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Il futuro dietro di noi.
By Admin (from 11/02/2011 @ 12:00:18, in it - Scienze e Societa, read 1801 times)

Ogni cambiamento è stato immaginato, previsto, vagliato e analizzato così a fondo che quando finalmente si realizza ci sembra già vecchio. Ma lo sterminato elenco di scoperte scientifiche e tecnologiche redatto nel secolo scorso sta per esaurirsi. Il nuovo elenco è molto più breve. La scienza di ieri era piena di intuizioni di ciò che sarebbe accaduto, ma quella di oggi forse va più in fretta dei pronostici.

 

Quasi ogni giorno basta aprire il giornale o accendere la televisione per vivere un’esperienza sempre più comune: l’arrivo del futuro, ormai noiosamente familiare. Viviamo in un mondo iperanticipato, in cui quasi ogni cambiamento scientifico o tecnico, ogni tendenza sociale in evoluzione è stata già studiata, sermonizzata, romanzata e perfino parodiata in vignette e pubblicità prima ancora di manifestarsi.

 

In quest’ultimo batter d’occhio, abbiamo visto non solo la storia della clonazione di Dolly, ma anche le notizie sulle proposte di estendere e internazionalizzare le intercettazioni telefoniche e sulla diffusione della sorveglianza video nelle città. Tutte e tre vengono presentate mettendone bene in luce le sinistre implicazioni, discusse da molti anni. A quanto pare, i nostri futuri “io” replicanti non potranno parlare fra loro senza essere spiati e sorvegliati dagli altri replicanti, che certamente dovranno essere stati clonati più e più volte per tenere d’occhio, anche se con l’aiuto dei computer, tanti anni luce di registrazioni audio e video.

 

Quando ha scritto il saggio Scoperta del futuro, nel 1904, H.G. Wells ha compiuto un’impresa pionieristica. Nonostante ci fosse già un vasto patrimonio di speculazione e di narrativa futuristica, a quel tempo la maggior parte delle persone non aveva in mente un elenco di cose agghiaccianti e moralmente difficili che sarebbero successe o sarebbero state inventate e che bisognava soltanto aspettare. Alla fine dello stesso secolo, siamo talmente ben informati su ciò che sta per arrivare che a volte lo confondiamo con ciò che è già passato. La clonazione umana ha cominciato a essere descritta nei libri di divulgazione scientifica e nella fantascienza circa cinquant’anni fa.

 

C’è stato un particolare aumento dopo gli esperimenti sulla clonazione delle piante dei primi anni Sessanta. Ha costituito l’argomento di romanzi e racconti di fantascienza, compresi molti scritti da donne che esploravano la possibilità di società senza uomini, e un paio scritti da uomini che studiavano la possibilità di società senza donne. Uno dei primi commenti scherzosi su Dolly è stato quello della dottoressa Ursula Goodenough, una scienziata americana la quale ha detto che “tanto per cominciare, con la clonazione non ci sarà più alcun bisogno di uomini”.

 

Ciò illustra come il fenomeno della superanticipazione significhi che quando reagiamo a novità e scoperte, lo facciamo trascinandoci dietro un grosso bagaglio di idee, pregiudizi e paure. Spesso le paure hanno a che vedere con le idee dell’epoca in cui la scoperta o l’invenzione è stata pronosticata per la prima volta, più che con il nostro tempo. O forse rispecchiano un momento successivo, quando la scoperta ancora non scoperta è stata scaraventata al centro di un altro dibattito, come alcune scrittrici di fantascienza hanno fatto con la clonazione. In altre parole, c’è una grande familiarità con il futuro, ma si tratta di una familiarità curiosamente superata.

 

Gli Stati Uniti danno prova di un appetito particolarmente vorace per i dilemmi morali, nonché di una notevole inclinazione a dare per scontato che qualsiasi conquista scientifica interessante, ovunque abbia luogo, sia, per qualche aspetto essenziale, americana. L’Abc News ha fatto un sondaggio fra gli americani e ha scoperto che l’87 per cento è contrario alla clonazione di esseri umani. Non sono questi che ci danno da pensare, ma il 6 per cento di persone disposte a farsi clonare. Sia la maggioranza che la minoranza reagiscono ancora prevalentemente in termini di fantasie piuttosto che di realtà: nella loro mente proliferano soldati replicanti come denti di drago, oppure il pensiero di un paio di “io” di ricambio tenuti in una cella frigorifera.

 

Anche rispetto a conquiste che già risalgono a un po’ di tempo fa, come i trapianti d’organo, le fantasie tengono ancora banco. Quelle sugli esseri umani potenziati da pezzi di ricambio umani, animali o, in particolare, robotici continuano ad alimentare spettacoli cinematografici e televisivi. Poi c’è l’idea di un colossale commercio mondiale di organi umani, notizia che si è diffusa a velocità straordinaria in alcuni paesi poveri. È una sciocchezza, ma indubbiamente è una metafora potente del loro sfruttamento da parte del Primo mondo.

Le ombre di Frankenstein

Rientrano in questa antiquata tradizione le reazioni secondo cui ogni scoperta nel settore delle biotecnologie non è che un nuovo incubo propinatoci da scienziati pazzi, e ogni uso di nuove apparecchiature da parte delle autorità non è che l’ennesimo passo in direzione di una tirannide tecnicamente perfetta. Ciò non significa che le novità scientifiche non comportino pericoli, ma spesso non si tratta dei pericoli cui si pensava. Nel caso della clonazione, i timorosi forse trascurano il fatto che gli stessi progressi scientifici che la rendono possibile si sono verificati nel contesto della crescente consapevolezza che il sesso è il metodo più efficace per perpetuare la nostra specie e le altre specie animali da cui dipende la nostra vita.

 

Per dirla con un’espressione un po’ fuori moda, clonare non è naturale. La moralità non è in sostanziale conflitto con la scienza. Il sapere sulla clonazione e il sapere sulla diversità vanno di pari passo. Il teologo che afferma che la clonazione rientra in un “tentativo di diventare i creatori di noi stessi” è fuori strada, se analizzando la natura della clonazione dimostra che non possiamo essere i nostri creatori, a differenza di come crede la maggior parte degli scienziati. Le ombre di Frankenstein ostacolano il dibattito etico, che è indubbiamente necessario. E tendono a concentrarsi sulle applicazioni più estreme – quegli incubi che ci sono ben noti da molti anni di anticipazione – anziché sugli aspetti pratici di quel che è immediatamente possibile, commercialmente interessante o criminalmente sfruttabile. Ciò facendo ignorano spesso la determinazione delle persone nell’ottenere ciò che sanno possibile. Tali esigenze possono a volte essere espressione di autocompiacimento e di indifferenza nei confronti della vita. Ma, come ha sostenuto lo scienziato tedesco Ulrich Beck, è l’intera società che deve fare le sue scelte in fatto di rischi, compresi i rischi scientifici. Queste scelte non devono più essere il risultato quasi accidentale di decisioni prese su basi ristrette ristrette da uomini politici, scienziati e industriali, e poi messe in discussione su basi altrettanto ristrette da cittadini ossessionati dal problema dei diritti. La proposta del Nobel James Rotblat, che vorrebbe una commissione etica internazionale sulle biotecnologie, andrebbe accolta, ma potrebbe funzionare efficacemente soltanto come superstruttura che vincola delle società informate. Si può sostenere che il progresso scientifico ci pone di fronte a un maggior numero di scelte, ma in un contesto che consente meno scelte. Sono possibili più cose, ma si sa anche di più su ciò che è saggio e ciò che è sciocco. Forse è questo che ignoriamo dopo il nostro lungo apprendistato di simili problemi.

 

Nel suo saggio Daedalus, scritto nel 1924, J.B.S. Haldane parlava del futuro, del giorno in cui finalmente bambini selezionati in base a criteri eugenetici sarebbero stati allevati in uteri artificiali. Nel Mondo nuovo, Aldous Huxley ha trasformato questo concetto in fiction, e in seguito molti altri scrittori hanno fatto altrettanto. Il guaio di questo processo di preparazione è che impone le idee scientifiche e le esplorazioni morali di un’epoca precedente, almeno per quanto riguarda il dibattito non specialistico. Ma forse quei giorni stanno per finire.

 

Uno degli aspetti più interessanti dell’attuale periodo, così fruttuoso sul piano scientifico, è che siamo quasi arrivati in fondo allo sterminato elenco di scoperte scientifiche previste alla fine del secolo scorso, e il nuovo elenco (quello delle cose che stiamo prevedendo ora) è molto più breve. La scienza di allora era piena di intuizioni di ciò che sarebbe accaduto, ma quella dei giorni nostri forse va talmente in fretta che deve ancora produrre una serie completa di pronostici. Questo potrebbe consentirci di arrivare al futuro senza tanti pregiudizi. Potremmo addirittura farlo, come ha immaginato lo scrittore di fantascienza James Blish, dopo essere stati “ristretti” per mezzo di manipolazioni genetiche e riprogettati per vivere in piccoli specchi d’acqua. Gran bella idea, no?

Autore: Martin Woollacott - Traduzione: A. M.

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