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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Ebbene sì, dal 7 settembre il porno sbarca su Internet con la sua targhetta personalizzata. Il registro di domini internet Icm ha ufficialmente aperto le iscrizioni per richiedere di aggiornare gli indirizzi dei siti per adulti con il suffisso .xxx e mettersi finalmente l'animo in pace. Secondo i promotori dell'iniziativa, non si tratta solo di un modo per informare i visitatori sul contenuto di un sito prima di accedervi, ma anche di una grande opportunità per regolare il commercio di materiale pornografico. Nel mondo, infatti, Il business del sesso online - spesso illegale - ammonta a circa 97 miliardi di dollari annui.

L'idea dell' Icm, quindi, è quella di fare un po' di ordine tra i siti che offrono materiale per adulti. Le procedure di registrazione dei nuovi domini con la tripla X saranno regolate da un programma della durata di quattro mesi chiamato “Sunrise”. La prima fase, che va dal 7 settembre al 28 ottobre, dà la possibilità ai marchi del porno-business già esistenti di presentare una richiesta per aggiornare il dominio a .xxx per un intero anno. Il costo di questo passaggio, mediato da provider come GoDaddy.com, ammonterà a 209 dollari. Ma la procedura non sarà semplicissima né istantanea.

Infatti, oltre ai fornitori di materiale pornografico ( Sunrise A) potrebbero esistere anche altri soggetti privati ( Sunrise B) interessati a proteggere il proprio nome o marchio ed evitare che venga associato a un dominio a tripla X. In questo ultimo caso, con un investimento di 199 dollari all'anno, i richiedenti possono bloccare uno specifico dominio .xxx e far sì che non venga usato da alcun porno-impresario. Tuttavia, nessuno potrà essere certo di avere in tasca il controllo assoluto dell'indirizzo internet fino a quando l' Icm non avrà esaminato tutti i contenziosi in corso da parte del filone A.

Dopo una breve pausa di riposo, il programma Sunrise entrerà nella seconda fase (8-25 novembre), in cui tutti coloro che hanno un business già avviata, ma non ancora un dominio registrato, potranno aprire un sito ex novo e avviare gli affari anche online direttamente con il suffisso di riconoscimento .xxx. Costo: 199 dollari per il primo anno di attività.

A partire dal 6 dicembre, invece, avrà luogo la terza e ultima fase del programma, che spalancherà le porte a chiunque voglia aprire in Rete il proprio angolo a luci rosse: basterà pagare 99 dollari al mese, ed ecco bello e pronto un nuovo indirizzo .xxx da mettere online. Il tutto, fa notare la Bbc News, con anche maggiore sicurezza (informatica) per i visitatori, visto che, tramite l’azienda McAfee, l’Icm intende eseguire scansioni giornaliere per scongiurare la presenza di eventuali malware.

Ma chi approfitterà della nuova sigla? Tanto per farsi un'idea di come stanno le cose, basti pensare che l'89% di tutte le pagine porno al mondo sono create negli Usa. La Cina, comunque, genera da sola un business senza pari di 27 miliardi di dollari all'anno. Chissà se, a giochi fatti, qualcuno riuscirà ancora a inventarsi dei nomi di dominio che non siano già stati presi dai giganti della pornografia.

Fonte: wired.it

 

Non avete un software dedicato per montare i vostri video oppure lo trovate troppo complicato da usare? Niente paura, da adesso il sito di video più frequentato su Internet mette a vostra disposizione un vero e proprio kit di montaggio.

Ci sono lo stabilizzatore, per correggere i girati più mossi, la possibilità di ruotare il quadro, di tagliare le clip (solo in cima o in coda per ora), così come quella di aggiustare luminosità, contrasto, colori e una gamma di effetti che va dal bianco e nero, al lomo passando per il seppia. Ai più pigri infine non dispiacerà l’opzione googliana Mi sento fortunato, per apportare modifiche automatiche con un singolo click.

Cliccando il bottone Edit Video sulla pagina i miei video chiunque potrà dar sfogo al suo talento di regista provetto. Rivedere i filmini delle vacanze sarà uno spasso anche per amici e parenti.

Fonte: wired.it

 

Ai fan di  Guerre Stellari di certo suonerà molto familiare. Ma un pianeta con due soli non poteva che lasciare a bocca aperta gli scienziati. Nella mitica saga di George Lucas, il pianeta in questione si chiamava Tatooine, quello avvistato dai ricercatori si chiama Kepler-16b e rappresenta la prima prova di un pianeta circumbinario, ovvero di un pianeta che orbita intorno a due stelle. I risultati dell’avvistamento sono stati annunciati sulla rivista  Science da un team del Seti Institute (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), il Centro per lo studio della vita nell’universo. A coordinare la squadra è stato l’americano Laurance Doyle, che per l’avvistamento si è servito del telescopio spaziale  Kepler, il cacciatore di pianeti della  Nasa.

“ Questa scoperta è sorprendente - ha sottolineato Alan Boss del Carnegie Institution di Washington, che ha fatto parte del team -  ancora una volta quello che sembrava fantascienza è diventato realtà”.  “Si tratta del primo esempio che conferma senza ambiguità l’esistenza di un pianeta che orbita intorno a due stelle”, ha osservato un altro degli scopritori, Josh Carter del  Centro per l’Astrofisica Harvard-Smithsonian. Finora, di pianeti orbitanti intorno a due stelle, si sospettava solo l’esistenza ma mai era stato avvistato un pianeta del genere.

Il team ha utilizzato i dati fotometrici forniti da telescopio Kepler, che controlla la luminosità di 155mila stelle. Sulla base di un sistema in grado di rilevare l’intensità dell’eclissi delle due stelle, gli studiosi hanno notato che alle due eclissi, una primaria (quando la stella più grande viene parzialmente coperta dalla stella più piccola) e una secondaria (in cui la stella più piccola è completamente oscurata da quella più grande), facevano seguito anche un’eclissi terziaria e una quaternaria, causate da un oggetto non identificato in orbita intorno alle due stelle. Le interazioni gravitazionali reciproche tra le due stelle e il terzo corpo hanno poi dimostrato che il terzo oggetto era in realtà un pianeta.

Si calcola che la versione reale di Tatoiine dista solo 200 anni luce dalla Terra e che sia grande quanto Saturno, anche se più denso. Il pianeta - un gigante gassoso e non un mondo desertico come in Star Wars - impiega 229 giorni per orbitare intorno alle sue due stelle, dotate di una massa pari rispettivamente al 20 e al 69% del nostro Sole. Molto probabilmente il pianeta ha preso origine dallo stesso disco di polveri e gas dal quale sono nate i due astri. “Ancora una volta - ha aggiunto Carter - scopriamo che il nostro sistema solare è solo un esempio della varietà di sistemi planetari che la natura può creare”.

Fonte: wired.it

 
By Admin (from 27/11/2011 @ 19:00:45, in it - Video Alerta, read 1658 times)

Annie Leonard ci racconta come l'acqua sia diventata l'oro blu, come le aziende hanno " lavato il cervello" ai cittadini sul diritto all'acqua pubblica, creando un prodotto che le arricchisce e priva noi di un diritto fondamentale che ci spetta, e che invece molti credono di dover comprare.


Come ci sono riuscite?

Guardate un pò...

 

Il Mondo ha un problema. La Società ha in realtà, un unico grosso problema, e se lo è creato con le proprie mani! E’ un problema puramente economico, riguarda infatti l’emissione del Denaro.

Tale emissione è decisa, controllata e gestita da Entità Private e non da Governi democraticamente eletti. Dopo centinaia di anni di contraffazioni e illegalità e machiavellismi, queste Entità Private sono ora giunte a controllare intere Nazioni, non più sovrane ma schiave di un meccanismo economico/finanziario conosciuto come «signoraggio» (con l’aggiunta della forse ancor più grave «riserva frazionaria»).

Molto spesso, troppo spesso, gli uomini politici di ogni Nazione chiamati a tutelare e difendere il Popolo che li ha democraticamente eletti, sono corrotti e collaborano con questi malvagi «creatori di moneta». Le leggi stesse in materia vengono create a vantaggio dei Banchieri Internazionali. Altre leggi che potrebbero aiutare il Popolo a riscattarsi da questa schiavitù, sono cambiate, alterate o semplicemente ignorate.

http://ts4.mm.bing.net/images/thumbnail.aspx?q=1338667248987&id=936ed2052297d066ce0e5d77634ba767

Il sistema bancario attuale è basato su una truffa ignobile e disumana. Questa truffa è il «signoraggio» e la «riserva frazionaria» delle Banche Centrali. I sistemi di informazione sono alterati e/o controllati dal Potere Economico dei Banchieri Internazionali Privati e nessun giornale o televisione o radio parlerà mai del «signoraggio» e/o della «riserva frazionaria».

Ci sono stati Presidenti di Stato e uomini di grandezza mondiale che sono caduti sotto i colpi della mano spietata e potente delle Entità Sovranazionali. Lincoln e Kennedy, ad esempio. Morti per aver creato denaro, a nome e in nome del Popolo, e non in servitù di Banche Centrale «agghindate di denominazioni nazionali».

Diffondere informazioni su questo argomento-tabù e contribuire a smascherare questi strangolatori delle libertà individuali e collettive è un dovere di TUTTI noi, di OGNUNO di noi. Cerca in Internet parole chiavi come «signoraggio», «riserva frazionaria», «debito pubblico». Leggi informazioni alternative e contestatrici al Sistema. Supporta la causa diffondendo questo volantino e facendo TAM-TAM delle vere-informazioni che arrivi a cogliere tramite la Rete, informazioni depurate dall’ideologia politica, asservita al Potere dei Banchieri Internazionali.

Fonte: www.signoraggio.com

 

Si chiama Savalia lucifica ed è stata rinvenuta nelle acque di Capo San Vito, parte ovest della Sicilia, durante una campagna di ricerca effettuata con la nave oceanografica Astrea dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Il corallo è stato trovato a una profondità di 270 metri da un sofisticato robot sottomarino e si distingue da specie simili, come la Savalia savaglia - il cosiddetto falso corallo nero - non solo per il substrato che parassita (la gorgonia di profondità Callogorgia verticillata), ma anche perché si illumina quando viene stimolata dal contatto fisico. La rarissima specie fa parte del gruppo degli zoantidei e non era mai stata segnalata prima nel Mar Mediterraneo.

La scoperta è avvenuta nel corso di una campagna di ricerca mirata allo studio delle popolazioni profonde di corallo rosso nell’arcipelago delle Egadi, finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. A questa campagna hanno partecipato i ricercatori dell’università Politecnica delle Marche, l’Università di Pisa, gli atenei di Napoli “Parthenope” e Bologna e i ricercatori dell’Ispra, che hanno condiviso questo ritrovamento.

Fonte: galileonet.it

 

La nave cartaginese con il suo possente rostro puntava dritta su di loro. I rematori della nave romana tiravano al massimo, per evitare lo scontro, ma il fianco della loro nave era già esposto. Sul ponte i legionari avevano lo sguardo fisso. Ora i Cartaginesi non erano più ombre indistinte, ma uomini dalla pelle scura con elmi di cuoio. Un tonfo, un “crack” prolungato, una violenta cascata salata e i Romani affondarono.
Senza sapere che, morti loro, la battaglia sarebbe stata vinta. Senza immaginare che, senza quella vittoria su Cartagine, la storia sarebbe stata diversa.
La loro infatti era solo una delle navi romane affondate nella battaglia delle Egadi, al largo di Trapani, scontro navale che chiuse la Prima guerra punica segnando una svolta: da piccola potenza regionale, Roma sarebbe diventata una potenza globale, con mille anni di presenza militare, commerciale e culturale.
Questa battaglia navale, la più grande a memoria d’uomo per numero di partecipanti, circa 200 mila, avvenne la mattina del 10 marzo del 241 a. C.

 

Salto nel tempo. Oggi, a distanza di oltre duemila anni, se ne sono trovate le tracce.
Lo scorso 24 agosto, in una ricerca coordinata dalla Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, due sub, Gian Michele Iaria e Stefano Ruia, su indicazioni di un Rov hanno recuperato alcuni elmi di quei legionari romani (le ossa non si sono conservate perché affioravano sul fondale). «Ne abbiamo visti spuntare due, poi, in un’area di soli 200 m2, a 75 metri di profondità, c’erano altri 10 elmi» spiega Ruia. «Si capiva che erano romani per la caratteristica punta a “pigna”.
Non molto distante abbiamo rinvenuto un rostro romano, probabilmente della nave su cui erano imbarcati i soldati che portavano quegli elmi». Una delle prove che si tratta del luogo esatto in cui si svolse la battaglia delle Egadi, a nord-ovest dell’isola di Levanzo, come aveva ipotizzato l’archeologo Sebastiano Tusa. «La nostra ricerca ha avuto origine alcuni anni fa, quando un subacqueo recentemente scomparso, Vincenzo Paladino, mi raccontò del ritrovamento di circa 300 ceppi di ancore allineati lungo un fondale della costa orientale dell’isola di Levanzo» spiega Tusa, sovrintendente del Mae della Sicilia. «Consultammo gli scritti dello storico greco Polibio, che, a distanza di circa 70 anni, aveva ricostruito la battaglia nelle sue Storie: aveva raccontato come i Romani, guidati dal console Gaio Lutazio Catulo, attaccarono di sorpresa i Cartaginesi. Avevano teso un agguato nascondendosi dietro un promontorio di Levanzo e per la fretta di andare all’attacco avevano tagliato le cime delle ancore: proprio quelle ritrovate da Paladino».

Collegamento riuscito. Le fonti storiche riferiscono che la flotta cartaginese era composta da 700 navi, adibite soprattutto al rifornimento e all’incremento delle truppe di terra di stanza sul monte Erice, in Sicilia, comandate da Amilcare Barca. «La Prima guerra punica» continua Tusa «come la Prima guerra mondiale, si stava trascinando da anni con scontri terrestri di posizione, sulle colline fra Trapani e Palermo, dove si avanzava solo di pochi chilometri. I Cartaginesi avevano allora armato una grande flotta, al comando dell’ammiraglio Annone, per portare altri rinforzi e farla finita». I Romani, però, dopo la sconfitta di Tunisi e sfortunati naufragi come quello di Camarina (255 a. C.), grazie a una sottoscrizione di cittadini, avevano armato 200 veloci quinqueremi.

Il comandante cartaginese Annone fece scalo per alcuni giorni a Marettimo (l’antica Hiera), nelle Egadi: all’alba del 10 marzo del 241, visto che il vento era favorevole (vento da ponente) salpò per puntare sulla costa della Sicilia. Ma i Romani, bene informati, fecero arrivare dai porti di Marsala (l’antica Lilibeo) e di Favignana 350 navi.

Tecniche belliche. I Romani si posizionarono dietro la punta di Capogrosso, estremità settentrionale di Levanzo, in agguato. I Cartaginesi li videro quando già la flotta, in inferiorità numerica, ma meglio armata, puntava loro contro, creando grande scompiglio. L’attacco fu micidiale: alcune navi romane ruppero, con i rostri, le fiancate delle imbarcazioni cartaginesi affondandole. Altre si affiancarono alle navi nemiche rompendo tutti i remi di un lato, rendendole ingovernabili, per poi assaltarle con il “corvo”, una passerella arpionante su cui salivano i fanti. Catapulte lanciavano, come molotov, anfore incendiarie... Contributo Usa. Le ricerche subacquee, coordinate oltre che da Tusa da Stefano Zangara, dell’Ufficio progettazione delle ricerche in alto fondale della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, sono iniziate nel 2006 con il determinante contributo della Rpm Nautical Foundation, una fondazione statunitense che ha messo a disposizione la nave Hercules, dotata delle più moderne strumentazioni per la ricerca subacquea. Finora hanno portato al ritrovamento di 6 rostri di navi affondate (dopo un primo prelevato illegalmente e sequestrato a un dentista di Trapani). Due sono cartaginesi, e uno reca la scritta in punico: “Possa Baal (principale divinità cartaginese, ndr) fare penetrare questo oggetto nella nave nemica”. Quattro rostri sono invece romani: portano iscrizioni latine che ne certificano la qualità. Infatti, all’epoca, c’era chi imbrogliava fornendo, per risparmiare, leghe di bronzo con quantità eccessiva di piombo. Il bronzo risultava così meno duro, diminuendo l’efficacia del rostro. Si tratta comunque di una scoperta sensazionale: finora al mondo erano stati ritrovati solo altri 4 rostri di quell’epoca. I Romani, inoltre, erano combattenti motivati: i rematori, con buona pace dei film di Hollywood, non erano schiavi, ma di solito uomini liberi addestrati. Fra i combattenti cartaginesi figuravano invece molti mercenari. E furono sconfitti nel giro di un paio d’ore.

Graziati dal vento. Il convoglio cartaginese era composto soprattutto da navi da trasporto (onerarie) per rifornire le truppe di terra in Sicilia, mentre le navi romane erano tutte da guerra. «Il resto della flotta dei Cartaginesi spiegò di nuovo le vele e si ritirò col favore del vento che, per fortuna, inaspettatamente era cambiato proprio nel momento del bisogno» racconta Polibio. Più di 2 mila anni dopo i ricercatori hanno trovato sul fondale 200 anfore. Sono di fattura greco-italica, in uso fra i Cartaginesi: forse le aveva gettate una delle navi in fuga per alleggerire il suo peso.
Fallita la spedizione cartaginese, il comandante Barca, privo di rifornimenti, consegnò ai Romani i domini cartaginesi in Sicilia. L’ammiraglio cartaginese perdente, Annone, tornò in patria rimettendoci letteralmente la testa per la sconfitta. L’ammiraglio Lutazio, tornato a Roma, ricevette tutti gli onori. E costruì, a memoria dei posteri, un tempio i cui resti sono visibili tuttora a Roma in largo Argentina, di fronte al Teatro Valle.

Fonte: focus.it

 

Primitivi, ma con gusto: gli uomini di Cro Magnon che hanno abitato l'Europa nell'alto paleolitico, indossavano gioielli, si pettinavano "alla moda" e seguivano un preciso codice di abbigliamento. Con loro nasce l'arte come risposta a istanze di ordine estetico, magico e religioso, espressione di una eccezionale e di cui le pitture rupestri di Lascaux sono un esempio spettacolare.

Incisioni rupestri all'interno della Cueva de las Manos nella valle del fiume Pinturas, in Argentina. Grotta naturale all'interno del ghiacciaio Langjokull in Islanda. 

Tra storia e leggenda. Č il 1940 quando quattro ragazzi si imbattono in un misterioso tunnel sulle colline vicino alla città di Montignac, Francia. Pensando di aver trovato il passaggio segreto che, secondo le leggende locali, conduce all’antico feudo di Lascaux, armati di picche e vanghe aprono una breccia tra le rocce ed entrano nel tunnel; ma invece di trovare una leggenda, questo viaggio li catapulta molto più lontano, agli albori della nostra specie.

Pericolo funghi. Da allora le grotte di Lascaux hanno attirato centinaia di migliaia di visitatori, provocando la contaminazione di ambienti fino a quel momento sigillati e protetti. L’umidità e i funghi aggrediscono i colori e causano un rapido deterioramento delle immagini: per questo motivo il sito venne chiuso al pubblico nel 1963. Ora è possibile visitare unicamente una copia della grotta, “Lascaux II”, perfettamente ricostruita poco lontano da quella originale, che tutt’oggi accoglie più di 280 mila visitatori all’anno.

Nel 2001 un nuovo sistema di condizionamento dell’aria causò apparentemente la veloce diffusione di un fungo filamentoso (Fusarium fusani). Un comitato internazionale sta studiano il metodo migliore per salvare i dipinti.

Fonte: focus.it

 

Un tuffo nel vuoto, il paracadute sulle spalle, davanti a sé un paesaggio da mozzare il fiato. Se i voli estremi dei base jumpers si consumano in pochi secondi, a catturarne gli attimi più suggestivi ci pensa questo video diffuso da una piattaforma video australiana dedicata ai filmati di argomento sportivo.

Sullo sfondo di spettacolari salti nel vuoto vi sono le cime di Norvegia, Svizzera e Francia, dove i temerari del volo hanno affrontato cadute libere di 1800 metri e oltre. Basta vederli lanciarsi in slow motion, per avere l'impressone che, in volo, l'adrenalina lasci spazio ad attimi di grande pace e silenzio.

Ma non tutti i lanci vanno a lieto fine. Guarda anche il video della disavventura di Christopher Brewer, un base jumper americano a cui non si è aperto il paracadute. Un sabato Brewer si è lanciato da un'altezza di 270 metri, da un ponte sospeso su un fiume della West Virginia. Il suo paracadute non si è aperto e il 27enne è precipitato in acqua a una velocità di 120 km all'ora. Fortunatamente la tuta alare che indossava ha frenato la caduta e il ragazzo è sopravvissuto. (Immagini sconsigliate a un pubblico sensibile).

Fonte: focus.it

 
By Admin (from 03/01/2012 @ 08:02:44, in it - Video Alerta, read 1671 times)

Nelle calde giornate d'estate, viaggiando in macchina, si ha spesso la sensazione di vedere sull'asfalto, in lontananza, una pozza d'acqua. La visione è un miraggio, che scompare man mano che ci si avvicina ad esso. Il fenomeno è ben conosciuto, ma ora alcuni ricercatori dell'Università del Texas a Dallas hanno dimostrato che può essere fruttato per nascondere degli oggetti, grazie all’aiuto di un sottile strato di nanotubi di carbonio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nanotechnology.

L'illusione del terreno bagnato in lontananza dipende dal fatto che l'aria vicina all'asfalto è molto più calda di quella che si trova più in alto: per questo motivo i raggi di luce sono deviati verso l'occhio dell'osservatore, invece di essere normalmente riflessi (con un angolo uguale a quello di incidenza, secondo le leggi dell'ottica). Il risultato è che lo spettatore vede riflessa a terra l'immagine del cielo, e interpreta questa visione come acqua, poiché per il cervello è la spiegazione più semplice e più comune.

Attraverso uno strato di carbonio arrotolato in piccoli tubi cilindrici, i ricercatori statunitensi sono riusciti a ricreare l'effetto miraggio (nel video). I nanotubi di carbonio, infatti, hanno proprietà che li rendono perfetti per questo tipo di applicazione: hanno una bassa densità – come quella dell'aria – che rende possibile crearne sottili strati trasparenti, sono resistenti come l'acciaio, ma soprattutto sono degli ottimi conduttori di calore.

Grazie alla loro capacità di rispondere a stimoli elettrici raggiungendo in fretta alte temperature, questi possono dunque essere usati per costruire dispositivi che riescano a riprodurre lo stesso gradiente di calore che si crea sull'asfalto incandescente: in questo modo, i raggi di luce possono essere deviati dall'oggetto che si vuole nascondere, rendendolo invisibile. In più, l'effetto può facilmente essere attivato e disattivato, con la semplice modulazione dell'energia elettrica fornita all'apparecchio.

“Usando questi nanotubi, l'occultamento può essere effettuato su tutto lo spettro ottico: funziona ad ogni frequenza, per ogni colore” ha spiegato Ali Aliev, ricercatore all'Alan G. MacDiarmid NanoTech Institute, docente presso l'Università del Texas e coordinatore della ricerca.

Il metodo è perfetto per essere usato anche in acqua, visto che il dispositivo è tanto piccolo da poter essere contenuto in una capsula Petri, le piccole piastre che vengono usate dai biologi per le colture cellulari. Ma il dispositivo di occultamento potrebbe avere anche ulteriori applicazioni, non solo nell'ottica. “La particolare capacità di risposta ad impulsi elettromagnetici suggerisce che i risultati della ricerca possano essere utili anche per l'ottimizzazione dell'uso dei nanotubi come proiettori termoacustici, per altoparlanti e per sonar. In questi apparecchi, infatti, i suoni sono prodotti proprio con il calore, usando corrente elettrica alternata”, ha concluso Aliev.

Riferimento: Nanotechnology - via galileonet.it

 
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14/01/2018 @ 16:07:36
By Napasechnik
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By Anonimo


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