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La guerra per conquistare il cervello.
By Admin (from 14/02/2011 @ 10:00:45, in it - Scienze e Societa, read 2930 times)

È una guerra psicologica, chimica, elettronica. La posta in gioco? Il cervello. Ma perché così tanto rumore? Semplicemente perché due scuole si affrontano. Da un lato quella della psicoanalisi, dall’altro quella delle neuroscienze.

 

La guerra comincia all’inizio del secolo con la nascita della psicoanalisi sotto l’egida di Freud. Una cinquantina d’anni più tardi, quando a Parigi apre i battenti il primo congresso mondiale di psichiatria (tra i temi affrontati, la lobotomia e l’elettroshock), e mentre i sovietici si muovono in pieno “dogma pavloviano”, vengono messi a punto i primi neurolettici. Ben presto fanno la loro comparsa anche gli antidepressivi, i sali di litio e gli ansiolitici. Alcuni di questi farmaci vengono accusati di non essere altro che dei potenti sedativi che agiscono come delle camicie di forza chimiche.

 

Ma come osserva Michel Marie-Cardine: “La spettacolare diffusione dell’uso degli psicotropi ha riguardato inizialmente le psicosi. I neurolettici hanno portato all’abbandono progressivo dell’insulinoterapia e, più rapidamente, a quello della lobotomia. E soprattutto hanno permesso a numerosi pazienti di uscire dopo molti anni dagli ospedali”.

 

Ma quali sono le conseguenze per la psicoanalisi? Negli Stati Uniti, a partire dai primi anni Settanta, il suo successo comincia rapidamente a declinare. Oggi si calcola che farebbero ricorso a essa solo il 2 per cento delle persone affette da disturbi mentali. In Francia, nello stesso periodo, la situazione è molto diversa. Tra l’antipsichiatria di Laing e Cooper e le posizioni di Jacques Lacan, la psicoanalisi appare come una vera e propria moda intellettuale. Da allora le cose sono cambiate: le dispute interne hanno incrinato la credibilità della disciplina, e la crisi economica ha fatto il resto. Il consumo di Prozac è aumentato a mano a mano che si sono svuotati gli studi degli psicoanalisti. Nel frattempo le tecniche della biologia hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti.

Molti anni dopo la messa a punto del microscopio elettronico (1955), seguito dall’uso dei microelettrodi, si assiste alla nascita degli strumenti per la visualizzazione del cervello, come gli scanner a risonanza magnetica nucleare. Oltre all’“esplorazione” del cervello, queste tecniche permetteranno anche di individuare meglio il percorso seguito dalle sostanze psicotrope attraverso il cervello, consentendo così di scoprire nuovi neurotrasmettitori e recettori specifici finora sconosciuti. Come procede oggi la coesistenza tra psicoanalisi e neuroscienze? Dice lo psicoanalista Daniel Widlöcher: “Freud era un materialista convinto. Anch’io lo sono e credo che ogni pensiero sia il prodotto del cervello. Ma ciò non significa che la conoscenza del cervello ci faccia capire la natura del pensiero. Bisogna lavorare su entrambi. Si deve determinare a quale livello la spiegazione neurofisiologica, quella cerebrale, può aiutare a capire i fenomeni studiati dalla psicoanalisi”.

 

Il neurobiologo Marc Jeannerod cita i lavori di Utta e Christopher Frith che, con un apparecchio a emissione di positroni, sono riusciti a registrare le immagini del cervello di un soggetto schizofrenico in fase di allucinazione verbale. Ma a cosa servono queste immagini? “Il nostro ruolo consiste anzitutto nell’osservare e nel cercare di capire perché gli schizofrenici presentano un deficit di segnali endogeni, cioè un deficit nel sistema cognitivo. Questo ci porta a una considerazione diversa della malattia e, a volte, a una modifica del trattamento psicoterapeutico”. Ma la comunicazione tra psicoanalisi e neuroscienze rimane ancora difficile.

Autore: Bernard Géniès, Le Nouvel Observateur

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