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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Buongiorno a tutti, siamo a Palermo, all’Hotel delle Palme, ieri sera abbiamo presentato il film in Dvd curato da Marco Canestrari che è qua dirimpetto a me dietro alla telecamera e Salvatore Borsellino, su Paolo Borsellino e si intitola “Via d’Amelio una strage di Stato”.

Via D'Amelio, strage di Stato.

Oggi è il 18° anniversario della strage di Via d’Amelio e non possiamo che parlare di questo argomento, argomento che trovate sui giornali di stamattina con dei titoli sulla delusione o sul fallimento delle manifestazioni di ieri per la vigilia dell’anniversario, in realtà non c’è stato nessun fallimento, c’è stato un corteo silenzioso al Castello Utveggio, il Castello da cui, secondo molti esperti, partì prima l’osservazione del momento in cui Borsellino si avvicinava alla pulsantiera dei citofoni di casa di sua madre e in quel momento partì poi l’input elettronico per la detonazione dell’intera piazza.


La nuova lettera di Vito Ciancimino.

Dice: il regime sta tentando il suo capolavoro finale l’operazione gattopardesca, cambiare tutto perché non cambi nulla, infatti Ciancimino è servito per catturare Riina e per poter esibire il trofeo della testa di Riina e intanto dietro quella testa si nasconde il fatto che lo Stato si è affidato nelle mani di Provenzano, non ha perquisito il covo di Riina, non ha voluto trovare le prove della trattativa.

La trattativa c'è stata .

Se questa lettera sarà dimostrata autentica e avrà la datazione che si pensa che abbia, è un documento dell’epoca, di pochi mesi dopo quei fatti in cui Vito Ciancimino tenta di dire al Presidente del Consiglio che sta arrivando, finalmente un tecnico, quindi magari un po’ fuori dai giochi di potere dei governi politici e alla Commissione antimafia di Violante che non lo vorrà sentire mai, che lui sa e chi meglio di lui lo può sapere quando il Gen. Mori ha iniziato la trattativa.


Credo che questo sia il quadro che noi oggi possiamo fare, aspettiamo che i magistrati diano i nomi e i cognomi al trait d’union di quella trattativa e scoprano tutto quello che c’è da scoprire, ma il quadro di insieme di queste stragi l’abbiamo capito e credo che possa essere ben sintetizzato dal film che ieri sera è stato presentato dal movimento delle Agende rosse a Palermo e cioè “Via d’Amelio una strage di Stato” buona settimana, passate parola!

Fonte: BeppeGrillo.it

 
By Admin (from 23/07/2010 @ 16:00:28, in it - Video Alerta, read 1941 times)

La regista Nancy Meyers è nel panorama cinematografico da quasi trent’anni. Inizia come sceneggiatrice e il suo primo lavoro è la co-sceneggiatura del film “Soldato Giulia agli ordini” (1980). La sua prima regia avviene parecchi anni dopo con il remake di un classico della Disney “Genitori in trappola” (1998). In questo lasso di tempo la regista ha raccolto intorno a sé molto interesse per le sue sceneggiature, diventando anche produttrice oltre che regista.

Piace per le sue commedie romantiche e che trattano con autenticità i sentimenti dei personaggi che delinea, portando alla luce i comportamenti, le reazioni, il modo in cui ci si sente quando non si è più dei ventenni, dei trentenni o dei quarantenni. In questa commedia pone l’occhio della macchina da presa su una ex coppia sui cinquanta.

Jane e Jake sono divorziati da 10 anni. I tre figli, oramai grandi, prendono tutti strade diverse, lasciando un certo vuoto nella grande casa in cui vivevano con la madre. Jane è proprietaria di una pasticceria che le dà molta soddisfazione e il rapporto con Jake è diventato amichevole. L’uomo si è risposato con “l’altra donna” più giovane di lui, che ora vuole un figlio. Jane decide di ingrandire la cucina facendola diventare come ha sempre voluto, Adam è l’architetto che si occuperà del da farsi e che si innamora di lei. Quando Jane e Jake si ritrovano a New York per il diploma del figlio, i due iniziano una relazione, che porta la donna a essere, lei, l’amante. Jane non sa come comportarsi: troncare tutto o permettersi di lasciarsi andare e vedere ciò che accade? E Adam….? Non è la prima volta che Nancy Meyers porta sullo schermo dei personaggi adulti costretti a trovarsi faccia a faccia con la verità su se stessi e su ciò che vogliono davvero e che hanno cercato a lungo di evitare, succede in “What woman want – Quello che le donne vogliono” e in “Tutto può accadere”, per citarne alcuni.

In E’ complicato la regista mette la sua Jane in una situazione alquanto complicata, appunto, affinché vivendo ciò che sarebbe potuto essere se “ci avessimo riprovato”, riesca a fare chiarezza nel suo intimo e capire cosa vuole davvero, cosa oggi la rende felice e appagata. Bisogna mettersi a confronto con i propri demoni per raggiungere la consapevolezza e magari divenire più saggi.

Inoltre Meyers ha voluto sottolineare come a volte alcune situazioni vanno vissute fino in fondo, per non chiedersi mai come sarebbe andata se si fosse agito in modo diverso.

Sono le esperienze di tutti i giorni che ci fanno diventare ciò che siamo e le scelte che prendiamo a determinare il nostro futuro. Col senno di poi certamente alcuni errori sarebbero evitati, ma il percorso che un uomo o una donna intraprende è fatto di tappe che non si possono saltare o evitare.

Il film si immerge nella realtà della vita dopo il divorzio con eleganza, sincerità e comicità. La regista ha delineato una vena umoristica che calza a pennello ai personaggi, e gli attori, tutti, hanno dei tempi comici perfetti rendendo il film godibile a più livelli, si ride spassionatamente e ci si intenerisce di fronte alla confusione di Jane, identificandosi in una donna fragile e energica, appassionata e solare, una donna che non si è data mai per vinta anche nelle situazioni più buie che ha dovuto affrontare. Ha cresciuto tre figli, che ora intraprendono una nuova strada, ha ricucito il rapporto col suo ex, grazie anche alla disponibilità di lui, ha raggiunto i suoi obiettivi professionali. Dopo molti sacrifici ora può assaporare un po’ di serenità. La regista mostra una Jane coraggiosa, l’ho è stata in passato, e lo è oggi che sceglie di vivere pienamente quest’opportunità con Jake.

Meryl Streep riesce a incarnare perfettamente ogni piccola sfumatura di Jane, a iniziare dalle sue espressioni facciali, irresistibili. Steve Martin è la vera sorpresa del film, si cimenta in un ruolo un po’ diverso dal solito, Adam è una persona vulnerabile, è stata ferita, ed entra nella vita di Jane in punta di piedi, al contrario di Jake.

L’attore è alle prese con i momenti più intimi e piccoli della pellicola e regala allo spettatore un’interpretazione morbida e accattivante. Un aspetto che la regista ha saputo caratterizzare è il raccontare la storia di una coppia che si muove avanti nel presente, tratteggiando nei loro discorsi il loro passato insieme, portando lo spettatore ad avere una visione del tutto e accompagnandolo fino all’epilogo.

Un altro tema che viene sottolineato è il chiedersi cosa si è persi, cosa ci si è lasciati alle spalle nell’optare una scelta invece di un’altra. Nel momento in cui Jake comincia ad avere problemi di intesa sessuale con la moglie attuale, inizia ad aprire gli occhi su tante piccole cose, incluso l’aver divorziato da Jane.
Il cibo gioca un ruolo di primo piano e, in forme diverse, appare nella maggior parte delle sequenze. Molto tattile è la sequenza in cui Jane e Adam si ritrovano sul retro della pasticceria, impegnati nel preparare i cornetti. La scelta di far vedere Jane all’opera è messa in atto per coinvolgere ancor di più colui che guarda, stuzzicandogli i sensi.

È un film ottimista, tutti i personaggi sono feriti e ognuno riconosce questo nell’altro, tutti in modo diverso cercano di muoversi dal passato e procedere oltre e questo infonde ottimismo e speranza. ( Fonte: cinemalia.it)

Autore della recensione: Francesca Caruso

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 
By Admin (from 24/07/2010 @ 13:56:19, in it - Video Alerta, read 2187 times)

GINEVRA. Roman Polanski è libero: a circa dieci mesi dal clamoroso arresto del regista franco-polacco a Zurigo su mandato d'arresto della giustizia americana, la Svizzera ha annunciato ieri che non estraderà l'artista 76enne negli Stati Uniti dove è ricercato per aver avuto rapporti sessuali con una minorenne più di 30 anni fa. "Polanski non sarà estradato. Le misure restrittive della libertà nei suoi confronti sono state revocate", ha affermato a Berna il ministro svizzero di giustizia e polizia Eveline Widmer-Schlumpf annunciando la decisione di respingere la domanda Usa di estradizione. Secondo la radio svizzera, Polanski - che dal dicembre scorso era agli arresti domiciliari nel suo chalet nella stazione turistica elvetica di Gstaad - avrebbe già discretamente lasciato lo chalet e sarebbe salito a bordo di un jet privato decollato dal vicino aeroporto di Saanen.


Il braccialetto elettronico che sorvegliava Polanski gli era già stato ritirato poche ore prima. Forse il regista era diretto a Parigi mentre la moglie Emmanuelle Seigner dichiarava alla France Press, "é la fine di un incubo che è durato più di nove mesi. Fremo all'idea di ricominciare a fare dei progetti - ha aggiunto - e a riprendere una normale vita di famiglia, soprattutto per i miei bambini che non meritavano tutte queste sofferenze".


Dal canto suo Polanski in una dichiarazione scritta letta dal suo avvocato ha espresso "grande soddisfazione" e ha inviato un "immenso grazie" a tutti coloro che lo hanno sostenuto. La decisione di negare l'estradizione del regista verso gli Usa è stata presa "dopo intensi accertamenti" che non hanno consentito di "escludere con la necessaria certezza la presenza di un vizio nella domanda di estradizione statunitense", ha spiegato la ministro precisando che la Svizzera non aveva il compito di stabilire se il regista de Il Pianista è "colpevole o non colpevole". Berna avrebbe infatti voluto leggere il verbale dell'interrogatorio del gennaio 2010 al pubblico ministero Roger Gunson: "Da tale verbale - spiega un comunicato delle autorità svizzere - dovrebbe risultare che il giudice allora competente, nell'udienza del 1977, aveva espressamente assicurato ai rappresentanti delle parti che i 42 giorni di detenzione trascorsi da Polanski nel reparto psichiatrico di un carcere californiano costituivano la pena detentiva complessiva da scontare". Ma gli Usa hanno rifiutato di trasmettere il verbale alla Svizzera e "alla luce della situazione - afferma il comunicato di Berna - non è possibile escludere con la necessaria certezza che Polanski abbia già scontato la pena inflittagli all'epoca e che la domanda di estrazione sia gravemente viziata". Inoltre, le circostanze dell'arresto sono particolari. "Occorre tenere conto del fatto ben noto che Roman Polanski ha, sin dall'acquisto della sua casa di Gstaad nel 2006, per anni soggiornato regolarmente in Svizzera" indisturbato, ha ricordato Berna. Questo ha creato "una situazione di fiducia": Polanski non avrebbe mai deciso di venire in Svizzera e di partecipare al Festival del film di Zurigo, nel settembre del 2009, "se non fosse stato convinto che il viaggio non gli avrebbe comportato alcuno svantaggio legale".


Ma la decisione di Berna sul caso - ha detto la ministra - non è stato unicamente giuridica. "Diritto e politica non si possono mai distinguere completamente", ha affermato. L'arresto del premio Oscar aveva suscitato numerose reazioni nel mondo della cultura ed anche la decisione odierna non ha mancato di suscitare commenti. Dalla Francia sono così giunte le reazioni soddisfatte dei ministri della cultura Frederic Mitterrand e degli affari esteri Bernard Kouchner e dell'intellettuale Bernard-Henri Levy, nonché quella dell'avvocato del cineasta Georges.


Decisamente insoddisfatti gli Stati Uniti che si sono dichiarati "delusi" e hanno fatto sapere che continueranno a cercare "giustizia in questa vicenda", dato che - ha tenuto a sottolineare il portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley, "lo stupro di una ragazza di 13 anni da parte di un adulto è un delitto". Roman Polanski era stato arrestato il 26 settembre 2009 all'aeroporto di Zurigo-Kloten, in esecuzione di un mandato di cattura spiccato a fine 2005 dalla Procura di Los Angeles per lo stupro di una 13enne nel marzo 1977.
Dallo scorso 4 dicembre Polanski si trovava assegnato a residenza coatta nel suo chalet di Gstaad.

Fonte: AmericaOggi.info

 
By Admin (from 25/07/2010 @ 17:02:53, in it - Video Alerta, read 1817 times)

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Alice Kingsley è una giovane in età da marito che sta per essere chiesta in moglie da un lord, nella Londra vittoriana. In attesa di trovare una risposta all'imbarazzante richiesta, la giovane volge il proprio sguardo al giardino, attraverso cui intravede un coniglio con un bel panciotto e un orologio da taschino. Alice si incammina in quella direzione e scivola di colpo nel mondo di sogno che sempre popolava tutte le sue notti.

Alice di Tim Burton non è più una ragazzina. Adulta sta per essere chiesta in sposa da un lord, ma lei gli preferisce un coniglio. E "inseguendo una libellula in un prato" in realtà un coniglio con un orologio da taschino e un buffo panciotto, sparisce tra le fronde.

Alice non aveva sognato un passato oggetto di letteratura per l'infanzia, ma l'aveva vissuto e poi relegato nella sfera del sogno, per non doverlo abbandonare con la sopravvenuta età adulta.
Ma i sogni, si sa son desideri, e Alice ne realizza qualcuno inseguendo il suo.

Scopre il suo ruolo nella società vittoriana e si imbarca felice per altri lidi. Tutto questo solo dopo aver ritrovato il Cappellaio Matto, la Regina Rossa e quella Bianca, conigli, stregatti e tanti vecchi amici forse solo immaginati, di certo sognati e a un certo punto pure incontrati lungo la dura strada verso l'età adulta.

Tim Burton mette mano a Lewis Carroll e non c'è più nulla da fare, la sua Alice cresciuta diventa icona e simbolo di una generazione che aveva dati per perduti i propri sogni e che li ritrova al cinema, nello splendore del 3D.

La consolidata coppia Burton/Depp, cui di recente si è aggiunta un'inquietante Helena Bonham Carter, riesce nell'aggiornamento di una delle più famose metafore del potere della fantasia.
Il trucco ovviamente è nell'amare tutti i suoi personaggi, specialmente i più neri, e con loro sfidare tutte le convenzioni.

Il Cappellaio Matto, fascinoso e ambiguo come solo Depp avrebbe potuto inventare, è un complice del lato più ardito della giovane Alice, apparentemente una sperduta fanciulla vittoriana, ma con l'anima di ferro di chi non ha mai mollato i propri sogni e non vede l'ora di realizzarli.

La Regina Rossa invece ci pare un incredibile schiaffo in faccia alla mancanza di umanità, una raffigurazione perfetta dell'ambiguità cui solo i regnanti, di questi tempi, ancora si attengono.
E se sua sorella la Regina Bianca ci pare un pochino svampita, è solo perché non è riuscita mai ad opporsi a lei, e per questo neanche si è mai consentita un'ombra nel suo cammino attraverso il mondo di sogno che si è costruita per sfuggirle.

Alice ha un compito, e nello stesso tempo un destino.
Sfuggire alla noia di un matrimonio vittoriano è solo il primo gradino di un'ascesa inarrestabile, attraverso un mondo che richiede modi nuovi di pensare i vecchi problemi. E soltanto chi tiene vivo il rapporto con la propria fantasia e i propri sogni ci può riuscire.

Passando attraverso la continua verifica di un'identità perduta e ritorvata, Alice, che ci fa sapere subito di non essere "quella Alice", scopre a mano a mano la sua "moltità" e con quella realizza le profezie e combatte le convenzioni.

Mia Wasikowska è perfetta nella sua "moltità" e anche un tantino vittoriana, mentre Il Cappellaio Matto/Depp istilla nello spettatore un desiderio di follia, pari solo a quello di acchiappare la coda dello Stregatto.
La Regina Rossa, una geniale Helena Bonham Carter, è cattiva e ridondante nella sua solitudine, mentre una perfetta Anne Hathaway/Regina Bianca si profila all'orizzonte con la sua algida bellezza, stucchevolemente amata persino dalla mobilia.

Peccato soltanto che Alice di Tim Burton sia comunque un po' anche un Alice Disney, e pertanto fornita di finale rassicurante. Il tutto si riduce all'appropriazione di un'identità, per poi compiere un passo avanti nell'esplorazione di nuove terre. Come se la scoperta della propria identità non potesse mai essere abbastanza in un mondo in cui tutti devono comunque vivere per sempre "felici e contenti" . ( Fonte: cinemalia.it)

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 
By Admin (from 26/07/2010 @ 14:00:06, in it - Video Alerta, read 1698 times)

Bell'esempio di come esistano modi molto diversi di fare e di concepire il cinema.
Il regista e attore Lucien Jean Baptiste esordisce sul grande schermo, dopo aver lavorato molto in televisione, con una commedia divertente, lineare ma che apre interessanti spunti di riflessione.

Il tutto con un badget abbastanza ridotto e attori non certo di primo grido ma che risulteranno essere decisivi per le sorti del film: il protagonista della vicenda è lo stesso Jean Baptiste, supportato egregiamente da Firmin Richard ( vista anche nel film di Dino Risi Tolgo il disturbo ) esilarante e spassosa con la sua vitalità e le sue battute; in più c'è anche l' Anne Consigny de Lo scafandro e la farfalla ma con una parte decisamente minore.

La commedia, campione d'incassi in Francia e di cui si sta già allestendo un sequel i cui diritti sono stati acquistati dagli Usa, affronta con leggerezza, ilarità e uno humor intelligente i conflitti razziali in Francia negli anni '80. La storia narra le vicende della famiglia Elisabeth, padre madre e tre figli, che non se la passano bene economicamente, anche perchè il padre di colore, Jean Gabriel, è uno scansafatiche immaturo che non ha voglia di lavorare e passa molto tempo alle agenzie ippiche, sperperando quel poco denaro che ha a disposizione. Promette ai figli una vacanza sulla neve, troppo dispendiosa per le loro tasche, e per dimostrare alla moglie, sempre più stanca degli atteggiamenti del marito, di potercela fare, ne combina di tutti i colori, riuscendo alla fine però nel suo intento di far godere anche ai suoi figli di un tipo di vacanza solo per bianchi ( e ricchi ).

Divertente quindi già la situazione di partenza, con una famiglia di neri alle prese con la classica "settimana bianca", da sempre territorio solo per bianchi che infatti guardano spassosi le rocambolesche avventure sulla neve della strampalata famiglia, priva di qualunque attrezzatura adeguata, dall'abbigliamento alle attrezzature sportive.

Il film si snoda piacevolmente lungo la rotaia del genere commedia leggera, nonostante qualche banalità e luogo comune di troppo come il conflitto tra un adolescente nero che gioca a basket e il ragazzo bianco che scia e che si "lottano" la bella parigina di turno, alternando momenti di pacata riflessione ad altri di assoluto divertimento.

Il problema dell'integrazione razziale, sebbene sia diminuito rispetto a 20-30 anni fa, è tutt'ora presente in Francia e riguarda soprattutto quelle persone native di vecchie colonie francesi, in questo caso le Isole delle Antille, come appunto la famiglia protagonista della pellicola e come la vera famiglia del regista.
La questione sociale non viene peraltro molto approfondita nel film (che però non partiva con queste pretese) ma rimane in superficie allo svolgimento della storia che scorre via tranquilla e senza sussulti e che solo grazie alle ottime performance attoriali si riesce a rendere più che godibile per un pubblico di tutte le età. ( Fonte. cinemalia.it)

Autore: Mario Missimi

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 

Buongiorno a tutti, oggi iniziamo una serie di puntate estive, quindi per vostra e per mia fortuna molto più brevi di quelle ordinarie, che vengono registrate perché parto in vacanza.

La cricca e il nuovo CSM.

Questo lunedì parliamo del Csm che sta per essere totalmente rinnovato dopo che i magistrati hanno eletto i loro 16 consiglieri, cosiddetti togati.
Il Csm è formato da un Presidente che è il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, ci sono altri due membri di diritto che sono il primo Presidente della Cassazione, il Procuratore Generale della Cassazione, quindi chi c’è in quel momento entra di diritto nel Csm, i due magistrati di vertice della Cassazione insieme al Capo dello Stato non sono eletti, ma sono lì sempre, poi c’è un vice Presidente che è eletto dal Parlamento, all’interno di 8 membri laici che secondo gli intendimenti dei nostri padri costituenti, devono essere degli alti esponenti del mondo del diritto, della giurisprudenza, delle persone di notoria competenza, autorevolezza, prestigio, indipendenza e che invece visto che sono eletti dal Parlamento, soprattutto negli ultimi decenni, sono diventati praticamente dei politici trombati in cerca di collocamento, oppure dei politici addirittura in servizio permanente effettivo che vanno a farsi 5 anni di Csm, poi se ne tornano all’attività politica e rappresentano così non il diritto, i cittadini in quanto eletti dal Parlamento, ma rappresentano i loro partiti.
Intanto vediamo cosa stabilisce la nostra Costituzione repubblicana sul Csm che è un organo costituzionale, all’Art. 104 leggiamo “la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, quindi è un ordine ma è anche un potere dello Stato, il Csm è presieduto dal Presidente della Repubblica, ne fanno parte di diritto il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione, gli altri componenti sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari, tra gli appartenenti alle varie categorie e per 1/3 dal Parlamento, ve l’ho detto, nell’attuale composizione sono 8 i laici e 16 i togati, quindi 1/3 e 2/3.
Per 1/3 dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e Avvocati dopo 15 anni di esercizio, in Consiglio elegge un Vicepresidente tra i componenti designati dal Parlamento, i membri elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni, prima ho detto una sciocchezza, ho detto 5 invece sono 4 gli anni di durata e non sono immediatamente rieleggibili, devono almeno aspettare un turno per tornarci, non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.
Spettano, Art. 105, al Csm, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso, dice l’Art. 106, la legge sull’ordinamento giudiziario può mettere alla nomina anche elettiva di Magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli, su designazione del Csm possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di Cassazione per meriti insigni professori ordinari di università in materie giuridiche e abbiano 15 anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, questo è quello che bisogna sapere sul Csm.
Adesso cosa sta succedendo? Sta succedendo che la Magistratura, almeno una parte di essa è nel centro delle polemiche perché un bel gruppetto di magistrati sono stati beccati, grazie alle intercettazioni telefoniche in rapporto con i faccendieri di quella che è stata chiamata la nuova P2 o detta anche P3, gente che aveva rapporti con Carboni condannato per il crac dell’ambrosiano con Dell’Utri condannato definitivamente per evasione fiscale e condannato in appello per mafia, imputato in altri processi per calunnia etc., con un certo Pasqualino Lombardi, un geometra in pensione di Avellino che incredibilmente riusciva ad arrivare dappertutto, con un certo Arcangelo Martino anche lui condannato per concussione, ex socialista, ora nel Popolo della Libertà e altri personaggini, tra questi magistrati presi in rapporti con questa cricca ci sono il sottosegretario alla Giustizia, Massimo Caliendo, c’è il Giudice Gargani, fratello di un deputato ex democristiano e poi di Forza Italia, c’è il Giudice Marra che è stato spinto alla presidenza della Corte d’Appello di Milano anche da pressioni di questa cricca, ci sono giudici come il Presidente della Corte d’Appello di Salerno Marconi e altri dei quali si sta occupando anche il Csm.
Le pressioni di questa cricca venivano rivolte a membri del Csm, per far nominare magistrati amici, considerati affidabili dalla cricca e dai mandanti della cricca, oppure per non nominare magistrati non affidabili, questo Consiglio mentre nominava magistrati di quel genere, non dimentichiamo la figura del primo Presidente della Cassazione che fortunatamente da un mese o due è andato in pensione, Vincenzo Carbone che era anche egli intimo di quel Pasqualino da Avellino e è il primo Presidente della Cassazione che ha presieduto le sezioni unite che hanno cacciato o punito magistrati evidentemente inaffidabili per queste cricche come Clementina Forleo, Luigi De Magristris, Nuzi, Verasani e Apicella a Salerno, hanno punito Alfonso Sabella che non ha ottenuto le nomine che aveva chiesto e che è stato sottoposto a un discreto linciaggio dopo essersi opposto alla dissociazione, un progetto che fa parte del trattative Stato – mafia quando lui era al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, alla direzione delle carceri, magistrati inaffidabili al potere, questa cricca e i suoi amichetti, tra i laici e anche tra i togati di diritto del Csm, sono stati messi da parte o addirittura puniti.
Per questo, per recuperare il prestigio del Csm, sarebbe assolutamente necessario che questo nuovo Csm, venisse composto da personaggi di specchiata indipendenza e autonomia, che si ritornasse a quello spirito costituzionale che voleva arrivare a consigli migliori nel mondo del diritto, infatti i nomi non mancano, ci sono insigni giuristi, insigni costituzionalisti che potrebbero essere votati dal Parlamento, anche perché poi tra loro verrà scelto il successore di Mancino, il Vicepresidente e Mancino, ce ne siamo occupati diverse volte, non possiamo certamente dire che sia stato un Vicepresidente che rappresentasse un capolavoro di autonomia e indipendenza, ha sempre fatto politica fin da giovane, nella DC, poi nel Partito Popolare, nella Margherita, in questi anni si è visto dalle sue decisioni, dalle sue prese di posizione, che non era certamente una figura tra quelle auspicate come rappresentative di un’indipendenza assoluta, aveva anche lui i suoi amici etc., poi è naturale, mica nessun delitto, ma sarebbe meglio che i membri del Csm, soprattutto il Vicepresidente non avesse amicizie e una carriera politica così attiva e così, in qualche modo, influenzante alle sue spalle.


Un CSM pulito nell'interesse di tutti.

Quindi sarebbe opportuno che i partiti facessero non uno, ma 10 passi indietro, sarebbe opportuno che il Capo dello Stato li invitasse nel momento in cui dice: eleggete i membri laici, perché i membri laici devono essere votati dal Parlamento con maggioranza qualificata, non con il 50% e quindi il rischio è che avvenga una spartizione, che il centro-destra dica al centro-sinistra: noi certa gente ve la votiamo e certa gente non ve la votiamo, ma anche che il centro-sinistra dica al centro-destra: certa gente non ve la votiamo, ne votiamo degli altri.
Quindi urge un appello del Presidente del Csm, affinché si eviti di mandare avvocati di politici o politici in servizio permanenti e invece purtroppo i nomi che si leggono sui giornali per gli 8 membri laici del nuovo Csm, sono tutti politici o Avvocati di politici, peraltro con delle storie tutt’altro che cristalline.
Il centro-destra ne dovrebbe eleggere 5 e il centro-sinistra ne dovrebbe eleggere 3, tra i quali dovrebbe essere tratto il Vicepresidente del Csm, che Berlusconi voglia mettere dei suoi amichetti affidabili lo sappiamo, la sua concezione delle istituzioni è una concezione proprietaria, io mando lì gente fedele a me, pensa così persino della Corte Costituzionale, figuratevi del Csm, infatti ci vuole mettere Biondi l’ex Ministro della il giustizia, quello del Decreto Salvaladri, quello delle ispezioni contro la Procura di Milano, nonché parlamentare da 50 anni, a dire poco.
Ci vuole mandare Gargani, il fratello del Magistrato che è sotto procedimento disciplinare per i rapporti con la P3 e non stiamo parlando del colpe di un fratello che devono ricadere sull’altro, ma i fratelli Gargani, come ha raccontato Il Fatto l’altro giorno, anche loro avellinesi, hanno una storia in comune, il Giudice Gargani, fratello dell’On. Gargani, è stato spesso al Ministero, ha lavorato spesso al Ministero, dentro governi di Berlusconi, quindi non stiamo parlando di capolavori di lontananza dalla classe politica e poi vogliono mettere, si parla di altri.
Quindi è ovvio che da Berlusconi non ci si può attendere che nomini persone di specchiata indipendenza e autonomia, ci sarebbe da meravigliarsi lo facesse, c’è da aspettarsi però che lo facciano altri, per esempio i finiani, i quali invece pare che vogliano nominare un certo Lo Presti che è un Avvocato siciliano che ha fatto il parlamentare anche lui più volte, che non è certamente rispondente a quei criteri di estraneità ai giochi della politica e ci sarebbe da attenderselo dal PD, il quale essendo insieme all’Italia dei Valori, e all’Udc all’opposizione, è chiamato a concordare 3 candidature, a meno che l’Udc non ottenga una delle 5 del centro-destra e chi vogliono mettere questi signori del PD? Vogliono mettere l’ex Avvocato di D’Alema, Guido Calvi è un ottimo Avvocato, persona eccelsa, ma anche lui nel pieno della contesa politica, oltre a avere rappresentato D’Alema, per esempio nel caso Unipol, dove si scatenò contro i magistrati che avevano indagato, osato indagare sui rapporti tra D’Alema e consorte e raccogliere le intercettazioni e chiedere al Parlamento di utilizzarle, Guido Calvi era proprio uno degli ayatollah contro Clementina Forleo etc., è opportuno che l’Avvocato di D’Alema vada al Csm, assolutamente no, come non è opportuno che ci vada Fanfani nipote di cotanto politico e anche lui persona perbenissimo naturalmente, però anche lui parlamentare della Margherita per diversi anni e poi non è opportuno che ci vadano altri politici i cui nomi si fanno in questi giorni.
L’Udc chi ci vuole spedire? Ci vuole spedire Michele Vietti, fedelissimo di Casini, è un politico democristiano torinese, che ha fatto il sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Berlusconi, quando l’Udc stava con Berlusconi e come sottosegretario alla Giustizia ha condiviso e votato e contribuito a scrivere tutte le leggi vergogna della legislatura dal 2001 al 2006 e materialmente si è occupato di stilare le tabelle con le soglie di non punibilità per la legge sul falso in bilancio, sapete che il falso in bilancio è reato soltanto quando si superano certe soglie e guarda caso Vietti calcolò quelle soglie in modo che Berlusconi ci stesse dentro per mandare in fumo i suoi processi per falso in bilancio, vogliono mandare questo al Csm e addirittura con l’appoggio del PD, eleggerlo Vicepresidente del Csm al posto di Mancino.
Ricordo che anni dopo, persino Tremonti disse che forse era il caso di ripristinare il reato di falso in bilancio come era prima, ma Vietti rispose: sono contrario a cambiare di nuovo il falso in bilancio, una nuova riforma farebbe sospettare che la precedente sia stata fatta per salvare dal processo qualche imputato in particolare, ma va?! E certo la volevano cambiare dopo che la legge sul falso in bilancio, aveva consentito a Berlusconi di mandare in fumo i suoi processi per falso in bilancio, con la formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato” perché l’imputato con l’aiuto di Castelli e di Vietti, gliel’aveva depenalizzato e questa dovrebbe essere la figura destinata a restituire il prestigio di autonomia e di indipendenza di un Csm inquinato dalla P3, ci si manda uno politicamente inquinato già in partenza, non c’è neanche il timore che si inquini dopo perché arriva già inquinato prima e il PD vuole fare una scelta di questo genere?
Noi su Il Fatto abbiamo lanciato un appello ai finiani, al PD e all’Italia dei Valori perché mandino personalità di provata indipendenza, che non abbiano tessere, avventure politiche alle spalle, finora ci ha risposto soltanto Di Pietro, Micromega ha lanciato un appello firmato da Margherita Hack, Paolo Flores D’Arcais, Andrea Camilleri e Umberto Eco in tal senso e non hanno avuto risposte, hanno avuto naturalmente decine di migliaia di persone che l’hanno sottoscritto, anzi andate sul sito di Micromega oppure su quello del Il Fatto quotidiano, sottoscrivetelo, solo Di Pietro ha risposto dicendo: non metto, inizialmente sembrava intenzionato a mettere l’Avvocato Li Gotti che un’ottima persona anche lui, ma è parlamentare, è stato sottosegretario del Governo Prodi, quindi non è bene che in questa fase ci vadano uomini di partito, infatti Di Pietro ha detto: faccio un passo indietro e per me va bene se sosteniamo giuristi come Vittorio Grevi, come l’ex Presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, come l’ex giudice Bruno Tinti o come Franco Cordero, uno dei padri del diritto penale, della procedura penale in Italia, sono questi i nomi naturalmente che sarebbero auspicabili e tanti altri ce ne sono il Prof. Giostra, il Prof. Ainis, Lorenza Carlassare collaboratrice de Il Fatto, costituzionalista insignissima, Borrelli, l’ex Procuratore di Milano, che sarebbe una figura altissima e nobilissima e darebbe lustro a questa istituzione, credo che dipenda molto anche da noi che il Consiglio Superiore uscirà da questa settimana che comincia oggi, dipende dalla pressione che questi appelli e dal numero di firme che questi appelli riceveranno per fare pressione sul Partito Democratico dove già gli amici di D’Alema pare si siano messi d’accordo con gli amici di Casini per mandare avanti Vietti in cambio del permanere di Casini all’opposizione della sua resistenza alle sirene per un ritorno di fiamma con Berlusconi nelle cene a casa Vespa, il Csm usato addirittura, come merce di scambio per contropartite politiche, questo è quello che non solo si spera, ma che bisogna pretendere dai partiti di opposizione, gli elettori del PD se lo ricordino, è in queste fasi cruciali che si valuta la qualità dell'opposizione e è in queste frasi cruciali che bisogna decidere per chi votare alle prossime elezioni in qualunque momento saranno, se il PD si presterà a questo orrendo inciucio per mandare Vietti o altri politicanti al Csm, vorrà dire che non ha imparato nessuna lezione e che è rimasto lo stesso di prima e che quindi non merita nessuna fiducia.


L’unico modo per farglielo sapere è scrivere, telefonare, firmare l’appello, mandare fax, e-mail a questi signori con la minaccia di non votarli mai più, se non ci daranno finalmente un Csm dal quale scompaiano le zampe dei partiti, almeno di alcuni partiti che dicono, sostengono e sperano che la gente ci creda di essere diversi da Berlusconi, passate parola!

Vai all'area di Woodstock 5 Stelle!

Fonte: BeppeGrillo.it

 
By Admin (from 27/07/2010 @ 13:45:49, in it - Video Alerta, read 2179 times)

Nel corso dei secoli numerosi sono stati i nomi attribuiti dalle varie culture a quell’affascinante creatura mitologica che porta l'appellativo di Licantropo: quell’essere umano con la capacità di trasformarsi in lupo mannaro nelle notti di luna piena, protagonista di spaventose storie che, per secoli, hanno dominato le culture di tutto il mondo e che solo negli ultimi 70 anni ha cominciato anche a comparire sul grande schermo.

In principio fu il classico del 1941 “L’uomo lupo” a dare il via a questo mito, personaggio icona destinato a durare a lungo; successivamente abbiamo avuto i vari Van Helsing, lupi mannari americani in giro per il mondo, Twilight, Underwolrd, ed ora, con la firma di Joe Johnston (“Jurassic Park III”, “Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi”) arriva questo “Wolfman”, interpretato nientemeno che da due Premi Oscar di tutto rispetto: Benicio Del Toro ed Anthony Hopkins.

Storia spaventosa ma anche storia d’amore e non solo di violenza (avvisiamo subito il pubblico più sensibile dell’interminabile fiumana di sangue che scorrerà dall’inizio alla fine e delle interiora asportate, manco fossimo in una sala operatoria), la riattualizzazione di questo classico (che rimane abbastanza fedele all’originale) si sposta dalle location del Galles degli anni ’40 all’Inghilterra vittoriana del 1890 e ci presenta Lawrence Talbot (Del Toro) che ritorna a distanza di anni nella cittadina di Blackmoor.
Testimone di un indicibile orrore di cui è stato partecipe da bambino, viene allontanato per un anno in manicomio e, una volta uscito, intraprende la carriera teatrale in quel di Londra.

Richiamato dalla fidanzata del fratello (preoccupata per la scomparsa del suo amato), Lawrence dovrà vedersela con una mostruosa creatura che sta seminando panico e terrore nell’intero villaggio, oltre ad impegnarsi a ricostruire un rapporto col padre, abbandonato da decenni.

A rendere omaggio al film, in una versione più attuale per il pubblico di oggi, l'ossessionante e viscerale ululato di un Benicio del Toro (“Traffic”, “21 grammi – Il peso dell’anima” e la recente biografia in due film di Ernesto Che Guevara) dagli occhi incredibilmente espressivi e in grado di trasmettere grandi emozioni, sorretto dalla sempre magistrale interpretazione di Anthony Hopkins (basta solo rammentare il capolavoro “Il silenzio degli innocenti”), freddo come il ghiaccio, esemplare nel non far trasparire alcuna dolcezza verso la tragedia e il dolore, in un look da unghie sporche, pellicce indossate con vestaglia e cappotto, capelli arruffati e che si aggira per un’enorme residenza desolata in totale stato di abbandono (per la cronaca, abitata dal Duca e dalla Duchessa del Devonshire, che ne sono anche i proprietari).
Non tralasciamo anche il cameo di una brava Geraldine Chaplin (nel la parte della zingara Maleva) che presagisce la notizia della maledizione di Lawrence.

Accanto a loro la lodevole interpretazione dell'Ispettore Aberline (interpretato dal celebre attore Hugo Weaving di “Priscilla – Regina del deserto”, la trilogia di “Matrix” e l'altra famosissima trilogia “Il signore degli anelli”), saggio e furbo estraneo tra gli abitanti del minuscolo paesino di montagna.
La presenza femminile (d'obbligo) ha, invece, le fattezze di Emily Blunt (assistente di Meryl Streep in “Il diavolo veste Prada”), vedova e innamorata felice, che ovviamente farà di tutto per salvare il nuovo innamorato di turno.

Pur non spiccando per originalità di trama, la pellicola, che sicuramente incontrerà il gusto di quegli spettatori attratti dal lato oscuro della vita (trasformazione, resurrezione, salvezza), riesce a cavarsela nel rappresentare l'uomo che lotta con i due lati della natura (la parte civilizzata e quella animale) e il buon esito è sicuramente dovuto anche alla cupa fotografia di Shelly Johnson, in grado di risaltare una Londra sporca, inquinata, illuminata da lampade a gas e un paesino (Blackmoor), nebbioso e assonnato, che fa venire i brividi con le sue case buie, creando quel risultato visivo freddo e desolato, tipico delle atmosfere da film horror classico.

Sovrasta il tutto il bel processo di trasformazione dell’uomo in lupo mannaro: quella metamorfosi da calmo nobiluomo a segugio infernale, merito del sei volte vincitore del Premio Oscar Rick Baker, la splendida colonna sonora di Danny Elfman (che può vantare la collaborazione con un notevole numero di registi di fama mondiale) e l'apprezzabile rappresentazione di costumi gotici, ottimamente calati in un'atmosfera come quella richiesta da questo film.

Pur nella semplicità del solito monster movie, cosa può mai dirci l'ennesimo licantropo di turno?
Forse anche solo trasmetterci la sensazione, comune a molti, di aver fatto qualcosa che non avremmo dovuto o che in tutti noi c'è un no so che di primitivo, di animale, che dobbiamo imparare a controllare per non rimanerne condannati.

O, forse, anche solo pensare che, spesso, non sono solo gli animali ad attaccare e ad uccidere, poiché la malignità di noi umani ci può portare a fare cose che mai avremmo immaginato di compiere. Cosa, questa, che dovrebbe farci ancora più paura. ( Fonte: cinemalia.it)

Autore della recensione: Piergiorgio Ravasio

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 
By Admin (from 28/07/2010 @ 15:47:32, in it - Video Alerta, read 2444 times)

Nulla può meglio mettere in luce gli intenti sociologici di Clint Eastwood come regista,del suo ultimo "Invictus",dramma storico dalle valenze altamente creative,elemento quantomeno estraneo nell'orizzonte produttivo dell'attuale studio system americano.

In tutta la sua carriera di attore e regista ed in particolare nei due ultimi decenni della sua produzione artistica,Eastwood ha elaborato e sviscerato una molteplicità di tematiche di spessore non prettamente divulgativo,mescolando,come in questo film,un messaggio sociale e una lezione storica in un componimento biografico esposto con una fluidità narrativa che non lascia posto ad alcun ricorso a raffinati artifici tecnici ma semplicemente limitarsi a raccontare una storia.

Eastwood è passato dalla citazione dell'intransigenza razziale seguita da una presa di coscienza,("Gran Torino"),al clima sessista innervato nei rigori del pregiudizio maschile ("Million Dollars Baby"),dallo scottante tema dell'intervento sul malato terminale,all'eredità dei valori della tradizione ("Flags of Our Fathers"),dal recupero dell'equilibrio morale ("Gli spietati"),alla eroica ma ancor più tragica inchiesta sulla natura del comando ("Letters From Iwo Jima").

"Invictus" è un dramma su Nelson Mandela (Morgan Freeman),sul dopo apartheid sud africano e sullo sport del rugby,ambientato in un momento storico che vede il Capo di Stato appena eletto assumere una posizione nei confronti del suo Paese così decisa e rischiosa,da essere altamente criticata perfino dal suo organico governativo al punto di essere egli stesso considerato fautore e responsabile del suo suicidio politico.

Il film,ispirato al romanzo di John Carlin "Playing the Enemy" racconta della condizione sociale del Sud Africa nel 1995,dopo l'elezione di Mandela,primo presidente di colore nella storia del suo Paese.
Molti bianchi nazionalisti Afrikaner restavano ancora simpatizzanti per un sistema che condizionava i neri in una in uno stato di povertà ed oppressione,mentre i seguaci del neo presidente auspicavano un riscatto da decenni di umiliazione subiti nel clima dell'apartheid,ricetta ideale per una instabilità sociale ed il disastro politico.

Mandela aveva un compito estremamente delicato da svolgere : mantenere l'equilibrio della nuova e fragile condizione democratica del Paese. Salendo al potere dopo ventisette anni di carcere,Mandela è già una figura leggendaria ed un idolo per il Sud Africa e per tutte le nazioni che da lui sperano un giro di volta del suo Stato.

Il capo di Stato sente che la sua celebrità è ingombrante ed un fardello pesante da portare,ma è anche una forte risorsa da utilizzare come mezzo politico. La sua maggiore preoccupazione nei confronti dei suoi fedeli è quella di riuscire a trovare il prestigio morale che possa condurlo ad una intesa,un atto di mediazione con i bianchi che lo consideravano un terrorista ed un usurpatore delle tradizioni ed una minaccia ai valori fondamentali del Paese.

Nell'incipit del film,Mandela,appena uscito di prigione,passa fra due campi di gioco.
Fin da questa scena si inquadra lo spirito che animerà l'intera pellicola di Eastwood.
Sono sequenze fluide,ma fitte dell'intenso significato che darà corpo a tutta la narrazione che segue. Forse la più bella sequenza del film.

Da una parte i neri sudafricani interrompono la partita per salutare ed inneggiare all'uomo dei sogni,dall'altro lato della strada i bianchi giocano a rugby ed il loro coach apostrofa Mandela indicandolo come il terrorista a causa del quale il Paese andrà in rovina (“Ricordate questo giorno,ragazzi,è il giorno che il nostro Paese andrà in pasto ai cani”).

Qui Eastwood non evidenzia una differenza di razze e due diverse discipline sportive.
Piuttosto il regista sottolinea trasversalmente come nel corso degli anni la squadra nazionale di rugby degli Springboks fu identificata come il simbolo della condizione dell'apartheid sudafricano,al punto da portare i neri a tifare per qualsiasi altra squadra possa incontrarli nei tornei internazionali.

Il regista e lo sceneggiatore Anthony Peckman raccontano con una metafora la spaccatura sociale di una nazione lacerata da profonde contese razziali e la possibilità che lo sport possa essere il mezzo e la strategia per colmare l'abisso fra le due parti e riportare l'equilibrio nel Paese.

L'ambizioso piano di Mandela è quello di far leva sull'immagine della squadra nazionale,per volgerne il gioco a suo favore,coinvolgendo il capitano Afrikaner Francois Pienaar (Damon) a sostenere la sua causa:conciliare le aspirazioni dei neri con le paure dei bianchi.

Lo sforzo di Francois per mantenere il controllo della sua squadra ed i suoi tentativi di persuasione verso i giocatori scettici e perplessi di fronte a questa nuova realtà,rappresentano un microcosmo del disegno più vasto di Mandela,che si spalanca sulla condizione politica della sua nazione.
Alla fine i due si troveranno uniti,condividendo i versi del poema vittoriano che dà titolo al film.

Eastwood allunga lo sguardo oltre il politico;fa luce sulla sofferenza e malinconia di un uomo solo,cui manca l’affetto ed il sostegno di una famiglia,una moglie solo citata nel film ed una figlia prigioniera di un rancore cui non viene data spiegazione.

Alla guardia che gli domanda come sta la sua famiglia,Mandela risponde che la sua famiglia è molto numerosa ed è costituita da quarantadue milioni di persone.

Eastwood si ispira a John Carlin nel suo “Playing The Enemy” e ne cita il contenuto quando fa dire a Freeman che “…in prigione occorreva che studiassi i miei nemici,per poter prevalere su di essi;non sono più i nostri nemici,ma i nostri fratelli sudafricani”.

In un’altra scena Damon si chiede come “si faccia a passare trent’anni in galera ed essere pronto a perdonare chi ti ci ha rinchiuso”.

Mandela sta dunque mettendo in atto il suo progetto della Nuova Nazione Arcobaleno,fondandola sulla riconciliazione e il perdono “…che libera l’anima e cancella la paura”.

Tutto il film è permeato della creatività di ampio respiro e della ricca pacatezza narrativa che contraddistinguono le opere di Eastwood “Gli spietati”,”Gran Torino”,pur restando leggermente sotto tono rispetto a questi ultimi.

Nel ritmo quieto della narrazione il regista innesta il dinamismo di una vivace storia sportiva,innervata nell’articolata complessità politica di uno Stato e dell’uomo che ne ha preso le redini in mano,”perché non debba più subire l’oltraggio di essere lo scarico del mondo”.

Eastwood è magistrale nel far confluire idealismo nazionalista con proiezioni politiche,status razziale ed aspirazioni sociali nell’essenzialismo di un contesto sportivo,senza impoverire il contenuto del suo messaggio.

In “Invictus” il filmaker non fornisce un racconto di persone,scavando nelle rispettive realtà famigliari o tracciandone il profilo delle condizioni esistenziali.

Nel suo poema scritto nel 1875,William Henley riversa l’amarezza e la tragicità di una vita di sofferenze fisiche e malattie da cui lo scrittore ripara all’ombra di una profonda soluzione introspettiva.
“Invictus” è un film sulle psicologia umana raccontato in forma di parabola ad esprimere nell’allegoria di un’attività sportiva l’ostinazione che l’uomo può trovare in sé stesso per raggiungere la realizzazione dei propri ideali visti concretizzati – quasi contraddizione in termini -nella formazione dell’unità dei valori e delle persone per le quali una vita vale la spesa di essere vissuta (“Io sono il capitano del mio destino ed il padrone della mia anima”). ( Fonte. cinemali.it)

Autore della recensione : Francesca Caruso

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 
By Admin (from 29/07/2010 @ 12:48:25, in it - Video Alerta, read 2187 times)

Il regista rumeno Radu Mihaileanu si è cimentato nel portare sul grande schermo una storia molto personale, nella quale grazie all’amore per la musica si ricongiungono i fili di una matassa smarriti trent’anni prima.
Andreї Filipov è stato un grande direttore d’orchestra all’epoca di Brežnev, oggi lavora nel medesimo teatro come uomo delle pulizie.

Una sera, mentre pulisce l’ufficio del direttore, casualmente si imbatte in un fax indirizzato alla direzione del Bolshoi. Il Théâtre du Châtelet invita l’orchestra a suonare a Parigi. Andreї distrugge immediatamente il fax e gli salta in mente un’idea, che va fuori dagli schemi: ricreare l’antica orchestra che dirigeva, presentarsi a Parigi come l’orchestra ufficiale del Bolshoi e portare in scena Čajkovskij, Concerto per violino e orchestra, portando così a termine il concerto interrotto trenta anni prima. Andreї e il suo miglior amico Sacha iniziano a reclutare i vecchi e i nuovi amici, trovando anche l’aiuto dei gitani, che gli procurano gli strumenti musicali mancanti e i passaporti. L’uomo sceglie come violino solista Anne-Marie Jacquet, dietro la quale si nasconde un segreto riguardante le sue vere origini. Il giorno del concerto arriva e sarà l’occasione per ritrovarsi e recuperare un passato mai dimenticato.

L’intento del regista è stato quello di conferire al film l’animo e il temperamento slavo, nel quale si tende a superare i propri limiti e confini nel modo di essere artisti. Non c’è la paura di manifestare e descrivere le emozioni, ci si sente liberi di esprimerle senza vergognarsi di ciò che si prova. Riprodurre la vita esaltandola in tutte le sue sfumature è questo ciò che Mihaileanu ha voluto conferire alla storia, ai suoi personaggi.
Un peculiarità della poetica di Radu Mihaileanu che ritroviamo in questo film è il tema dell’impostura positiva, come in precedenza in “Vai e Vivrai” (2005), per esempio. Qui Andreї e i suoi amici si spacciano per gli orchestrali del Bolshoi per realizzare un sogno interrotto tempo prima. Il fatto di camuffarsi è anche parte delle origini ebree del regista, il cui padre, durante la guerra, dovette cambiare cognome per sopravvivere.

Il regista nel raccontare piccole storie delinea con accenni delicati la Storia, è un film contro tutti i regimi dittatoriali.

Il film parla dei rapporti che si instaurano tra il singolo e la collettività, se non c’è armonia e intesa tra le due parti non si raggiunge il benessere di entrambi, bisogna essere complementari, come tra l’orchestra e il violino solista del film.

Il tema che sta alla base è quello di ritrovare la dignità umana che si è perduta e ritrovare la volontà di reazione a chi vuole mettere il proprio simile in ginocchio. I vari personaggi cercano innanzitutto di ritrovare l’autostima e poi di rimettersi in piedi, e di raggiungere “l’armonia suprema” anche solo per il tempo di un concerto, per dimostrare a se stessi di essere ancora degli esseri umani, che possono essere stati sconfitti una volta, ma non per questo sono finiti.

Mihaileanu mescola l’umorismo con la tragedia, interessato a stabilire questo tipo di dialogo. L’umorismo che preferisce è quello in reazione alla sofferenza e alle difficoltà. Tutti i personaggi del film trovano la forza di portare a termine ciò che si sono prefissati, grazie all’ironia che li connota.

La musica ricopre un ruolo fondamentale, lo si evince già dal titolo, per il cineasta la musica è energia, è dentro ognuno di noi ed è parte integrante delle nostre vite, inoltre è un linguaggio universale che arriva a chiunque, comprensibile da tutti. Parlare lingue diverse può risultare difficile nel rapportarsi con l’altro, la musica unisce e arriva dritta al cuore. Č il motore che fa muovere i personaggi.

Un altro tema inserito è il dialogo interculturale che avviene tra i membri dell’orchestra, russi gitani ed ebrei, che si relazionano con i francesi. Si sottolinea così la mescolanza delle culture, l’integrazione e l’arricchimento che ogni singola persona dona all’altra, malgrado le difficoltà iniziali in cui si può incorrere. Quando Andreї e i suoi amici arrivano a Parigi sembra un’invasione del territorio da parte di “barbari dell’est” verso i ricchi civilizzati occidentali, sicuramente i primi hanno un modo di comportarsi più sanguigno e genuino, e conservano un’energia primordiale, rispetto ai formali e distaccati autoctoni, sarà la musica a far cadere ogni barriera.

Nei suoi film si trovano spesso dei gitani, dai quali il regista è affascinato in quanto è un popolo ricco di qualità, si comporta e vive in modo differente dagli altri, è un popolo libero, errante, e in questo il regista si è identificato, un popolo errante come gli ebrei.

Un aspetto fondamentale descritto è il contravvenire alle regole. Il regista mostra come, in alcuni momenti della vita, infrangere le regole sia necessario per andare avanti e per dimostrare il proprio valore. Certo la vita è fatta di regole da rispettare, ma a volte l’eccezione mette in luce ciò che stava in ombra per cause altrui, come per i protagonisti de Il Concerto, dotati di una bravura estrema, che riescono, grazie a un sotterfugio, a mostrare al mondo la bellezza della loro musica. Un monito per non lasciarsi andare mai.
Per ciò che riguarda le riprese sono state effettuate in Romania, dove è stata ricostruita la parte russa del film. A Mosca si sono potuti girare solo alcuni esterni della città e della Piazza Rossa.
A Parigi si sono fatte le riprese degli interni, il Théâtre du Châtelet è stato messo a disposizione del regista e della troupe.

Il Concerto è un film straordinariamente emozionante, la sequenza finale è strepitosa, per il crescendo emozionale, per la sapienza con cui è stato dato risalto a ogni singolo strumento nel momento più opportuno, risultando drammaticamente efficace. Inoltre l’inserimento di alcuni frammenti che facevano chiarezza sul passato, con la musica che proseguiva il suo arco, dà un tocco in più. Tutto ha contribuito a renderlo perfetto, tanto da innalzare lo spirito. Radu Mihaileanu ha realizzato un’opera sincera, realistica, e con una componente poetica, il cineasta possiede la capacità di costruire un’emozione che giunge fino alle corde più profonde dello spettatore. ( Fonte: cinemalia.it)

Autore della recensione: Francesca Caruso

Redazioneonline- Cinema e Spettacoli

 
By Admin (from 30/07/2010 @ 11:49:18, in it - Video Alerta, read 1946 times)

Alcuni fumetti riescono a raccontare la realtà di un paese meglio di qualsiasi saggio o romanzo. Č il caso, secondo il Guardian, del manga La leggenda di Koizumi, da cui è nato un cartone animato che sta per essere diffuso anche in occidente.

Il manga, disegnato da Hideki Owada, ha per protagonista Junichiro Koizumi, primo ministro giapponese tra il 2001 e il 2006. In questa trasposizione fantascientifica e ironica della politica giapponese, Koizumi viene presentato da Owada come l’ultimo eroe giapponese. Il primo ministro risolve alla maniera dei grandi supereroi occidentali le grandi controversie planetarie affrontando e sconfiggendo, grazie a tecniche mahjong, personaggi come il corrotto Kim Jong-Il e “Papa Bush”.

Il successo, anche internazionale, di questo manga, sta nella sua capacità unica di raccontare la cultura e la mentalità nipponiche meglio di qualsiasi romanzo giapponese contemporaneo. Č la dimostrazione delle capacità espressive dei manga.

Nella Laggenda di Koizumi c’è molto del Giappone di oggi: la convinzione che la politica non sia altro che un gioco tra ego in lotta tra di loro; o come anche il complesso di inferiorità dei giapponesi nei confronti del resto del mondo e il forte nazionalismo della popolazione.

“Ma non solo: per vincere, Koizumi non si fa problemi a barare. Proprio come il paese che rappresenta, piccolo e sprovvisto di risorse naturali ma capace di comunque di sopraffare le grandi potenze”. Ma soprattutto, questo manga testimonia il senso di tristezza che pervade oggi il Giappone e la volontà dei suoi cittadini di trovare un nuovo supereroe al quale aggrapparsi. ( Fonte: www.internazionale.it)

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