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" IO, LORO E LARA " LA RECENSIONE
By Admin (from 07/08/2010 @ 13:05:52, in it - Video Alerta, read 2991 times)

Reduce da una lunga missione umanitaria in Africa, il sacerdote Carlo (Carlo Verdone) torna a Roma pieno di dubbi ed incertezze. Tuttavia dovrà affrontare una situazione familiare del tutto particolare: il padre (Sergio Fiorentini) si è appena sposato con la sua badante moldava Olga e i fratelli Beatrice (Anna Bonaiuto) e Luigi (Marco Giallini) sono convinti che la donna sia interessata soltanto agli averi del marito.
Nella tragicomica vicenda si inserisce anche Lara (Laura Chiatti), la trasgressiva figlia di Olga.

Nel vasto panorama della commedia italiana, il regista e attore Carlo Verdone si conferma figura fondamentale nel mettere in scena storie e situazioni che necessitano di una certa riflessione ancor prima della naturale ilarità arrecata dai canoni e dagli obiettivi dichiarati del genere. Con un certo stile di posa che caratterizza l’intera filmografia di Verdone, ne nasce una vicenda intimamente familiare e paradossalmente tragicomica, dove si discute di varie tematiche sfaccettate e molto attuali.

Carlo è un personaggio in conflitto con se stesso, dotato di una certa integrità ma pervaso da dubbi e paure inerenti il ruolo che ricopre, il sacerdote missionario. Il suo ritorno dall’Africa appare traumatico, poiché ove egli s’aspettava calore e serenità trova soltanto complicazioni e novità sconcertanti, dovute al matrimonio del padre con la badante Olga.

Qui si pone subito un primo tema caldo della società odierna, cioè l’inserimento di donne straniere immigrate in Italia e desiderose di sistemarsi in famiglie benestanti che possano garantir loro un certo tenore di vita a scapito del reale sentimento provato per il consorte. Ne deriva nel film una guerra testamentaria che coinvolge inevitabilmente la prole del pensionato, formata da personaggi indubbiamente pittoreschi, sui quali indugia non poco la cinepresa diretta da Verdone: Beatrice, interpretata da una bravissima Anna Bonaiuto, è una psicologa frustrata dai metodi sbrigativi e con una figlia adolescente complessata; Luigi è un agente di borsa dalla vita sregolata e con il vizietto della cocaina.

L’unico in grado di riportare una qualche forma di ordine sociale sembra essere Carlo, che però è solo in questo arduo tentativo. Verdone circonda il suo protagonista di persone che non richiedono il suo consiglio né risultano capaci di ascoltare le sue problematiche, dimostrando esse un egoismo innato che suscita quasi compassione. In più il backround della città romana è sempre stato nei film dell’attore piuttosto ostile, con comparse alquanto incisive che mostrano le consuetudini e l’arroganza di una società non più in grado di intervenire con sensibilità e senso del dovere, palesando a rinforzo di tale tesi un accento dialettale, “burino”, aggressivo quanto patetico.

Nel prologo introduttivo, il sacerdote Carlo parla indirettamente allo spettatore eleggendolo ad unico elemento, sebbene extra filmico, capace di comprenderlo. Egli è un uomo in crisi, su cui grava una missione che ritiene più grande di lui e con una fede messa in discussione.
Ciò nonostante, Verdone non vuole addentrarsi in questioni eccessivamente escatologiche e a tale proposito non parla di religione né di cariche ecclesiastiche. La figura sacerdotale messa in scena può apparire un po’ blanda, tuttavia in essa sono presenti tutti i valori e i pensieri propri di un ruolo così profondamente peculiare.

Come in ogni lavoro del regista che si rispetti, entra inevitabilmente una sorta di alter ego del protagonista: come successe in “Sono pazzo di Iris Blond”, compare la misteriosa e trasgressiva femme fatale, Lara, impersonata da un’ottima Laura Chiatti, bellissima e perfettamente in parte. Una presenza femminile libertina e così distante da Carlo sconvolge letteralmente il modo di porsi dell’uomo, che inizia a riflettere sulla sua carica religiosa e sulla sua adeguatezza, il sentimento amoroso pare cominciare a prendere il sopravvento.

Il buonismo sincero dimostrato con coscienza dai caratteri di Verdone può confondersi con l’ingenuità di un candido, poiché per il regista romano risulta essenziale raccontare con guanto di velluto, racconto che sia dolcezza ma anche determinazione drammatica ancor prima che comica, da ricercare e trovare nei suoi codici di messa in scena. Tra gag divertenti ma alquanto sobrie e sequenze burlesche, la storia approda ad un giusto finale, sebbene il processo risolutivo si possa soltanto intuire. ( Fonte: cinemalia.it)

Autore della recensione: Samuele Pasquino