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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
By Admin (from 12/02/2011 @ 12:00:31, in it - Scienze e Societa, read 3686 times)

La ricerca "Earth system science for global sustainability: grand challenges" dell'International council for science (Icsu) e dell'International social science council (Issc) pubblicata sull'ultimo numero di Science, descrive le 5 grandi sfide ambientali, economiche e sociali che l'umanità e il pianeta si trovano e si troveranno ad affrontare. Gli autori dello studio chiedono un'iniziativa senza precedenti a livello mondiale per dare alla società della conoscenza quello di cui ha bisogno per ridurre contemporaneamente i rischi ambientali globali e raggiungere gli obiettivi di sviluppo economico e sociale.

 

Ecco quali sono secondo gli scienziati di Icsu e Issc le 5 grand challenges che ha di fronte il pianeta se vuole davvero risolvere i suoi problemi ambientali e climatici che stanno sempre più diventando politici, sociali ed economici:

 

Migliorare l'utilità delle previsioni delle future condizioni ambientali e delle loro conseguenze sulle persone. Secondo i ricercatori abbiamo bisogno di sviluppare un "Earth system simulator" per migliorare le nostre previsioni sugli impatti che producono le attività umane sul clima e sui sistemi biologici, geochimici e idrogeologici su una scala di tempo decennale. Gli attuali sistemi atmosfera-oceano, anche se sofisticati, devono essere completati da strumenti altrettanto potenti a livello planetario.

 

«Per esempio - si legge su Science - non esiste un marine-biosphere model disponibile che corrisponda agli standard dei fluid-dynamics-based simulators dell'atmosfera entro i prossimi 5 anni, e la situazione sembra essere ancora peggiore quando si tratta di simulazione delle politiche economiche, sociali e dei processi culturali. Perciò, devono essere esplorati approcci alternativi, come i distributed simulators, in cui i modelli disponibili per tutti i vari Earth system compartments siano virtualmente assemblati da istituzioni di tutto il mondo».

 

Questo tipo di ricerca è necessaria anche per valutare «Il potenziale impatto dei cambiamenti ambientali sulle condizioni economiche regionali, la sicurezza alimentare, l'approvvigionamento idrico, la salute, la biodiversità e la sicurezza energetica. Inoltre, la ricerca è necessaria per capire come le persone tendono a rispondere ai cambiamenti in diversi contesti socio-geografici e culturali, in particolare nelle comunità povere e vulnerabili».

Sviluppare, migliorare e integrare i sistemi di osservazione per la gestione globale e regionale dei cambiamenti ambientali. Anche se sono già stati fatti investimenti per costruire e coordinare sistemi di controllo molto efficaci, come il Global earth observation system of systems, questo non basta ad affrontare e i meeting dei decision-makers richiedono altri prodotti della ricerca. «Per esempio, i dati economici e delle scienze sociali sono spesso raccolti e riportati a scale che non sono compatibili con l'analisi delle interconnessioni tra sistemi sociali e naturali.

 

La scarsità di dati empirici sui cambiamenti dei sistemi socio-ambientali mina la capacità dei decision-makers e dell'opinione pubblica di definire adeguate risposte alle minacce emergenti e di soddisfare le esigenze dei gruppi vulnerabili. Per progettare cost-effective systems in grado di soddisfare queste esigenze, dobbiamo affrontare importanti domande scientifiche: che cosa dobbiamo osservare, a quale scala, in quali "coupled social environmental systems", al fine di rispondere, adattarsi e influenzare il cambiamento globale?»

 

Determinare la modalità per anticipare, evitare e gestire un cambiamento ambientale globale distruttiovo. Secondo lo studio, «L'interferenza dell'uomo probabilmente ha innescato forti cambiamenti non lineari nel contesto globale che tendono a modificare la natura stessa del supporto del life-support system in questione e che possono essere in gran parte irreversibile su una scala temporale umana».

Da questo possono derivare cambiamenti devastanti nei sistemi sociali. Un graduale declino delle precipitazioni annuali o della fertilità del suolo potrebbe portare ad un esodo e ad un abbandono delle terre con una crescita enorme dei rifugiati ambientali, ma «Le politiche sociali ed economiche e le istituzioni raramente sono progettate per bruschi cambiamento sociale e ambientale non lineari - dicono i ricercatori - Comprendere la dinamica non lineare di base richiederà l'integrazione delle scienze ambientali e della complessità, due settori che si sono sviluppati in gran parte separatamente. Per limitare il cambiamento globale a livelli tollerabili, che abbiano soglie di pericolosità o "tipping points" a basso rischio, dovremo identificare e rintracciare le condizioni di sistema rispetto ai "key planetary boundaries" (ad esempio, i livelli critici di acidificazione degli oceani). Per limitare l'inevitabile impatto delle escursioni del sistema a livelli pericolosi, dovremo migliorare la resilienza al cambiamento. Tale ricerca può esplorare se ci siano annche "positive" social tipping points "positivi, cioè con un'azione pionieristica che punti ad una dinamica economica o sociale all'interno di regimi sostenibili».

 

Determinare cambiamenti economici, comportamentali e istituzionali per attivare misure efficaci a favore della sostenibilità globale. Il Global change presenta per le istituzioni sociali sfide inedite di gestione dei problemi emergenti. «I moderni sistemi di governo sono molto più efficaci per affrontare i problemi nazionali e locali su scale temporali di anni e decenni invece che per risolvere problemi globali che colpiranno con più forza le generazioni future delle generazioni attuali. Affrontare problemi del cambiamento globale richiederà un passo in avanti nella ricerca sulle questioni fondamentali della governance, dei sistemi economici e delle ipotesi, credenze e valori alla base del comportamento umano. Ciò deve comportare una stretta integrazione delle scienze sociali e biofisiche. Dobbiamo capire come possa essere realizzata una più efficace governance ambientale in un momento di indebolimento della fiducia nelle forme tradizionali di governance. Non è sufficiente individuare le necessarie riforme delle politiche e delle istituzioni; la ricerca deve esplorare le modalità per catalizzare l'adozione di tali riforme».

 

Incoraggiare l'innovazione (e i meccanismi di valutazione) nella tecnologia, nella politica e nelle risposte sociali per raggiungere una sostenibilità globale.

 

Secondo Icsu ed issc «Dobbiamo migliorare la nostra comprensione su come rafforzare gli incentivi per la tecnologia, la politica e l'innovazione istituzionale per rispondere a cambiamenti ambientali globali. Ad esempio, sono necessarie cambiamenti trasformativi nel sistema mondiale dell'energia, compresi gli sforzi a livello internazionale (ad esempio, l'istituzione di un cap-and-trade system o di una global carbon tax). Insegnamenti sui modi migliori per arrivare a tali politiche internazionali si possono trarre dalle innovazioni a livello locale e regionale, che sono importanti laboratori per valutare come le diverse politiche del carbonio influenzino su scale multiple lo sviluppo economico e sociale. Proprio mentre i Paesi cercano di armonizzare settore della ricerca pubblica, gli incentivi economici per le industrie emergenti e le politiche pubbliche per stimolare la crescita di nuove industrie competitive, sarà necessario un mix di incentivi per generare idee e tecnologie per affrontare il cambiamento globale nel contesto dello sviluppo sostenibile».

 

Per questo, nei prossimi 50 anni, occorrono azioni mirate ed un'attenta valutazione riguardo a problemi come le potenzialità e i rischi delle strategie della geo-ingegneria (comprese la realizzazione di istituzioni locali e globali e i necessari accordi istituzionali per controllarle) e per soddisfare le contrastanti esigenze prodotte dalla scarsità di terra fertile ed acqua potabile.

Fonte: greenreport.it

 
By Admin (from 11/02/2011 @ 12:00:18, in it - Scienze e Societa, read 1800 times)

Ogni cambiamento è stato immaginato, previsto, vagliato e analizzato così a fondo che quando finalmente si realizza ci sembra già vecchio. Ma lo sterminato elenco di scoperte scientifiche e tecnologiche redatto nel secolo scorso sta per esaurirsi. Il nuovo elenco è molto più breve. La scienza di ieri era piena di intuizioni di ciò che sarebbe accaduto, ma quella di oggi forse va più in fretta dei pronostici.

 

Quasi ogni giorno basta aprire il giornale o accendere la televisione per vivere un’esperienza sempre più comune: l’arrivo del futuro, ormai noiosamente familiare. Viviamo in un mondo iperanticipato, in cui quasi ogni cambiamento scientifico o tecnico, ogni tendenza sociale in evoluzione è stata già studiata, sermonizzata, romanzata e perfino parodiata in vignette e pubblicità prima ancora di manifestarsi.

 

In quest’ultimo batter d’occhio, abbiamo visto non solo la storia della clonazione di Dolly, ma anche le notizie sulle proposte di estendere e internazionalizzare le intercettazioni telefoniche e sulla diffusione della sorveglianza video nelle città. Tutte e tre vengono presentate mettendone bene in luce le sinistre implicazioni, discusse da molti anni. A quanto pare, i nostri futuri “io” replicanti non potranno parlare fra loro senza essere spiati e sorvegliati dagli altri replicanti, che certamente dovranno essere stati clonati più e più volte per tenere d’occhio, anche se con l’aiuto dei computer, tanti anni luce di registrazioni audio e video.

 

Quando ha scritto il saggio Scoperta del futuro, nel 1904, H.G. Wells ha compiuto un’impresa pionieristica. Nonostante ci fosse già un vasto patrimonio di speculazione e di narrativa futuristica, a quel tempo la maggior parte delle persone non aveva in mente un elenco di cose agghiaccianti e moralmente difficili che sarebbero successe o sarebbero state inventate e che bisognava soltanto aspettare. Alla fine dello stesso secolo, siamo talmente ben informati su ciò che sta per arrivare che a volte lo confondiamo con ciò che è già passato. La clonazione umana ha cominciato a essere descritta nei libri di divulgazione scientifica e nella fantascienza circa cinquant’anni fa.

 

C’è stato un particolare aumento dopo gli esperimenti sulla clonazione delle piante dei primi anni Sessanta. Ha costituito l’argomento di romanzi e racconti di fantascienza, compresi molti scritti da donne che esploravano la possibilità di società senza uomini, e un paio scritti da uomini che studiavano la possibilità di società senza donne. Uno dei primi commenti scherzosi su Dolly è stato quello della dottoressa Ursula Goodenough, una scienziata americana la quale ha detto che “tanto per cominciare, con la clonazione non ci sarà più alcun bisogno di uomini”.

 

Ciò illustra come il fenomeno della superanticipazione significhi che quando reagiamo a novità e scoperte, lo facciamo trascinandoci dietro un grosso bagaglio di idee, pregiudizi e paure. Spesso le paure hanno a che vedere con le idee dell’epoca in cui la scoperta o l’invenzione è stata pronosticata per la prima volta, più che con il nostro tempo. O forse rispecchiano un momento successivo, quando la scoperta ancora non scoperta è stata scaraventata al centro di un altro dibattito, come alcune scrittrici di fantascienza hanno fatto con la clonazione. In altre parole, c’è una grande familiarità con il futuro, ma si tratta di una familiarità curiosamente superata.

 

Gli Stati Uniti danno prova di un appetito particolarmente vorace per i dilemmi morali, nonché di una notevole inclinazione a dare per scontato che qualsiasi conquista scientifica interessante, ovunque abbia luogo, sia, per qualche aspetto essenziale, americana. L’Abc News ha fatto un sondaggio fra gli americani e ha scoperto che l’87 per cento è contrario alla clonazione di esseri umani. Non sono questi che ci danno da pensare, ma il 6 per cento di persone disposte a farsi clonare. Sia la maggioranza che la minoranza reagiscono ancora prevalentemente in termini di fantasie piuttosto che di realtà: nella loro mente proliferano soldati replicanti come denti di drago, oppure il pensiero di un paio di “io” di ricambio tenuti in una cella frigorifera.

 

Anche rispetto a conquiste che già risalgono a un po’ di tempo fa, come i trapianti d’organo, le fantasie tengono ancora banco. Quelle sugli esseri umani potenziati da pezzi di ricambio umani, animali o, in particolare, robotici continuano ad alimentare spettacoli cinematografici e televisivi. Poi c’è l’idea di un colossale commercio mondiale di organi umani, notizia che si è diffusa a velocità straordinaria in alcuni paesi poveri. È una sciocchezza, ma indubbiamente è una metafora potente del loro sfruttamento da parte del Primo mondo.

Le ombre di Frankenstein

Rientrano in questa antiquata tradizione le reazioni secondo cui ogni scoperta nel settore delle biotecnologie non è che un nuovo incubo propinatoci da scienziati pazzi, e ogni uso di nuove apparecchiature da parte delle autorità non è che l’ennesimo passo in direzione di una tirannide tecnicamente perfetta. Ciò non significa che le novità scientifiche non comportino pericoli, ma spesso non si tratta dei pericoli cui si pensava. Nel caso della clonazione, i timorosi forse trascurano il fatto che gli stessi progressi scientifici che la rendono possibile si sono verificati nel contesto della crescente consapevolezza che il sesso è il metodo più efficace per perpetuare la nostra specie e le altre specie animali da cui dipende la nostra vita.

 

Per dirla con un’espressione un po’ fuori moda, clonare non è naturale. La moralità non è in sostanziale conflitto con la scienza. Il sapere sulla clonazione e il sapere sulla diversità vanno di pari passo. Il teologo che afferma che la clonazione rientra in un “tentativo di diventare i creatori di noi stessi” è fuori strada, se analizzando la natura della clonazione dimostra che non possiamo essere i nostri creatori, a differenza di come crede la maggior parte degli scienziati. Le ombre di Frankenstein ostacolano il dibattito etico, che è indubbiamente necessario. E tendono a concentrarsi sulle applicazioni più estreme – quegli incubi che ci sono ben noti da molti anni di anticipazione – anziché sugli aspetti pratici di quel che è immediatamente possibile, commercialmente interessante o criminalmente sfruttabile. Ciò facendo ignorano spesso la determinazione delle persone nell’ottenere ciò che sanno possibile. Tali esigenze possono a volte essere espressione di autocompiacimento e di indifferenza nei confronti della vita. Ma, come ha sostenuto lo scienziato tedesco Ulrich Beck, è l’intera società che deve fare le sue scelte in fatto di rischi, compresi i rischi scientifici. Queste scelte non devono più essere il risultato quasi accidentale di decisioni prese su basi ristrette ristrette da uomini politici, scienziati e industriali, e poi messe in discussione su basi altrettanto ristrette da cittadini ossessionati dal problema dei diritti. La proposta del Nobel James Rotblat, che vorrebbe una commissione etica internazionale sulle biotecnologie, andrebbe accolta, ma potrebbe funzionare efficacemente soltanto come superstruttura che vincola delle società informate. Si può sostenere che il progresso scientifico ci pone di fronte a un maggior numero di scelte, ma in un contesto che consente meno scelte. Sono possibili più cose, ma si sa anche di più su ciò che è saggio e ciò che è sciocco. Forse è questo che ignoriamo dopo il nostro lungo apprendistato di simili problemi.

 

Nel suo saggio Daedalus, scritto nel 1924, J.B.S. Haldane parlava del futuro, del giorno in cui finalmente bambini selezionati in base a criteri eugenetici sarebbero stati allevati in uteri artificiali. Nel Mondo nuovo, Aldous Huxley ha trasformato questo concetto in fiction, e in seguito molti altri scrittori hanno fatto altrettanto. Il guaio di questo processo di preparazione è che impone le idee scientifiche e le esplorazioni morali di un’epoca precedente, almeno per quanto riguarda il dibattito non specialistico. Ma forse quei giorni stanno per finire.

 

Uno degli aspetti più interessanti dell’attuale periodo, così fruttuoso sul piano scientifico, è che siamo quasi arrivati in fondo allo sterminato elenco di scoperte scientifiche previste alla fine del secolo scorso, e il nuovo elenco (quello delle cose che stiamo prevedendo ora) è molto più breve. La scienza di allora era piena di intuizioni di ciò che sarebbe accaduto, ma quella dei giorni nostri forse va talmente in fretta che deve ancora produrre una serie completa di pronostici. Questo potrebbe consentirci di arrivare al futuro senza tanti pregiudizi. Potremmo addirittura farlo, come ha immaginato lo scrittore di fantascienza James Blish, dopo essere stati “ristretti” per mezzo di manipolazioni genetiche e riprogettati per vivere in piccoli specchi d’acqua. Gran bella idea, no?

Autore: Martin Woollacott - Traduzione: A. M.

 
By Admin (from 10/02/2011 @ 08:00:50, in it - Scienze e Societa, read 2486 times)

Dopo il panico suscitato negli anni 90 dall’epidemia di BSE, l’Encefalopatia Spongiforme Bovina, del prione non si è più parlato. Ma i ricercatori hanno continuato il loro lavoro, uno di essi è il prof. Aguzzi.

 

Adriano Aguzzi, professore e direttore dell’Istituto di Neuropatologia all’università di Zurigo, non ha mai smesso di occuparsi di BSE scoprendo che il comportamento di questo agente infettivo non convenzionale è simile a quello riscontrato in malattie più comuni quali l’Alzheimer e il morbo di Parkinson.

 

Lei professor Adriano Aguzzi è considerato uno dei maggiori specialisti mondiali di BSE e per questa sua competenza qui in Svizzera è stato anche soprannominato mister Prione, dal nome appunto della particella responsabile della malattia. Potrebbe spiegarci cosa sono i prioni e come si comportano?

 

Si tratta di una malattia infettiva e chiaramente le malattie da prioni possono essere trasmesse da un uomo all’altro ma anche da un animale all’altro. Però il prione è strano perché, mentre in tutte le malattie infettive che conosciamo l’agente infettivo contiene degli acidi nucleici, cioè il DNA, l’RNA -ovvero il materiale genetico che contiene l’informazione che codifica, per le proteine, la struttura dell’agente infettivo stesso-, il prione sembra esserne privo.

Lo si sapeva già dagli anni 70 e questo era un paradosso che metteva in imbarazzo le nostre conoscenze della biologia molecolare, perché il dogma della biologia molecolare è che gli acidi nucleici devono necessariamente essere a monte delle proteine, sono in un certo senso il piano regolatore che permette la produzione delle proteine.

 

Negli anni passati la BSE ha prodotto una sorta di isteria mediatica ma da parecchi anni non si sente più parlare né del morbo della mucca pazza, e nemmeno del contagio e delle conseguenze di questa malattia tra gli umani. Un silenzio di cui sono responsabili i media oppure l’emergenza è davvero rientrata?

 

Non c’è dubbio che i casi di BSE tra le mucche sono diventati molto rari e ciò dipende anche dal fatto che gli scienziati hanno capito molto rapidamente che si trattava di una malattia da prioni e che il prione non poteva essere disinfettato attraverso metodi convenzionali, proprio perché i metodi di sterilizzazione convenzionali contro i virus e contro i batteri mirano a disintegrare gli acidi nucleici e il prione, non avendone, è impervio a questi metodi.

Inoltre in capo a pochissimi anni si è riusciti a individuare anche le vie di trasmissione della malattia che erano soprattutto le farine animali -cioè la produzione di mangimi a partire da scarti di macelleria- e una volta vietate, si è riusciti a eliminare la BSE. Quindi io rivendico che il controllo della BSE è stato un grande successo della biologia molecolare odierna e si può dire che la scienza del prione è stata un po’ una vittima di sé stessa, cioè ha avuto un tale successo che per fortuna ora non se ne parla più.

 

 A quanto risale l’ultimo caso di BSE qui in Svizzera?

Bisogna dire che la BSE esiste in due forme, una contagiosa - quella che ha provocato la crisi- e una sporadica. Cioè in ogni popolazione di bovini e anche in ogni popolazione umana, raramente compaiono degli episodi di malattie da prioni.

Nell’uomo questa si chiama malattia di Creutzefeldt-Jacob ed ha un’incidenza di circa un caso per un milione di abitanti per anno, per cui in Svizzera si vedono tra 7 e 10 - talvolta fino a 15 - casi all’anno. E dal momento che il mio istituto ospita il centro nazionale di riferimento per le malattie da prioni vediamo tutti i casi sospetti di malattia di Creutzefeldt-Jacob in Svizzera.

E nei bovini anche. Non lo si sapeva però adesso con l’esperienza e i test che sono stati fatti si vede che ancora oggi nonostante la BSE epidemica sia stata debellata, continuano a registrarsi casi, molto rari e sporadici, di mucche che si ammalano di BSE.

La spiegazione è che la proteina prionica può assemblarsi spontaneamente in un prione patologico, molto raramente, un caso su un milione ogni anno, però questo può succedere per motivi del tutto stocastici. E in questo senso si può dire che la BSE come la malattia di Creutzefeldt-Jacob non sarà mai possibile debellarla completamente, l’importante però è bloccare la catena di trasmissione in maniera che questa non si amplifichi nella popolazione bersaglio.

 

Quanto è pericolosa la malattia di Creutzefeldt-Jacob e quanto è grande il rischio della sua diffusione?

 

Si tratta di una malattia orribile in cui si perdono completamente le capacità cognitive in capo a pochi mesi e al momento continua a essere invariabilmente letale. Quindi è un morbo estremamente pericoloso che oltretutto è anche infettivo.

Anche qui a Zurigo negli anni 70 sono successi dei casi di trasmissione quando ancora non si capiva esattamente come questa malattia fosse trasmessa. Sono state fatte delle operazioni neurochirurgiche e i ferri sono stati poi sterilizzati in modo convenzionale e usati su altri pazienti che hanno contratto la malattia.

Per cui il rischio di trasmissione attraverso manipolazioni chirurgiche effettivamente c’è e di queste cose bisogna essere al corrente e bisogna prendere i provvedimenti appropriati come ad esempio la quarantennizzazione degli strumenti chirurgici.

 

Esistono oggi strumenti diagnostici in grado di individuare rapidamente la presenza della particella infetta?

 

Bisogna capire che la biologia molecolare degli ultimi 40 anni è stata prevalentemente una scienza degli acidi nucleici invece l’identificazione di proteine specifiche non è così avanzata come l’identificazione di sequenze.

Grazie all’invenzione della PCR, la Polymerase Chain Reaction -un metodo potentissimo per amplificare sequenze di DNA- oggi è possibile determinare l’intera sequenza del genoma umano in capo a pochi giorni e con costi relativamente contenuti, però determinare la struttura di una proteina continua ad essere un rompicapo notevole e spesso non è neppure possibile.

Nel caso del prione questo è complicato dal problema addizionale che il prione esiste in due forme, una perfettamente normale che tutti noi abbiamo, cioè la PrPc ovvero la proteina prionica cellulare, e una chiamata misfolding che è una forma aggregata del prione cellulare ed è quella patologica.

La dimostrazione di proteine all’interno del corpo la si può fare attraverso anticorpi, -creando anticorpi in cavie o conigli- e questi anticorpi sono dei reagenti molto specifici che possono essere utilizzati per dimostrare la presenza della proteina. Il problema però è che nel caso del prione la proteina normale e la proteina prionica patologica, che è l’unica veramente infettiva, hanno una struttura estremamente simili per cui è stato molto difficile identificare anticorpi che discriminano tra le due.

Per tutti questi motivi, la diagnostica si può fare e anche a tempi brevi però la sensitività lascia ancora a desiderare e non è certo ai livelli della sensitività di metodi basati sulla PCR degli acidi nucleici. E ancora oggi per esempio nel campo delle trasfusioni non è possibile identificare l’agente infettivo in un’unità di sangue con sensitività sufficiente per poter dire questa unità è sicuramente esente da prioni.

 

Lei professor Aguzzi si occupa solamente dei prioni oppure le sue ricerche spaziano anche in altri campi?

 

I prioni mi hanno affascinato ormai da tanti anni e sono dell’avviso che volendo fare qualcosa di veramente importante in ricerca non si può saltare di palo in frasca, bisogna occuparsi di un territorio e andare a studiare le cose veramente a fondo, per cui sono rimasto fedele ai prioni anche quando questi non erano più un’emergenza sanitaria e non erano più un argomento di attualità mediatica.

Quindi io e il mio gruppo continuiamo ad occuparci di prioni però nel frattempo ci siamo resi conto che malattie molto più comuni si basano su principi molto simili. Il morbo di Alzheimer ma anche il morbo di Parkinson e altre malattie ancora come ad esempio il diabete di tipo 2, si basano sull’aggregazione e sul folding sbagliato di proteine in strutture che assomigliano molto alla proteina prionica patologica.

E una delle cose che facciamo adesso è cercare di capire se è possibile estrarre i principi che abbiamo imparato studiando le malattie prioniche e applicarli a queste malattie. E questo è un po’ un allargamento dello scopo di lavoro del mio istituto.

Autore: Paola Beltrame - Fonte: swissinfo.ch - Zurigo

 
By Admin (from 08/02/2011 @ 08:00:54, in it - Scienze e Societa, read 2083 times)

Uno studio rivela come le aziende farmaceutiche riscrivano gli articoli scientifici per gonfiare le virtù di una medicina o nasconderne i danni collaterali. Ed è sulla base di questi "falsi" che spesso vengono fatte le ricette.

Gli articoli scientifici che riportano studi clinici controllati riguardanti nuovi farmaci rappresentano la base per redigere articoli più divulgativi che influenzano le prescrizioni da parte dei medici che raramente leggono gli articoli originali. Le industrie colgono questa opportunità per rendere gli articoli il più possibile favorevoli al nuovo farmaco, facendoli revisionare - o addirittura scrivere completamente - da esperti che rimangono anonimi, sono i cosiddetti "scrittori fantasma". Molto spesso non si tratta di modificare i risultati, ma di presentarli in modo attraente, enfatizzando piccoli risultati e minimizzando l'eventuale presenza di effetti tossici.

Particolare attenzione viene riservata al riassunto del lavoro, perché in generale questo non è oggetto di molto interesse da parte dei valutatori, mentre rappresenta la parte dell'articolo che più frequentemente è letta e determina l'impressione finale da parte del lettore.

Questo modo di operare è evidentemente non-etico e non riguarda solo le industrie interessate, ma anche i ricercatori clinici che accettano di firmare lavori scientifici scritti da altri. Uno studio pubblicato su "Plos Medicine" analizza i documenti messi a disposizione da parte della Giustizia Federale degli Stati Uniti che riguardano in particolare parecchi articoli scritti per commentare gli effetti favorevoli della terapia ormonale in menopausa da parte di una ditta specializzata nella stesura di articoli scientifici a pagamento. I ghost writer cercavano di mitigare il rischio di tumore della mammella dovuto all'uso della terapia ormonale magnificando benefici cardiovascolari e prevenzione della demenza, della malattia di Parkinson (e persino delle rughe, senza ovviamente alcuna base scientifica).

Tutto ciò non può che nuocere all'appropriatezza delle terapie, ma serve invece a gonfiare le prescrizioni e i profitti. È importante che i medici siano critici nella lettura della documentazione che ricevono, controllando i dati se possibile sui lavori originali. Occorre anche che il Servizio Sanitario Nazionale dissemini informazioni oggettive per ridurre la sproporzione oggi esistente fra messaggi dell'industria farmaceutica e informazione indipendente. 

Fonte: espresso.repubblica.it - Silvio Garattini, direttore Istituto Mario Negri di Milano

 
By Admin (from 29/01/2011 @ 08:00:46, in it - Scienze e Societa, read 1754 times)

Le cure ai pazienti anziani sono sempre più spesso inadeguate: con l'aumentare dell'età, nonostante aumentino di pari passo le malattie, diminuiscono drasticamente le prescrizioni adeguate di farmaci e visite.

 

E così oltre la metà degli anziani che soffre di almeno una patologia cronica è a rischio per questa riduzione, tanto che dopo un infarto addirittura il 76% dei pazienti anziani non assume terapie sufficienti, e la loro mortalità è tripla rispetto a quella di chi viene invece curato correttamente. Sono i dati diffusi ieri a Milano dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), nel presentare il proprio Congresso nazionale che si svolgerà a Firenze dal 30 novembre al 4 dicembre.

Si tratta dei "primi risultati della più ampia indagine mai svolta in Italia sulla condizione degli anziani - dice la Sigg, che ha collaborato con la Fondazione Sanofi-Aventis - e sul livello delle cure offerte agli over 65".

 

Sono stati setacciati gli archivi delle Asl relativi a 440 mila assistiti, e dai dati è emerso che il 70% degli anziani (8,4 milioni sui circa 12 milioni totali) soffre di almeno una patologia cronica tra quelle più comuni. Metà di questi, 4,2 milioni, non riceve cure adeguate. Il 12% dei pazienti con meno di 70 anni non si vede prescritti gli antipertensivi, ma la percentuale sale al 30% negli over 85.

Le statine (i principali farmaci per abbassare il colesterolo) hanno un crollo deciso, passando dal 12% di pazienti non trattati con meno di 70 anni al 50% degli over 85. Gli antiaggreganti non vengono prescritti al 17% degli over 85, mentre a quelli con meno di 70 anni le mancate prescrizioni si fermano solo al 3 per cento.

"Questi dati - spiega Niccolò Marchionni, presidente Sigg - mostrano una mancata o insufficiente utilizzazione, nei pazienti anziani, di terapie e interventi che potrebbero mantenerli in salute, anche se talora é il paziente stesso che segue le terapie con maggior difficoltà o dimentica di assumerle".

Per garantire agli anziani un adeguato trattamento "é necessaria una maggiore convinzione dei medici a impegnarsi nella tutela della loro salute. La spesa sanitaria annua pro capite per terapie e accertamenti in pazienti con recente infarto miocardico, ad esempio, si riduce da 1.016 euro fra i 65 e i 69 anni a 453 euro negli ultra 85enni. Ciò, almeno in parte - aggiunge - deriva dall'errata convinzione che una persona molto anziana non tragga significativi benefici dalle terapie. Non è affatto così e le terapie farmacologiche si dimostrano altrettanto efficaci anche negli ultra85enni". "Lo scarso interesse nei confronti dei bisogni di salute degli anziani che emerge dall'indagine - commenta Marco Scatigna, direttore generale della Fondazione Sanofi-Aventis - é indicativo di un atteggiamento pericolosamente discriminatorio: un paziente anziano cui non vengono prescritti farmaci ed esami può sembrare un risparmio per la collettività ma, alla fine, è vero l'opposto".

 

"I pazienti curati male - prosegue Scatigna - si ricoverano e si ammalano molto più degli altri per cui, a lungo andare, spendiamo molto di più per rimediare a terapie e diagnosi inadeguate che per trattare come si deve chi ha bisogno delle cure, indipendentemente dalla sua età. E questo - conclude - senza considerare la violazione del principio di equità distributiva delle risorse e l'eccesso di sofferenze individuali conseguenti al sotto-trattamento".

Fonte: americaoggi.info

 
By Admin (from 28/01/2011 @ 08:00:25, in it - Scienze e Societa, read 2843 times)

La storia che raccontiamo in questa intervista è simile, almeno inizialmente, a quella di tante altre persone e chi l’ha vissuta ha deciso di condividerla con il mondo. È una storia di cancro, è una storia di medicina, è una storia, come sempre in questi casi, di scelte importanti. Chi ce la racconta è Neo, un trentanovenne laureato in scienze motorie ed osteopatia, ovvero qualcuno che della salute della gente ha fatto la sua missione. Neo è ovviamente uno pseudonimo che utilizziamo per evitare che questa intervista possa creare spiacevoli ricadute negative sull’attività professionale del nostro intervistato.

Il tuo mestiere ti porta ad occuparti ogni giorno della salute delle persone, ma ad un certo punto hai scoperto che la salute di cui ti saresti dovuto occupare per un po' sarebbe stata la tua, giusto?

Circa un anno fa ho scoperto di avere un tumore testicolare allo stadio iniziale, mi hanno fatto perdere circa un mese tra ecografie poco chiare e cure antibiotiche e antinfiammatorie risultate inutili. Poi sono andato allo IEO (Istituto Oncologico Europeo) e l'oncologo mi ha diagnosticato con certezza la malattia. Premetto che pochi giorni prima avevo effettuato l'esame del sangue con i marker tumorali che erano risultati completamente sballati.

Qual è stata la tua reazione?

La reazione è stata drammatica. Inizialmente ho avuto timore che la mia vita sessuale potesse essere compromessa, poi iniziando ad informarmi in internet sono incappato in storie e racconti drammatici che mi hanno fatto vedere la morte in faccia. Ho iniziato a pensare alla morte. Non dormivo più, mangiavo poco e uscivo poco. Sono sempre stato allegro e amante della vita... quindi vi lascio immaginare.

Puoi raccontarci la tua esperienza di malato di cancro all'interno della macchina della sanità?

Ho fatto diverse visite, tra ecografie e visite urologiche iniziali che mi hanno fatto perdere parecchio tempo, poi c’è stata la visita dall'oncologo, dove con una semplice palpazione – capacità sicuramente sviluppata con l’esperienza – la malattia è stata diagnosticata "con certezza". Poi hanno cominciato a parlarmi di percentuali di guarigione e delle possibili strade da intraprendere, ovvero la chirurgia o la farmacologia aggressiva.

I medici hanno parlato a Neo di percentuali di guarigione e delle possibili strade da intraprendere, ovvero la chirurgia o la farmacologia aggressiva

Alla fine però hai scelto di farti operare…

Sono stato operato a fine gennaio verso le 19 di sera. Il giorno dopo alle 8 di mattina mi hanno fatto uscire. Io non riuscivo assolutamente a muovermi in realtà, ma la dottoressa mi ha detto di non esagerare nello zoppicare e di farmi coraggio. Non mi hanno dato nessun tipo di indicazione nel post operatorio, se non il foglio di dimissione col nome dell'antibiotico da assumere.

Come è stato il comportamento dei medici durante tutto il percorso dalla diagnosi fino a dopo l'operazione?

I medici non ti danno tante risposte, o per meglio dire, preferiscono che non si facciano loro troppe domande, perché se una domanda è poi un po’ scomoda, finisce che ti rispondono stizziti e chiudono l’argomento. In generale loro ti parlano solo di statistiche e protocolli, sicuramente fanno del loro meglio ma non voglio cercare polemiche inutili. Io ringrazio l'oncologo che mi ha operato, ma non condivido per niente la mancanza di apertura verso altre cure sulle quali gli ho chiesto un parere.

Che sensazione ti porti dietro?

Per niente buona. Dopo il primo intervento è passato un mese durante il quale i valori dei marker tumorali sono tutti scesi bruscamente, ma l'oncologo, nonostante questa evidenza, voleva ri-operarmi. Secondo lui in base all'esame istologico e alle loro statistiche c’era il 27% di possibilità che avessi delle micro-metastasi. Non ha detto che c’erano, ha detto che potevano esserci al 27% e in base a questo mi ha proposto la rimozione dei linfonodi retroperitoneali. Al momento non gli ho risposto... ma in cuor mio avevo già scelto di non farmi ri-operare.

Dopodiché cosa hai fatto? Hai cercato informazioni diverse da quelle della medicina ufficiale? Cosa hai scoperto?

Ho pensato: ma è possibile che non ci sia nulla che mi possa dare una mano in questo particolare momento a mantenere il sistema immunitario forte? Una delle cose di cui sono certo per la mia formazione è infatti che proprio il sistema immunitario è la vera bilancia della vita. Rimuovendo i linfonodi dopo un ennesimo intervento chirurgico, invece, avrei finito per abbassare di molto l'azione immunitaria e esponendomi invece a nuove recidive. Allora mi sono messo a fare ricerca in ambito alimentare e ho capito che nulla è davvero quello che sembra, poi un’amica mi ha parlato di una sostanza che si chiama ascorbato di potassio e che avrebbe potuto aiutarmi, ho quindi approfondito la cosa scoprendo un vero mondo.

L'ascorbato di potassio come metodo di cura per le malattie de-generative è stato scoperto da un biochimico fiorentino, Gianfrancesco Valsè Pantellini ( nella foto)

Che cos’è l’ascorbato di potassio?

Non si tratta di miracoli né di pozioni magiche, la verità in tasca non ce l'ha nessuno. Si tratta più semplicemente di un metodo di cura per le malattie de-generative scoperto da un biochimico fiorentino, Gianfrancesco Valsè Pantellini, nella metà del secolo scorso, frutto del caso come molte altre scoperte importanti nella storia della scienza. Ha donato poi a noi questa scoperta semplice, ma potente allo stesso tempo. Si tratta di un sale derivato dalla vitamina C totalmente atossico e privo di effetti collaterali.

È facile da trovare o è una cura per pochi eletti?

È molto facile da trovare, basta richiederlo in farmacia, il nome del prodotto è NIKE RCK ed è venduto come integratore alimentare. Quando lo si compra è però meglio non fare espressamente riferimento alle patologie tumorali. La 'casta' medica, infatti, disapprova tutto ciò che è differente dai metodi tradizionali, quindi la cosa migliore è effettuare, come ho fatto io, una consulenza o di persona o telefonica con la Fondazione Pantellini il cui scopo è trovare nuove soluzioni. Tra queste c’è l’ascorbato di potassio, per aggredire le malattie degenerative, soluzioni che rispettano chi le usa, come dice il loro sito.

Cosa hai imparato da questa esperienza e perché la racconti?

Racconto la mia esperienza perché purtroppo quando capitano cose simili si rimane soli e per quanto gli altri ti stiano intorno non si riesce più a vedere il futuro, la paura ti paralizza. Io ho avuto la fortuna di incontrare due persone che considero veramente 'due angeli', persone che hanno percorso insieme a me un sentiero parallelo a quello della guarigione fisica, persone che mi hanno guidato e accompagnato nel dolore, hanno vissuto il mio dolore e me lo hanno fatto superare.

Questo è stato fondamentale, perché dobbiamo sempre contare sulle nostre risorse e cercare di capire l'aspetto più profondo di quello che ci ha colpiti. Esistono oramai molti medici, per fortuna, che utilizzano l'approccio hammeriano alle malattie, medici che si rifanno cioè agli studi del dottor Ryke Hamer prendendo cioè in considerazione i legami profondi, studiati e verificati, che correlano la nostra psiche all'insorgenza di tali malattie. Il messaggio importante che voglio dare è di capire che attualmente la medicina non segue i progressi scientifici della fisica quantistica e della bioenergetica ma continua ad ad avere una visione riduzionistica.

L'uomo è, in poche parole, considerato una "macchina da aggiustare", peccato che questo sia profondamente sbagliato. Spesso poi vengono ancora seguite teorie vecchie che si manifestano in cure che sono spesso veramente devastanti. Bisogna ricordare che la cause dette 'iatrogene' - ovvero le terapie sbagliate/devastanti - sono nei primissimi posti tra le cause di mortalità.

"Siamo schiavi illusi di poter scegliere, ma le scelte, spesso, finisce che le fanno gli altri"

Come è cambiata la tua vita?

Sono cambiato io e di conseguenza anche la mia vita. Shakespeare ne La tempesta diceva: "Siamo fatti di quella materia di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è circondata da un sonno". Quello che ho capito è che siamo addormentati e storditi da tutto ciò che ci viene proposto, siamo incapaci di pensare e di utilizzare il nostro libero arbitrio, siamo schiavi illusi di poter scegliere, ma le scelte, spesso, finisce che le fanno altri. Dobbiamo sempre ricordarci che la vita che viviamo è l'ombra di ciò che siamo dentro.

Cosa consiglieresti a chi si dovesse trovare malato di cancro dall'oggi al domani come te?

Non sentirti mai solo poiché sei un essere di Dio. Esiste un rimedio al dolore: guardarlo in faccia e passarci attraverso. La malattia possiamo considerarla materializzazione di forme pensiero, composti psichici che non siamo riusciti a risolvere sul piano psicologico. Questo non è un invito ad abbandonare le cure, ci mancherebbe, ma a comprendere che l'essere umano è ben di più di una macchina biochimica e che quindi 1+1 non fa mai 2. Esistono numerosi prodotti naturali che possono essere utilizzati in maniera complementare alle normali cure e che hanno lo scopo di proteggere il nostro corpo. Molti di questi prodotti possono anche essere utilizzati a scopo preventivo come ad esempio l’Ascorbato di potassio con e senza ribosio, Aloe arborescens, il Glutatione, Formula Caisse, giusto per citarne alcuni che probabilmente sono i più conosciuti. B.Lipton diceva: "La mente crea la materia".

C’è qualcos’altro che ti senti di aggiungere?

Solo che la vita è sempre! Noi siamo vita e siamo nati per vivere nella gioia ed è quindi con infinito amore che dono questa mia piccola goccia nel mare della vita...

Come avrete capito lo pseudonimo Neo non è stato scelto a caso. Come il protagonista di Matrix, infatti, il nostro Neo sentiva che c’era qualcosa attorno a se che non tornava, sentiva di non capire fino in fondo la vita che ogni giorno si dispiegava davanti ai suoi occhi. Poi è arrivato il cancro e questo lo ha spinto a ricercare, a informarsi e a confrontare le sue conoscenze e convinzioni mediche oltre che razionali di semplice essere umano con quello che gli veniva prospettato: perché invece che rinforzare il proprio sistema immunitario le alternative che le vie tradizionali gli presentavano erano tutte devastanti per il sistema immunitario stesso? Neo ha scelto di "vedere quanto fosse profonda la tana del bianconiglio" e oggi è di nuovo un trentanovenne sano e pieno di vita come, e forse anche più, di prima.

Fonte: ilcambiamento.it - Autore: Andrea Boretti

 
By Admin (from 27/01/2011 @ 08:00:17, in it - Scienze e Societa, read 1911 times)

60 giornate nazionali dedicate ad una malattia, che diventano oltre 300 se si considerano anche le manifestazioni locali. Si sono moltiplicate in questi anni le giornate dedicate alla ricerca o alla cura di malattie specifiche, giornate solitamente appoggiate da qualche istituto di ricerca, non sempre indipendente e spesso privato, oppure da qualche associazione di malati o di medici e sponsorizzate da una grande multinazionale del farmaco che dietro l'ovvia facciata di buone intenzioni nasconde interessi molto più concreti.

 

25 miliardi di euro, questo il valore annuo del mercato del farmaco in Italia. Una torta molto grande ma mai abbastanza. Oltre 30 anni fa l'allora direttore della Merck Henry Gadsen dichiarava: "Sogniamo di produrre farmaci per le persone sane". Ci siamo quasi. Big Pharma produce farmaci per ogni tipo di patologia vera o presunta e l'elenco delle malattie riconosciute si è allungato a dismisura. Progresso scientifico? Può essere, ma quello di cui siamo sicuri è che nuove malattie significano nuovi malati e quindi nuovi farmaci per curare queste nuove malattie.

 

Ed ecco il gazebo della "giornata della timidezza". In questo modo si da visibilità ad una nuova malattia, si permette di conoscerla e magari si raccolgono anche fondi per la ricerca in tal senso. Il rischio, dice Marco Bobbio, primario di cardiologia all'ospedale di Cuneo e autore de Il malato immaginario è di "incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine - ma non solo - tra gli organizzatori delle giornate c'è certamente chi ha uno scopo speculativo. Anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili".

Nuove malattie significano nuovi malati e quindi nuovi farmaci per curarli

Un esempio? Tra il 2004 e il 2007 sono state organizzate in Italia le "settimane nazionali per la diagnosi e la cura della stitichezza". Dice Bobbio: "Si voleva sensibilizzare medici e cittadini sulla necessità di curare questo problema in previsione dell'arrivo sul mercato di un farmaco." Questo farmaco era della Pfizer che ovviamente era promotrice della campagna di sensibilizzazione. Nel 2007 dopo la comparsa di alcuni casi di problemi cerebro-vascolari tra coloro che avevano fatto uso del farmaco, la Pfizer lo ha ritirato dal mercato. "L'anno seguente-continua Bobbio - la settimana della stitichezza è scomparsa, dimostrando che il grande interesse 'scientifico' era stato ingigantito per preparare il lancio commerciale del farmaco".

 

 Casi come questo ce ne sono di diversi, è un continuo scoprire nuove malattie, nuovi disturbi, nuovi dolori, o meglio, è un continuo trasformare situazioni e disturbi una volta considerati non gravi, in vere e proprie malattie da curare con esami e farmaci. In questo senso ci aiuta a capire meglio l'importanza economica del fenomeno una ricerca americana pubblicata da Social science&medicine.

Secondo la ricerca negli ultimi anni sono state medicalizzate le seguenti condizioni: ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno. Queste 'patologie' costano ogni anno al governo USA, dice la ricerca, 77 miliardi di dollari. In Italia, questo nuovo mercato vale invece 4 miliardi di dollari, il valore di una manovra finanziaria degli scorsi anni. Una tortina che sicuramente vale qualche gazebo, capirete bene.


25 miliardi di euro, questo il valore annuo del mercato del farmaco in Italia

Oltre a 'scoprire' nuove malattie, un altro modo consolidato per ampliare il mercato è cominciare a considerare malato chi prima non lo era. Per farlo "Basta abbassare il limite della pressione, della glicemia o del colesterolo considerati pericolosi" dice Roberto Satolli, medico e giornalista dell'agenzia Zadig. "Negli anni Sessanta si era ipertesi con una pressione pari a 160-90, negli anni Ottanta e Novanta con 140-90 e adesso con 120-80. Si sposta un po' la soglia e milioni di persone vengono inserite tra coloro che devono prendere dei farmaci".

 

Certo le scoperte scientifiche ci ricordano come l'importanza dei diversi fattori come causa scatenante di una malattia venga continuamente rivalutata, ma siamo sicuri che si tratti solo di evidenze derivate dalla ricerca? Sicuri che quei 25 miliardi di euro a cui accennavamo all'inizio non abbiamo alcuna influenza? La sensazione è che spesso i livelli considerati pericolosi vengano fissati un po' come i limiti dell'inquinamento, solo al contrario. Per l'inquinamento più questo aumenta e più si alzano le soglie ritenute accettabili, per le malattie, più la gente sta bene (negli ultimi 15 anni le prospettive medie di vita si sono allungate di ben 3 anni) più si abbassano le soglie per essere considerati malati o a rischio.

Ormai tutti noi siamo considerati malati di qualcosa, o meglio, a rischio di qualcosa. E grande influenza, in questo, la hanno i medici a cui noi affidiamo la nostra salute, la nostra cura e la prescrizione dei medicinali.

Diversamente da quanto accade oggi, sarebbe quindi importante avere medici informati (non solo da qualche depliant recapitato dalla multinazionale di turno) e, soprattutto, una ricerca sui medicinali indipendente dai privati o quanto meno partecipata e controllata dallo Stato in maniera importante. Pensiamo, ad esempio, che in America la ricerca è finanziata per il 50% dal pubblico e per il 50% dal privato, quote che da noi sono impensabili visto che meno del 5% della ricerca italiana è finanziata dallo Stato.

Fonte: ilcambiamento.it - Autore: Andrea Boretti

 
By Admin (from 23/01/2011 @ 08:00:09, in it - Scienze e Societa, read 1960 times)

L'approccio all'informazione degli italiani continua a cambiare, andando ad intaccare, anno dopo anno, il peso dei media tradizionali. Sono 25 milioni gli italiani che navigano abitualmente su Internet, e tra i giovani la percentuale di chi usa il mouse sale considerevolmente. Per questa parte di popolazione, la rete rappresenta ormai il luogo dove si vanno a cercare notizie più che in qualsiasi altro, soprattutto quando succedono avvenimenti eccezionali. Motori di ricerca, quotidiani e siti d'informazione on line sono i principali punti di riferimento, ma anche i blog hanno conquistato il loro mercato.

Il fenomeno più rilevante dell'ultimo periodo sembra però quello dei social network e degli aggregatori di notizie. È quanto emerge da una ricerca svolta da Liquida con Human Highway, che analizza in particolare il ruolo dei blog nell'informazione di attualità. Dallo studio emerge che sul totale della popolazione online (24,4 milioni) il 23,1% degli utenti, ovvero 5,6 milioni di individui, sono lettori assidui e consapevoli dei blog, in crescita rispetto al 2009 (+10%).

I blog di informazione in particolare raggiungono 4,9 milioni di persone, ma i lettori assidui di questi siti sono in calo rispetto al 2009 a 1,8 milioni (-30% in un solo anno). Secondo la ricerca, basata su un campione di 829 individui sopra i 18 anni che accede abitualmente alla rete, mezzo milione di individui non si dirigono più in prima battuta sui singoli blog sui quali l'informazione viene prodotta. Si dirigono invece dove questa informazione si riaggrega, come social network, quotidiani online e nuove testate di aggregazione di UGC (cioè di contenuti creati dagli utenti).

Dalla ricerca emerge il peso assunto dall'informazione on line. Tra gli intervistati, il 24,3% legge quotidiani cartacei, il 41,3% quotidiani on line, il 7% legge blog di attualità, il 15,3% non legge né quotidiani né blog. Rispetto alla rilevazione dello scorso anno, inoltre, diminuisce del 3% la popolazione che si informa con una certa frequenza. Interessante è capire quello che fanno gli italiani quando succede un evento eccezionale. Quasi tutti gli intervistati (91%) ricorrono a Internet, il 45% accende la televisione e il 5,8% la radio.

Tra chi va in rete, un peso rilevante ha la ricerca generica (50%), poi i quotidiani online (30%), i siti d'informazione online (25%), Facebook (8%) ed infine blog e Twitter (entrambi intorno al 2%). Nella ricerca, invece, degli argomenti di proprio interesse, cambia il peso dei vari media, ma Internet nel complesso resta in vetta con l'80,1% degli intervistati che vi fa ricorso. La tv è al 42%, i quotidiani cartacei al 13%, le riviste al 10% e la radio al 9%.

La top ten dei blog più noti vede in vetta il sito di Beppe Grillo (conosciuto dal 97% degli intervistati). Segue il blog di Gad Lerner - il blog del bastardo (55%), poi Leonardo (52%), Spinoza (43%), Voglioscendere (38%), Piovono rane (37%), Pandemia (30%), Il Post (30%) Giornalettismo (26%) e Luca De Biase (24%).

Fonte: Sky Tg24

 
By Admin (from 22/01/2011 @ 12:00:28, in it - Scienze e Societa, read 2078 times)

... CONTINUA.

“Shock and awe doctrine”
La cosiddetta “dottrina dello shock e sgomento” viene oggi applicata su scala globale. Mettendo singole persone o intere popolazioni sotto shock, si può produrre il loro consenso a un cambiamento, riforma, legge, restrizione di libertà, guerra, ecc. L’esempio delle Torri Gemelle e delle leggi repressive e guerre avvenute dopo, è lapalissiano.
Sfruttano l’effetto sorpresa e di spavento come enorme fattore di distrazione e paralisi di massa, inibitore di possibili reazioni e resistenze.
Lo shock è molto generico e può essere prodotto da catastrofi naturali (epidemie, terremoti, pandemie, ecc.), quanto da fatti economici (recessioni, crisi, crolli in borsa, fallimenti, ecc.) e politici (guerre, colpi di stato, ecc.).
Un esempio sono le domeniche a targhe alterne per meri fini di risparmio energetico. Questa imposizione dall’alto, generando nelle persone, allarme e preoccupazione di non poter usare la propria auto, di perderne l’importante risorsa, crea totale disponibilità ad accettare fortissimi e ingiustificati rincari dei carburanti, pur di conservarla!
Un altro esempio della dottrina dello “shock anche awe” potrebbe essere i black-out che hanno interessato il territorio nazionale qualche anno fa, la cui risoluzione sarebbero le centrali nucleari. Questo caso rientra anche nella cosiddetta strategia del “problema-reazione-soluzione”. Avendo in mano la Soluzione (centrali), si crea il Problema (black-out) e si attende Reazione (quasi sempre emotiva) delle masse, che accetterà di buon grado ogni soluzione prospettata pur di evitare il disagio.

Debunking
Il debunking o discredito è una forma manipolatoria, che consiste nel confutare, nello smontare, teorie e informazioni che vanno contro il pensiero ufficiale dominante. Oppure screditare i diffusori di queste teorie e informazioni.
La campagna “Mani Pulite” è stata, tra le altre cose, una grande operazione proprio di debunking, finalizzata cioè a salvare la credibilità del sistema politico-giudiziario.
Il debunker attacca la controinformazione con messaggi semplici, discorsivi, prevalentemente a livello emotivo, con “ganci” diretti all’inconscio, piuttosto che alla logica. Questi attacchi non si rivolgono al contenuto, alle idee, ma mirano a screditare la fonte e l’autore sul piano morale associandolo spesso ad affiliazioni “appestanti” coi terroristi, nazisti, fascisti, comunisti, antisemiti, antisionisti, ecc.
L’approdo estremo del debunking è quello di portare lo smascheramento degli smascheratori alle estreme conseguenze, ossia portare l’opinione pubblica alla conclusione che tutto è marcio, tutti mentono, tutti sono ladri, tutti fregano. Per tanto la verità non si potrà mai sapere, e quindi è moralmente giustificato arrangiarsi, infischiarsi di tutto e tutti. Si giunge all’egoismo più radicale e disumanizzante.

Chi trova un nemico trova un tesoro
La frustrazione genera tensione e aggressività; e l’aggressività può scaricarsi contro di sé o contro un oggetto esterno. Quando un tale tipo di frustrazione è diffusa in tutta la popolazione, il momento è propizio per fondare un movimento e/o organizzare un attacco verso il nemico.
Nel nostro mondo tormentato da insicurezza e frustrazione (create ad hoc) c’è un gran bisogno psicologico e sociale di un nemico, di colpevoli, di capri espiatori (terroristi, rom, immigrati, ecc.).

Dipendenze chimiche
Nella nostra società la diffusione dell’uso di sostanze psicotrope è enorme. Un’altissima percentuale di persone fa uso stabile e ha sviluppato qualche forma di dipendenza da droghe, alcol o psicofarmaci. Decine di milioni sono i minori letteralmente drogati con psicofarmaci.
Gli effetti di tali sostanze psicoattive convergono tutti nel diminuire la libertà di giudizio, di resistenza e di azione delle persone e ovviamente nell’aumentare la loro condizionabilità e suggestionabilità. In pratica la persona dipendente, da alcol o droghe o psicofarmaci o barbiturici è molto più controllabile e plasmabile dal Sistema, lo stesso che veicola e vende tali sostanze. Coloro che si aiutano e si abituano all’aiuto chimico, perdono la capacità di autodeterminazione. Una società così siffatta non è una società libera.
I farmaci psicoattivi o psicofarmaci vengono veicolati, con la compiacenza della psichiatria, dalle case farmaceutiche; il mercato immenso delle droghe e dell’alcol, è gestito dalla grande finanza internazionale e il flusso di narcodollari, per il 60% avviene negli Stati Uniti, collegato a quello del traffico di armi.

Cinema e televisione
Il mussoliniano “cinema l’arma più forte” [3] ha fatto il suo tempo o anche oggi l’intrattenimento cinematografico ha la sua importanza nel condizionare le masse?
I film di propaganda seppero produrre nel passato veri e propri capolavori (“Il grande dittatore”, “Il trionfo della volontà” solo per citarne un paio), ma anche oggi la forza dell’arma del cinema non è minimamente spuntata: Hollywood docet.
Il cinema ha funzione d’avanguardia per veicolare un certo tipo di messaggio, per poi sondarlo e una volta passato, trasferirlo nel piccolo schermo: la televisione!
In pratica il cinema prepara il terreno, predispone l’intero organismo al virus, che poi sarà iniettato nelle masse dai media come i giornali, radio e soprattutto dalla televisione. Senza che ce ne accorgiamo il grande schermo fa filtrare nelle pieghe delle sceneggiature e regia il modo di pensare di domani [4], e la sua enorme forza di penetrazione sta proprio nel silenzio e attenzione. Mentre la tivù deconcentra (anche questo molto utile per certi aspetti), nella buia sala regna il silenzio totale e si è da soli, con la massima attenzione.

Tratto dal libro “Neuroschiavi: manuale scientifico di autodifesa” di Marco Della Luna e Paolo Cioni, Macro edizioni

[1] “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”, Anthony De Mello
[2] Sinapsi: è la giunzione specializzata del neuroni attraverso cui un impulso nervoso passa da un terminale di azione a un neurone, una cellula muscolare o un cellula di una ghiandola.
[3] “Cinema: ancora l’arma più forte?” Ferdinando Menconi, tratto dal mensile “Ribelle”, nr. 23-24 - www.ilribelle.com
[4] Idem

Fonte: www.disinformazione.it - Tecniche di manipolazione mentale - Marcello Pamio – 11 ottobre 2010

 
By Admin (from 21/01/2011 @ 12:00:04, in it - Scienze e Societa, read 2561 times)

... CONTINUA.

Messaggi subliminali
Sono messaggi che vanno ad agire sotto la soglia della coscienza, quindi non sono percepibili.
La visione umana può percepire una immagine in un filmato solo se essa è presente almeno in 12 fotogrammi. La Coca-Cola per prima inserì delle sequenze di fotogrammi più brevi, con contenuto pubblicitario, in alcune pellicole cinematografiche. Risultato: gli spettatori esposti a tale pubblicità consumarono il 39% in più di Coca-Cola.
Nel 1978 in molti supermercati americani si diffondevano tramite gli altoparlanti, a un livello sonoro impercettibile alla parte conscia, messaggi esortanti a non rubare. Risultato: il taccheggio si ridusse del 36%.

Il presidente Gianni Agnelli in una sua lettera agli azionisti della Fiat parlava di messaggi subliminali con i quali “sonorizzare” e strani profumi con i quali “aromatizzare” i propri stabilimenti al fine di aumentare la produttività e migliorare il rapporto (sottomissione) lavoratori-azienda.
Anche la frequenza specifica ha la sua importanza. Si è scoperto che le parole di alcuni telepredicatori sono abbinate ad una frequenza di 7 Hz. La frequenza del vibrato sembra avere un effetto suggestionante e alterante sul livello di coscienza e capacità critica. Un’altra frequenza critica è quella intorno ai 3,5 Hz, cioè la frequenza di risonanza del cranio umano.
Negli anni ’70 si è scoperto che la musica può indurre la secrezione di sostanze oppioidi (encefaline, beta-endorfina, ecc.) che hanno una spiccata azione sulla psiche, euforizzate e anestetica. Quindi la musica induce decognizione.
Anche la televisione stimola la secrezione delle medesime sostanze.

Associazione e ripetizione
Una iniziativa oggettivamente poco accettabile come una guerra, una legge, una tassazione, ecc. può essere resa meno pesante etichettandogli una denominazione falsa ma semanticamente “buona”, accettabile (lotta al terrorismo, democratizzazione, liberazione, sicurezza collettiva, ristrutturazione, guerra umanitaria, missili intelligenti, ecc.) e ripetendola fino allo stremo in ogni situazione e circostanza.
La ripetizione di un messaggio, uno spot, se diventa pervasiva, se avviene molte volte al giorno, può far assorbire il contenuto, le implicazioni del messaggio stesso come se fossero un fatto provato, anche se non lo sono (“le armi di distruzione di massa di Saddam”, “le torri gemelle e Bin Laden”, ecc.).

Analogamente applicando denominazioni odiose, repulsive (antisemita, negazionista, revisionista, antisionista, terrorista, stato canaglia, ecc.) si può ottenere l’effetto contrario, al fine di colpire, delegittimare, screditare, criminalizzare le iniziative, le persone, le idee non gradite.
Il principio è sempre lo stesso: gli input - se si insiste adeguatamente - tendono a formare schemi inconsci nelle persone.
Questo spiega perché i bambini vengono educati e acculturati in questo modo. Attraverso la ripetizione ossessiva e sistematica di apposite suggestioni, attività, esperienze a un modo ben preciso e voluto di concepire la realtà, la nazione, la storia, l’identità, ecc,
Crescere ripetendo e sentendosi ripetere decine di migliaia di volte quei messaggi, certamente va a incidere a livello emotivo, cognitivo, identitario sulla costruzione stessa di quello che poi si sentirà “reale”, “provato”.
Pensiamo alla nostra società, in cui ogni canale televisivo ha un suo serial popolare, tanto per fare un esempio di indottrinamento, nel quale la polizia, la magistratura svolgono un’azione efficace, incorruttibile a tutela de cittadino, mentre la realtà vede la criminalità sempre più fuori controllo e le istituzioni sempre più inefficienti. Propaganda allo stato puro.

Restrizioni linguistiche
Consiste nell’imporre con diversi mezzi (insegnamento, televisione, ecc.) di non usare locuzioni o concetti, e di usarne altre in sostituzione, solitamente più vaghi, imprecisi. “Cieco”, “negro”, “invalido”, “spazzino“ non vanno bene, molto meglio “non vedente”, “nero”, “diversamente abile”, “operatore ecologico”. Ma perché tutto questo? L’inibizione del’uso linguistico e concettuale, alla formulazione di determinati dubbi (Resistenza, shoà, responsabili dell’11 settembre, ecc.) è idoneo per impiantare nei giovanissimi un senso di divieto, di colpa in relazione al pensare certe cose, quindi educa ad un’autolimitazione del pensiero. Infine un impoverimento espressivo comporta un impoverimento concettuale!

Modificare le certezze
Chiunque voglia manipolare una persona, per indurla a comprare qualcosa o per piegare la sua resistenza a un’azione qualsiasi di persuasione, ha la necessità di somministrare molti stimoli nuovi e interessanti, in modo tale che la corteccia prefrontale lavori e si affatichi. Dopodiché deve sommergerla di dati, dogmi, slogan, ecc. (proprio come lavora la tivù) per stremarla ancor di più, in questa maniera la corteccia prefrontale lascia le redini del cervello ai circuiti limbici, più primitivi ed emotivi, pertanto più suggestionabili e indifesi.
La corteccia prefrontale è influenzata da sostanze chimiche tossiche che possono danneggiarla, come le droghe, l’alcol, le tossine alimentari, ma anche da forti emozioni, privazione del sonno, stress cronico e una dieta ricca di grassi animali possono rendere le persone più esposte alle manipolazioni esterne.
Per assurdo, concedendo alle persone totale libertà di condurre una vita sregolata, innaturale, ci si agevola il compito di annullare la loro libertà più profondamente di quanto sarebbe possibile senza quella concessione.

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