nel 1887 ora l'isola è ben dotata di strutture turistiche, soprtutto a, ed intorno, a Mali Losinj e in minor misura a Lussinpiccolo, e il wellnes, la ricerca del beneserre, sono tra i punti di forza dell'offerta alberghiera.

 

Da vedere e scoprire nell'isola di Losinj (Lussino)

La magnifica città di Mali Losinj vi accoglie al termine della sua lunga e stretta baia, che rimane riparata dai movimenti del mare dalla penisola di Cikat, trasformandosi in un grande specchio per l'elegante cornice di case che l'avvolge.

Punto centrale è il lungomare di Riva Losinjskih kapetana, do oltre ai bar e ristoranti si trovano spesso, in estate, numerose bancarelle per artigianto e souvenir vari. La via Brace Vidulica è quella che conduce al cuore storico cittadino, fatto di vicoletti, a tratti tortuosi, con scalinate, che convergono alla cima della collinetta coronata dalla chiesa, con l'immancabile campanile in stile veneziano. Da segnare il museo Kula che celebra la storia marittima di Lussino

Ad ovest di Mali Losijj, alla base della omonima penisola sui apre la baia di Cikat, dalle acque limpide e tonalità turchese-verde che digradano ad un blu più intenso al centro. Si tratta di un litorale di ghiaia con tratti cementati per favorire gli appassionati della tintarella, mentre non manca una verde cornice di pini a rendere più pittoresco il paesaggio.

 

A pochi chilometri a sud-est di Lussinpiccolo troviamo Lussingrande, ma rispetto al nome, paradossalmente, si tratta di una borgata più ridotta, simile in eleganza all'altra cittadina, ed anche di più. Domina la parte storica la chiesa di Sant'Antonio, dalla bianca facciata che ospita all'interno un interessante dipinto rinascimentale, una Madonna con Santi. Nel centro domina la kastela, un torre con merli di origine veneziana, dovrebbe avere un età di circa 400 anni.

Sulla parte nord-occidentale di Losinj dominano le montagne e le calette appartate con mari straordinariamente limpidi, raggiungibili in barca o a piedi per ripidi sentieri. Qui non è raro vedere i grifoni. i grandi rapaci che nidificano su Cherso e che battono le zone del monte Osoršćica alto 588 m, ma con un imponente crinale che si estende per una lunghezza di circa una decina di km.

 

Più civilizzata è invece la costa nord-orientale quella che va da Osor fino a Mali Losinj, e che include altri due importanti centri, Nerezine e Sveti Jakov.

Ossero (Osor) si sviluppa atorno al braccio di mare che separa Cherso da Lussino. e proprio per la sua posizione era diventato un importante centro portuale al tempo dei romani. Le acque riparte della sua baia, spesso piatte ed a specchio, e dalle tinte a pastello, il centro raccolto con le sue viuzze lastricate, la bella chiesa centrale (Cattedrale dell'Assunzione), dalla caratteristica facciata bilobata, la rendono una meta attraente per i turisti che possono godere dei suoi angoli nascosti senza un eccessivo affollamento di turisti. Da segnalare anche un antico Palazzo Vescovile, mentre a nord della città (in terriotrio dell'isola di Cherso) segnaliamo la bella spiaggia di Bijar, con alle spalle le suggestive rovine tardo medievali di un convento Francescano.

 

Tra le escursioni consigliate segnaliamo senz'altro la visita all'isola di Susak, conosciuta anche con il nome italiano di Sansego. Diversamente dalle classiche rocce calcaree, qui la litologia annovera anche sabbie ed argille. Le peculiarità storiche della città sono evidenti anche dai costumi locali che si differenziano da quelli di Lussino. Il monumento più importante è la chiesa di San Nicola, che ospita nel suo interno un importante crocifisso ligneo (Veli Buoh). L'escursione a Susak può essere anche l'occasione di vedere qualcuno dei numerosi delfini che abitano le acque intorno all'isola di Lussino.

 

Il periodo migliore per visitare Lussino è la lunga estate adriatica, che in pratica si estende da fine maggio a settembre. Il numero elevato di ore sole/anno (oltre 2800 ore) la rende una meta perfetta per chi ama rilassarsi sulla spiaggia. La presenza delle montagne consente di trovare la giusta caletta per ogni tempo meteorologico, scegliendo di preferenza quelle più riparate dall'azione del vento. In inverno non fa mai freddo, con temperature che non scendono in genere mai sotto i 5 °C nei valori minimi, anche se la bora può far scendere i valori della temperatura percepita di parecchi gradi, specie sulle coste orientali. A Lussino non piove tantissimo, ma per l'estate il rifornimento idrico è consentito dalla riserva d'acqua dolce del lago di Vrana, situato nella parte meridionale dell'isola di Cherso.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 06/01/2011 @ 08:00:37, in it - Scienze e Societa, read 4116 times)

Appena ad est della penisola istriana, il mare Adriatico presenta un trittico di isole da sogno, mete ideale per vacanze alla ricerca dele giusto equilibrio tra spiaggia e paesaggi incantati: Cres, Krk e Rab sono tra le mete preferite dei numerosi turisti europei, di cui i tedeschi ed italiani sono tra i più numerosi, che qui trovano accoglienza e mare strepitosi, perfetti per un sereno perido di vacanza. In particolare l'isola di Rab ha alcune tra le più belle spiagge di sabbia della Croazia, che in genere offre quasi sempre abbondanza di lidi ghiaiosi.

 

L'isola di Rab possiede un clima Mediterraneo molto piacevole, con inverni miti e estati calde ma gradevoli. Per questo tipo di clima Rab deve ringraziare la Kamenjak, una catena montuosa che la protegge dal freddo vento del nord in inverno e primavera. In autunno normalmente spira tiepido ed umido e vento da sud che accompagna la stagione della pioggia.

 

Rab ha e circa 91 giorni totalmente soleggiati all'anno ed è uno dei più soleggiata parti d'Europa. Durante l'estate però il clima prevede solamente 9 giorni nuvolosi in totale. Difficile chiedere di meglio! La quantità di pioggia è di circa 1042 millimetri all'anno, un quantitativo discreto, che giustifica la vegetazione abbondante dell’isola. La temperatura del mare è relativamente elevata e sicuramente la cosa ha favorito lo sviluppo del turismo perché qui è possibile godere di acque invitanti da maggio a metà ottobre quando nonscende mai al di sotto dei 20 °C, con punte di 26°C in Agosto.

 

Da fare e da vedere all’isola di Rab?

Le due spiagge più popolari di Rab sono la spiaggia chiamata Paradise (Rajska Plaza) e quella denominata Sahara, ambedue si trovano non lontane dal villaggio di Lopar.

 

Lopar è il luogo più isolato sull'isola di Rab, cinto da 22 spiagge di sabbia. Il mare è poco profondo, e la fitta foresta concede preziosa ombra particolarmente adatta per coloro che vengono qui in vacanza con i bambini piccoli. Molto conosciuta è Rajska Plaza, che si snoda per una lunghezza complessiva di 1,5 km.

 

Sahara Plaza non si trova lontana da Rajska Plaza. E' a forma di laguna e si tratta di una cosiddetta "spiaggia libera", nel senso letterario del termine con l’abbigliamento che diventa un opzional, ed è meta di molti naturisti.

 

Rab è il centro principale dell’isola. Quando si entra nella città vecchia di Rab vi colpirà la pietra bianca della piazza di San Cristoforo illuminata dal sole. La piazza è abbellita da una fontana in piazza abbellita con due sculture di Kalifront e la pastorella Draga, figure che provengono da una leggenda di castità e amore infelice. Passeggiare per Rab è molto piacevole e rilassante, con begli edifici alcuni ancora con aspetto rinascimentale e qualche tratto gotico.

 

La fertile valle di Draga è un'altra meta di escursioni, ci sono villaggi da vedere e scoprire come Supetarska Draga, Mundanije, Gornja e Donja (Alta e Bassa. Le popolazioni della valle di Draga hanno combinato modi di vivere moderni e tradizionali, e questo è facilmente avvertito nel settore turistico. Da segnalare la basilica romanica di San Pietro che è stata costruita nel XI secolo. La sua bellezza attira i fedeli e amanti dell’arte.

 

Draga è interessante anche per le persone che provengono con le barche, e che non vogliono limitarsi ad ormeggiare al largo della costa, e che quindi possono soggiornare brevemente da uno dei vicini isolotti dotati di acque limpide ed ideali alle immersioni come quelli di Srednjak, Maman, e Sailovac.

La baia di Draga è anche ben protetta dai venti, con mare poco profondo e calmo, e qui molte specie di uccelli nidificano per svernare. Un tempo qui vi erano delle saline.

La zona di Barbat è nota per le numerose piccole spiagge di sabbia che si estendono a sud-est della città. L'isolotto di Dolin si estende parallelo alla costa di Barbat, il che rende il canale di Barbat un luogo attraente per lo yachting e di sci nautico. Qui si possono trovare abitazioni ed appartamenti lungo la costa, con una ben sviluppata ristorazione che offre i prodotti nazionali croati, e gustosi menù a base di pesce.

 

Un'altra porzione interessante è quella nord-occidentale dove si trova il villaggio di Kampor e la penisola di Kalifront, quest’ultima immersa in un verde ambiente, specie nella bella foresta di Dundo che fornisce una interessante scenografia per le lunghe passeggiate. Bellissimi tramonti si godono dalla Punta di Kalifront.

 

Il modo migliore per arrivare a Rab e' sicuramente l'automobile. Se partite da Trieste, seguite le indicazioni per Fiume (Rijeka), si devono passare la frontiera slovena, e dopo pochi chilometri si passa anche quella croata, da dove si seguono le indicazioni per Rijeka. Da Fiume si procede in direzione sud in direzione di Zara e Spalato (Zadar-Split) seguendo la bella litoranea, oltrepassando in successione le località di Crikvenica, Novi Vinodolski, Senj e Starigrad. Superato quest’ultimo villaggio, dopo circa 10 km. da Starigrad, si svolta verso destra per la piccola città portuale di Jablanac. Dal porto di Jablanac fa la spola un traghetto con servizio auto che in circa 20 minuti conduce all’isola di Rab attraverso il Canale di Velibit. Una volta sbarcati si possono seguire le indicazioni stradali (strada n°29) che conducono ai vari villaggi dell’isola da Rab fino a Lopar posta all’estremità settentrionale dell’isola.

Fonte: ilturista.info

 
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