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 Trilingual World Observatory: italiano, english, română. GLOBAL NEWS & more... di Redazione
   
 
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

As the government runs out of fiat currency, it grows more fearful of the people. Freedomain Radio is the largest and most popular philosophy show on the web - http://www.freedomainradio.com

Molyneux speaking at Drexel University

Barack Obama has abandoned a commitment to veto a new security law that allows the military to indefinitely detain without trial American terrorism suspects arrested on US soil who could then be shipped to Guantánamo Bay.

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These particles, called antineutrinos, suggest that about half of Earth's heat comes from the radioactive decay of uranium and thorium – and give clues to the location of geological stashes of these elements.

Heat is needed to drive the convection currents in Earth's outer core that create its magnetic field. But exactly how much of this heat comes from radioactive decay wasn't known until now.

In 2005, researchers from the international KamLAND collaboration used a detector buried in Japan to measure antineutrinos that are produced when elements decay, allowing a rough estimate.

Chemical window

Now they have enough data – 111 geological antineutrinos to be precise – to refine their measurement, suggesting that about 20 terawatts of heat come from radioactive decay. Earth's total heat production is about 40 terawatts.

The researchers also had enough neutrinos to confirm that some must be coming from places other than the crust, something that wasn't possible before. "The uncertainty is small enough that some contribution must be from the mantle," says Giorgio Gratta, a physicist at Stanford University in California who is part of the KamLAND collaboration.

The ability to determine the location of the radioactive elements could permit better models of the Earth's interior, says Gratta. Seismic waves tell us about elasticity of the crust and mantle: now we have a small window into their chemistry, which should allow their behaviour to be better modelled. The presence of radioactive elements in the mantle, for example, could affect its flow.

There's still some uncertainly in the new measurement, because detections of antineutrinos are so infrequent. Larger detectors would help improve the measurements and might even be used to monitor undeclared nuclear facilities from afar, says Gratta.

Source: New Scientist

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Lo dice la Corte di Giustizia dell’Unione europea esprimendosi sul caso del neurologo tedesco Oliver Brústle. Nel 1997, il ricercatore di Bonn aveva depositato in Germania, presso l’Ufficio competente di Monaco di Baviera, un brevetto su un trattamento per la cura delle patologie neuronali basato sull’uso di cellule staminali provenienti da embrioni all’inizio dello sviluppo, a circa 5 giorni dalla fecondazione (il cosiddetto stadio di blastocisti).

Detail-stem cell

Il brevetto dava a Brústle l’esclusiva sulle cellule progenitrici dei neuroni, sulle tecniche necessarie alla loro produzione a partire da cellule staminali embrionali e sul loro uso per il trattamento di malattie neurodegenerative. Sollecitato dalle pressioni di Greenpeace, l’Ufficio brevetti tedesco aveva annullato la registrazione motivando la decisione in questo modo: per ottenere le cellule progenitrici dei neuroni bisognava eliminare embrioni umani. Il ricercatore aveva allora fatto ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che non aveva senso parlare di blastocisti in quanto embrione.

La Corte, dal canto suo, ha rigirato la questione direttamente alla Corte di Giustizia della Ue, chiamata a rispondere alla domanda: come interpretare la definizione giuridica di embrione umano? Ora l’Unione europea ha risposto in modo molto chiaro: “sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”. Non solo: “deve essere riconosciuta questa qualificazione di embrione umano anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi”. Quindi, sono embrioni tutte le cellule uovo che abbiano appena iniziato a dividersi, siano esse fecondate oppure no.

Ma cosa comporta, in concreto, la sentenza dell’Unione europea? Lo chiediamo a Elena Cattaneo, docente all’Università di Milano ed esperta di cellule staminali neuronali.

Come giudica il parere della Giustizia europea in merito al caso Brústle?

“Si tratta di una sentenza devastante che, oltre a cancellare la richiesta di brevetto del ricercatore tedesco, ne annulla in un colpo solo altre 200 in attesa di giudizio, soprattutto da parte di ricercatori inglesi e svedesi”.

Addirittura devastante?

“Negando a un ricercatore la possibilità di brevettare i risultati del suo lavoro, neghiamo alla società il diritto di progredire. I brevetti non sono una forma di arricchimento personale, ma sociale, perché solo tutelando la proprietà intellettuale uno scienziato o un’accademia riesce ad attirare i finanziamenti necessari per portare avanti la ricerca. Mi spiega perché un’industria farmaceutica dovrebbe investire nella ricerca se nessuno ne tutela il prodotto finale? È come se la Fiat investisse tempo e denaro nella realizzazione di un nuovo modello e poi, senza registrarne la proprietà, lo mandasse in giro per il mondo così che tutti lo possano copiare”.

In altre parole, nessun brevetto significa un freno alla ricerca.

“Esatto, e voglio sottolineare anche un altro aspetto. Il brevetto è una garanzia di trasparenza dei risultati raggiunti. Se non posso più brevettare la mia scoperta, perché mai dovrei renderla pubblica? La terrò per me. E in questo modo impoverirò tutta la ricerca, perché i miei risultati potrebbero essere una spinta a nuove scoperte”.

Cosa potrebbe succedere in Europa dopo il pronunciamento della Ue?

“Temo una forte battuta d’arresto nel campo degli studi sulle staminali. La sentenza non fa altro che uccidere la competitività della ricerca europea. Magari arriveremo comunque a sviluppare farmaci dalle staminali, ma con molto ritardo e spendendo molto di più perché dovremmo importarli dall’estero, magari dall’Asia o dagli Stati Uniti. E bisognerà spiegare alla gente, ai malati, perché ci abbiamo messo così tanto tempo”.

Via Wired.it  - galileonet.it

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Cimpanzei

Dar mai este o adevarata problema pentru teorie. Pâna la cazul SV40 au fost utilizate maimute asiatice, corect? Dupa care s-a trecut la utilizarea maimutelor verzi africane. În unele cazuri rare au fost folositi babuinii. Însa stramosii lui HIV-1 si HIV-2 se gasesc în cimpanzei si în maimutele mangabey, care nu s-au utilizat niciodata la producerea vaccinurilor. Deci teoria nu este adevarata. Punct.

Dar suntem siguri ca cimpanzeii si maimutele mangabey nu au fost vreodata uzate? Sabin, de exemplu, a fost întotdeauna explicit, specificând întotdeauna specia de maimuta folosita. Koprowski... În articolele sale din acea epoca, Koprowski nu precizeaza niciodata tipul de maimuta utilizat.

Nimeni nu l-a întrebat pe Koprowski ce tip de maimuta a utilizat? Koprowski a schimbat trei versiuni: maimute indiane, maimute verzi africane, maimute filipineze. “Documentele laboratorului s-au ratacit când au fost mutate”, textuale cuvinte ale lui Koprowski. S-ar fi putut folosi cu adevarat cimpanzei la producerea vaccinului Koprowski?

Si aici avem o alta lovitura de teatru: Curtis, ca si Pascal, au subliniat existenta în 1958 a unei mari colonii de cimpanzei în Congo belgian. Hooper descopera din diferite surse ca în acea colonie fusesera adunati mai bine de 400 de cimpanzei: cea mai mare colonie de cimpanzei creata în lume, la completa dispozitie a  Dr. Koprowski. Pentru a produce vaccinul antipolio? Oficial pentru a testa vaccinul sau pe cimpanzei, test absolut inutil (dar nu vom contempla aspectul drepturilor animalelor: în acea epoca nu se respectau drepturile africanilor, sa ne imaginam cele ale animalelor). Numarul lor este oricum disproportionat.

Într-un document se precizeaza ca rinichi de cimpanzei au fost expediati catre Statele Unite, pentru a produce culturi de tesut din rinichi de cimpanzeu, însa pentru o alta cercetare, despre hepatita. Deci fusesera deja uzate culturi de rinichi de cimpanzeu. Dar care ar fi fost motivele pentru a nu le utiliza si în producerea de vaccin antipolio? Daca am întreba un oarecare virolog din acea epoca va spune: pretul. Era mai scump sa obtii rinichi de cimpanzeu decât rinichii  maimutelor inferioare. Dar daca am la dispozitie 400 de cimpanzei!

Pascal ipotiza chiar ca numele vaccinului, CHAT, ar putea semnifica “CHimpanzee ATtenuated”…

Experimentari în Africa

De acord. Admitem acum ca teoria vaccinului oral antipolio este adevarata: s-a gasit o explicatie pentru epidemia de HIV-1. Dar cum se explica epidemia de HIV-2? Pai, Koprowski nu era chiar unicul care îsi testa vaccinurile în Africa. Într-un test efectuat în Maroc în 1953 aproape sase mii de copii au fost vaccinati cu un presupus vaccin antipolio care dupa doi ani s-a aratat a fi un virus parazit al iepurilor, din fericire inofensiv la om.

Mai era si Pierre Lépine, de la Institutul Pasteur, care facea experimente. Unul a fost înregistrat la Mitzic în 1957. Unde se gaseste Mitzic? În Serbia? Nu, se gaseste în Gabon. Doua mii de persoane au fost vaccinate în câteva zile si singura referinta la test din literatura stiintifica sunt doua rânduri la sfârsitul unui articol ce vorbeste despre altceva.

Uite ca în 1994 în regiunea Gabon se descopera existenta unei alte epidemii de SIDA, independenta de HIV-1 si de HIV-2. HIV-3? Nu, pentru ca la o analiza mai profunda se descopera ca acest nou virus apartine totusi familiei de SIV a cimpanzeilor, deci este putin asemanator cu HIV-1 normal, acela regasit în toata lumea. Dar un lucru este clar: este vorba de un pasaj independent de la cimpanzei la om.

Prima urma la om a acestei versiuni particulare de HIV-1 este datata 1962, prin cazul marinarului norvegian. Dar nu era din Manchester marinarul? Nu acel marinar, altul! Un alt marinar care a fost în Camerun între 1961 si 1962, care a contractat HIV, l-a transmis sotiei si fiicei si toata familia a murit de SIDA în 1976. Sângele a fost conservat si în 1997 s-a descoperit ca virusul marinarului norvegian era tocmai acest HIV-1.

Dar tinând cont ca primele cazuri de HIV-2 se înregistreaza printre câtiva veterani portughezi, care luptasera în Africa pe la jumatatea anilor saizeci, nu este posibil ca portughezii sa lucreze la dezvoltarea unei versiuni proprii a vaccinului în Africa Occidentala, utilizând de exemplu maimute mangabey?

Originea Răului - Istoria unei controversate teorii despre originea SIDA. Un documentar teatral de Christian Biasco - Traducerea si adaptarea: Radu Trofin

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The tiny, hollow structure acts as a cage, capable of encapsulating a surprising variety of ions and molecules without falling apart. It also aids the creation of substances that won't otherwise form.

 

Michael Ward of New York University, and colleagues, built their cage, which has eight hexagonal and six square faces, by blending two types of carefully-designed molecular "tiles", one made of chemical groups known as guanidiniums, the other ringed by sulfonate groups. These assembled into the truncated octahedron by forming 72 hydrogen bonds.

Stable cage

The negatively charged cage has encapsulated negative ions as well as positive ones, and neutral molecules. Usually a charged entity would only trap oppositely charged ions, says Ward.

By adding reactants to the tile mixture while the cages were forming, the team also created three metal "complexes" – containing bismuth, lead and mercury – that had never been seen before, inside the cages. The cages can be made to dissolve under mild conditions, so could be used to build and then release such substances. Often the contents of such a cage alters its structure. "But this particular system always finds its way to this same framework," says Ward.

"The result is fascinating," says Achim Müller of the University of Bielefeld in Germany. He is impressed that the team managed to create the truncated octahedron as it can be tough to predict the shape of such a structure ahead of time.

Source: NewScientist

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The steel for each part of the car has been carefully selected and optimised. It is important, for example, that all parts are as light as possible because of the fuel consumption, whereas other parts of the car have to be super strong in order to protect passengers in a collision.

Super strong nanostructured metals are now entering the scene, aimed at making cars even lighter, enabling them to stand collisions in a better way without fatal consequences for the passengers. Research into this field is being conducted worldwide. Recently, a young PhD student from the Materials Research Division at Risø DTU took research a step further by discovering a new phenomenon. The new discovery could speed up the practical application of strong nanometals and has been published in the highly esteemed journal "Proceedings of the Royal Society" in London in the form of a paper of approx. 30 pages written by three authors from Risø DTU.

The research task of the young student, Tianbo Yu, is to determine the stability in new nanostructured metals, which are indeed very strong, but also tend to become softer, even at low temperatures. This is due to the fact that microscopic metal grains of nanostructured metals are not stable - a problem of which Tianbo Yu's discovery now provides an explanation.

The fine structure consists of many small metal grains. The boundaries between these metal grains can move, also at room temperature. At the same time a coarsening of the structure takes place and the strength of the nanometal is consequently weakened. Tianbo Yu's has now shown that the boundaries of the grains can be locked, when small particles are present and that the solution is technologically feasible. This has paved the way for car components to be made of nanometals.

"We are cooperating with a Danish company and also a Danish consulting engineering company with the purpose of developing light and strong aluminium materials with a view to their application in light vehicles where especially deformation at high rate as in a collision is in focus. The new findings will be included in this work," says Dorte Juul Jensen, head of division and Dr. Techn. She is happy that the excellent findings also have practical applications.

Tianbo Yu comes from Tsinghua University in Beijing – a leading university within technical scientific research. His studies in Denmark have been financed by the Danish National Research Foundation, which also supports a Danish-Chinese basic research centre in the Materials Research Division, where Tianbo Yu is now employed.
Tianbo Yu is a dedicated and talented researcher, who wishes to pursue a research career in Denmark. His wife is a student at RU (Roskilde University) and along with their studies, they both have decided to put a lot of effort into learning Danish; and they have become good at it. – All in all, a success for science as well as globalisation.

Smaller metal grains result in stronger metals

Nanometals contain very small metal grains - from 10 to 1,000 nanometers. One nanometer is a millionth of a millimetre. The smaller the metal grains become, the stronger the metal becomes. The metal becomes twice as strong, for example, if the individual metal grains are made four times smaller. That is why the materials scientists work to reduce the size of the individual metal grains. In steel and aluminium, the particles have been reduced to below 1 micrometre, which is one thousandth of a millimetre. There is a great interest in nanometals worldwide. Nanometals are super strong and their super strength can be combined with other desired properties, too.

A good example of a super strong nanometal is the thin steel wires used in grand pianos and for strengthening lorry tyres and containers, which have to withstand an extremely high pressure. Actually, they have been known for many years, but now they have become the subject of scientists' renewed and strong interest.

Scientists are not only interested in the size of the metal grains. The interfaces between the individual metal grains are also important to a number of properties. A special type of grain boundaries, so-called twin boundaries, provides both strength and good electrical conductivity. This paves the way for producing thinner wires, thereby reducing material consumption.

Source: PhysOrg

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Su di un tale scenario, la parte da protagonista se la sono accaparrata le banche (d’affari e non) che, con sagaci scelte, hanno dato vita alle diverse “bolle” speculative, le hanno portate al loro massimo sviluppo per poi determinarne la crisi. Giunti a questo punto, di solito, parte la fase gestionale che vede la comparsa sulla scena delle varie istituzioni internazionali e nazionali preposte alle operazioni di salvataggio, le quali si prodigano, più o meno malamente, nel tentativo di far sopravvivere le banche più deboli (in nessun caso i soggetti colpiti), magari favorendo la cannibalizzazione di quelle ritenute inidonee alla sopravvivenza.

Ovviamente è una partita complessa di cui, usualmente, riusciamo a vedere solo piccoli spezzoni che non ci consentono di comprendere fino in fondo quello che sta accadendo e, soprattutto, il prezzo che saremo chiamati a pagare, che non sarà mai solo un prezzo economico.
In tal senso mi sembra particolarmente edificante un aspetto dell’attuale crisi, sino ad oggi completamente ignorato dai media, e costituito da un’altra “bolla” in via di dilatazione, quella alimentare. Non è sicuramente cosa di poco conto poiché giunge a toccare direttamente un aspetto fondamentale della vita qual è l’alimentazione; eppure, a parte qualche rara notizia, neppure su Internet si riescono a trovare informazioni adeguate che ci consentano per lo meno di intravedere le conseguenze e i prezzi da pagare nel breve periodo. Per trovare qualcosa diviene così necessario ricorrere a giornali / riviste specializzate o, se si preferisce, di parte / schierati, quali The Ecologist che presenta un panorama abbastanza ampio sull’attuale situazione e sulle prime ripercussioni che si stanno palesando soprattutto nei paesi più poveri.

Sembrerebbe che tutto abbia avuto inizio negli anni ’90, quando grandi investitori statunitensi (fondi di investimento e pensionistici) chiesero alla più grande banca d’affari del mondo in quale aree fosse ancora possibile effettuare investimenti altamente remunerativi e ragionevolmente sicuri: l’indagine condotta individuò nel comparto agroalimentare uno dei terreni più promettenti. Ovviamente non si trattava di investimenti nel senso intuitivo del termine, quanto operazioni rivolte a lucrare sui prezzi futuri delle derrate alimentari, erano dunque transazioni già ampiamente praticate e conosciute, ma sino ad allora riservate alle parti in causa quali gli agricoltori e i trasformatori delle derrate: in altri termini iniziò un processo che potremmo definire di finanziarizzazione della produzione alimentare che, volendo,  potrebbe essere considerato l’ultimo passo di quel processo di trasformazione a cui si è trovato sottoposto il mondo agricolo che, appena agli inizi del Novecento, era entrato, per lo meno nel mondo occidentale, nella sua fase industriale (grandi investimenti finanziari, meccanizzazione diffusa, uso intensivo di fitofarmaci, sfruttamento estremo delle risorse naturali disponibili). Necessariamente, le conseguenze immediate di tali sviluppi sono state la messa in opera di prassi rigidamente speculative volte a garantire la massimizzazione degli utili dell’investitore: del resto si tratta delle stesse, identiche, azioni che hanno portato alle crisi sopra richiamate. Anche i risultati sono stati quelli attesi, nel senso che sono partite le oscillazioni dei prezzi che ottimizzano il guadagno dell’investitore e determinano l’impoverimento del soggetto chiamato a pagare il conto; la situazione rapidamente è divenuta tale da richiamare l’attenzione degli osservatori più attenti e quindi stimolare una qualche blanda reazione, nella parte ricca del mondo (G20), ossia in quella in cui, in questo momento, affluiscono i guadagni.

Sul The Ecologist  (settembre 2011) è invece apparso qualche cosa di più concreto, un invito ai correntisti della Barclays affinché intimino alla loro banca di cessare le speculazioni, pena la chiusura del proprio conto; tutto questo mentre si è venuta costituendo un’iniziativa mirata (World Development Movement) intesa a opporsi sistematicamente a tali speculazioni attivando le opportune azioni di stimolo presso il grande pubblico.

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Indipendentemente dal giudizio che si può dare su tali azioni e strategie, mi sembra importante richiamare l’attenzione sul fatto che la speculazione sulle derrate alimentari completa un quadro che vede il dispiegarsi di una campagna aggressiva, complessa e articolata, che prevede inoltre vaste operazioni di land grabbing, ossia l’acquisizione di enormi appezzamenti di terra nei paesi più poveri del pianeta da usarsi a seconda delle richieste del mercato (vedi il caso dei biocombustibili); il quadro può essere arricchito mettendo nel novero la sistematica speculazione sulle materie prime (in tal senso basti guardare l’andamento del prezzo dei carburanti) e, volendo, le recenti iniziative nel nostro paese per privatizzare la gestione dei servizi idrici. Si tratta di un insieme di azioni rivolte a trasformare aspetti essenziali della vita in “opzioni” trattabili in borsa o in asset di bilancio, ossia a smaterializzare la realtà quotidiana consentendone il facile abuso; e mentre futures vengono trattati in Borsa, nella realtà si vengono a maneggiare e degradare, in maniera immediata, porzioni sempre più ampie della biosfera di cui siamo parte integrante.

Lo schema che si ripete sotto i nostri occhi è quello di sempre, che parte dall’individuazione del “giacimento”, cui segue la messa in essere delle tecniche di sfruttamento più avanzate, con in più oggi l’azione fornita dalla leva della speculazione a livello mondiale che si preoccupa di gonfiare incessantemente i prezzi, fino all’inevitabile crollo, e all’altrettanto inevitabile richiesta alla popolazione dei paesi ricchi (quella dei paesi poveri non potendo fornire altro che la propria, svalutata, manodopera) di ricapitalizzare le banche che non sono riuscite ad entrare nel novero delle migliori. Come credo evidente, non si tratta solo di fronteggiare un innalzamento delle tasse, o di assistere alla riduzione dei finanziamenti della scuola, ma di acconsentire a un impoverimento complessivo della vita, di un degrado del nostro habitat a cui non possiamo sperare di sfuggire.

Autore: Roberto Mussapi (Roberto Mussapi è dirigente tecnologo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)) - Fonte: galileonet.it

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Cercetarile lui Hooper

Înainte de toate este Hooper cel ce descopera ca marinarul din Manchester nici macar nu a fost în Africa, ci locul cel mai  îndepartat în care a ajuns a fost strâmtoarea Gibraltar.

Mai târziu reuseste sa descopere ca operatiunile de vaccinare au cuprins un numar mult mai ridicat de persoane. Nu 300'000 de persoane, precum descoperit de Curtis, ci mai bine de un milion de persoane au fost vaccinate între 1957 si 1960 în 28 de campanii diferite între Congo, Rwanda si Burundi.

Hooper cerceteaza în diferite arhive din jurul lumii. Însa în arhiva Ministerului Afacerilor Externe din Bruxelles, care ar trebui sa contina documentatia administratiei coloniale din Congo belgian, dosarele dintre octombrie 1956 si iulie 1958, lipsesc. Dintre documentele succesive celor lipsa din arhiva, o parte din corespondenta dintre Belgia si responsabilii sanitari din Congo priveste în mod straniu siguranta vaccinului Koprowski, tinând cont ca se dezvolta des mici epidemii de poliomielita succesive vaccinarilor. Câteva dintre aceste rezerve sunt chiar publicate în revistele stiintifice ale epocii.

Si ce sa mai spunem de Organizatia Mondiala a Sanatatii care în mai multe ocazii a precizat ca nu a oferit nici un consens pentru experimentarea, luând bineînteles distanta. Ba chiar într-un document datat 1958 se afirma ca vaccinarile efectuate în Congo sunt un exemplu clar de cum nu trebuie efectuate experimentarile.

Mai mult, acele vaccinari erau practic inutile pentru ca majoritatea populatiei africane era imunizata în mod natural la nastere. Credeti oare ca autoritatile belgiene din Congo au întrebat fiecare african: “Ma scuzati, acesta este un vaccin experimental, nu suntem cu adevarat siguri ca functioneaza si nu suntem nici macar siguri ca este de încredere. Dumneavoastra probabil nici nu aveti macar nevoie, însa acceptati sa luati parte la acest experiment pentru binele tarilor occidentale?”

Ok, stiu, nu pot face un caz. Pe timpul lui Koprowski, etica experimentarii facea primii sai pasi. Acum aceste lucruri nu se mai întâmpla. Dar atunci de ce în 1985 Koprowski a experimentat în Argentina un vaccin antirabic pe vaci, fara autorizatia autoritatilor competente si fara sa avertizeze taranii si populatia locala care au continuat sa bea laptele acelor vaci? Dar daca intram pe acest subiect ne prinde noaptea si nu va povestesc toata istoria.

Originea Răului - Istoria unei controversate teorii despre originea SIDA. Un documentar teatral de Christian Biasco - Traducerea si adaptarea: Radu Trofin

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Craig Gundersen, a professor of agricultural and consumer economics at Illinois, says food and exercise alone are not to blame for the extent of obesity among children in the United States. Psychosocial factors, such as stressors brought about by uncertainty about the economy, income inequality, and a fraying social safety net also must be considered, he says.

"Energy-in, energy-out is important, but energy imbalance isn't the only thing leading to overweight status among children," said Gundersen, the executive director of the National Soybean Research Laboratory at Illinois. "We also know that people have very different ways of responding to the same amount of food intake and exercise, and one of the factors that may influence how people react to eating and exercise is through the amount of stress they're under."

Gundersen says stressors are particularly prevalent for low-income children, a demographic group that has high rates of obesity in the U.S. and other developed countries.

"As a society, we're always looking for different ways we can address public health issues, whether it's reducing food insecurity or reducing obesity," he said. "Although there have been many different ways to reduce obesity, what we've found is that stress is a leading cause of obesity among children. So if there's any way we can reduce stressors from a policy standpoint, that will also have the effect of reducing obesity."

The calls for trimming the social safety net that are currently in vogue in Washington, D.C., as part of a larger program of government austerity would likely lead to more obesity over time because it places more stress on low-income families, Gundersen says.
"If we cut back on benefits for the Supplemental Nutrition Assistance Program, or otherwise reduce its availability to people, that would increase the amount of stress that low-income families would face, which would then subsequently lead to increases in obesity," he said.

According to Gundersen, programs such as SNAP play a vital role in the social safety net as well as in efforts to end obesity.

"I really cannot stress how great of a program SNAP is," he said. "It's a fantastic program, and I think it can do a lot to help in our fight against obesity as it's currently constructed."

But there have been calls to restrict what SNAP recipients can purchase. For example, New York City recently proposed prohibiting children from purchasing sports drinks with their SNAP benefits. Gundersen views this development as setting a "dangerous precedent."

"Ultimately, placing restrictions on what people can buy only discourage them from participating in the program because it stigmatizes the benefits," he said. "The best way to reduce obesity isn't to introduce more restrictions, but to expand SNAP as it's currently structured."

Since SNAP allows families to purchase more healthy foods that they would otherwise be able to, any further restrictions or cutbacks to the program would have a two-fold effect, Gundersen says.

"Reducing access to SNAP would increase stress, which leads to increases in obesity, but it also means that families wouldn't be able to afford healthy foods and would subsequently have to purchase less healthy foods," he said. "When thinking about these sort of policy considerations, we have to think about who bears the brunt of these cutbacks, because not only could they lead to more obesity, but also to more inequality."

Gundersen says that while many families who are facing tough times may not be eligible for SNAP, which is only available to those below 130 percent of the poverty line, private food assistance networks can also play a key role in helping reduce food-scarcity stress.

"People know that if they're short on funds at the end of the month, they can go to their local food pantry and get some food," he said. "So a lot of people may be ineligible for SNAP but are still facing a very a stressful financial situation. Food banks really help those people, which in turn lowers stress and, by extension, obesity."

As many families face financial hardship as a result of the sluggish economy, Gundersen says that public policymakers need to be aware of the relationship between stressors and childhood obesity, which has only become more pronounced as income-inequality has grown over the last three decades.

"If present trends of income inequality are maintained, and if people are stressed by this – and there is some evidence to suggest that they are, to the extent that it's your position versus others in society, and not your absolute level of income – that, too, could lead to more obesity," Gundersen said.

More information: The study, published in the journal Obesity Reviews, was co-written by Duhita Mahatmya, Steven Garasky and Brenda J. Lohman, all of Iowa State University. The paper, "Linking Psychosocial Stressors and Childhood Obesity," is available online.

Source: MedicalXpress

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In particolare, la partnership riguarda la possibilità di standardizzare le conoscenze che nel corso degli ultimi anni i ricercatori di Telethon hanno acquisito in questo campo per cercare di farne un trattamento disponibile su larga scala. “ Insomma, l’idea è quella di far diventare la terapia genica un farmaco, in modo che tutti quelli che ne hanno bisogno possano riceverlo”, dice Luigi Naldini, direttore dell’Hsr-Tiget, pensando alle ricadute future dei suoi studi.

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Per ora, infatti, con la terapia genica sono stati trattati 14 piccoli pazienti affetti da immunodeficienza Ada Scid, il deficit che rende l’organismo incapace di affrontare qualsiasi infezione, tanto che chi ne è affetto deve vivere in ambienti completamente sterili: un singolo trattamento che gli ha permesso di tornare a svolgere una vita normale. "Al momento stiamo anche sperimentando la sicurezza e l’efficacia della terapia genica nei confronti di due gravi malattie genetiche: la sindrome di Wiskott-Aldrich, rara immunodeficienza, e la leucodistrofia metacromatica, che colpisce invece il sistema nervoso e porta alla perdita progressiva delle capacità cognitive e motorie", spiega ancora Naldini. “A oggi sono sette in totale i bambini trattati: per quanto sia ancora prematuro trarre delle conclusioni - i risultati definitivi li avremo soltanto tra due anni -  i primi dati sono molto incoraggianti. La terapia è risultata priva di effetti collaterali immediati e molto efficiente in termini di trasferimento del gene corretto nell’organismo di questi pazienti”. La rosa di sette malattie a cui stanno lavorando Telethon e Gsk comprende anche la beta talassemia, tra le più diffuse malattie ereditarie del sangue, la leucodistrofia globoide, in cui la mancanza di un enzima porta alla perdita di vista e udito e alla morte entro i primi tre anni di vita, la mucopolisaccaridosi 1, rara malattia ereditaria che nella sua forma più grave porta deformità scheletriche e ritardo psicomotorio, e la granulomatosi cronica, grave patologia del sistema immunitario. Malattie molto diverse fra loro ma accomunate dalla possibilità di essere trattate grazie all’ infusione di cellule staminali ematopoietiche corrette.

Ma come funziona questa particolare terapia genica? La tecnica utilizzata dai ricercatori dell’Istituto Telethon di Milano (Hsr-Tiget) - adottata per la prima volta al mondo da Maria Grazia Roncarolo e Alessandro Aiuti - prevede il prelievo dal midollo osseo del paziente delle cellule staminali ematopoietiche, quelle cioè da cui si generano i vari tipi di cellule del sangue. Queste cellule vengono quindi manipolate in laboratorio e al loro interno viene inserito un vettore virale che contiene il gene terapeutico.
Così corrette, le cellule vengono nuovamente reintrodotte nell’organismo, opportunamente preparato grazie a specifici farmaci per favorirne l’attecchimento. Usare le cellule del paziente, e non quelle di un donatore, vuol dire non andare incontro al rigetto, perché anche se corrette l’organismo riconosce quelle cellule come proprie, e non le attacca.

Spesso, parlando di terapia genica si è posto l’accento sul problema della sicurezza: il virus usato per traghettare il gene può andare ad attivare anche altri geni coinvolti nello sviluppo di alcune forme di cancro. Il gruppo dell’Hsr-Tiget usa ormai da alcuni anni dei virus, i lentivirus, con un profilo di sicurezza maggiore: “ una volta espletata la loro funzione, questi virus vanno in quiescenza e anche se capitano vicino a degli oncogeni raramente li innescano”, spiega Naldini. Peraltro lo studio del comportamento dei vettori virali è uno dei punti oggetto del finanziamento di Gsk: “vogliamo aumentarne l’efficacia e la sicurezza e sviluppare un approccio rivoluzionario che di permetterà di riscrivere  il genoma e correggere direttamente le mutazioni causa di malattia nelle cellule dei pazienti, ripristinandone così tutte le funzioni”, sottolinea Naldini.

Il profilo di sicurezza è infatti un punto chiave per rendere di routine quello che oggi è un trattamento speciale. L’obiettivo della partnership, quindi, ha per obiettivo quello di individuare le procedure per poter produrre in futuro i vettori virali su scala industriale, standardizzare le tecniche di manipolazione delle cellule in laboratorio, rendere i protocolli sicuri. “Per esempio, vogliamo capire se possiamo congelare le cellule del paziente in modo da poterle manipolare in un laboratorio anche diverso da quello dell’ospedale che ha in cura il paziente”, va avanti il direttore dell’Hsr-Tiget. “In questo modo la procedura sarebbe centralizzata e quindi più sicura, e il malato dovrebbe andare in ospedale solo al momento della re infusione”.

Via Wired.it

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