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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
By Admin (from 11/01/2011 @ 10:00:05, in it - Scienze e Societa, read 2770 times)

Sulla strada di Prabi (località a nord dell'abitato di Arco), che era l'antico collegamento per chi da Arco dirigeva verso nord, e quindi verso Trento, si trova l'Eremo di San Paolo, magnifico esempio di arte sacra con incantevoli affreschi sia all'interno che all'esterno. E' uno dei monumenti più antichi: la consacrazione dell'altare è documentata il 9 aprile 1186, la fondazione dell'eremo è voluta direttamente dai conti d'Arco, che si riservano il diritto di nominare gli eremiti.

 

La costruzione è molto semplice, realizzata in una nicchia sotto una roccia strapiombante che funge anche da parte e in parte da volta della chiesa, costituita di un'unica aula, e della stanza attigua, un tempo riservata agli eremiti; l'edificio è completato da un piccolo terrazzino a nord e da una scala in pietra, in parte scavata direttamente nella roccia, che dalla stanza degli eremiti porta ad un vano sottostante.

 

All'interno solo l'aula della chiesa è affrescata. L'eremo ha una storia travagliata, un po' come tutte le chiese minori e fuori dell'abitato; si hanno vicende di devozione ed abbandono, specie in relazione agli eremiti che vi dimorano. A metà strada fra storia e leggenda, si narra che nel 1333 dimorasse all'eremo una certa soror Gisla, che fu interrogata nel processo contro l'eretico Dolcino. Nel 1627, quale contromisura per arginare l'epidemia di peste scoppiata in Baviera e dilagante in Europa, l'eremo viene destinato a luogo di quarantena.

 

Nel '700 si hanno periodi di abbandono seguiti da recuperi delle festività (in particolare l'obbligo di celebrare le messe in coincidenza con la ricorrenza di San Paolo), fino al 1844, quando la chiesa ed il bosco circostante vengono acquistati da Gregorio de Althamer, ricco esponente della borghesia arcense e proprietario di una splendida villa a Prabi (ora sede di un istituto scolastico): egli ne finanzia le messe e riporta lo stabile a migliori condizioni.

 

L'uso si prolunga fino al 1950, dopo di che l'eremo cade in uno stato di abbandono pressoché totale fino all'acquisto da parte del Comune di Arco, attuale proprietario, e all'intervento di radicale restauro a cura della Provincia Autonoma di Trento, che ha portato alla luce i bellissimi affreschi dedicati all'Ultima cena e alle Storie della vita di San Paolo (all'interno) e alle Figure con gli scudi (che ricordano il castello di Sabbionara), che si trovavano sotto un affresco realizzato in tempo successivo con una Madonna con Bambino, S. Cristoforo e S.Paolo, ora traslato più a nord sulla parete rispetto alla posizione originale, per consentire la visione di entrambi.

 

Anche nell'eremo di San Paolo, come ovunque nelle chiese minori, sono presenti numerose iscrizioni di vario interesse: le più antiche nell'eremo risalgono al Quattrocento, fra cui l'annotazione del 1460 del passaggio di Baldessare conte di Thun, marito di Filippa d'Arco (sorella di Francesco, il nonno di Nicolò d'Arco). Testimoninaze dell'Eremo si trovano poi negli scritti di Rainer Maria Rilke, che in una lettera a Mathilde N. Goudstikker descrive l'eremo e la vista sulla valle in fiore.

 

Informazioni: L'esterno dell'Eremo è sempre accessibile; l'interno è di norma chiuso. L'eremo viene aperto in occasione di visite guidate (solitamente in primavera ed autunno); può essere aperto su richiesta per scolaresche e comitive, ma le visite sono consentite solo accompagnate da sorveglianza. per informazioni: Ufficio Attività Culturali del Comune di Arco: 0464/583608

Fonte: comune.arco.tn.it

 
By Admin (from 10/01/2011 @ 10:00:17, in it - Scienze e Societa, read 2206 times)

Su un soleggiato crinale allo sbocco della Val Udai, circondato da verdi boschi e ampi prati inondati di fiori, lungo la strada che segue il corso del Torrente Avisio, sorge il grazioso paesino di Mazzin, coronato dalle frazioni di Fontanazzo e Campestrin.

 

Mazzin è annoverato nei libri di archeologia per gli scavi avviati alla fine degli anni ’60, che portarono alla luce importanti testimonianze della vita dei Reti, l’antico popolo vissuto in Val di Fassa nel V secolo a.C. e precursore della lingua ladina. Sul Doss dei Pigui, sulla riva sinistra del Torrente Avisio, di fronte all’abitato di Mazzin, furono ritrovati resti di un’antica fortezza (castelliere), suppellettili in bronzo, strumenti di difesa e monili, oggi custoditi con cura al Museo Ladin de Fascia a Vigo di Fassa.

 

Mazzin ha conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo turistico, ma conserva ancora oggi numerose tracce della passata cultura contadina e artigiana, come testimonia "Cèsa Battel", l’unico esempio di maniero rustico-signorile dell’intera valle, con una torre cuspidata, affreschi e decorazioni di notevole valore artistico. Questo piccolo Comune della Val di Fassa è noto anche come il paese dei "pitores", gli artigiani decoratori che emigravano stagionalmente in cerca di fortuna. Le cartoline postali, a volte dipinte a mano, inviate da paesi d’oltralpe, testimoniavano le mete da loro raggiunte, i contatti e le loro esperienze.

 

Mazzin con la sua posizione centrale rispetto alla valle e la capillare rete di skibus è una meta ambita dagli amanti della neve, che in pochi minuti, possono raggiungere le vicine aree sciistiche, e provare ogni giorno l’ebbrezza di sciare su piste diverse. Mazzin è anche la località ideale per gli appassionati dello sci di fondo che possono cimentarsi sul percorso della Marcialonga, arrivare fino a Canazei e ridiscendere verso Moena, oppure divertirsi sui facili tracciati che si snodano tra Fontanazzo e Campestrin, illuminati anche alla sera.

 

In estate Mazzin è scelto come punto di partenza per emozionanti escursioni sui tanti sentieri che dal paese, attraverso le piccole valli, conducono in quota, verso le svettanti cime dolomitiche. Sono molti gli escursionisti che rimangono stregati dall’incantevole Lago d’Antermoia, il laghetto alpino deliziosamente appartato nella zona settentrionale del Catinaccio, un luogo mitico, dalle acque cristalline, fra pietraie isolate e abitato da una bellissima ninfa.

Fonte: fassa.com

 
By Admin (from 09/01/2011 @ 10:00:00, in it - Scienze e Societa, read 3685 times)

Le montagne sullo sfondo, zuccherate di neve, e i boschi di abete e castagno, fanno pensare a un paesaggio incantato, degno di un libro di fiabe. Se si aggiunge che gli abitanti sono appena 270, il gioco è fatto: potremmo credere di essere in un paese di fate. Invece siamo a Bognanco, piccolo borgo di montagna in provincia di Verbano-Cusio-Domodossola, nel cuore del Piemonte.

Attraversato dal torrente Bagna, da cui prende il nome, il paese è noto soprattutto per le sue fonti termali, a cui è legata un’affascinante leggenda. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe stata una fanciulla del posto ad assaggiare per prima l’acqua miracolosa, abbeverandosi alla sorgente e notando una freschezza insolita, che gliela fece scambiare per acquavite. Neppure il proprietario del fondo, sentendo il racconto delle ragazza, diede peso alla cosa, ma quando il cappellano locale seppe l’accaduto capì subito che doveva trattarsi di un’acqua speciale, ricca di sali ferruginosi.

Oggi le terme di Bognanco ospitano i visitatori in un centro moderno e ben attrezzato, con un’equipe di medici professionisti, impegnati a creare programmi personalizzati a seconda delle esigenze di ciascun cliente. Le fonti di cui  Bognanco beneficia sono tre: la prima, la fonte Ausonia, dà un’acqua minerale leggermente frizzante, digestiva, ricca di bicarbonato e anidride carbonica, con proprietà farmacologiche e terapeutiche. La Fonte San Lorenzo regala un’acqua minerale bicarbonato-alcalino-terrosa, con proprietà purgative e diuretiche, gradevole al gusto, fresca e frizzante. Infine la Fonte Gaudenziana, ideale per la cura delle affezioni renali e delle vie urinarie. Una somministrazione prolungata può avere effetti preventivi sulla calcolosi renale.

Ma Bognanco non è solo terme: la cittadina e il paesaggio montano tutt’intorno rappresentano un vero e proprio museo all’aperto, dove si percorrono le tracce della storia e della tradizione. La natura è costellata di caseifici, antichi pozzi e cappelle votive nascoste tra la vegetazione.

Tutt’intorno al borgo si possono fare lunghe passeggiate tra i faggi, i castagni, gli abeti e le querce, ed è possibile raggiungere a piedi l’area sovrastante il complesso termale: qui ci si imbatte nel paesino di San Lorenzo, in posizione panoramica mozzafiato, e subito dopo si arriva a Graniga, a La Gomba, fino all’Alpe di San Bernardo a 1628 metri di quota, ottima base per partire alla volta di favolosi percorsi alpini.

In più Bognanco Terme è attraversata dalla Stockalperweg, la mulattiera creata nel 1630 per volere del barone Stockalper, con l’intento di collegare la Svizzera all’Italia e incrementare i commerci tra i due paesi. Ancora oggi il percorso escursionistico fende paesaggi spettacolari, e può essere percorso a piedi da chi ama la natura incontaminata e gli scorci emozionanti. Passeggiando si possono ammirare innumerevoli specie animali e floreali, e nell’aprile del 2008 è stato avvistato, in questa vallata, un rarissimo esemplare di capriolo bianco.

A conciliare le escursioni e la vita all’aria aperta c’è il clima mite di cui gode Bognanco, caratterizzato da temperature dolci e tante ore di sole. Le temperature medie, infatti, vanno da una minima di 5°C a una massima di 11°C in gennaio, il mese più freddo, e dai 21°C ai 27°C in luglio, il mese più caldo. Le precipitazioni, scarse in estate, si concentrano in primavera e autunno, quando piove in media per 8 giorni al mese.

Dopo tanto passeggiare può venire voglia di concedersi qualche peccato di gola. L’occasione migliore sono le manifestazioni che si svolgono a Bognanco per tutto l’arco dell’anno, sempre caratterizzate da ottime specialità culinarie. Tra gli eventi più attesi c’è la Sagra del Nostrano, che si svolge in luglio e ha l’intento di far conoscere ai visitatori tutti i prodotti tipici del luogo, in particolare i deliziosi formaggi; ad essa si aggiunge la Sagra del Mirtillo, che si tiene nel parco delle terme ed è interamente dedicata al mirtillo: frappé, crepes, polenta, torte e marmellate sono a base del piccolo frutto, e possono essere gustate sulle note della banda musicale del paese. Infine, la prima settimana di luglio, c’è la tradizionale “tortiera”, una gara tra gli operatori turistici della zona che competono per preparare la torta più originale e gustosa.

Chi si è lasciato tentare dalle delizie di Bognanco Terme, e non vede l’ora di rilassarsi in questo piccolo paradiso del benessere, non deve fare altro che pianificare il viaggio. Se ci si muove in macchina e si viene da Milano bisogna prendere l’Autostrada dei Laghi A8 in direzione Varese-Como, seguendo poi la A26 in direzione Gravellona Toce. A questo punto si imbocca la superstrada e si esce a Domodossola, seguendo le indicazioni per Bognanco.

Chi viene da Torino deve invece prendere la A4 in direzione Milano, imboccare il raccordo con l’A 26 in direzione Gravellona Toce e, ancora una volta, prendere la superstrada e uscire a Domodossola. Chi preferisce il treno può scendere alla stazione di Domodossola, sulle linee Milano-Domodossola e Novara-Domodossola, a 8 km da Bognanco. L’aeroporto più vicino è invece quello di Milano Malpensa, a circa 100 km.  

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 08/01/2011 @ 08:00:11, in it - Scienze e Societa, read 2342 times)

Tra lago e collina, di borgo in isola, tradizione, folklore e gastronomia danno il meglio di sé. In riva all'acqua, all'ombra degli ulivi o tra i filari tra Franciacorta e Sebino ovunque è un invito ad assaporare il passato. Ecco il calendario degli eventi.

 

Franciacorta uguale vigneti e vino. Questa è la stagione in cui accompagnare il vino ai tradizionali piatti robusti e semplici di quella parte di Lombardia che si distende tra le colline di Franciacorta e le sponde del lago d'Iseo, passando per la riserva naturale delle torbiere.

 

Sale Marasino è il paese delle zucche. Qui, dove da anni giungono coltivatori da tutta Italia per la sfida all’esemplare più grosso (nel 2009 ha vinto una di ben 440 chili), l’11 e 12 settembre si apre la settima edizione di Sale in zucca, festival della tradizione locale e omaggio al cucurbitaceo. Una scenografia a tema vestirà a festa il lungolago e le vie del borgo, cornice per bancarelle di artigianato e prodotti tipici, allestimenti artistici esibizioni in costumi antichi, spettacoli, mostre di attrezzi agricoli d’epoca.

 

La settimana successiva, dal 14 al 19 settembre si terrà la Festa di Santa Croce che ogni cinque anni veste di un tripudio di fiori di carta, magistralmente e pazientemente realizzati a mano dalle donne del posto, le frazioni Carzano e Novale di Montisola (la più grande isola lacustre abitata d’Europa). La festa si perpetua dal 1836 come ex-voto alla Santissima Croce per scampare al colera. Il clou è il 14 settembre, con la processione. Fino alla domenica, sono in programma concerti, spettacoli, dimostrazioni di confezionamento dei fiori, gare con imbarcazioni tipiche e fuochi d’artificio.

Funghi, castagne e formaggi

Pisogne, il 27 e 28 settembre ospita la tradizionale Festa del fungo e della castagna, giunta alla sessantesima edizione. Bancarelle per l’acquisto e stand gastronomici fanno da cornice al concorso per il fungo più grande e per il cestino di castagne più bello, oltre che a un grande braciere per caldarroste sempre acceso. I ristoranti convenzionati propongono menu a base di funghi.

 

Sempre il 27 si inaugura a Sulzano la Sagra del cinghiale: una settimana (fino al 4 ottobre) di degustazioni con menu a tema e a prezzo fisso in tutti i ristoranti del paese. Nel weekend fanno da contorno intrattenimenti, spettacoli, concerti, mercatini ed escursioni guidate tra i tesori del borgo e del suo territorio.

 

Fiamme anche sotto le caldere in occasione di Franciacorta in bianco, rassegna dedicata alla migliore produzione lattiero casearia locale e nazionale, in calendario dall’8 al 10 ottobre a Castegnato. Protagonisti sono soprattutto i prodotti della montagna bresciana con stand di assaggio e vendita, dimostrazioni di caseificazione e degustazioni guidate.

Fonte: mondointasca.org - agtiseofranciacorta.it

 
By Admin (from 07/01/2011 @ 08:00:35, in it - Scienze e Societa, read 2919 times)

Se ne sta appollaiato a 1209 metri di quota, immerso nella Selva Romanesca, a vegliare sul confine tra la Toscana e l’Emilia: è Piandelagotti, mite borgo appenninico in provincia di Modena, conosciuto sin dal Medioevo per la leggendaria “Fonte del Silvano” e oggi meta estiva e invernale di innumerevoli visitatori. Il paese è frazione di Frassinoro, in modenese “Frasnor”, comune di circa 2mila abitanti appartenente all’Unione di Comuni Montani Valli Dolo, Dragone e Secchia, con capoluogo a Montefiorino. Benché i panorami montani, qui, non siano imponenti e giganteschi come quelli delle Alpi, gli scenari dell’Appennino modenese reggono bene il confronto: ogni stagione ha in serbo un’orchestra commovente di colori, luci e profumi, dalle tinte delicate della primavera alle pennellate accese dell’autunno, fino allo splendore dell’estate e il fascino glaciale dell’inverno.

 

In effetti il clima e le stagioni abbelliscono Piandelagotti ogni volta con un abito diverso, che consente ai visitatori di apprezzare ora le passeggiate rilassanti, ora gli sport invernali sulle distese innevate delle vette più alte, ma anche qualche piccola meraviglia storico-culturale. Qui le condizioni climatiche sono sempre abbastanza piacevoli: le temperature medie di gennaio, il mese più freddo, vanno da una minima di -3°C a una massima di 1°C, mentre in luglio, il mese più caldo, si passa dai 13°C ai 22°C. Questi valori miti, uniti alla scarsità delle precipitazioni, invitano in ogni momento dell’anno ad apprezzare la vita all’aria aperta.

 

In effetti le attività che si possono praticare durante una vacanza a Piandelagotti sono molteplici: il trekking, le pedalate in mountain bike, le gite a cavallo o semplicemente le camminate lungo i sentieri spettacolari del vicino Parco del Frignano, sono i passatempi preferiti per chi conosce questi luoghi magici. E’ emozionante e salutare allo stesso tempo ripercorrere le orme degli antichi etruschi, dei romani o dei pellegrini medievali che transitavano in questi boschi dirigendosi verso Roma. Di recente ideazione è anche una splendida area destinata all’orienteering, una disciplina nordica di grande fascino sempre più diffusa nelle zone montuose e boschive d’Italia.

 

Chi ama gli sport invernali troverà il Centro Fondo Boscoreale, che in estate ospita un bel maneggio a pochi chilometri dal cuore del paese, ma con il freddo si trasforma in uno scenario innevato tutto da esplorare. In un totale di 50 km di piste si può praticare lo sci di fondo, ma c’è anche la possibilità di scivolare con le slitte trainate dai cani, o di sperimentare la bellissima pista illuminata di notte, per ammirare la neve illuminata dalle stelle. Lo sci di fondo è un’attività che si intona all’indole del luogo: si tratta di una disciplina dura ma affascinante, a basso impatto ambientale e rispettosa della fauna e della flora appenniniche, che permette di conoscere paesaggi splendidi. Un reticolo di sentieri, che si allungano dalla Toscana all’Appennino Reggiano, vi condurrà in un percorso emozionante. Il comprensorio sciistico Frassinoro-Piandelagotti, soprannominato “Il Paradiso del Fondo”, ha ospitato a partire dal 2004 i Campionati Italiani Assoluti e Cittadini di Sci di Fondo, con un programma ricchissimo di eventi e manifestazioni collaterali.

Ma non si deve fare l’errore di sottovalutare il piccolo borgo di Piandelagotti, considerando soltanto la parte legata allo sci e alle escursioni: la cittadina ha un’anima vitale e appassionata, che si esprime attraverso tanti eventi culturali e popolari, feste e tradizioni che sfidano i secoli. Nei mesi di giugno e settembre il paese mostra la sua vena artistica trasformandosi in laboratorio musicale d’eccezione: in questi periodi, infatti, un autorevole Corso Internazionale di Violino fornisce a numerosi giovani violinisti di tutto il mondo di raffinare la loro tecnica, e di esibirsi sotto la guida di maestri professionisti.

 

Non mancano poi gli appuntamenti avventurosi, come la Ciaspolata notturna di San Valentino, con partenza la sera del 13 febbraio, oppure le occasioni tradizionali come la celebre Via Crucis Vivente, che si tiene da molti anni nel periodo pasquale. Ogni festività è addolcita e insaporita dalle specialità culinarie della zona, che accostano ricette emiliane e toscane dando vita a un connubio irresistibile.

 

Per raggiungere Piandelgotti ci sono diverse possibilità. Chi viaggia in auto e viene da Bologna può prendere l’Autostrada del Sole A1/A22 e uscire a Modena Nord, inserendosi sulla tangenziale verso Sassuolo e seguendo le indicazioni per Passo delle Radici sulla SS 486. Chi viene da Milano deve percorrere l’Autostrada del Sole A1 e uscire a Reggio Emilia, procedere in direzione Scandiano/Sassuolo e seguire le indicazioni per Passo delle Radici. Chi preferisce il treno può scendere alla stazione di Sassuolo, mentre gli aeroporti più vicini sono quelli di Bologna, Firenze e Pisa, rispettivamente a 106 km, 118 km e 119 km.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 06/01/2011 @ 08:00:37, in it - Scienze e Societa, read 4116 times)

Appena ad est della penisola istriana, il mare Adriatico presenta un trittico di isole da sogno, mete ideale per vacanze alla ricerca dele giusto equilibrio tra spiaggia e paesaggi incantati: Cres, Krk e Rab sono tra le mete preferite dei numerosi turisti europei, di cui i tedeschi ed italiani sono tra i più numerosi, che qui trovano accoglienza e mare strepitosi, perfetti per un sereno perido di vacanza. In particolare l'isola di Rab ha alcune tra le più belle spiagge di sabbia della Croazia, che in genere offre quasi sempre abbondanza di lidi ghiaiosi.

 

L'isola di Rab possiede un clima Mediterraneo molto piacevole, con inverni miti e estati calde ma gradevoli. Per questo tipo di clima Rab deve ringraziare la Kamenjak, una catena montuosa che la protegge dal freddo vento del nord in inverno e primavera. In autunno normalmente spira tiepido ed umido e vento da sud che accompagna la stagione della pioggia.

 

Rab ha e circa 91 giorni totalmente soleggiati all'anno ed è uno dei più soleggiata parti d'Europa. Durante l'estate però il clima prevede solamente 9 giorni nuvolosi in totale. Difficile chiedere di meglio! La quantità di pioggia è di circa 1042 millimetri all'anno, un quantitativo discreto, che giustifica la vegetazione abbondante dell’isola. La temperatura del mare è relativamente elevata e sicuramente la cosa ha favorito lo sviluppo del turismo perché qui è possibile godere di acque invitanti da maggio a metà ottobre quando nonscende mai al di sotto dei 20 °C, con punte di 26°C in Agosto.

 

Da fare e da vedere all’isola di Rab?

Le due spiagge più popolari di Rab sono la spiaggia chiamata Paradise (Rajska Plaza) e quella denominata Sahara, ambedue si trovano non lontane dal villaggio di Lopar.

 

Lopar è il luogo più isolato sull'isola di Rab, cinto da 22 spiagge di sabbia. Il mare è poco profondo, e la fitta foresta concede preziosa ombra particolarmente adatta per coloro che vengono qui in vacanza con i bambini piccoli. Molto conosciuta è Rajska Plaza, che si snoda per una lunghezza complessiva di 1,5 km.

 

Sahara Plaza non si trova lontana da Rajska Plaza. E' a forma di laguna e si tratta di una cosiddetta "spiaggia libera", nel senso letterario del termine con l’abbigliamento che diventa un opzional, ed è meta di molti naturisti.

 

Rab è il centro principale dell’isola. Quando si entra nella città vecchia di Rab vi colpirà la pietra bianca della piazza di San Cristoforo illuminata dal sole. La piazza è abbellita da una fontana in piazza abbellita con due sculture di Kalifront e la pastorella Draga, figure che provengono da una leggenda di castità e amore infelice. Passeggiare per Rab è molto piacevole e rilassante, con begli edifici alcuni ancora con aspetto rinascimentale e qualche tratto gotico.

 

La fertile valle di Draga è un'altra meta di escursioni, ci sono villaggi da vedere e scoprire come Supetarska Draga, Mundanije, Gornja e Donja (Alta e Bassa. Le popolazioni della valle di Draga hanno combinato modi di vivere moderni e tradizionali, e questo è facilmente avvertito nel settore turistico. Da segnalare la basilica romanica di San Pietro che è stata costruita nel XI secolo. La sua bellezza attira i fedeli e amanti dell’arte.

 

Draga è interessante anche per le persone che provengono con le barche, e che non vogliono limitarsi ad ormeggiare al largo della costa, e che quindi possono soggiornare brevemente da uno dei vicini isolotti dotati di acque limpide ed ideali alle immersioni come quelli di Srednjak, Maman, e Sailovac.

La baia di Draga è anche ben protetta dai venti, con mare poco profondo e calmo, e qui molte specie di uccelli nidificano per svernare. Un tempo qui vi erano delle saline.

La zona di Barbat è nota per le numerose piccole spiagge di sabbia che si estendono a sud-est della città. L'isolotto di Dolin si estende parallelo alla costa di Barbat, il che rende il canale di Barbat un luogo attraente per lo yachting e di sci nautico. Qui si possono trovare abitazioni ed appartamenti lungo la costa, con una ben sviluppata ristorazione che offre i prodotti nazionali croati, e gustosi menù a base di pesce.

 

Un'altra porzione interessante è quella nord-occidentale dove si trova il villaggio di Kampor e la penisola di Kalifront, quest’ultima immersa in un verde ambiente, specie nella bella foresta di Dundo che fornisce una interessante scenografia per le lunghe passeggiate. Bellissimi tramonti si godono dalla Punta di Kalifront.

 

Il modo migliore per arrivare a Rab e' sicuramente l'automobile. Se partite da Trieste, seguite le indicazioni per Fiume (Rijeka), si devono passare la frontiera slovena, e dopo pochi chilometri si passa anche quella croata, da dove si seguono le indicazioni per Rijeka. Da Fiume si procede in direzione sud in direzione di Zara e Spalato (Zadar-Split) seguendo la bella litoranea, oltrepassando in successione le località di Crikvenica, Novi Vinodolski, Senj e Starigrad. Superato quest’ultimo villaggio, dopo circa 10 km. da Starigrad, si svolta verso destra per la piccola città portuale di Jablanac. Dal porto di Jablanac fa la spola un traghetto con servizio auto che in circa 20 minuti conduce all’isola di Rab attraverso il Canale di Velibit. Una volta sbarcati si possono seguire le indicazioni stradali (strada n°29) che conducono ai vari villaggi dell’isola da Rab fino a Lopar posta all’estremità settentrionale dell’isola.

Fonte: ilturista.info

 

Posta a meno di 150 km dalle coste Italiane, Lussino (in croato: Lošinj) è un gioiello turistico, forse meno conosciuto di Cherso e Veglia, ma non per questo meno interessante. Mare limpido, rocce a strapiombo e spiagge appartate caratterizzano questa isola dalla forma stretta ad allungata, posta nel Golfo di Quarnaro in posizione più esterna di Krk e Cres (Veglia e Cherso), le due isole maggiori dell'arcipelago, e separata dal mare aperto dalla presenza di isole più piccole come quelle di Susak, Srakane (Isole Canidole) e Unie.

 

Ci sono varie possibilità di raggiungere Lussino: l'isola è raggiungibile in traghetto, con corse da Zara e da Pola, mentre un percorso più breve con il traghetto, è quello che collega Veglia (Krk) con Cherso, visto che poi alcuni ponti consentono di approdare su Lussiono e Lussinpiccolo. I pulmann da Fiume utilizzano questo percorso, ed anche molti turisti della mittel Europa e dall'italia, quando portano la propria auto al seguito, seguono questa direttrice.

L'isola di Losinj possiede anche un aeroporto, sito sulla sull parte più occidentale dell'isola, ma la lunghezza della pista, inferiore al chilometro, consente il volo di piccoli aerei da turismo.

 

Dal punto di vista Storico Lussino porta testimonianze antiche di insediamenti, risalenti ad oltre 4.000 anni fa. Le tracce interessano la zona dell'attuale Osor, che fu anche l'antica Ossero dell'impero romano. Lo sviluppo più intenso si ebbe però nel medievo, con l'impulso della dominazione Veneziana, e il porto di Veli Losinj (Lussinpiccolo) divenne uno dei più importanti dell'Adriatico settentrionale. Venezia portò il suo eleganto modo di costruire e organizzare le città, ed ha lisciato un impronta urbanistica inconfondibile. Se i secoli correvano con l'economia basata sui commerci e la pesca, è solo dalla fine dell'800 che il mondo si è accorto dell'importanza turistica, ma soprattutto di quella climatica dell'isola di Lussino. Risale infatti l 1885 l'esordio ufficiale dell'isola nel circuito delle stazioni climatiche adriatiche, con numerosi ospiti dal centro Europa in cerca di un clima piacevole durante l'inverno. Dal primo albergo sorto nel 1887 ora l'isola è ben dotata di strutture turistiche, soprtutto a, ed intorno, a Mali Losinj e in minor misura a Lussinpiccolo, e il wellnes, la ricerca del beneserre, sono tra i punti di forza dell'offerta alberghiera.

 

Da vedere e scoprire nell'isola di Losinj (Lussino)

La magnifica città di Mali Losinj vi accoglie al termine della sua lunga e stretta baia, che rimane riparata dai movimenti del mare dalla penisola di Cikat, trasformandosi in un grande specchio per l'elegante cornice di case che l'avvolge.

Punto centrale è il lungomare di Riva Losinjskih kapetana, do oltre ai bar e ristoranti si trovano spesso, in estate, numerose bancarelle per artigianto e souvenir vari. La via Brace Vidulica è quella che conduce al cuore storico cittadino, fatto di vicoletti, a tratti tortuosi, con scalinate, che convergono alla cima della collinetta coronata dalla chiesa, con l'immancabile campanile in stile veneziano. Da segnare il museo Kula che celebra la storia marittima di Lussino

Ad ovest di Mali Losijj, alla base della omonima penisola sui apre la baia di Cikat, dalle acque limpide e tonalità turchese-verde che digradano ad un blu più intenso al centro. Si tratta di un litorale di ghiaia con tratti cementati per favorire gli appassionati della tintarella, mentre non manca una verde cornice di pini a rendere più pittoresco il paesaggio.

 

A pochi chilometri a sud-est di Lussinpiccolo troviamo Lussingrande, ma rispetto al nome, paradossalmente, si tratta di una borgata più ridotta, simile in eleganza all'altra cittadina, ed anche di più. Domina la parte storica la chiesa di Sant'Antonio, dalla bianca facciata che ospita all'interno un interessante dipinto rinascimentale, una Madonna con Santi. Nel centro domina la kastela, un torre con merli di origine veneziana, dovrebbe avere un età di circa 400 anni.

Sulla parte nord-occidentale di Losinj dominano le montagne e le calette appartate con mari straordinariamente limpidi, raggiungibili in barca o a piedi per ripidi sentieri. Qui non è raro vedere i grifoni. i grandi rapaci che nidificano su Cherso e che battono le zone del monte Osoršćica alto 588 m, ma con un imponente crinale che si estende per una lunghezza di circa una decina di km.

 

Più civilizzata è invece la costa nord-orientale quella che va da Osor fino a Mali Losinj, e che include altri due importanti centri, Nerezine e Sveti Jakov.

Ossero (Osor) si sviluppa atorno al braccio di mare che separa Cherso da Lussino. e proprio per la sua posizione era diventato un importante centro portuale al tempo dei romani. Le acque riparte della sua baia, spesso piatte ed a specchio, e dalle tinte a pastello, il centro raccolto con le sue viuzze lastricate, la bella chiesa centrale (Cattedrale dell'Assunzione), dalla caratteristica facciata bilobata, la rendono una meta attraente per i turisti che possono godere dei suoi angoli nascosti senza un eccessivo affollamento di turisti. Da segnalare anche un antico Palazzo Vescovile, mentre a nord della città (in terriotrio dell'isola di Cherso) segnaliamo la bella spiaggia di Bijar, con alle spalle le suggestive rovine tardo medievali di un convento Francescano.

 

Tra le escursioni consigliate segnaliamo senz'altro la visita all'isola di Susak, conosciuta anche con il nome italiano di Sansego. Diversamente dalle classiche rocce calcaree, qui la litologia annovera anche sabbie ed argille. Le peculiarità storiche della città sono evidenti anche dai costumi locali che si differenziano da quelli di Lussino. Il monumento più importante è la chiesa di San Nicola, che ospita nel suo interno un importante crocifisso ligneo (Veli Buoh). L'escursione a Susak può essere anche l'occasione di vedere qualcuno dei numerosi delfini che abitano le acque intorno all'isola di Lussino.

 

Il periodo migliore per visitare Lussino è la lunga estate adriatica, che in pratica si estende da fine maggio a settembre. Il numero elevato di ore sole/anno (oltre 2800 ore) la rende una meta perfetta per chi ama rilassarsi sulla spiaggia. La presenza delle montagne consente di trovare la giusta caletta per ogni tempo meteorologico, scegliendo di preferenza quelle più riparate dall'azione del vento. In inverno non fa mai freddo, con temperature che non scendono in genere mai sotto i 5 °C nei valori minimi, anche se la bora può far scendere i valori della temperatura percepita di parecchi gradi, specie sulle coste orientali. A Lussino non piove tantissimo, ma per l'estate il rifornimento idrico è consentito dalla riserva d'acqua dolce del lago di Vrana, situato nella parte meridionale dell'isola di Cherso.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 04/01/2011 @ 12:00:11, in it - Scienze e Societa, read 2660 times)

Gravedona è un incantevole comune lombardo di poco meno di 3.000 abitanti situato sulla sponda nord-occidentale del lago di Como, distante 52 chilometri dal capoluogo comasco. Dal punto di vista geografico, il paesino sorge all’interno della pianura alluvionale del torrente Liro, esattamente di fronte rispetto al lago alla penisola di Piona ed al Monte Legnone, l’ultima grande altura lariana prima dell’inizio della Valtellina. Dall’1 settembre 2009 Gravedona è divenuta capoluogo della Comunità Montana Valli del Lario e del Cereso, nata dall’accorpamento di due piccole entità preesistenti: la Comunità Montana dell’Alto Lario Occidentale e la Comunità Montana delle Alpi Lepontine. L’offerta turistica del comune è ricca e variegata, potendo contare sulle numerose testimonianze di carattere storico e artistico, oltre che su un paesaggio contraddistinto da scenari paradisiaci nel quale convivono il fascino delle montagne ed i divertimenti del litorale del lago.

 

Abitata fin dalla preistoria, la zona di Gravedona fu segnata profondamente dall’occupazione romana, con la quale cominciò a radicarsi sul territorio il cristianesimo. Attorno al 550 d.C. tutta la provincia di Como cadde sotto l’influenza dei Franchi, dei quali sono visibili tutt’oggi alcuni splendidi monasteri. Con la progressiva disgregazione dell’impero Carolingio, buona parte dei territori circostanti al lago di Como finirono per essere contesi tra le città di Como e Milano, che diedero vita alla decennale guerra che si combatté tra il 1118 e il 1127 concludendosi con la celebre pace di Costanza. Dopo la successiva reggenza dei Visconti, Gravedona venne amministrata prima dagli svizzeri e poi dagli spagnoli, fino a quando la guerra di Indipendenza, alla quale parteciparono anche numerosi gravedonesi, ne sancì il definitivo ingresso nel Regno d’Italia. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale qui si rifugiarono numerosi partigiani, ed il 25 aprile 1945, proprio in queste zone, venne fermata la carovana nazista che scortava il Duce e i suoi ufficiali.

 

Cullato da un meraviglioso golfo verdeggiante e protetto a nord da un’impenetrabile distesa di montagne, il centro di Gravedona è un libro aperto sul passato della provincia, con le piazzette e gli stretti vicoli acciottolati che si diramano tra chiese e monumenti di grande valore architettonico. Il cuore della città antica è la piccolissima Piazza di Prà Castello, anche se tutta la zona conosciuta come il “Castello” è ricca di edifici storici.

 

Tra le attrattive principali del comune spicca lo splendido Palazzo Gallio, l’architettura civile più rinomata della zona, edificato nel 1582 e da alcuni anni riconosciuto come monumento nazionale. A disegnare il progetto, commissionato dal Cardinale Tolomeo Gallio, fu Pellegrino De’Pellegrini, che optò per una struttura imponente e chiaramente distinguibile anche da molto lontano in quanto posta su un promontorio roccioso tra i monti e le acque del lago. Rimanendo nelle immediate vicinanze di Gravedona ricordiamo le splendide chiese costruite prevalentemente tra l’XI ed il XV secolo; tra le più suggestive vi sono: S. Maria del Tiglio, maestosa testimonianza del medioevo comasco; la parrocchiale di San Vincenzo, innalzata secondo i classici canoni romanici nel 1072; S. Maria delle Grazie, che comprende la chiesa ed il convento agostiniano completato nel 1467; e SS. Guemeo e Matteo, una fabbrica romanica immersa in un fitto parco di platani.

 

Gravedona offre anche svariate possibilità in termini di svago e sport, sia estivi che invernali. Da maggio a settembre a monopolizzare l’attenzione dei turisti è il lido comunale, presso il quale si trovano anche due piscine; in alternativa c’è il campo sportivo, dove si possono praticare indifferentemente tennis, calcio e atletica. Molto inflazionati sono gli sport acquatici, wind-surf, vela e sci nautico su tutti, tenendo conto che per i principianti vi sono i corsi organizzati da scuole altamente specializzate. Le alture circostanti sono invece il terreno di conquista di escursionisti e appassionati di mountain-bike, con la quale inerpicarsi lungo irti sentieri tra i boschi. Particolarmente suggestivo, anche se adatto ad escursionisti esperti, è il sentiero del lago Darengo, mentre gli appassionati di bici da strada hanno solo l’imbarazzo della scelta tra le tante salite impegnative della zona.

Ad allietare ulteriormente il soggiorno vi sono i numerosi eventi organizzati ogni anno dal comune o dalla comunità montana. Tra i più importanti ricordiamo: la festa patronale di San Vincenzo, in calendario il 22 gennaio; la Fiera di Sant’Antonio, sempre in gennaio; la Fiera di San Marco, ad aprile, quando si tiene anche la Mostra delle Camelie; la Fiera di Santa Maria Maddalena, in programma a luglio; e la Festa del lago, che ogni anno la notte del 14 agosto accende il cielo sopra Gravedona con una miriade di fuochi artificiali.

 

Il periodo più affollato dell’anno è quello estivo, quando molti turisti si recano a Gravedona anche per cercare un po’ di refrigerio dalla calura delle metropoli del nord Italia. In questa stagione, infatti, il lago e le montagne riescono a tenere la temperatura della zona di qualche grado più bassa rispetto al resto della Lombardia, con precipitazioni temporalesche che, pur essendo piuttosto rare, possono però rovinare qualche pomeriggio di relax in spiaggia. D’inverno il lago riesce a mitigare soprattutto le minime, che non scendono mai di troppi gradi al di sotto dello zero.

Per quanto riguarda i trasporti, Gravedona dista pochissimi chilometri dal corso della SS 340, la statale che costeggia tutto il margine occidentale del lago fino a Como, da cui è separata da circa un’ora e un quarto d’automobile. A pochi chilometri di distanza dal centro si trova invece il confine svizzero, con Lugano e Bellinzona raggiungibili in poche decine di minuti.

Fonte: ilturista.info

 
By Admin (from 03/01/2011 @ 12:00:50, in it - Scienze e Societa, read 3263 times)

La ferrovia dell'Albula/Bernina, patrimonio mondiale dell'Unesco, non è soltanto un importante collegamento tra Svizzera e Italia. Il celebre trenino rosso offre pure un viaggio nella storia e tra le bellezze naturali dei Grigioni.

 

I passeggeri in partenza da Tirano lo possono constatare sin dai primi minuti: quello del Bernina non è un treno come gli altri.

Appena uscito dalla stazione del comune valtellinese, il treno lascia la linea ferrata per immettersi nel traffico stradale e attraversare - tra pedoni, biciclette e donne con la borsa della spesa - la piazza del Santuario della Madonna. Più che di convoglio ferroviario, narra la voce registrata che accompagna i viaggiatori, ci troviamo a bordo di un «tram» che collega i villaggi della valle.

«A volte capitano incidenti con i veicoli. Nulla di grave, a parte i ritardi sulla tabella di marcia», ci dice Marco Costa dalla cabina di comando.


Storia e paesaggio

Da Tirano (429 m.s.l.m.) il trenino rosso sale lungo la val Poschiavo, accarezza laghi e ghiacciai, supera due massicci montuosi (Bernina e Albula), fa tappa in numerose località turistiche prima di giungere a Thusis. Il convoglio prosegue poi verso Coira, capoluogo dei Grigioni e città più antica della Svizzera.

Con i suoi 196 ponti e viadotti, 55 gallerie e 128 km di tracciato, la ferrovia retica è descritta come un miracolo della tecnica. Un'opera che a oltre un secolo dalla sua costruzione continua ad affascinare ingegneri e turisti.

Concepita da noti specialisti dell'epoca, la linea sposa - con efficacia e senso estetico - la tecnologia della ferrovia di alta quota e la valorizzazione del patrimonio alpino. La vista che si gode dalla carrozza panoramica è mozzafiato e il percorso impregnato di storia.

«Quella è una vecchia postazione utilizzata per sorvegliare le valanghe», spiega Marco Costa, indicando una costruzione conica in pietra a lato dei binari, con due fessure rivolte verso la montagna. «Non credo ne rimangano molte in Svizzera».

«I ponti e i viadotti hanno mantenuto la struttura originale. Fino a qualche mese fa c'erano addirittura ancora i vecchi pali in legno dell'alta tensione».

 

Vivere un sogno

La scelta del tracciato, in particolare quello della linea del Bernina, è stata dettata dalla volontà di far conoscere le attrazioni turistiche della regione, riducendo il più possibile l'impatto ambientale sul territorio. Ancora oggi, la maggior parte delle 700'000 persone che ogni anno utilizzano la ferrovia nei due sensi sono turisti.

«Mi è sembrato di vivere un sogno», ci racconta Joree, in vacanza in Svizzera e Italia da Bangkok. «Le montagne, le vette innevate, i ghiacciai... è un'esperienza straordinaria, sicuramente da ripetere».

Per collegare Tirano a Thusis, la ferrovia retica attraversa zone climatiche, paesaggi, spazi culturali e linguistici molto diversi. L'ospizio del Bernina rappresenta ad esempio la barriera linguistica tra l'italiano (a sud) e il tedesco e il romancio dell'Engadina. Anche per questi motivi, l'iscrizione nella lista dell'Unesco (luglio 2008) comprende non soltanto la linea ferroviaria, ma pure il paesaggio circostante.

Il viadotto della Landwasser (Albula) e il viadotto elicoidale di Brusio (Bernina), che in poche decine di metri consente di superare un brusco dislivello, sono poi costruzioni famose in tutto il mondo.


Pendenza massima

Completata nel 1903 (linea dell'Albula) e nel 1910 (Bernina), la ferrovia retica è «un'opera unica al mondo», si legge sul suo sito internet. Si tratta in effetti della «trasversale alpina più alta di tutta Europa e di una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide al mondo».

Lungo i binari a scartamento ridotto, il trenino rosso s'inerpica senza cremagliera fino ai 2'253 metri del passo del Bernina. «La pendenza raggiunge il 7 per cento: è il massimo che si può affrontare con la semplice trazione», spiega Marco Costa.

«Altra particolarità - aggiunge, mentre il trenino s'infila nell'oscurità di uno stretto tunnel - è l'alimentazione: questo è uno dei pochi treni a viaggiare a corrente continua».


Ogni giorno una scoperta

Se la locomotiva non ne vuol più sapere di continuare il viaggio - «le panne non sono rare», confida Marco Costa - i colleghi alle officine di Poschiavo sono pronti a intervenire.

«Da quando la ferrovia è patrimonio mondiale i tempi di lavoro si sono accorciati. In estate ci sono molti turisti ed è essenziale risolvere i problemi con rapidità», afferma Davide Menghini, responsabile della manutenzione delle locomotive.

«Per noi l'Unesco è una sorta di garanzia: non credo che qualcuno oserà toccare le officine, diventate nel frattempo un polo di competenza nella manutenzione del treno del Bernina».

Con o senza Unesco, il lavoro di Marco Costa - macchinista da 20 anni - è rimasto uguale. Una professione monotona? «Per nulla. In pochi minuti si passa dalla primavera dei prati in fiore all'inverno dei passi innevati. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo. E il paesaggio al tramonto... è incredibile».

Luigi Jorio, Poschiavo, swissinfo.ch

 
By Admin (from 02/01/2011 @ 10:00:09, in it - Scienze e Societa, read 2871 times)

Vette maestose, pareti di roccia mozzafiato, un'immensa lingua di ghiaccio che lambisce le cime: il sito Unesco Jungfrau-Aletsch racchiude in un'area di oltre 800 km2 uno dei più spettacolari paesaggi delle Alpi svizzere.

 

A ovest, la regione è costeggiata dalla linea ferroviaria del Lötschberg, a est dalla strada del Grimsel. Il suo margine meridionale coincide per alcuni tratti con il crinale nord del Vallese, in altri si spinge fin verso il fondovalle. Quello settentrionale è delimitato dalla formidabile muraglia delle Alpi bernesi.

Innumerevoli strade, piste, funivie, skilift e trenini di montagna – il più noto è quello della Jungfrau – permettono di giungere ai confini dell'area protetta e talvolta di varcarli. Una fitta rete di sentieri ne percorre la fascia esterna. Il suo nucleo rimane però pressoché inaccessibile, se non per le aquile e per gli alpinisti.

Il sito comprende montagne celebri, come la triade Jungfrau-Eiger-Mönch, il Bietschhorn, il Wetterhorn, lo Schreckhorn e il Finsteraarhorn (con i suoi 4274 metri, la vettta più alta dell'area). Nove cime superano i 4000 metri di altitudine, altre cinquanta i 3500. Una superficie di circa 350 km2 è coperta dai ghiacciai.

Il paesaggio selvaggio e inospitale ha affascinato generazioni di artisti e viaggiatori, alla ricerca di spazi di natura incontaminata in un'Europa sempre più industrializzata. La civiltà però non si ferma ai confini della regione Unesco. Alcune aree della fascia esterna del sito sono segnate dal lavoro dei contadini, dalla transumanza secolare delle greggi e delle mandrie, dalla vita quotidiana delle popolazioni di montagna.

 

Non solo montagne

«Per noi è sempre stato importante integrare nell'area della Jungfrau-Aletsch il paesaggio culturale che la circonda, che emana un fascino del tutto particolare», osserva Beat Ruppen, direttore del centro di management del sito Unesco a Naters (Vallese), mostrando fotografie dei ripidi tratturi percorsi dalle pecore dirette ai pascoli dell'Aletsch e delle suonen vallesane, canali per l'irrigazione dai tracciati vertiginosi.

Nuovi paesaggi modellati dal lavoro dell'uomo si sono aggiunti al sito con l'ampliamento approvato dall'Unesco nel 2007. I confini dell'area protetta sono stati spostati a est verso il passo del Grimsel e Meiringen, a ovest verso il lago di Öschinen (Kandersteg) e verso la parte bassa della Lötschental.

Nel lungo percorso che ha condotto alla candidatura Unesco, la definizione dei confini e l'integrazione nell'area protetta di paesaggi di interesse economico ha però dato adito a molte discussioni, per il timore delle regioni di montagna di essere sottoposte a troppi vincoli ambientali.

Processo partecipativo

La proposta di fare della regione dell'Aletsch un sito iscritto nella lista del patrimonio mondiale naturale dell'Unesco risale agli anni Settanta del secolo scorso. Allora l'idea si era però scontrata con un diffuso scetticismo da parte della popolazione locale e il progetto si era arenato.

Negli anni Ottanta, oltre il 90% del territorio che oggi fa parte del patrimonio mondiale è stato inserito nell'inventario federale dei paesaggi di importanza nazionale. La decisione ha facilitato la nuova candidatura Unesco, lanciata nel 1996, disinnescando almeno parzialmente i timori di norme di protezione troppo gravose. I vincoli imposti dall'Unesco infatti non vanno oltre quelli stabiliti dalla Confederazione.

La candidatura è stata accompagnata da lunghe trattative per definire il perimetro del sito. «Abbiamo adottato un modello partecipativo, coinvolgendo nelle discussioni la popolazione locale. È stato un processo lungo, che ha però permesso di far capire a chi vive nella regione l'importanza del marchio Unesco», ricorda Beat Ruppen.

Resta il fatto che dal perimetro sono state in larga misura escluse le zone di qualche interesse economico. Ruppen invita a comprendere le ragioni di chi vive nelle Alpi: «Senza prospettive di sviluppo economico, queste regioni rischiano di svuotarsi. E questo non può essere l'obiettivo di un sito dell'Unesco».


Vivere con l'Unesco

La regione della Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn è stata inserita nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco nel 2001. Dopo l'ampliamento nel 2007, il sito ha ricevuto il nuovo nome Alpi Svizzere Jungfrau-Aletsch. Nel frattempo anche la popolazione locale ha scoperto i pregi del sito Unesco.

«La gente è orgogliosa di vivere in una regione che è considerata un patrimonio dell'umanità. L'identità locale ne è rafforzata», osserva Ruppen. Il logo o il nome Unesco si trova ovunque, nella regione. Anche chi in passato era scettico utilizza oggi la parola Unesco per pubblicizzare le sue attività.

La sfida è quella di garantire un equilibrio sostenibile tra protezione dell'ambiente e sviluppo economico. Con il surriscaldamento climatico, la pressione del turismo sulle regioni di alta montagna tende a crescere. I comuni sul cui territorio si trova il sito Unesco si sono impegnati a favorire uno sviluppo sostenibile, firmando nel 2001 la carta della Concordia. Per far sì che ghiacci, monti e genti possano vivere ancora per secoli insieme.

Autore: Andrea Tognina, Naters, swissinfo.ch

 
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