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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 

Tra ieri (sui siti) e oggi (sulle copie cartacee) è diventato «un caso» il menù di Camera e Senato a prezzi ridottissimi la cui pubblicazione risale a un pezzo del 25 luglio scorso dell’Espresso. Come mai, mi sono chiesto, la polemica è scoppiata ‘a reti unificate’ a tre settimane di distanza? 

La giustificazione ufficiale è l’improvvisa e coordinata presa di coscienza di una fantomatica «rivolta sul web» (Il Fatto) a base di «insulti, sfottò, rabbia» (Libero). Che di certo ci sono stati ma, a meno che non sia stato particolarmente disattento, ben più all’uscita dell’articolo che nelle ultime ore. Niente che spieghi, insomma, le paginate odierne sul Corriere, su Repubblica, sulla Stampa, ovunque. Che infatti sono straordinariamente povere di dettagli su luoghi e modi della presunta «rivolta».

Poi mi è venuto il solito dubbio. E, scartabellando nell’archivio dell’Ansa, ho trovato questa agenzia delle 19.46 del 11 agosto:

(ANSA) – ROMA, 11 AGO – Le istituzioni dilagano su internet e non esattamente per raccogliere un consenso diffuso sulla manovra anti crisi. In concomitanza con la seduta di stamane delle 4 commissioni parlamentari per le comunicazione di Tremonti,il popolo del web ha fatto una scoperta “culinaria”: qualcuno ha trafugatomaterialmente un menù del ristorante dei senatori e lo ha pubblicato tal quale. Un enorme successo mediatico. Chi ha la possibilità di frequentare la “mensa” di palazzo Madama sa bene che non si tratta di un falso. Il documento è stato sfilato da uno dei tanti menù distribuiti ai “clienti” e custodito in una cartellina rigida in pelle blu. La sua attendibilità è quindi fuori discussione. Compresi i prezzi. Un pasto medio costa poco più di dieci euro. L’iva non viene applicata perché, come in tutti gli esercizi interni alle aziende private o alla pubblica amministrazione, non è previsto dalla legge. Si tratta infatti di un servizio che non ha scopo di lucro: viene fornito per agevolare la vita dei lavoratori, anche se di alto rango, come si presume che siano i parlamentari. La gestione del ristorante del Senato è affidata ad una ditta privata, la Gemeaz Cusin, con sede a Milano. Il Senato fornisce il locale al piano terra in stile liberty: quasi 200 coperti, su una superficie di circa 400 metri quadrati, cucine a parte. E anche le attrezzature per la cottura, le tovaglie,i bicchieri e le posate. Queste ultime debbono essere periodicamente rinnovate perché recano lo stemma senatoriale e sono spesso “predate”come souvenir. Ovviamente il prezzo pagato dagli avventori non basta a pagare le spese. Così per ogni coperto del ristorante la “Camera alta” deve raddoppiare la cifra corrisposta dai commensali. L’operazione costa circa 1.200.000 euro l’anno. Il presidente del Senato ha fatto sapere in serata che i prezzi della ristorazione interna verranno presto adeguati ai costi effettivi. E’ una vittoria del web.

Tralasciando le inesattezze («qualcuno ha trafugato materialmente un menù del ristorante dei senatori e lo ha pubblicato tal quale») e le conclusioni affrettate («è una vittoria del web») contenute nel lancio, credo che questo caso dimostri per l’ennesima volta come l’affidarsi più o meno cieco di tanti giornali alle agenzie rischi di deformare, banalizzare e travisare una realtà già di per sé caotica e complessa da raccontare come quella della rete.

Con il paradossale effetto di annunciare una «rivolta» che non c’era (almeno non nei tempi descritti) e scatenarla. O quantomeno promuoverla. Una capacità di manipolazione dei ‘vecchi’ media sui ‘nuovi’ (e delle agenzie sui ‘vecchi’ media)di cui sarebbe bene essere consapevoli.

Fonte: ilnichilista.wordpress.com

 

Lo conferma, una volta di più, uno studio apparso su The Lancet che ha preso in considerazione tre censimenti della popolazione Indiana dal 1990 al 2005, confrontandoli con i dati della rilevazione del 2011. La fotografia scattata lascia poco spazio alle interpretazioni: anche considerando la maggiore mortalità delle bambine, l’eccesso di maschi fra i bambini da 0 a 6 anni dimostra che, solo nell’ultimo decennio, gli aborti selettivi nel caso di feti femmine sono stati fra i 3,1 e i 6 milioni. Si tratta di una pratica sempre più frequente soprattutto alla seconda gravidanza, se la prima ha già dato una figlia.

Un fenomeno che impone una riflessione. L’India è anche il paese dove molte donne hanno raggiunto posizioni socialmente rilevanti: a fianco di Pratibha Patil, attuale presidente dell’India, e di Sonia Maino Gandhi, leader del principale partito politico indiano, ci sono moltissime donne impegnate nelle aziende, nella politica e nella società. Come mai allora l’aborto selettivo è ancora così tanto praticato? Per rispondere bisogna guardare alle caste più povere, come ha fatto Deepa Mehta, regista indiana, nel film “Water” che denuncia a gran forza le misere condizioni di vita di alcune sue connazionali. Attraverso la storia di Chuya, una ragazzina di otto anni che, ritrovatasi vedova di un marito che nemmeno conosce, viene allontanata dalla sua famiglia e trasferita in un ashram, luogo di ritrovo per vedove indù, la pellicola mette bene in evidenza come essere donna in India significhi dipendere totalmente dai maschi, essere privati dell’identità e una condanna alla sopportazione.

Secondo le disposizioni del Codice di Manu, il più importante e antico testo sacro della tradizione scritta dell’induismo, le donne indiane appartengono prima al padre e poi al marito, e in caso di morte di quest’ultimo, la sposa ha solo tre possibilità: immolarsi sulla pira durante la cerimonia di cremazione, vivere di stenti, o sposare, con l’approvazione della famiglia del defunto, il fratello di questo. Con la morte dello sposo il destino della donna è segnato: una vita non vita, a cui molte sopperiscono col suicidio. Il film è ambientato nel 1938 e lascia intendere il superamento della consuetudine indù proprio con l’affermazione del pensiero di Gandhi, il primo a criticare con fervore quest’usanza, ma nel finale la regista avverte che in alcune zone dell’India le vedove sono ancora realtà. Prova ne sia che nel 2000, una folla di centinaia di fanatici ha sabotato il set di Water minacciando di morte la regista e due delle sue attrici. La lavorazione venne sospesa per motivi di pubblica sicurezza e poté riprendere soltanto cinque anni dopo, nello Sri Lanka, avvolta nel più profondo segreto.

Nonostante i movimenti femministi degli anni Ottanta, la ratifica nel 1993 della Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, Amnesty International denuncia il persistere a tutt'oggi di tali discriminazioni all'interno della famiglia e della società. I templi e gli ashram sono ancora stracolmi di vedove di tutte le età, che, cacciate dalla famiglia del marito defunto e respinte da quella natale, si guadagnano un piatto di riso in cambio di giornate spese a recitare mantra in suffragio o a elemosinare.

Fonte: galileonet.it

 

E le nanotecnologie possono dare una mano. Lo ha spiegato Jeeson Reese, della Strathclyde University (Glasgow, UK), che usando una simulazione al computer, ha esaminato le reali possibilità di raggiungere questo obiettivo utilizzando i nanotubi di carbonio.

Il sistema analizzato e descritto da Reese, pubblicato su Physics World, si basa sul processo di osmosi inversa. In un normale processo di osmosi, l'acqua con la concentrazione più bassa di soluti disciolti oltrepassa spontaneamente una membrana permeabile per andare a diluire quella con più soluti, in questo caso l'acqua salata. Al contrario, per ottenere il passaggio inverso viene applicata una pressione maggiore all'acqua salata, che in tal modo è spinta ad attraversare la membrana, lasciando il sale da parte e unendosi a quella potabile. Questo metodo permette di dissalare l'acqua, ma produrre la pressione necessaria al processo ha un costo molto elevato.

Ed è qui che intervengono i nanotubi, separando meglio l'acqua dai sali disciolti e aumentando l'efficienza della membrana. Infatti, solo poche molecole d'acqua per volta riescono ad attraversare i minuscoli pori presenti tra gli atomi di carbonio, alla stessa velocità delle membrane tradizionali, mentre non possono passare gli ioni di sodio e di cloro o gli altri  minerali. In tal modo, le prestazioni del sistema sono migliori, la pressione necessaria ad effettuare l'osmosi inversa diminuisce, e così anche il costo della dissalazione.

Secondo il modello descritto dello scienziato, grazie ai nanotubi si possono avere membrane per osmosi inversa venti volte più permeabili alle molecole d'acqua, e molto più efficienti nell'allontanamento degli ioni salini, rispetto a quelle attualmente in commercio. Pertanto, come spiega lo stesso Jeeson Reese: “anche se molte questioni rimangono ancora aperte, la grande potenzialità delle membrane di nanotubi di carbonio nel trasformare i processi di dissalazione e purificazione dell'acqua è chiara, ed è un uso delle nanotecnologie positivo e socialmente utile”.

Fonte: galileonet.it

 

Tra le misure adottate dal governo nell’ambito dell’ultima manovra c’è anche l’accorpamento al venerdì o al lunedì delle festività civili cadenti durante la settimana. Non verranno invece toccate le festività religiose. In tal modo, le ricorrenze fondanti la nostra società, quelle in cui tutti sono chiamate a riconoscersi (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno), passano in seconda fila rispetto a festività che sono tali sono solo per una parte della società, quella che si riconosce nella confessione cattolica.

Per la verità, il decreto legge sembra lasciar intendere che le festività religiose non siano state toccate soltanto in quanto sono state introdotte «con legge dello Stato  conseguente ad accordi con la Santa Sede». Il governo ha dunque finalmente ammesso, quantomeno implicitamente, che il Concordato ostacola la libertà d’azione dello Stato italiano. Ma par di capire che ben difficilmente avrà il coraggio di revocarlo unilateralmente, o di ridurre i miliardi di euro che lo Stato eroga ogni anno alla Chiesa cattolica.

L’UAAR, conscia di ciò, si rivolge direttamente alle gerarchie ecclesiastiche, tanto solerti a intervenire quando si tratta di difendere i diritti dei cittadini economicamente più svantaggiati, e le invita a decidere di loro iniziativa di fare la propria parte. Non chiede loro di rinunciare ai soldi che riceve dallo Stato, ma di offrire al governo il proprio assenso affinché, nel 2012, siano alcune festività religiose, e non quelle civili, a essere oggetto di accorpamento. L’UAAR è certa che, anche in un momento difficile come questo, la Chiesa cattolica saprà essere vicina alle difficoltà dei cittadini italiani.

Fonte: UAAR.it

 

La manovra economica in corso di approvazione da parte del governo richiede sacrifici ai cittadini e aumenterà la pressione fiscale. Il momento di difficoltà dei conti pubblici ha fatto tornare di attualità un dibattito che ciclicamente si ripresenta nell’opinione pubblica italiana: quello riguardo i benefici economici che lo Stato assicura alla Chiesa cattolica attraverso riduzioni delle imposte e diverse altre forme di contributi. Negli ultimi giorni ne hanno parlato Beppe Severgnini, Massimo Gramellini sulla Stampa e Filippo Facci su Libero. Se n’è parlato meno nel mondo politico con l’eccezione dei Radicali, che intendono presentare un emendamento alla manovra per eliminare l’esenzione dal pagamento dell’ICI dei beni ecclesiastici. Cerchiamo di capire di che cosa stiamo parlando.

Le agevolazioni fiscali

La Chiesa cattolica usufruisce di forti agevolazioni fiscali, motivate soprattutto dalle finalità assistenziali, sanitarie o educative di alcune sue attività. Ad esempio l’IRES, l’imposta sul reddito delle società introdotta nel 2003 al posto di un’imposta precedente, è ridotta del 50 per cento per tutti gli enti che hanno un fine di assistenza, beneficenza e istruzione (non solo quelli riconducibili alla Chiesa, dunque).

Quello che la Chiesa non paga

foto: CESAR MANSO/AFP/Getty Images

La Chiesa cattolica italiana non ha mai pagato l’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) sui beni immobiliari che utilizzava per fini non commerciali, come previsto già dal decreto legislativo che introdusse la tassa nel 1992 e con un risparmio per la Chiesa che venne stimato dall’associazione dei comuni italiani in diverse centinaia di milioni di euro l’anno. Quanto agli immobili utilizzati per attività commerciali, la questione è stata oggetto di diversi pronunciamenti giuridici e di modifiche legislative nel corso degli anni: a partire dal 2005, la legge ha previsto l’esenzione tout court per tutti gli immobili. Questa decisione, presa dal governo Berlusconi a pochi mesi dallo scioglimento delle camere e all’inizio della campagna elettorale, fece molto discutere. Nel 2007 il governo Prodi limò la normativa, prevedendo che l’esenzione dell’ICI si potesse applicare solo agli immobili dalle finalità “non esclusivamente commerciali”. Quell’avverbio – “esclusivamente” – ha permesso alla Chiesa di usufruire dell’esenzione anche per strutture turistiche, alberghi, ospedali, centri vacanze, negozi: è sufficiente la presenza di una cappella all’interno della struttura. Il risparmio annuo per la Chiesa – e la perdita netta, per il fisco italiano – si avvicina ai due miliardi di euro. La legge in questione è da tempo oggetto di indagini da parte dell’Unione Europea.

Ci sono inoltre diverse altre agevolazioni fiscali di minor rilievo. Le merci dirette dall’estero alla Città del Vaticano e a tutti gli uffici vaticani del territorio italiano sono esenti da imposte doganali e daziarie. I lavoratori italiani che lavorano in società con sede in Vaticano, anche se la loro sede di lavoro è in territorio italiano, non pagano l’IRPEF (la tassa sul reddito delle persone fisiche).

L’otto per mille e gli altri finanziamenti alla Chiesa cattolica

Oltre alle esenzioni fiscali che abbiamo elencato, lo Stato italiano dà direttamente o indirettamente molti fondi alla Chiesa cattolica per le sue attività religiose, caritative e educative.

Il principale strumento è quello dell’otto per mille: lo Stato italiano decise, con la legge 222 del 1985, di destinare l’otto per mille del gettito raccolto tramite l’IRPEF “in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica” a partire dall’anno fiscale 1990. Negli anni successivi, altre confessioni religiose hanno firmato intese con lo Stato italiano, e oggi tutti i singoli cittadini (non quindi enti o aziende) che presentano la dichiarazione dei redditi possono scegliere di esprimersi sulla destinazione dell’otto per mille dell’IRPEF scegliendo tra sette opzioni: lo Stato italiano, la Chiesa cattolica, l’Unione delle Chiese cristiane avventiste del Settimo giorno, le Assemblee di Dio in Italia, l’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia oppure l’Unione Comunità Ebraiche Italiane.

Circa il 40 per cento dei cittadini decide a chi destinare l’otto per mille, e tra questi più dell’80 per cento sceglie la Chiesa cattolica. Chi dice esplicitamente che intende destinare l’otto per mille alla Chiesa cattolica è insomma circa un terzo dei contribuenti. C’è un però: stando alla legge, non è il singolo contribuente a decidere a chi destinare la sua quota di IRPEF ma è lo Stato che consulta i cittadini – facendo quindi una sorta di “sondaggio” – per decidere a chi dare l’otto per mille del gettito dell’IRPEF. In questo modo alla Chiesa cattolica va l’80 per cento di tutto l’otto per mille, non solo di quelli che l’hanno dichiarato esplicitamente: una cifra che si aggira intorno al miliardo di euro l’anno. Come dichiara la stessa Chiesa cattolica, più di un terzo della cifra viene utilizzato per pagare gli “stipendi” dei sacerdoti, mentre agli “interventi caritativi” va circa un quarto del totale. Le modalità di destinazione dell’otto per mille e il suo impiego da parte della Chiesa sono stati spesso oggetto di discussione e polemiche.

Altri fondi che lo Stato versa a vario titolo alla Chiesa cattolica o per finanziare attività confessionali cattoliche sono: i sovvenzionamenti statali alle scuole private confessionali; gli stipendi degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche; altre agevolazioni, una delle più curiose delle quali è forse la fornitura idrica gratuita alla Città del Vaticano, prevista dall’articolo 6 del Trattato tra il Vaticano e il Regno d’Italia del 1929 (accordo non toccato dalla revisione del Concordato del 1985).

Fonte: ilpost.it

 

Ma da qualche anno, complice l’innalzamento della temperatura, ha varcato le Colonne d’Ercole del Canale di Suez, e dal Mar Rosso ha colonizzato il Mediterraneo orientale: oggi si trova di frequente, anche vicino riva, nei pressi dell’isola di Rodi, sulle coste turche, egiziane e israeliane.

Detail-pesce palla argenteo

Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalla sua espressione un po’ assente. L’animale in questione è pericolosissimo: perché il suo organismo produce una sostanza altamente tossica (tetrodotossina) in grado di provocare paralisi muscolari, fino alla morte, anche nella specie umana.

Quella del Lagocephalus è solo una delle oltre 900 specie aliene provenienti da habitat più caldi che stanno lentamente prendendo piede anche nel mare nostrum. Dell’avanzata tropicale fanno parte, per esempio, anche il barracuda o il pesce flauto (Fistularia commersonii). Un’invasione biologica che ha gravi conseguenze anche a livello della catena alimentare di piante e pesci locali, che ne risulta sconvolta, soprattutto quando gli invasori sono velenosi o carnivori, e diventano specie dominanti rispetto a quelle indigene. Lo conferma uno studio condotto nell’arco di quattro anni lungo le zone costiere dell’isola di Rodi da Stefan Kalogirou, del dipartimento di ecologia marina dell’Università di Goteborg.

Purtroppo, ammette Kalogirou, non è semplice definire nel breve periodo quali potrebbero essere le reali ripercussioni sul territorio: studi del genere hanno bisogno di essere valutati sul lungo periodo, e fino ad ora nessuno ha dato troppa importanza a questi fenomeni in atto nel Mediterraneo. Così il ricercatore, oltre a interpretare gli effetti di questi fenomeni, lancia un monito a livello europeo sull’importanza della valutazione dell’impatto ambientale di queste nuove specie, la cui presenza, oltre ad interferire sul presente ecosistema, potrebbe ripercuotersi sullo sviluppo socioeconomico delle popolazioni costiere.

Fonte: galileonet.it

 

“Un’eternità”, secondo Joel Fajanas, membro dell’esperimento e docente di Fisica a Berkeley. Si tratta, infatti, di un record assoluto: un tempo 5mila volte superiore a quello raggiunto lo scorso novembre sempre dai ricercatori dell’Alpha. Ma soprattutto, come spiega Jeffrey Hangst, leader dello studio, è un intervallo abbastanza lungo per cominciare a studiare queste particelle. Questo risultato è stato presentato sulle pagine di Nature Physics insieme a un resoconto dettagliato di quanto ottenuto nel corso degli scorsi dodici mesi: 112 atomi di anti-idrogeno creati e catturati per un tempo variabile tra un quinto di secondo e mille secondi.

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Da quando, nel 2009, atomi di anti-idrogeno sono stati catturati per la prima volta (sono stati creati per la prima volta, sempre a Ginevra, nel 2002 ma si sono istantaneamente distrutti), la possibilità di studiare l’antimateria, postulata negli anni ’30 da Paul Dirac, si sta velocemente trasformando da sogno impossibile per appassionati di Star Trek e fantascienza, a realtà. Da allora, infatti, nel centro svizzero sono stati creati e catturati 309 atomi di anti-idrogeno. Ma il Cern con il suo Lhc non è il solo istituto occuparsi di antimateria: c’è anche il Relativistic Heavy Ion Collider (Rhic), negli Usa, dove lo scorso aprile è stato catturato l’antiatomo più pesante al mondo: l’antielio-4. Inoltre, non si può dimenticare Ams 02 (Alpha Magnetic Spectrometer), il cacciatore di antimateria che è appena arrivato sulla Stazione Spaziale Internazionale per catturare le particelle elementari nello Spazio.

Le particelle di antimateria sono, secondo il Modello Standard, il corrispettivo delle particelle di materia (elettroni, neutroni, protoni, ecc). Riprodurle in laboratorio non è più un problema per i fisici del Cern o di altri laboratori dotati di un acceleratore di particelle come il Large Hadron Collider. Grazie a questi strumenti, infatti, è lavoro di tutti i giorni creare anti-protoni che vengono poi mescolati con anti-elettroni o positroni (quelli della tomografia a emissioni di positroni) in una camera a vuoto, dove alcuni di questi si combinano per dare origine ad atomi di anti-idrogeno.

È qui che comincia il lavoro più complicato per i ricercatori. Queste particelle infatti si distruggono appena entrano in contatto con la materia, devono quindi essere catturate in complicate trappole: campi magnetici molto potenti e dalle maglie molto strette, chiamati bottiglie magnetiche.
Queste particelle sono create direttamente all’interno delle trappole e individuate semplicemente interrompendo il campo magnetico e registrando la loro distruzione, che provoca un lampo.

Anzi, come ricorda il Guardian, questo processo, chiamato annichilazione, trasforma le masse delle particelle in energia secondo la famosa equazione di Albert Einstein, E=mc 2. Un Kg di antimateria che entra in contatto con altrettanta materia provoca un’esplosione circa 3000 volte superiore a quella di Hiroshima.

L’obiettivo di Hangst e colleghi, tuttavia, non è creare esplosioni (anche se questo tipo di esperimenti affascina molto gli autori di Science Fiction), quanto condurre esperimenti sull’antimateria per stabilire se essa ubbidisce alle stesse leggi della fisica della materia, e per capire perché, rispetto a quest’ultima, sembra essere così poco presente nell’Universo, sebbene durante il Big Bang se ne dovrebbe essere creata una quantità uguale.

Come riportato su Nature Physics, i ricercatori hanno già cominciato a studiare gli anti-atomi misurandone la distribuzione dell’energia. “ Potrebbe non sembrare molto emozionante”, commenta Jonathan Wurtele, coautore dello studio, “ ma si tratta del primo esperimento mai condotto su anti-idrogeno intrappolato. Quest’estate speriamo di riuscire a misurare cambiamenti indotti dalle microonde sullo stato atomico degli anti-atomi”.

Fonte: galileonet.it - Riferimenti: wired.it

 

Questa la denuncia che arriva da un rapporto sullo stato della repressione su Internet presentato all'Assemblea generale dell'Onu da Frank La Rue, esperto indipendente del Consiglio sui diritti umani.

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Il web rientra già a pieno titolo tra i mezzi d'informazione il cui libero accesso è sancito dall'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Tuttavia, dal rapporto di La Rue sono emersi dei dati allarmanti: negli ultimi anni, infatti, sono aumentate le forme di violenza e repressione illegittime esercitate da parte di regimi autoritari e monopoli privati ai danni dei due miliardi di utenti connessi a internet.

Le misure restrittive che limitano la libertà di espressione sul web vengono spesso invocate dagli Stati con il pretesto di contenere l'insorgenza di movimenti terroristici. In questo modo, i blocchi e i filtri a internet vengono imposti dai governi facendo ricorso a leggi fuori dall'ordinario, ovvero dei provvedimenti che azzerano i diritti civili per perseguire un'idea di 'sicurezza nazionale' alquanto distorta. “In molti Stati, la libertà di espressione online viene ancora criminalizzata” – ha spiegato La Rue – “e lo dimostra il fatto che nel 2010 siano stati imprigionati più di 100 blogger. I governi, inoltre, fanno ricorso a tecnologie sempre più sofisticate per bloccare contenuti del web e monitorare e identificate attivisti e dissidenti politici”.

Proprio per combattere questo crescente ricorso a norme liberticide, il rapporto La Rue ha invocato la necessità di ridurre al minimo gli atti di censura tout court sul web. Le uniche eccezioni dovrebbero essere regolate in base a norme internazionali che mirino a punire e contrastare episodi di conclamata gravità. Si parla quindi di perseguire casi di pedopornografia, grave diffamazione e istigazione all'odio razziale e al genocidio.

Non mancano, poi, importanti riferimenti di La Rue al ruolo dei privati nella gestione dei contenuti online. Secondo il rapporto, aziende come Google, Facebook o i gestori del traffico online non dovrebbero mai avere il potere di censurare la libertà di espressione dei propri utenti. Tutti i loro interventi dovrebbero essere, cioè, legittimati da una decisione giudiziaria indipendente dai poteri politici.

Nonostante tutto, non sempre la legge è dalla parte dei cittadini. Due paesi democratici come Francia e Inghilterra hanno recentemente approvato delle leggi che consentono di sospendere per un anno la connessione a Internet a tutti coloro che scaricano musica e film da siti pirata. Una decisione forse eccessiva che, nel tutelare i diritti d'autore di un privato, arriva a punire i cittadini limitandone la libertà di espressione.

Come hanno dimostrato le rivoluzioni nel Maghreb, il web è diventato il primo mezzo di comunicazione attraverso cui le persone possono ancora esprimere liberamente le proprie opinioni. I servizi di social networking hanno permesso di bypassare i canali di informazione controllati e filtrati dai regimi autoritari, dando così voce agli oppressi. Dall'altra parte c'è, invece, il caso della Cina, dove Google aveva accettato di censurare molti dei contenuti visualizzabili sul suo motore di ricerca.

Proprio per questo motivo, secondo La Rue, la tutela della libertà di espressione non può essere lasciata nelle mani dei privati e l'accesso a Internet dovrebbe diventare, a tutti gli effetti, un diritto inalienabile dell'uomo, come già è stato sancito da paesi come Finlandia, Estonia e Costa Rica.

Fonte: galileonet.it

 

Ma oggi questa ipotesi sembra finalmente essere più reale. Il merito è di alcuni ricercatori del Columbia University Medical Center e del loro lavoro su una molecola che agisce sui recettori dell'acido retinoico (RAR), sostanza in grado di interferire con il processo di spermatogenesi, che potrebbe diventare il primo anticoncezionale orale non steroideo maschile a basso dosaggio. I risultati del loro studio sono stati pubblicati su Endocrinology.

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Che la carenza di vitamina A negli uomini provochi sterilità è un fatto noto. In particolare, i ricercatori della Columbia avevano già dimostrato che manipolando il sistema dei recettori dell'acido retinoico si poteva interferire con la genesi dello sperma. Studiando la letteratura su questo argomento gli scienziati si sono imbattuti in un ritrovato della Bristol-Myers Squibb per il trattamento della pelle e delle malattie infiammatorie: BMS-189453, questo il nome della molecola, era stata però abbandonata dalla multinazionale farmaceutica perché causava mutamenti nel testicolo, tanto da essere definita “tossina testicolare”. Proprio quegli stessi mutamenti che Debra Wolgemuth, coordinatrice dello studio, aveva osservato nel suo laboratorio. "Siamo stati incuriositi dal fatto che quella che era una tossina per qualcuno poteva essere un contraccettivo per un'altra persona," ha detto Debra Wolgemuth, coordinatrice dello studio.

Così Wolgemuth e il suo team hanno testato il farmaco su topi di laboratorio e hanno osservato che le modifiche del testicolo riscontrate nel corso degli esperimenti condotti da BMS sono simili a quelle causate dalla carenza di vitamina A e dalla perdita della funzione di un recettore dell'acido retinoico, il RARalpha. Ma il passo decisivo è stato fatto somministrando il farmaco a un basso dosaggio per un periodo di 4 settimane: gli animali così trattatati hanno sviluppato una sterilità reversibile. La reversibilità è una componente essenziale per un contraccettivo, la sua azione infatti deve essere limitata nel periodo compreso dall’inizio della somministrazione alla sospensione del farmaco.

Uno dei vantaggi di un anticoncezionale non-steroideo, dicono inoltre i ricercatori, è evitare gli effetti collaterali dei farmaci a base di ormoni, tra cui il rischio di malattie cardiovascolari e di iperplasia prostatica benigna, oltre ad un calo della libido. "Non abbiamo osservato alcun effetto collaterale e, finora, i topi sembrano accoppiarsi senza problemi", ha affermato Wolgemuth.

"Un ulteriore vantaggio del nostro composto è che può essere assunto per via orale come una pillola, evitando il processo di iniezione. Sembra anche avere un effetto molto rapido sulla produzione di spermatozoi e di un recupero ancora più rapido quando si vuole tornare alla fertilità", ha dichiarato Sanny Chung, ricercatore associato presso il Columbia University Medical Center. Ma perche l'ipotesi del pillolo diventi veramente realtà i ricercatori devono ancora dimostrare che il farmaco è sicuro, efficace e reversibile anche se usato per anni.

Fonte: galileonet.it

 

Lo ha scoperto Christofer Adams, endocrinologo dell’Università dello Iowa, che descrive sulle pagine di Cell Metabolism come questa sostanza sia capace anche di ridurre i lipidi, i livelli di zucchero nel sangue, il colesterolo e i trigliceridi.

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“L’atrofia muscolare è piuttosto comune e colpisce soprattutto persone malate o anziane”, ha dichiarato Adams. “E non esiste un trattamento”. Per questo il ricercatore ha cominciato a studiare l’attività dei geni che sovraintendono allo sviluppo muscolare nei pazienti affetti da questa patologia, usando queste informazioni per individuare una sostanza chimica in grado di bloccare il processo. Da questa analisi è emerso il ruolo interessante dell’acido ursolico.

Da qui la decisione di somministrare questa sostanza a topi di laboratorio. L’esperimento ha dato i risultati sperati: negli animali trattati è aumentata sia la massa sia la forza del muscolo. “Questo accade perché l’acido ursolico agisce direttamente su due degli ormoni che partecipano alla costruzione muscolare: l’insulina e il fattore di crescita insulino-simile (IGF1)”, ha precisato Adams. Lo sviluppo della massa muscolare non ha causato un aumento del peso corporale; si sono invece registrati una riduzione dei lipidi grasso e un abbassamento dei livelli di glucosio, colesterolo e trigliceridi nel sangue.

Fonte: galileonet.it

 
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